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Autore: LaMicheCoria    19/05/2011    3 recensioni
-Ah! Non intendo veder nessuno, mi hai compreso?- berciò il vecchio, agitando verso di lui un dito rugoso –E quando dico nessuno, intendo nessuno! Né uomo, né donna, né bambino! Né Re, né Papa!-
-Dice..- tentò il giovinetto, ma la voce gli morì sulle labbra quando venne spinto all’indietro dal braccio bianco di una donna.
-Omo sanza lettere!- strillò questa, portandosi le mani ai fianchi, accentuati dalla larga gonna cremisi –Che son mai queste dicerie? Davvero..-
-Davvero andrai via?- pigolò una vocina.
[Personaggi: Chibitalia, Feliciano Vargas/Nord Italia, Francis Bonnefoy/Francia] [OC!: OC!Stato Pontificio/ Luca I, Filius Petri, OC!Roma/Latona Capitolina, OC!Firenze/Beatrice Flore] [RP: Leonardo da Vinci]
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Francia/Francis Bonnefoy, Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Omo Sanza Lettere
Autore:  Nemeryal
Fandom: Axis Power Hetalia
Rating: Verde

Genere: Slice of Life, Triste, Malinconico
Avvertimenti: Missing Moments
Personaggi: Chibitalia, Feliciano Vargas/Nord Italia, Francis Bonnefoy/Francia, OC!Stato Pontificio/ Luca I, Filius Petri, OC!Roma/Latona Capitolina, OC!Firenze/Beatrice Flore, Leonardo da Vinci.

Pairing: Roma/Stato Pontificio, accennato Roma/Leonardo da Vinci, Roma/Michelangelo Buonarroti
Trama: -Ah! Non intendo veder nessuno, mi hai compreso?- berciò il vecchio, agitando verso di lui un dito rugoso –E quando dico nessuno, intendo nessuno! Né uomo, né donna, né bambino! Né Re, né Papa!-
-Dice..- tentò il giovinetto, ma la voce gli morì sulle labbra quando venne spinto all’indietro dal braccio bianco di una donna.
-Omo sanza lettere!- strillò questa, portandosi le mani ai fianchi, accentuati dalla larga gonna cremisi –Che son mai queste dicerie? Davvero..-
-Davvero andrai via?- pigolò una vocina.

Dedica: a Silentsky
Note: No, aspet—Ho davvero scritto una cosa del genere? Ho davvero piazzato Leonardo da Vinci in una fan fiction di Axis Power Hetalia?..Oh bhè, dai! Lo hanno già messo in Assassin’s Creed, non credo si offenderà.
..Ma come diamine mi escono certe cose?!
Ah! Roma non è una lupatria, ci tengo a sottolinearlo. Ama l’arte, ama gli artisti, con tutta se stessa. Ama la sua storia, presente e passata, non a caso ho scelto Latona come suo nome “umano”.
E comunque. Mi faccio pena da sola.
Tra le altre cose la seconda parte non sarebbe dovuta esserci. Però si è scritta da sola.
E La Gioconda nemmeno mi fa impazzire come quadro.
Ma la sarò complicata? XD Altre note a fine pagina!
[No, davvero, io di testa non ci sto tutta…]

 

Omo Sanza Lettere

§ Roma, 1516 §

 

-Padrone..-
Il vecchio alzò la testa dai vari incartamenti, stringendo tra le dita nodose alcuni strumenti più o meno sbeccati e rosi dal tempo; socchiuse gli occhi cisposi per mettere bene a fuoco la figura del giovinetto che stava sulla porta.
-Battista- masticò il nome più e più volte prima che la voce si rendesse udibile tra l’intrico della barba –Che c’è? Che succede? Che vuoi? T’ho detto di non voler essere disturbato!-
Il servo si morse le labbra, occhieggiando a qualcosa fuori dalla porta
-Una..una donna, padrone- balbettò –Desidera..desidera vedervi-
-Ah! Non intendo veder nessuno, mi hai compreso?- berciò il vecchio, agitando verso di lui un dito rugoso –E quando dico nessuno, intendo nessuno! Né uomo, né donna, né bambino! Né Re, né Papa!-
-Dice..- tentò il giovinetto, ma la voce gli morì sulle labbra quando venne spinto all’indietro dal braccio bianco di una donna.
-Omo sanza lettere!- strillò questa, portandosi le mani ai fianchi, accentuati dalla larga gonna cremisi –Che son mai queste dicerie? Davvero..-
-Davvero andrai via?- pigolò una vocina. Il visetto delizioso d’un bambino si sporse da dietro l’abito della donna: da sotto la cuffietta bianca un ciuffetto scuro si arricciava verso l’alto e le ciglia brillavano di piccoli cristalli di lacrime.
La donna abbassò il capo, carezzando la testa del piccolo.
Il vecchio sospirò.
-Battista- mormorò, indicando il bambino –Portaci qualche dolce di quelli che son rimasti. E lasciaci soli-
Il giovinetto annuì, sparendo immediatamente dietro la porta; la donna assunse un cipiglio se possibile ancor più severo, mentre il piccolo si staccava dalla sua gonna e si intrufolava nei meandri meno disordinati della stanza, emettendo gridolini eccitati nel tener tra le mani qualche nuovo trabiccolo del vecchio.
Questi si schiarì la gola e tolse alcuni incartamenti da una sedia, facendo poi segno alla donna di prendere posto; ella gli passò accanto tenendo la testa fieramente sollevata, le dita inanellate affondate tra le pieghe dell’abito. Si sedette con grazia, fissando il vecchio coi grandi occhi scuri.
-Dunque è vero quel che dice mio marito?- chiese, assottigliando le labbra nel pronunciare l’ultima parola –Ve ne andate da Roma, messer Leonardo?-
L’artista sospirò. Le spalle cascanti si piegarono sotto un grave peso.
-Sono stanco, madama Latona. Vecchio e stanco-
-Sciocchezze!- Latona liquidò la risposta con un gesto veloce della mano –Le vostre mani e le vostre dita sono destinate ancora a grandi opere!-
-Leonardo! Leonardo!- esclamò il bambino –E questo, Leonardo? Ancora non lo finite?-
-Di quale dipinto parlate, messer Feliciano?-
Il bambino indicò il ritratto d’una giovane donna con le mani intrecciate in grembo e i riccioli che neri si confondevano sulle spalle coperte da un abito altrettanto scuro; gli occhi, due gemme d’ossidiana, fissavano lo spettatore con sguardo intenso, ma non un sorriso li accompagnava. Un volto silente di indecifrabile espressione.
Latona strinse le labbra.
-Riconosco alcuni dei tratti- sibilò, sfiorandosi il viso –Quei riccioli..Beatrice ne ha di eguali-
Il vecchio rise.
Feliciano piegò il viso e corrugò la fronte, concentrato.
-E’ vero!- soggiunse poco dopo –Somiglia alla bella Fiorenza!-
Gli occhi della donna sfavillarono
-Di lei serbi un ricordo tanto importante? Lei che mai t’apprezzò e ti comprese come io feci?-
Leonardo congiunse le dita, rivolgendo gli occhi alla finestra, come perso in un ricordo lontano
-Siete gelosa, o bella Roma?- domandò burbero, qualche istante dopo –Vi offrii la possibilità di porvi come Vergine o come Diana, eppure rifiutaste!-
Latona gettò la testa all’indietro e le perle posate sul suo capo brillarono alla luce arabescata del sole
-Non trovate che sarebbe stato sconveniente posare per simili ritratti? Suvvia, Leonardo..- le labbra si sollevarono in un ghigno ferino –Proprio voi, che io accolsi nel mio talamo più di una notte! Per ogni pennellata, un carezza sul mio ventre! Proprio voi! Ritrarmi come una vergine..!-
Il piccolo Feliciano alzò gli occhi sulla Città e sebbene sul suo volto ci fosse un tenero sorriso, la tensione dei muscoli era tale da rendere noto a chiunque quanto fosse grande il suo disappunto.
-Non dovreste dire certe cose, madama Latona- cinguettò –Se Filius Petri sapesse..!-
Roma deglutì a vuoto, fuggendo gli occhi indagatori dell’Italia.
-Come se mai mio marito si fosse concesso ad artisti, letterati e gran signori!- ringhiò –E non si fosse adornato di ori e di gemme! Come se l’Italia non sfruttasse per sé la sua e la mia bellezza-
-Siete ingiusta, madama Latona- intervenne l’artista –Di certo, siete la gemma più splendente tra quelle che sfavillano negli occhi di messer Feliciano- a quelle parole, il volto del bambino si illuminò –Ma non fa bene che si parli di voi in modo così sconveniente, soprattutto circa i..rapporti che intrattenete coi vostri ospiti più illustri-
La donna, a discapito di quanto detto dal vecchio, sorrise e quando il bambino le si avvicinò, chinò il capo per farsi baciare la fronte.
-Madama Beatrice..- cominciò Leonardo.
-Madama Beatrice- prese la parola Latona, alzando il braccio  -Gli artisti non li accoglie, li fa fuggire!-
Rise e il suono era quello del Tevere che sciabordava e s’accavallava sui ciottoli all’ombra dei ponti.
Feliciano, che fino a quel momento era rimasto a fissare Roma con espressione indecifrabile, saltellò fino ad un’altra tela e sollevò il panno bianco che la copriva –Leonardo! Anche questo è da concludere!-
-Vedete, messer Da Vinci..- mormorò la donna, indicando le figure femminili chine sul bambino che abbracciava un agnello –Le vostre mani ancora non sono secche. Lacrime colorate di gemme e di gioielli attendono solo di essere versate su quelle tele e su quei cartoni-
Il vecchio scosse il capo.
-No, Madama Latona. Guardate, guardate queste dita..!- e le alzò, con la luce del sole che scorreva fra le anse scure delle rughe –E queste braccia, da cui la pelle pende flaccida e macilenta! Manca l’impeto, madama Latona. L’impeto impetuoso di quel divino gesto d’Apollo fra la torba dei centauri1 che so scuotere le vostre lenzuola in queste notti-
Se anche la donna aveva colto il riferimento, non ne diede segno. Non il più minimo rossore le imporporò le guance, nemmeno sotto lo sguardo gelido di Feliciano.
-Ma perché andarvene, dunque?- chiese questi, scuotendo la testa –Rimanete qui in Italia, non abbandonatemi!-
-Sarebbe assai scortese, messer Feliciano, non rispondere ai solleciti inviti del Re di Francia- l’artista coprì nuovamente la tela –Vostro fratello, messer Bonnefoy, da come me ne parlaste, potrebbe esserne offeso. Non trovate anche voi?-
Il bambino gonfiò le guance, tormentandosi le dita. Stava per dire qualcosa, ma la porta s’aprì di nuovo, rivelando la figura snella di Battista.
-Padrone, ecco i dolci che m’avete chiesto- e posò il vassoio su l’unico tavolino non ingombro presente nella stanza.
-Bene, bene- annuì Leonardo, congedando il servo con un gesto veloce –Prendetene quanti volete, messer Feliciano-
Un enorme sorriso sbocciò sulle labbra prima contratte del piccolo; Latona, a quella vista, sorrise con tenerezza, poi tornò a rivolgere la sua attenzione al vecchio.
-Non c’è nulla che possa fare per trattenervi qui, vero?-
-Anche troppo ho soggiornato qui, madama Latona. Roma ha nuovi artisti che già hanno conquistato il suo cuore-
Latona chinò il capo.
-E ora, non per sembrarvi scortese- borbottò il vecchio –Dovrei finire di accatastare questi vecchi incartamenti. Troppi e troppo pochi per il viaggio che m’attende-
-Leonardo!- pigolò Feliciano, avvicinandosi all’artista –Andate, dunque, se questo il vostro desiderio. Promettetemi una cosa, però..-
-Dite, messer Feliciano. Dite, Italia- accondiscese Leonardo.
-Quei quadri- il piccolo indicò le tele non ancora concluse –Voglio vederli finiti. Voglio poterli ammirare quando ogni colore accoglierà brillante il suo compagno, quando gli occhi di quella donna saranno accompagnati dal suo sorriso, quando la lana dell’agnello scintillerà d’argento tra le dita del bambino-
Il silenzio sospirò tra la polvere dorata.
-Ve lo prometto, Messer Feliciano- Leonardo si portò una mano al cuore e chinò il capo –Potrei negare quest’ultimo desiderio all’Italia che mi diede i natali?-

 

~***~

§ Parigi, Louvre, 2011 §

 

-Il peut rester ici-
Francis congedò la guardia e si avvicinò al giovane immobile davanti al quadro; gli si affiancò in silenzio, fingendo di non notare le lacrime che tremolavano nei suoi occhi, baluginanti alla luce soffusa della Galleria.
Non ci furono parole, non rumori se non il respiro lieve del francese ed il fiato trattenuto dell’italiano.
-Non posso restituirtela, Feliciano- mormorò Francis –E lo sai..-
-Ma appartiene all’Italia!- esclamò il ragazzo, voltandosi di scatto. Gli occhi brillavano alla luce innaturale delle lampade: parevano due schegge di vetro, gelide, fredde, su cui il volto del francese si rifletteva distorto dall’astio e dalla rabbia –Appartiene a me! Come la Sant’Anna e il San Giovanni2! Le creò in Italia e..-
-E le finì in Francia- il tono di Francis non ammetteva repliche di sorta. La sua voce s’era fatta così dura che Feliciano, per un istante, sembrò sul pronto di arretrare –Appartengono a me, ora- esalò un respiro tagliante pari al sibilo di una lama sguainata –Cinque minuti. Poi devi andartene-
Il francese gli voltò le spalle e sparì, ingoiato dal buio della Galleria.
Rimasto solo, l’italiano tese un braccio verso il quadro, quasi volesse sfiorarne i colori increspati o stringere fra le dita il velo scuro che cadeva sulle ciocche scure della donna.
-Avete mantenuto la promessa, Leonardo..- mormorò, lasciando ricadere il braccio lungo il fianco –Sono stato uno stupido. Avrei dovuto chiedervi di tornare, di farmi rivedere quel quadro illuminato dai bagliori dell’Arno o incorniciato dai declivi dei Colli..che stupido..che stupido..!- e la sua voce si perse in singhiozzi, le ginocchia cedettero, faticò a mantenersi in piedi.
Il sorriso enigmatico si scompose in mille frammenti di lacrime.
Il sorriso delicato di Fiorenza.
Il sorriso ferino di Latona.
Il sorriso ironico di Lisa Gheradini.
E quegli occhi, così completi ora, risplendevano dell’argenteo manto di un agnello, ridevano tristi di una promessa ingannatrice, mantenuta, eppure dolorosa, incompleta.
Era il sorriso che Leonardo aveva rubato a Latona nel momento fugace di un ultimo bacio, che aveva racchiuso fra le dita, un impalpabile tesoro, uno sfavillio di gemma sbocciato sulle rughe grinzose del pioppo.
Più guardava quelle labbra sollevate in un accenno di mistero, più Feliciano sentiva di trovare mille e più volti, mille e più significati a quel tendersi impercettibile dei muscoli del viso.
-Ridete di me..?- sussurrò –O cercate di rassicurarmi, come anni lontani un’intera esistenza? Come allora, quando mi offriste dei dolci per non farmi rattristare della vostra partenza? O sorridete nel ricordo della bella Latona, avvolta nel suo abito cremisi? Spiegatemi, spiegatemi come facevate allora! Parlatemi!..- un lento sospiro –Parlatemi e spiegatemi ancora una volta, una volta soltanto, non chiedo di più, parlatemi, omo sanza lettere!-

 

 

§ ~{*}~§

 

1Michelangelo, Battaglia dei Centauri[1492]. Nel 1516 l’artista già soggiornava a Roma.

2Sant'Anna, la Madonna e il Bambino con un Agnello

San Giovanni Battista

3”Omo Sanza Lettere” era il modo in cui qualche cortigiano lo aveva chiamato, dato che lui conosceva molto poco il latino e il greco, e usava solo il volgare. Eppure, Leonardo accettò questa definizione e in uno dei suoi scritti ribattè che, se è un illetterato, è in grado di seguire l’insegnamento della natura  e imparare dall’esperienza scientifica della realtà. [Luperini, La Scrittura e l’Interpretazione]
   
 
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