Titolo: Omo Sanza Lettere
Autore:
Nemeryal
Fandom: Axis Power Hetalia
Rating: Verde
Genere: Slice of Life,
Triste, Malinconico
Avvertimenti: Missing Moments
Personaggi: Chibitalia, Feliciano Vargas/Nord Italia, Francis
Bonnefoy/Francia, OC!Stato Pontificio/ Luca I, Filius Petri, OC!Roma/Latona Capitolina, OC!Firenze/Beatrice Flore,
Leonardo da Vinci.
Pairing: Roma/Stato Pontificio, accennato Roma/Leonardo da Vinci,
Roma/Michelangelo Buonarroti
Trama: -Ah! Non intendo veder nessuno, mi hai
compreso?- berciò il vecchio, agitando verso di lui un dito rugoso –E quando
dico nessuno, intendo nessuno! Né uomo, né donna, né bambino! Né Re, né Papa!-
-Dice..- tentò il giovinetto, ma la
voce gli morì sulle labbra quando venne spinto all’indietro dal braccio bianco
di una donna.
-Omo
sanza lettere!- strillò questa, portandosi le mani ai fianchi, accentuati
dalla larga gonna cremisi –Che son mai queste dicerie? Davvero..-
-Davvero andrai via?- pigolò una
vocina.
Dedica: a Silentsky
Note: No, aspet—Ho davvero
scritto una cosa del genere? Ho davvero piazzato Leonardo da Vinci in una fan
fiction di Axis Power Hetalia?..Oh bhè, dai! Lo hanno già messo in Assassin’s
Creed, non credo si offenderà.
..Ma come diamine mi escono certe
cose?!
Ah! Roma non è una lupatria, ci tengo a sottolinearlo. Ama
l’arte, ama gli artisti, con tutta se stessa. Ama la sua storia, presente e
passata, non a caso ho scelto Latona come suo nome “umano”.
E comunque. Mi faccio pena da sola.
Tra le altre cose la seconda parte non
sarebbe dovuta esserci. Però si è scritta da sola.
E La Gioconda nemmeno mi fa
impazzire come quadro.
Ma la sarò complicata? XD Altre note a
fine pagina!
[No, davvero, io di testa non ci sto
tutta…]
Omo Sanza Lettere
§
Roma, 1516 §
-Padrone..-
Il vecchio alzò la testa dai vari incartamenti,
stringendo tra le dita nodose alcuni strumenti più o meno sbeccati e rosi dal
tempo; socchiuse gli occhi cisposi per mettere bene a fuoco la figura del
giovinetto che stava sulla porta.
-Battista- masticò il nome più e più volte prima che
la voce si rendesse udibile tra l’intrico della barba –Che c’è? Che succede?
Che vuoi? T’ho detto di non voler essere disturbato!-
Il servo si morse le labbra, occhieggiando a
qualcosa fuori dalla porta
-Una..una donna, padrone- balbettò
–Desidera..desidera vedervi-
-Ah! Non intendo veder nessuno, mi hai compreso?-
berciò il vecchio, agitando verso di lui un dito rugoso –E quando dico nessuno,
intendo nessuno! Né uomo, né donna, né bambino! Né Re, né Papa!-
-Dice..- tentò il giovinetto, ma la voce gli morì
sulle labbra quando venne spinto all’indietro dal braccio bianco di una donna.
-Omo sanza
lettere!- strillò questa, portandosi le mani ai fianchi, accentuati dalla
larga gonna cremisi –Che son mai queste dicerie? Davvero..-
-Davvero andrai via?- pigolò una vocina. Il visetto
delizioso d’un bambino si sporse da dietro l’abito della donna: da sotto la
cuffietta bianca un ciuffetto scuro si arricciava verso l’alto e le ciglia brillavano
di piccoli cristalli di lacrime.
La donna abbassò il capo, carezzando la testa del
piccolo.
Il vecchio sospirò.
-Battista- mormorò, indicando il bambino –Portaci
qualche dolce di quelli che son rimasti. E lasciaci soli-
Il giovinetto annuì, sparendo immediatamente dietro
la porta; la donna assunse un cipiglio se possibile ancor più severo, mentre il
piccolo si staccava dalla sua gonna e si intrufolava nei meandri meno
disordinati della stanza, emettendo gridolini eccitati nel tener tra le mani
qualche nuovo trabiccolo del vecchio.
Questi si schiarì la gola e tolse alcuni
incartamenti da una sedia, facendo poi segno alla donna di prendere posto; ella
gli passò accanto tenendo la testa fieramente sollevata, le dita inanellate
affondate tra le pieghe dell’abito. Si sedette con grazia, fissando il vecchio
coi grandi occhi scuri.
-Dunque è vero quel che dice mio marito?- chiese,
assottigliando le labbra nel pronunciare l’ultima parola –Ve ne andate da Roma,
messer Leonardo?-
L’artista sospirò. Le spalle cascanti si piegarono
sotto un grave peso.
-Sono stanco, madama Latona. Vecchio e stanco-
-Sciocchezze!- Latona liquidò la risposta con un
gesto veloce della mano –Le vostre mani e le vostre dita sono destinate ancora
a grandi opere!-
-Leonardo! Leonardo!- esclamò il bambino –E questo,
Leonardo? Ancora non lo finite?-
-Di quale dipinto parlate, messer Feliciano?-
Il bambino indicò il ritratto d’una giovane donna
con le mani intrecciate in grembo e i riccioli che neri si confondevano sulle
spalle coperte da un abito altrettanto scuro; gli occhi, due gemme d’ossidiana,
fissavano lo spettatore con sguardo intenso, ma non un sorriso li accompagnava.
Un volto silente di indecifrabile espressione.
Latona strinse le labbra.
-Riconosco alcuni dei tratti- sibilò, sfiorandosi il
viso –Quei riccioli..Beatrice ne ha di eguali-
Il vecchio rise.
Feliciano piegò il viso e corrugò la fronte,
concentrato.
-E’ vero!- soggiunse poco dopo –Somiglia alla bella
Fiorenza!-
Gli occhi della donna sfavillarono
-Di lei serbi un ricordo tanto importante? Lei che
mai t’apprezzò e ti comprese come io feci?-
Leonardo congiunse le dita, rivolgendo gli occhi
alla finestra, come perso in un ricordo lontano
-Siete gelosa, o bella Roma?- domandò burbero,
qualche istante dopo –Vi offrii la possibilità di porvi come Vergine o come
Diana, eppure rifiutaste!-
Latona gettò la testa all’indietro e le perle posate
sul suo capo brillarono alla luce arabescata del sole
-Non trovate che sarebbe stato sconveniente posare
per simili ritratti? Suvvia, Leonardo..- le labbra si sollevarono in un ghigno
ferino –Proprio voi, che io accolsi nel mio talamo più di una notte! Per ogni
pennellata, un carezza sul mio ventre! Proprio voi! Ritrarmi come una
vergine..!-
Il piccolo Feliciano alzò gli occhi sulla Città e
sebbene sul suo volto ci fosse un tenero sorriso, la tensione dei muscoli era
tale da rendere noto a chiunque quanto fosse grande il suo disappunto.
-Non dovreste dire certe cose, madama Latona-
cinguettò –Se Filius Petri
sapesse..!-
Roma deglutì a vuoto, fuggendo gli occhi indagatori dell’Italia.
-Come se mai mio marito si fosse concesso ad
artisti, letterati e gran signori!- ringhiò –E non si fosse adornato di ori e
di gemme! Come se l’Italia non sfruttasse per sé la sua e la mia bellezza-
-Siete ingiusta, madama Latona- intervenne l’artista
–Di certo, siete la gemma più splendente tra quelle che sfavillano negli occhi
di messer Feliciano- a quelle parole, il volto del bambino si illuminò –Ma non
fa bene che si parli di voi in modo così sconveniente, soprattutto circa i..rapporti che intrattenete coi vostri
ospiti più illustri-
La donna, a discapito di quanto detto dal vecchio,
sorrise e quando il bambino le si avvicinò, chinò il capo per farsi baciare la
fronte.
-Madama Beatrice..- cominciò Leonardo.
-Madama Beatrice- prese la parola Latona, alzando il
braccio -Gli artisti non li accoglie, li
fa fuggire!-
Rise e il suono era quello del Tevere che sciabordava
e s’accavallava sui ciottoli all’ombra dei ponti.
Feliciano, che fino a quel momento era rimasto a
fissare Roma con espressione indecifrabile, saltellò fino ad un’altra tela e sollevò
il panno bianco che la copriva –Leonardo! Anche questo è da concludere!-
-Vedete, messer Da Vinci..- mormorò la donna,
indicando le figure femminili chine sul bambino che abbracciava un agnello –Le
vostre mani ancora non sono secche. Lacrime colorate di gemme e di gioielli
attendono solo di essere versate su quelle tele e su quei cartoni-
Il vecchio scosse il capo.
-No, Madama Latona. Guardate, guardate queste
dita..!- e le alzò, con la luce del sole che scorreva fra le anse scure delle
rughe –E queste braccia, da cui la pelle pende flaccida e macilenta! Manca l’impeto, madama Latona. L’impeto
impetuoso di quel divino gesto d’Apollo fra la torba dei centauri1
che so scuotere le vostre lenzuola in queste notti-
Se anche la donna aveva colto il riferimento, non ne
diede segno. Non il più minimo rossore le imporporò le guance, nemmeno sotto lo
sguardo gelido di Feliciano.
-Ma perché andarvene, dunque?- chiese questi,
scuotendo la testa –Rimanete qui in Italia, non abbandonatemi!-
-Sarebbe assai scortese, messer Feliciano, non
rispondere ai solleciti inviti del Re di Francia- l’artista coprì nuovamente la
tela –Vostro fratello, messer Bonnefoy, da come me ne parlaste, potrebbe
esserne offeso. Non trovate anche voi?-
Il bambino gonfiò le guance, tormentandosi le dita.
Stava per dire qualcosa, ma la porta s’aprì di nuovo, rivelando la figura
snella di Battista.
-Padrone, ecco i dolci che m’avete chiesto- e posò
il vassoio su l’unico tavolino non ingombro presente nella stanza.
-Bene, bene- annuì Leonardo, congedando il servo con
un gesto veloce –Prendetene quanti volete, messer Feliciano-
Un enorme sorriso sbocciò sulle labbra prima
contratte del piccolo; Latona, a quella vista, sorrise con tenerezza, poi tornò
a rivolgere la sua attenzione al vecchio.
-Non c’è nulla che possa fare per trattenervi qui,
vero?-
-Anche troppo ho soggiornato qui, madama Latona.
Roma ha nuovi artisti che già hanno conquistato il suo cuore-
Latona chinò il capo.
-E ora, non per sembrarvi scortese- borbottò il
vecchio –Dovrei finire di accatastare questi vecchi incartamenti. Troppi e
troppo pochi per il viaggio che m’attende-
-Leonardo!- pigolò Feliciano, avvicinandosi
all’artista –Andate, dunque, se questo il vostro desiderio. Promettetemi una
cosa, però..-
-Dite, messer Feliciano. Dite, Italia- accondiscese
Leonardo.
-Quei quadri- il piccolo indicò le tele non ancora
concluse –Voglio vederli finiti. Voglio poterli ammirare quando ogni colore accoglierà
brillante il suo compagno, quando gli occhi di quella donna saranno
accompagnati dal suo sorriso, quando la lana dell’agnello scintillerà d’argento
tra le dita del bambino-
Il silenzio sospirò tra la polvere dorata.
-Ve lo prometto, Messer Feliciano- Leonardo si portò
una mano al cuore e chinò il capo –Potrei negare quest’ultimo desiderio
all’Italia che mi diede i natali?-
~***~
§
Parigi, Louvre, 2011 §
-Il peut
rester ici-
Francis congedò la guardia e si avvicinò al giovane
immobile davanti al quadro; gli si affiancò in silenzio, fingendo di non notare
le lacrime che tremolavano nei suoi occhi, baluginanti alla luce soffusa della
Galleria.
Non ci furono parole, non rumori se non il respiro
lieve del francese ed il fiato trattenuto dell’italiano.
-Non posso restituirtela, Feliciano- mormorò Francis
–E lo sai..-
-Ma appartiene all’Italia!- esclamò il ragazzo,
voltandosi di scatto. Gli occhi brillavano alla luce innaturale delle lampade:
parevano due schegge di vetro, gelide, fredde, su cui il volto del francese si
rifletteva distorto dall’astio e dalla rabbia –Appartiene a me! Come la Sant’Anna e il San Giovanni2! Le creò in Italia e..-
-E le finì in Francia- il tono di Francis non
ammetteva repliche di sorta. La sua voce s’era fatta così dura che Feliciano,
per un istante, sembrò sul pronto di arretrare –Appartengono a me, ora- esalò
un respiro tagliante pari al sibilo di una lama sguainata –Cinque minuti. Poi
devi andartene-
Il francese gli voltò le spalle e sparì, ingoiato
dal buio della Galleria.
Rimasto solo, l’italiano tese un braccio verso il
quadro, quasi volesse sfiorarne i colori increspati o stringere fra le dita il
velo scuro che cadeva sulle ciocche scure della donna.
-Avete mantenuto la promessa, Leonardo..- mormorò,
lasciando ricadere il braccio lungo il fianco –Sono stato uno stupido. Avrei
dovuto chiedervi di tornare, di farmi rivedere quel quadro illuminato dai
bagliori dell’Arno o incorniciato dai declivi dei Colli..che stupido..che
stupido..!- e la sua voce si perse in singhiozzi, le ginocchia cedettero, faticò
a mantenersi in piedi.
Il sorriso enigmatico si scompose in mille frammenti
di lacrime.
Il sorriso delicato di Fiorenza.
Il sorriso ferino di Latona.
Il sorriso ironico di Lisa Gheradini.
E quegli occhi, così completi ora, risplendevano
dell’argenteo manto di un agnello, ridevano tristi di una promessa
ingannatrice, mantenuta, eppure dolorosa, incompleta.
Era il sorriso che Leonardo aveva rubato a Latona nel
momento fugace di un ultimo bacio, che aveva racchiuso fra le dita, un impalpabile
tesoro, uno sfavillio di gemma sbocciato sulle rughe grinzose del pioppo.
Più guardava quelle labbra sollevate in un accenno
di mistero, più Feliciano sentiva di trovare mille e più volti, mille e più
significati a quel tendersi impercettibile dei muscoli del viso.
-Ridete di me..?- sussurrò –O cercate di rassicurarmi,
come anni lontani un’intera esistenza? Come allora, quando mi offriste dei dolci
per non farmi rattristare della vostra partenza? O sorridete nel ricordo della
bella Latona, avvolta nel suo abito cremisi? Spiegatemi, spiegatemi come
facevate allora! Parlatemi!..- un lento sospiro –Parlatemi e spiegatemi ancora
una volta, una volta soltanto, non chiedo di più, parlatemi, omo sanza lettere!-
§ ~{*}~§
1Michelangelo,
Battaglia dei Centauri[1492]. Nel 1516 l’artista già soggiornava a Roma.
2Sant'Anna, la Madonna e il Bambino con un Agnello
3”Omo Sanza Lettere” era il modo in cui qualche cortigiano lo aveva chiamato, dato che lui conosceva molto poco il latino e il greco, e usava solo il volgare. Eppure, Leonardo accettò questa definizione e in uno dei suoi scritti ribattè che, se è un illetterato, è in grado di seguire l’insegnamento della natura e imparare dall’esperienza scientifica della realtà. [Luperini, La Scrittura e l’Interpretazione]