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Autore: Hiromi    20/05/2011    8 recensioni
Takao e Karen, Mao e Rei, Max e Maryam, Hilary e Kai... Pezzi di puzzle che si incastrano alla perfezione, complicati e piccolissimi, finissimi e ricercati... Ma non ci mancherà qualche pezzo? Sarà il caso di rimediare...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Warning: la one-shot che state per leggere, innanzitutto, è stata corretta dalla grande, stramitica Avly, (e, pochi istanti fa, anche dalla cara Pad che ringrazio =D) che mi ha dato l’okay e assicurato che andava bene – quindi, almeno per stavolta, nient

Warning: la one-shot che state per leggere, innanzitutto, è stata corretta dalla grande, stramitica Avly, (e, pochi istanti fa, anche dalla cara Pad che ringrazio =D) che mi ha dato l’okay e assicurato che andava bene – quindi, almeno per stavolta, niente paturnie sul fatto che potrei fare out! xD – poi attenzione, perché questo pezzo di puzzle è diverso dagli altri, e non solo perché è la prima parte di due, ma anche perché potrebbe rivelarsi complicato, malinconico, triste, spezza cuore… Eccetera.

Hiromi ha perso la testa. =D

 

 

Giusto per chiarire: ci troviamo nel periodo estivo in cui i Blade Breakers fanno quella famosa rimpatriata a casa Kinomiya, quindi Hilary, Emily, Takao e Max hanno 18 anni, Kai ne ha quasi 20, mentre Mariam ne ha 19… - nella mia testolina bacata è un annetto più grande… -

 

So, enjoy sto gran casino! xD

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Lexy90.

Perché si merita la sua parte dopo tutte le madonne che le ho tirato.

Perché facciamo tanto le bastarde l’una con l’altra, ma in realtà, siamo due pezzi di pane – vero?

Toh, beccati questo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

With me

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Isn't anyone tryin to find me? 
Won't someone please take me home? 
It's a damn cold night 
Trying to figure out this life 
Won’t you take me by the hand 
take me somewhere new 
I don’t know who you are 
but I'm, I'm with you 

 

I’m with you – Avril Lavigne

 

****************

 

 

 

“Beh? Dove sei stato?”

 

Un tempo amava la voce di Emily.

Impazziva per quella sfumatura da maestrina, per il suo modo di pronunciare la s in modo particolare… Lo attraeva il fatto che lei avesse interessi differenti dai suoi; così, si diceva, avrebbero avuto tantissimo di cui parlare.

 

Si erano messi insieme a sedici anni, al campionato di beyblade che era iniziato a Dublino, subito dopo Mao e Rei.

Era successo così, di colpo, in maniera del tutto naturale: all’improvviso si erano ritrovati a passare insieme molto tempo, sia per gli allenamenti, sia per le volte che stavano in panchina aspettando il proprio turno per combattere. Ed erano state molte le volte in cui avevano parlato molto più di quanto non avessero mai fatto in tutti quegli anni.

 

Da parte sua chiederle di uscire era stato molto naturale, così come baciarla e far coppia con lei.

 

La novità era stata presa con molta contentezza da parte di tutti e anche se qualcuno non aveva mancato di esprimere la propria perplessità circa quella coppia così inusuale, quello che a lui importava davvero, a quel tempo, era l’approvazione della sua adorata madre: e l’aveva avuta.

 

Judith Mizuhara adorava Emily Watson: la conosceva da quando aveva dodici anni ed era entrata a far parte degli All Starz e non poteva sperare, per il figlio, fidanzata migliore.

All’americano tutto sembrò procedere per il meglio.

 

I nodi al pettine stavano sopraggiungendo in quel frangente, a distanza di due anni: da coppia di fidanzatini tutta amore e coccole, ora pareva fosse subentrata la routine e i modi dell’americana, da adorabili, erano divenuti seccanti ed irritanti.

 

Si era accorto da diverse settimane che i suoi sentimenti per Emily erano cambiati, ma vi era qualcosa di più profondo che gli impediva di parlarne alla giovane, qualcosa che mai, nella sua vita aveva pensato di poter provare.

Paura.

 

Il peggior appellativo non solo per un blader ma per uno sportivo in generale era quello di codardo. E lui sapeva benissimo di star comportandosi come tale, ma non riusciva a trovare una scappatoia, qualcosa che lo aiutasse a comportarsi diversamente.

 

Allora?” la ragazza incalzò, incrociando le braccia al petto, facendolo sbuffare.

 

“In giro.”

Un tempo non avrebbe mai pensato di poter rispondere in maniera così brusca ad una persona: era sempre stato l’immagine della cordialità, dell’allegria, della contentezza…

Eppure stava accadendo.

 

Emily lo sfiniva.

Lo sfiniva con le sue continue domande, con il suo tono di voce che prima trovava accattivante ma adesso per lui era solo lamentoso, lo irritava con la sua aria da maestrina e da saputella che prima lo divertivano ed ora gli facevano solo girare le scatole.

 

Non l’amava più.

Era questa la realtà nuda e cruda. Non l’amava più, eppure non era in grado di lasciarla.

 

“Che cosa vuol dire in giro?” la ragazza svoltò attorno al tavolo di casa Kinomiya per pararsi di fronte a lui. “Mi ascolti quando parlo?”

 

Max sbuffò.

Mia madre non l’avevo lasciata in America o si è incarnata in questa qui?

 

 

 

 

 

Mao guardò l’amica con la coda nell’occhio: lei, Karen ed Emily erano uscite per il loro solito drink del Venerdì sera, mentre Hilary non le aveva potute raggiungere perché aveva preferito dare una chance al suo corteggiatore.

Vedere l’americana triste non le faceva per nulla piacere: lei e Karen avevano tentato per tutta la sera di cambiare argomento, di ridere, scherzare, parlando persino del fatto che dovevano far mettere insieme Hilary e Kai, ma Emily pareva essere su un altro pianeta. Probabilmente era il caso di affrontarla una volta per tutte.

 

La cinese pose una mano su quella dell’amica, che sobbalzò impercettibilmente. “Ehi. Ti voglio bene.”

 

Emily dapprima la fissò spaesata, poi si ritrovò a sospirare. “Sta finendo, lo so.”

 

Mao si trovò all’improvviso in difficoltà: non voleva mentirle.

Aveva sempre pensato che lei e Max costituissero una coppia non ben affiatata, ed era di per sé meravigliata del fatto che avessero resistito per ben due anni ma sbatterglielo in faccia avrebbe significato spargere del sale sulle ferite di una delle sue migliori amiche.

 

“Qualunque cosa succeda ti starò accanto, lo sai.” scelse di dire diplomaticamente, stringendola in un abbraccio breve ma sincero.

 

L’americana iniziò a prendersela con il tovagliolo che stringeva tra le mani, torturandolo e facendolo in mille pezzi.

“Dove va ogni santo giorno? Perché gioca sempre a beyblade con gli altri, poi sparisce e tiene il cellulare spento?” si voltò di scatto fino ad incontrare l’oro degli occhi dell’amica. “E se avesse un’altra?” l’ultima frase fu detta in un sussurro.

 

Mao roteò gli occhi, poi ridacchiò. “Stiamo parlando della stessa persona? Max non lo farebbe mai.”

 

Emily si morse le labbra. “Perché deve fare così male…”

 

Un Cosmopolitan e un Manhattan vennero soppiantati sotto i loro nasi: Karen si sedette nuovamente al tavolo, scuotendo la testa bionda. “Quanto ringrazio di essere single non lo immaginate nemmeno.”

 

Prima o poi sbanderai pure tu, cara, e allora saranno dolori.” assicurò Mao, con un sorriso di avvertimento stampato sulle labbra.

 

La francese prese a sorseggiare il suo cocktail, ma rispose all’amica con un gestaccio facendola scoppiare a ridere.

“Da’ retta a me, Em: single è bello. Si può fare tutto ciò che si vuole: sta a vedere.” si alzò lentamente, con gesti sensuali accuratamente calibrati che attirarono l’attenzione di metà popolazione maschile presente all’interno del pub.

 

Mao seppellì il viso nell’incavo del collo dell’altra con aria divertita. “Non posso guardare…”

 

Karen fece una vera e propria sfilata e gli sguardi di quasi tutti i maschietti del locale si concentrarono su quella bionda vaporosa fasciata in un vestitino azzurro aderente con tanto di decolleté dieci che, arrivata al bancone, prese a mangiare – o, per meglio dire, a succhiare – con aria languida una delle fragole che stavano al bancone, scatenando l’ilarità delle amiche che si trovavano al tavolo e che le sillabarono la parola bastarda.

 

 

 

 

 

Draciel tornò in mano al proprietario immediatamente quando Max lo richiamò; stanco, il ragazzo emise uno sbadiglio. Quella era stata una giornata pesante per lui, come lo erano d’altronde un po’ tutte le giornate, a partire da un po’ di mesi a quella parte.

E dire che avrebbe dovuto rilassarsi.

 

Forse era stato un errore portare con sé Emily per quei mesi a Tokyo; probabilmente, senza di lei, si sarebbe divertito di più, avrebbe avuto meno pensieri e la loro storia sarebbe stata un po’ meno incasinata.

E poi era una rimpatriata con i Blade Breakers, lei cosa c’entrava?

 

Scocciato, si incamminò verso casa Kinomiya, sbuffando: al sol pensiero di sorbirsi un altro interrogatorio da parte della sua ragazza circa dove fosse stato e perché lo rendeva ancora più stanco e irritabile.

E dire che lui, di natura, non era per nulla così.

 

Quando una ragazza dedita al volantinaggio lo fermò, sorridente, porgendogli un invito, si ritrovò a sospirare, e dapprima pensò che l’avrebbe gettato al primo cestino della spazzatura che avesse trovato. Poi, invece, sbatté gli occhi quando lesse, per caso, di una serata al pub a pochi metri lì vicino: era in cerca di una scusa, di una qualsiasi scusa, per non rientrare subito a casa di Takao; una birra sarebbe andata più che bene.

 

 

Il locale era ampio e spazioso, arredato secondo il gusto irlandese e, data l’ora, vi erano poche persone all’interno: si sarebbe riempito di certo intorno le undici.

Vi erano un gruppo di amici, tre coppiette e i baristi che si stavano affaccendando per sistemare un po’ tutta la sala.

 

Max avanzò, indeciso se ordinare una birra o anche delle patatine per perdere più tempo, quando fu bloccato.

Da una curva.

 

Sbatté le palpebre, aguzzando lo sguardo: davanti a lui stava una schiena bianca, la più sinuosa e sensuale che avesse mai visto; era solo una schiena, eppure emanava una femminilità, un candore tale che faceva intendere di essere liscissima al solo tatto. Aveva quasi voglia di allungare la mano e accarezzarla.

 

Attaccata alla schiena stava un collo, con tanto di elegante chignon nero basso, e l’abito che fasciava il corpo era blu notte.

 

Di colpo, Max liberò la mente da ogni pensiero: non esistettero più Emily, il tornare a casa, il beyblade, la vacanza.

 

Esisteva solo quella schiena e la sua proprietaria e, nel momento in cui quella si girò e gli occhi azzurri di lui incontrarono due pozze smeraldo, il ragazzo seppe formulare un pensiero contenente soltanto due parole.

 

Sono fritto.

 

“Max?”

 

Non rispose subito; seppe solo guardare quell’affascinante sconosciuta come un allocco: chi diamine era quella bellissima ragazza dai capelli neri e gli occhi verdi, alta perlomeno quanto lui? Non credeva di conoscerla… Se ne sarebbe di certo ricordato!

 

“Genio, ti ricordi di me? Sono Maryam!” la ragazza inclinò la testa di lato. “Gli Scudi Sacri?”

 

Il biondo la fissò sbalordito: come diamine poteva non aver collegato? Ora sì che ricordava. Quel tono strafottente e gelido, quel viso così bello ma velato di una tristezza insormontabile… Maryam poteva esser cresciuta in altezza, gli zigomi potevano essersi fatti più pronunciati, ma certi modi di fare restavano inalterati.

 

“Maryam, certo! Come stai?”

 

La mora sembrò assumere un’espressione di ghiaccio, ma durò solo un secondo perché tornò a rivolgergli uno sguardo neutro. “La solita vita… Non ti eri stabilito a New York?”

 

Ed ecco che il pensiero tornò ad Emily, puntuale come un orologio, e il senso di colpa si insinuò in lui prepotente come sempre.

Si sforzò di sorridere, tuttavia, e annuì. “Sì, ma sono qui da una settimana per una rimpatriata con i Blade Breakers.”

 

Maryam annuì brevemente. “Forte.” disse soltanto, mantenendo il suo solito sguardo impenetrabile.

 

Lui si guardò attorno, come spaesato: quella ragazza aveva dei modi di fare spicci, talvolta bruschi, eppure le davano un effetto talmente sensuale ed ipnotico che gli facevano capire che non voleva che la conversazione finisse lì.

“Ehi, posso offrirti da bere?”

 

Lei sorrise, come divertita, incrociando le braccia al petto. “Che fai, ci provi?”

 

La frase lo lasciò di stucco. “No, io…”

 

Il suo stupore ebbe il potere di farle rovesciare la testa indietro e di farla scoppiare a ridere, e fu allora che si sentì come quei coniglietti incantati dai fari dei tram: sapevano di essere perduti, avevano poco tempo per fuggire, ma non riuscivano comunque a distogliere lo sguardo da tanta luce.

 

“Stavo scherzando!” gli rivolse solo uno sguardo e con quello gli fece capire di avvicinarsi al bancone, laddove anche lei si stava sedendo. “Per me un gin fizz.” fece, rivolta al barista.

 

Il biondo sbatté gli occhi. “Una birra.” disse soltanto. “Allora, cosa ci fai qui a Tokyo? Non è lontana dal tuo villaggio in Irlanda?

 

Quando vide gli occhi verdi della ragazza incupirsi, capì di aver premuto il tasto sbagliato. “Sì, lo è.” rispose, con tono brusco.

 

“Non sono affari miei…” ammise, con un sorriso di scuse, sorseggiando la sua birra.

 

Maryam si morse le labbra, mescolando con la cannuccia il suo drink. “No, non lo sono.” si voltò verso di lui, e quando gli rivolse un sorriso Max si ritrovò a chiedersi perché un decimo delle emozioni che stava provando quella sera non le provasse anche con Emily.

“Ti ho seguito in questi campionati del mondo. Sei stato bravo.”

 

L’americano sorrise istintivamente. “Beh, ho fatto del mio meglio e ha vinto il migliore.”

 

La ragazza finì di sorseggiare il suo gin fizz e si voltò verso di lui, con una luce negli occhi. “Ora devo andare, ma mi è venuta un’idea folle.”

 

Lui corrucciò le sopracciglia bionde. “Spara.”

 

“Ti va di batterti con me, come ai vecchi tempi?”

 

Entrambi scoppiarono a ridere simultaneamente, e il suono delle loro risate che si intrecciavano fu strano: era tanto tempo che non era spensierato come un tempo, era troppo tempo che era preoccupato, che aveva la testa piena di pensieri. Ridere con lei fu come una medicina.

 

“Ci sto!” esclamò, contento e improvvisamente gasato. “Quando? Ora?”

 

Lei inclinò la testa di lato, un sorriso divertito si fece largo sul suo volto. “Dovrai aspettare, cowboy… E’ tempo che io vada.” mugolò, guardandolo di sottecchi.

 

L’americano sentì crescere dentro di lui una delusione a dir poco cocente: non voleva che se ne andasse. Voleva stare a chiacchierare ancora con lei, voleva la sfida che gli aveva promesso, voleva… Voleva ancora essere stupito da lei, voleva ancora provare delle emozioni che non pensava di poter provare…

 

“Non fare quella faccia…” Maryam sorrise, divertita, scendendo dallo sgabello e andando verso l’uscita del locale. “Ci si vede.”

 

Max si voltò di scatto verso di lei. “Ehi, ma quando?”

 

La ragazza non si voltò neanche: alzò semplicemente la mano in segno di saluto, e aprì la porta del locale. “Chi cerca trova…”

La sua voce suadente si impresse nella mente del ragazzo come marchiata a fuoco e improvvisamente una nuova consapevolezza riscosse l’animo dell’americano: era iniziato un nuovo, pericoloso, eccitante gioco.

E lui aveva tutta l’intenzione di giocarlo.

 

 

 

 

 

“Dove vai?” la voce stupita di Takao diede voce ai pensieri di tutti: era quasi ora di cena, Rei era ai fornelli, le ragazze stavano apparecchiando ed Emily si era voltata di scatto verso di lui con un’espressione ferita tale da metterlo in crisi.

 

Max indugiò un istante, passando in rassegna i volti di ciascuno: erano tutti in attesa di una sua risposta, qualcosa che suonasse plausibile.

Per un solo istante fu tentato di mandare tutto al diavolo e di restare per far contenti tutti, per far contenta Emily… Ma poi il suo pensiero andò alla ragazza della sera prima, alle emozioni che aveva provato con un semplice sguardo e qualcosa si accese in lui. Qualcosa che lo spinse a mentire.

 

“Alla BBA. Lì i pc hanno un sofisticatissimo sistema per parlare con la webcam, e io e papà volevamo provarlo.”

 

Emily inarcò le sopracciglia. “A quest’ora?”

 

Max scrollò le spalle. “Fuso orario.” le ricordò, scrollando le spalle.

 

La ragazza non disse alcunché, semplicemente si voltò, riprendendo ad apparecchiare; lui prese il gesto come un lasciapassare e disse ad i suoi amici che sarebbe tornato presto. Non curandosi delle loro occhiate perplesse né delle sopracciglia inarcate, andò verso una meta sconosciuta.

Aveva una misteriosa mora da trovare.

 

 

 

 

 

Non l’avrebbe riconosciuta se non ci avesse fatto attenzione: il look di quella ragazza cambiava di giorno in giorno: vestita con una semplice blusa bianca e un paio di jeans, con i capelli neri legati in una lunga treccia, aveva un abbigliamento che sapeva molto di anni 60, ma su di lei stava d’incanto. Addosso a lei sarebbe stato d’incanto qualsiasi cosa.

 

“Ti ho trovata.”

 

Alzò i suoi occhi color smeraldo lentamente e lui sentì un groppo salirgli su per la gola, mentre un sorriso ironico le si disegnava sulle labbra.

“Ce ne hai messo di tempo.”

 

Max sorrise, scuotendo la testa, mordendosi la lingua per non dirle che l’aveva cercata dappertutto – sede della BBA, campo sportivo, belvedere, praticamente mezza città, - fino a quando non gli era venuto in mente quel posto.

 

Tutto per trovarla; spronato dall’adrenalina dei ricordi, dal pensiero di quella ragazza che tornava nella sua mente come un boomerang, aveva percorso un bel po’ di strada a piedi.

 

“Quattro anni fa qui c’era l’edificio dove fummo intrappolati.”

 

Maryam annuì. “Qui stesso io ti sfidai, qui stesso tu mi salvasti la vita.”

 

Lui sorrise. “Ma tu dichiarasti che non saremmo mai potuti essere amici.”

 

La mora inarcò le sopracciglia. “Perché, ora lo siamo?” il suono che le uscì fu sensuale, accostato ad un sorriso malizioso che fece girare la testa al ragazzo.

“In guardia.” dichiarò poi, cambiando atteggiamento e sfoderando il beyblade: Max non aspettò altro per tirar fuori Draciel.

Fu incredibile come si sorrisero insieme, complici, e come si ritrovarono a contare insieme i secondi che li separavano dal lancio.

 

Ricordava alla perfezione come Squalo e Draciel avessero collaborato alla perfezione, anni prima, per aiutarsi a vicenda ad uscire da quell’edificio che li aveva visti prigionieri: era stato come se quei due animali sacri che appartenevano entrambi all’acqua, si fossero trovati reciprocamente simpatici, al contrario dei loro padroni.

 

In quel frangente si stavano battendo senza esclusione di colpi, con l’entusiasmo che caratterizzava qualsiasi blader che si rispettasse.

Max si sentiva su di giri, a dir poco gasato, e dentro di sé convenne che era da tempo che non provava quelle emozioni: da quando cupi pensieri avevano preso a vorticargli in testa persino il beyblade era divenuto parte di una routine per lui.

Invece, in quel momento, combattere con Maryam era… Quanto di più bello ed appassionante ci potesse essere; si stava divertendo, non avrebbe voluto essere in nessun’altro posto al mondo.

 

E, dal sorriso che aveva la sua avversaria, poteva giurare che era la stessa cosa anche per lei.

 

“Sei migliorato.” la mora gli rivolse un sorriso stanco: la battaglia si era protratta ormai da un po’ e cominciavano ad essere abbastanza spossati.

 

“Anche tu.” L’americano ricambiò il sorriso, ugualmente affaticato.

 

Ma ti batterò ugualmente!” ribatté, sembrando ritrovare l’energia. “Squalo: morso degli abissi!”

 

Max sorrise. “Schivalo, Draciel!” i beyblade si rincorsero per un po’, dandosi del filo da torcere a vicenda e complicandosi il percorso l’un l’altro, fino a quando, ad un certo punto, i due ragazzi non si guardarono negli occhi.

 

Quando l’azzurro dell’americano incontrò il verde dell’irlandese, capirono di aver avuto la stessa idea.

Squalo e Draciel avanzarono l’uno verso l’altro a velocità elevatissime, sollevando un polverone non indifferente che dovette addirittura far riparare con le mani gli occhi dei loro padroni.

 

Al termine della tempesta di polvere sollevata entrambi non poterono trattenere un’esclamazione di stupore: si erano fermati entrambi i beyblade, ed a una distanza perfettamente uguale.

 

Max fissò la ragazza, non trattenendo un sorriso. “Beh, bello scontro.” fece, porgendole la mano.

 

Maryam alzò gli occhi al cielo, stringendogliela. “Hai avuto solo fortuna.” poi sospirò, prendendo a sdraiarsi per terra, sul prato, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

 

Il ragazzo la guardò incuriosito, pensando che per com’era vestita sarebbe parsa proprio un’autentica figlia dei fiori.

Sedersi accanto a lei fu un desiderio bruciante che non poté reprimere, così come imprimere nella mente ogni singolo lineamento del viso.

 

Non ho mai visto una ragazza più bella…

 

“Non mi piace essere osservata.”

Alle sue parole si sentì arrossire lievemente: era stato colto in flagrante come un bambino con le mani dentro il vasetto di marmellata: esisteva forse qualcosa di più patetico?

 

Scuotendo la testa, si sdraiò sull’erba, cercando di non pensare a quello che avrebbe dovuto affrontare al ritorno a casa Kinomiya: in quel momento era con lei e se lo voleva godere tutto. “Grazie.” decise di dire, con un sorriso stampato sulle labbra.

 

La vide inarcare un sopracciglio. “Per cosa?”

 

“Era da un po’ che non mi divertivo a giocare a bey. Mi hai fatto riscoprire cosa significa il brivido di questo sport… Stava diventando routine.” le dedicò un sorriso genuino che le fece abbassare lo sguardo ed indurire i lineamenti, anche se non capì il perché.

 

La vide puntellare i gomiti sull’erba, fissarlo duramente negli occhi: quelle pozze di smeraldo parevano essere divenute così profonde da inghiottirlo come buchi neri nel cosmo.

Quando si ritrovò le sue labbra calde sulle sue sgranò gli occhi: che diamine stava succedendo? Un attimo prima stava parlando e un attimo dopo lei lo baciava a dir poco rabbiosamente?

 

Che cosa..?

 

Baciava bene, Maryam: sembrava che in tutta la sua vita non avesse fatto altro: muoveva quelle labbra carnose sulle sue in maniera perfettamente sincronizzata e, contemporaneamente, tuffava una mano tra i suoi capelli biondi, e con l’altra disegnava dei cerchi immaginari sul suo petto.

 

Okay, qua finisce male.

 

La respinse con molto tatto e delicatezza, malgrado sciogliersi da lei gli costasse molta fatica.

La vide guardarlo con degli occhi che, per un istante, gli parvero tristissimi, per poi tornare ad ostentare la loro solita glaciale freddezza.

 

“Beh?” la voce meccanica di lei indicava che non aveva previsto di essere interrotta.

 

Scosse la testa. “Non mi pare giusto.”

 

La ragazza roteò gli occhi, dopodiché si sciolse la treccia con un solo, semplice, sensuale gesto che ebbe il potere di ipnotizzarlo. “Io ho dei problemi. Tu hai dei problemi. Io conosco un metodo che permette di dimenticare tutto per qualche ora.

 

Non seppe dove trovò la forza di collegare il cervello alla bocca per parlare, ma ce la fece. “L’alcool?”

 

La fece ridere di una risata gutturale, sexy. “No.” Si sedette a cavalcioni su di lui, prendendo a scompigliargli i capelli. “Il cerchio alla testa che poi da è una seccatura, convieni?” fece, con una smorfia.

Si avvicinò al suo orecchio, e il suo respiro su di lui fu una delle cose più eccitanti che avesse mai provato. “Tu e io. Niente complicazioni.” sussurrò, lambendogli il collo con il suo sussurro.

Quando poi scese a baciarglielo, mai più di allora Max capì di essere perduto.

 

Non pensò ad Emily, né ai suoi amici o parenti.

 

Capì di essere perduto perché quella specie di strega che aveva incontrato nuovamente solo il giorno prima lo aveva irretito, gli doveva aver fatto un sortilegio, una specie di magia…Qualcosa che non avrebbe saputo come definire…

 

Che diamine era quel ricambiare il bacio in maniera così appassionata? Non poteva portare altro che guai. Guai molto eccitanti, ma pur sempre guai.

 

 

 

 

 

Si svegliò a dir poco intontito, con il cinguettio degli uccellini e il chiarore del sole: da che ricordava non si era mai svegliato così.

Si sentiva come se un treno in corsa l’avesse investito, come se qualcuno avesse usato la sua testa come tamburo, e poi aveva freddo…

 

Dove diamine mi trovo?

 

Focalizzò il luogo, e per poco non gli venne un colpo quando i ricordi della sera prima gli piovvero addosso come dardi.

Maryam. La sfida a bey. Il tentativo di chiacchierata. Il bacio improvviso. E…Il resto.

 

Oh, no. Oh, no, no, no.

 

Sentì la sua gola seccarsi, ed i suoi pensieri andarono immediatamente ad Emily: come aveva potuto farle questo? Va bene, non l’amava più, non c’era più un dialogo e tutto il resto, ma da lì a tradirla ce ne passava…

 

Un mostro. Un essere ripugnante. Ecco cosa sono.

 

Si voltò istintivamente alla sua destra, in cerca della ragazza con cui aveva passato la notte, per trovare…Un foglietto con un sassolino sopra per tenerlo fermo.

 

Max sbatté gli occhi: di Maryam non c’era traccia, era evidentemente da solo. Quella ragazza lo stupiva ogni secondo di più.

 

 

Dopo essersi vestito si incamminò verso casa di Takao. Non sapeva proprio cosa avrebbe detto agli amici e alla sua ragazza, sapeva solo che quella volta era nei guai.

E tutto per una sensuale strega dagli occhi verdi.

 

 

Ricorda, cowboy: niente complicazioni.

M,

 

 

 

 

“Dove diamine sei stato?!” l’urlo dell’americana era più che giustificato: in quei giorni si era allontanato sempre per qualche ora, ma mai, mai tutta la notte.

 

Emily aveva delle occhiaie spaventose, i capelli rossicci le ricadevano scompigliati sulle spalle e i suoi occhi parevano starlo scannerizzando millimetro dopo millimetro.

Max inghiottì a vuoto: la sua ragazza – come tutte le esponenti del genere femminile del resto, ma Emily in maniera particolare – aveva un sesto senso sopraffino, e l’idea di essere scoperto in maniera indegna non lo attirava per niente, ma non gli andava nemmeno di mentirle.

 

Che diamine devo fare?

 

“Em, i-io…Mi dispiace.” esalò, scuotendo la testa, e pregando che gli venisse in mente qualcosa il prima possibile. “S-Sono andato a-alla sede della BBA ma-

 

“Max! Stai bene? Sei pallidissimo, sembri uscito da un frullatore.” l’intervento tempestivo di Hilary gli fece pensare l’impensabile: improvvisamente capì che mentire era l’unica soluzione per districarsi da quell’impiccio.

 

“No, è che la sede della BBA era chiusa, allora sono andato in un pub, ma la birra che mi hanno  dato doveva essere piuttosto forte perché mi sono risvegliato stamattina che avevo dormito sul bancone.”

 

Emily era furente, livida; Hilary invece inarcò le sopracciglia. “Sei andato per caso in quel locale irlandese?” lui annuì. “Ah beh, lì sì che ci vanno pesante con gli alcolici.” fece la giapponese, scrollando le spalle.

“Siamo stati in pensiero.” aggiunse, con un’occhiata severa.

 

Lui abbassò lo sguardo e quando gli tornarono in mente i flashback della notte vissuta, si sentì doppiamente un mostro. “Lo so, mi dispiace.”

 

Hilary gli rivolse un sorriso e se ne andò, ma Emily rimase lì, con le braccia conserte e l’espressione arcigna che gli fecero intendere che non se la sarebbe cavata così a buon mercato.

Se fosse stato un altro giorno – un altro in cui la notte non aveva fatto altro che andarsi a prendere una birra e stop – l’avrebbe mandata a quel paese e basta.

Ma lì la questione era pesante, forte, faceva doppiamente male: lui era un traditore. Un doppiogiochista. Un essere schifoso.

Come poteva guardarla ancora negli occhi?

 

“Voglio sapere perché ogni sera te ne vai.” ringhiò lei, sistemandosi con una mano i suoi tondi occhiali da vista.

Max non poté non pensare ai primi tempi, in cui li aveva trovati terribilmente sexy e da maestrina. L’aveva presa in giro tante volte, chiamandola miss Harry Potter, facendola incavolare come una belva, per poi dirle che lei era molto più eccitante di Harry Potter.

Tutte cose che non pensava più.

 

“Siamo sempre appiccicati, Em, sempre insieme. Penso sia legittimo se mi prendo qualche ora per me. Tu vai con le tue amiche, io sto per conto mio.” lo disse a tratti guardandola negli occhi, perché lo pensava sul serio, a tratti sfuggendole, perché i sensi di colpa lo tormentavano come fantasmi.

 

“Appunto. Io sto con le mie amiche. Tu potresti essere con chiunque.” azzardò lei, sfidandolo con lo sguardo.

 

Max serrò la mascella. “Sei pazza.” fece,  superandola e andando verso l’interno della casa.

In realtà, la ragazza non poteva sapere di averci preso alla perfezione.

 

 

 

 

 

Rincontrare il suo amico Patrick dopo sei anni fu assurdo: non si rivedevano da tantissimo tempo, erano entrambi bladers e fidanzati da un tempo considerevole – anche se lui parlava molto più volentieri della sua ragazza, e, da quanto aveva capito, la sua relazione procedeva a gonfie vele.  Attualmente frequentava Harvard, ed era in Giappone solo per una vacanza di piacere.

 

“E’ pazzesco, amico.” notò infatti l’altro americano. “Non ci rivedevamo da quando avevamo dodici anni e adesso guardaci: piccolo il mondo… Non ci becchiamo a New York, veniamo a Tokyo… Ed eccoci qua.”

 

Max annuì. “Ben detto.” si erano incontrati per caso al belvedere e si erano riconosciuti immediatamente: da bravi bladers si erano immediatamente sfidati – aveva vinto Max – poi avevano fatto una passeggiata, parlando del più e del meno.

 

“Non mi vuoi proprio parlare di questa Emily, eh?” l’occhiata che gli lanciò Patrick fece fare a al biondo una considerevole smorfia.

 

“Non l’ho già fatto?” scrollò le spalle, annoiato, cercando di nascondere l’irritazione: non erano mica due femminucce che spettegolavano, perché diamine lo stava punzecchiando?

 

L’altro se la rise. “Scusa: è solo che sono abituato a vedere un altro lato di te. Un tempo avresti parlato ininterrottamente, parlando dei cambiamenti nella tua vita da sei anni a questa parte, mentre adesso… Devi essere veramente cambiato.

 

Quel discorso ebbe il potere di far deprimere il biondo fino all’inverosimile: appariva davvero così diverso? Va bene, magari dentro aveva un tumulto di sentimenti contrastanti, ma cercava di fingere di essere quello di sempre.

 

“Max?” L’altro lo richiamò, inarcando le sopracciglia. “Sai come sono fatto: sparo le mie cazzate direttamente, senza preoccuparmi di nulla. Non ti rivedo da anni e subito dico quello che penso.

 

Fece un sorriso amaro. “E’ un po’ una caratteristica di noi americani, no?”

 

Patrick scrollò le spalle. “Seh, è vero.” e qui cacciò una risata. “Se ne vuoi parlare…”

 

Ne fu tentato: a furia di tenersi tutto dentro stava scoppiando, e poi lui, purtroppo, non l’avrebbe rivisto tanto presto… Magari avrebbe potuto confidarsi…

“Tra me ed Emily è crisi netta. Da mesi.” sputò fuori, sospirando. “Ma non capisco perché non mi decido a lasciarla, dovrebbe essere semplice… Anzi, non lo è.”

 

“Tua madre.” lo sguardo canzonatorio dell’amico lo fece imbestialire.

 

“Ehi, guarda che non è semplice avere una madre all’interno della propria squadra di bey, che per di più conosce da anni la tua fidanzata e che è sempre pronta a giudicare quello che fai!” saltò su, come pungolato.

 

L’altro alzò gli occhi al cielo con fare sarcastico. “Sai cos’ho sempre pensato? Che tu fossi troppo attaccato alle gonne di tua madre e negli anni questa cosa non è diminuita, a quanto vedo. Peccato che questo fattore faccia di te un codardo.

 

La voglia di dargli un pugno si fece bruciante, così come quella di mandarlo affanculo; lo frenò solo la consapevolezza che, purtroppo, aveva ragione.

 

“Max, devi lasciarla prima di commettere qualche cazzata.” il suo tono di voce era perentorio, ma quando il biondo cambiò espressione lui si schiaffò una mano in faccia. “Okay, l’hai già commessa.”

 

“Ho incontrato dopo anni una vecchia conoscenza. Ci siamo visti due volte e…” la voce gli morì in gola al ricordo di lei. “Praticamente è stata lei a saltarmi addosso e prima che me ne potessi rendere conto ero già senza vestiti.” lo sguardo si perse nel vuoto automaticamente pensando alla sua pelle setosa, ai suoi occhi verdi, al calore del suo corpo, alle emozioni provate in sua presenza. “Lei è così…” scosse la testa.

 

“Va bene, sarò chiaro: lascia Emily. Non merita tutto questo.” annuì, lo sguardo basso. “E poi potrai dedicarti a tutte le ragazze che vuoi, ma non così. Non così.”

 

Si passò una mano tra i capelli, tentando di sorridere. “Grazie…”

 

“E di che?” l’amico gli schiacciò l’occhiolino. “Auguri per tutto, amico. Ah, e una cosa: non innamorarti di questa ragazza.

 

Si ritrovò a sbattere gli occhi cerulei. “Di Emily?”

 

Patrick roteò lo sguardo. “Ma no: di questa ragazza che ti sei fatto. Non la cercare più, non la vedere più. Già ne parli come se ne fossi abbastanza perso.

 

Max scosse la testa. “Ma no… E’ affascinante ma… Lontana mille miglia da me.”

Siamo due mondi diversi.

 

“Buon per te. Io vado, è quasi ora di cena e la mia ragazza mi scanna se arrivo tardi.” rise. “Buona fortuna, amico. Spero di rivederti presto.”

 

Il biondo sorrise. “Lo spero anch’io. Ciao.”

Guardandolo andare, Max si sentì con un peso in meno sullo stomaco: gli aveva fatto di certo bene confidarsi con lui, in quei giorni stava impazzendo a tenersi tutto dentro e ora che sapeva qual era la cosa giusta da fare. Però, non si sentiva di certo più sollevato.

 

Lasciare Emily.

Sua madre ne avrebbe fatto un casino, ne era certo. L’avrebbe chiamato per dirgli se fosse impazzito, lo avrebbe tempestato di lettere, e-mail, telefonate, avrebbe sguinzagliato suo padre per fargli dire che non c’era ragazza al mondo migliore di Emily Watson per uno con la testa tra le nuvole come lui.

 

Ma forse, pensarci ora, faceva solo più male di quanto in realtà avrebbe fatto. 

 

Si incamminò velocemente verso casa Kinomiya: da dove si trovava distava all’incirca venti minuti a piedi, ma sarebbe arrivato comunque in tempo per la cena.

 

Quel giorno era Venerdì, le ragazze sarebbero state fuori dai piedi, visto che era per loro consuetudine andare a mangiare fuori e andare nei locali a divertirsi, quindi non aveva fretta.

 

 

Nei pressi del lago, fu una figura esile ad incuriosirlo. Era una donna, ma non avrebbe saputo dire di che età, visto che era di spalle.

Aveva un cappello di paglia che teneva con le mani, un vestito di un rosa particolare bordato d’oro. Pareva appena uscita da Via col vento 

 

Sulle prime, Max si aspettò di scorgere un fotografo, nei dintorni: non era normale per qualcuno vestirsi ancora così… Poi si voltò, e rimase sbigottito.

 

Quegli occhi. Quei capelli. Quella pelle.

 

Non è possibile…

 

Fu incredibile come all’improvviso smise di camminare per rimanere a fissarla, nemmeno fosse un quadro del Louvre.

Stupidamente pensò che, da quella sera in cui si erano incontrati al pub l’aveva vista in tre mise diverse e in tutte e tre stava divinamente.

Ma lei sarebbe stata bene pure con addosso un sacco della spazzatura.

 

“Ehi, cowboy.” il suo tono di voce non era né troppo basso né troppo alto, ma bastò a fargli avvertire un crampo allo stomaco che giudicò assurdamente piacevole.

 

Dannazione a te, maledetta strega!

 

“Maryam.” perché in sua presenza la voce doveva uscirgli incerta o comunque, insicura? Fissò i suoi vestiti: certo che, accanto a Vivien Leigh e Olivia de Havilland, non avrebbe di certo sfigurato.

 

“E’ una bella giornata.” fece lei, osservando dolcemente il sole che con i suoi raggi si posò candidamente sulla sua pelle chiara, come a volerla abbracciare. Gli occhi verdi della ragazza in quel frangente, da verdi diventarono quasi dorati, e lui non poté che perdersi nella loro contemplazione.

“Guarda, c’è un’altalena.” esclamò all’improvviso, indicando il parco poco lontano, dove i bambini, nel pomeriggio si andavano a divertire. Il suo sguardo si fece malinconico. “Andiamo?” e, senza aspettare risposta, prese a correre verso la meta indicata poco prima, tenendosi il cappello con la mano, davanti al ragazzo, sbigottito.

 

Dev’essere una candid camera

 

L’americano si ritrovò, tuttavia, senza sapere come né perché, a seguirla, chiedendosi chi fosse la ragazza che aveva davanti: era l’acida componente degli Scudi Sacri, la femme fatale, o…

 

Maryam si sedette sull’altalena, dandosi la spinta per andare su e giù, e un sorriso triste si fece largo sulle sue labbra.

I suoi capelli sembravano danzare a ritmo del vento, così come il vestito pareva fare tutt’uno con l’altalena, in un turbine di colori e di profumi.

 

La femme fatale, l’acida o la bambina? Chi sei tu?

 

Ad un certo punto si fermò, e la ragazza scese: Max non seppe dire se ciò che vide ai lati dei suoi occhi erano effettivamente lacrime, certo era che per un frangente gli era parso di aver visto due gemme trasparenti ai lati dei suoi occhi verdi, ma dopo un istante non c’erano già più e il ragazzo rimase con il dubbio di un’allucinazione o meno.

“Guarda che puoi provare anche tu.”

 

La fissò con tanto d’occhi.

“Io?” Non credeva di aver capito bene.

 

Si, cowboy, proprio tu.” lo spinse verso l’altalena, e poi artigliò le sue mani contro le catene che la reggevano. “E’ magica. Per tutti i minuti che ti sorregge, sorregge anche i tuoi pensieri.” fece, annuendo solennemente.

 

Sorrise. “Mi sa che sono troppo pesante per un’altalena per bambini.”

 

Maryam si avvicinò a lui. “Non hai fiducia, eh?”

 

Lo fissò insolente, e per un attimo rivide la componente acida degli Scudi Sacri, cosa che lo fece confondere ancora di più. Perché tutto quel travestimento? Perché quei vestiti così diversi? Perché quella tristezza così profonda che sembrava divorarla da sottopelle? Chi era in realtà Maryam?

Fu quando lei arricciò improvvisamente il naso, tornando ad ostentare un’espressione buffa da bambina – un’espressione adorabile – che sentì dentro di lui crollare qualcosa.

 

E fu lui a baciarla. La baciò voracemente, disperatamente, e sentire contro di sé quelle labbra morbide fu come sentire una colata di lava rompere le dighe, gli argini. Baciare Maryam era diverso da baciare qualsiasi altra ragazza. Lei era unica, era speciale, e rischiava di fargli perdere il controllo.

 

Cosa che avvenne. Per la seconda volta.

 

 

 

 

 

Aveva ancora la testa confusa e una girandola di emozioni che gli erano scoppiate in corpo quando sentì un fruscio accanto a sé.

La ragazza stava sistemandosi il vestito per indossarlo di nuovo e rivestirsi velocemente: Max sbatté gli occhi.

Okay, magari quella volta avevano superato loro stessi – farlo nella casetta di plastica dove in genere giocano i bambini aveva un ché di eccitante e scabroso insieme – ma non poteva aspettare cinque minuti prima di fuggire come una lepre?

 

“Guarda che puoi restare.”

 

Alla frase del ragazzo, lei ridacchiò. “Non voglio sapere cosa accadrà se dopo cena delle famiglie sopraggiungono e ci trovano qui.”

 

Scoppiò a ridere, e quella frase lo convinse che, in effetti, la ragazza aveva ragione da vendere: era estate – piena estate – e non era totalmente impossibile che delle famiglie potessero decidere, dopocena, di andare a prendere un dessert fuori e quindi al parco o giù di lì.

“Saremo denunciati per sfruttamento improprio del suolo pubblico.”

 

Maryam fece un sorriso obliquo che lui giudicò molto sexy. “Non è che sia improprio… Solo che gli altri non sfruttano il suolo come si dovrebbe.” chiuse la zip del vestito con una manata, e si rimise il cappello con una certa dignità.

 

“Mi spieghi come mai ogni volta scegli mise differenti?”

 

L’americano l’aveva chiesto con un sorriso, ma lo sguardo della ragazza si freddò all’istante. “Non sono fatti tuoi.” usò un tono di voce gelido che gli fece accapponare la pelle.

Uscì dalla casetta velocemente e, quando la vide saltare sull’albero, a Max sembrò di essere tornato indietro di anni, quando quella ragazza costituiva un mistero continuo.

 

 

 

 

 

Poi fuggi, ti vesti, mi confondi
non sai dirmi quando torni
e piangi, non rispondi, sparisci
e ogni quattro mesi torni
Sei pazza di me come io lo son di te

 

Sono già solo – Modà

 

************

 

 

 

 

“Secondo me dovresti smetterla di assillarlo.” Hilary affrontò di petto la situazione con l’amica, decidendo di dire la sua. Sapeva che era pericoloso – Emily si sarebbe anche potuta offendere – ma non voleva semplicemente stare a guardarla soffrire.

 

“Quindi secondo te lo assillo?!” tombola, si era offesa.

Emily e Max avevano litigato un’altra volta, ma non era una novità: non facevano altro. Solo che, stavolta, Hilary non voleva rimanere a guardare e aveva deciso di dire cosa realmente pensasse.

 

“Non fai altro che chiedergli dove sia, con chi è, perché non rimanga… Em, lo chiami tremila volte!” alzò gli occhi al cielo. “Lo sai come sono fatti gli uomini: se si sentono soffocati scappano!”

 

L’americana ridusse gli occhi a due fessure. “Quindi sarebbe colpa mia.”

 

Okay, certe situazioni me le cerco. “Dico solo che potresti… Allentare la presa, ecco.”

 

Ma che ne sai tu?” sbottò l’altra. “Che ne sai tu, che non sai nemmeno cosa sia una relazione? Sai solo cosa vuol dire baciare i ragazzi e strusciarcisi contro! Lo sai cosa vuol dire, invece, una sana e solida relazione?! No! E’ sacrificio, compromesso!”

 

Hilary strinse i pugni. “Forse io sono quella che si struscia contro ai ragazzi, ma cercavo solo di darti un consiglio proprio perché so quello che li spaventa di più: sentirsi pressati. E mi pare che sia quello che stai facendo tu, o sbaglio?” e con un’occhiataccia, andò via.

 

 

 

 

 

Una giornata di allenamento con Draciel era proprio quello che gli ci voleva: la sede della BBA era l’ideale – oltre al belvedere e al parco – dove allenarsi, perché c’erano tutti i macchinari e i dispositivi per migliorarsi in maniera perfetta.

 

Era stato lì una giornata intera, aveva fatto delle pause solo quando si era sentito veramente stanco, i suoi unici compagni erano stati dei ragazzi che non conosceva e aveva detto dove andava soltanto a Takao.

Emily avrebbe sbraitato come al solito, ma tanto…

 

Quella era stata una giornata di allenamento intensivo. Era stato ore con Draciel ad allenarsi, a sudare, a cercare di migliorare le tecniche, le disposizioni, a provare a migliorarsi per il campionato… Ma nonostante tutto non si era potuto impedire di pensare a lei.

Perché?

 

Non gli era mai capitato, nemmeno i primi tempi di fidanzamento con Emily, ne era sicuro.

Che diamine gli stava succedendo?

 

Dopo quella volta al parco giochi ne erano susseguite altre, sempre e comunque dettate dalla sua volontà, e questo suonava strano: Maryam era un’entità viaggiante, una creatura strana, come una fata oscura che aveva il compito di rapire i suoi pensieri con uno sguardo e restituirli poche volte nel corso della giornata.

Gli capitava tra capo e coda, lo ammaliava con un gesto o con una parola, e lui era bello e fritto.

E perdeva il controllo.

 

Quello che voleva capire era: perché? Perché gli capitava di perdere il controllo con lei?

Per i suoi serici capelli neri? Per i suoi occhi verdi da cerbiatta? A causa del suo corpo modellato con il centimetro? O forse era per quel suo carattere trasformista che non riusciva a capire ancora molto bene?

 

Non si capiva. Non capiva come mai dinnanzi a quella creatura che pareva provenire da un altro mondo le sue volontà, la sua forza di intendere e di volere, venisse azzerata.

 

Sospirando, si diresse verso l’infermeria: aveva un gran mal di testa e avrebbe voluto qualcosa per i lividi causati dal troppo allenamento. Forse non era stata una buona idea concentrare tutto in quelle ore…

 

Spalancò la porta, dove stava appeso il cartello verde con una croce bianca ma, quando vide ciò che vide, pensò definitivamente di essersi fottuto il cervello: non era possibile che ciò che stava davanti ai suoi occhi fosse vero.

 

“L’infermiera non c’è.” e, invece, era vero.

Con i suoi capelli neri, con gli occhi verdi bordati di eyeliner, vestita con un abito che lasciava poco all’immaginazione, Maryam era lì, appoggiata alla scrivania, e lo fissava con un sorriso malizioso che faceva intendere cose per le quali.

 

“E ci sei tu?” inarcò le sopracciglia, cercando di assumere un tono distaccato che bene o male gli riuscì, e quando la vide avanzare verso di lui il suo profumo gli diede alla testa.

Maryam lo baciò senza aspettare oltre, chiudendo la porta con due fermate e buttandoglisi addosso come se lui fosse il solo scoglio per dimenticarsi qualsiasi cosa: ma era sempre così.

Quelle poche ore che trascorrevano insieme le trascorrevano non di certo parlando, ma il fattore che lo sconcertava era la passione, la disperazione che ci metteva la ragazza.

Come se questo fosse l’unico modo che conoscesse per dimenticare, per avere quel po’ di pace che le spettava…

Ma perché?

 

Provò a scostarsi un attimo da lei, respingendola dolcemente. “Ehi, aspetta…” sussurrò, tentando di accarezzarle i capelli: gli occhi verdi di lei erano appannati, quasi liquidi. “Che succede?”

 

La sua espressione si fece di fuoco. “Non parlare.” la voce della ragazza era roca, bassa, ardente. “Non parlare.” ripeté, prima di scendere a baciargli il collo, cosa che gli fece perdere il controllo.

 

 

 

 

 

Sentiva che c’era qualcosa di diverso in quello scontro tra Draciel e Dragoon ma non riusciva davvero a capire cosa: Takao gli aveva chiesto di battersi con lui come al solito, quel giorno, con un sorriso aperto e sincero, e lui aveva accettato con una scrollata di spalle, pensando che, forse, un po’ del suo sport preferito non potesse che fargli bene.

Casa Kinomiya era pressoché deserta – cosa abbastanza inusuale per quel periodo – eccezione fatta per nonno Jay e per Kai, che si stava allenando dall’altra parte del giardino; tutti gli altri erano fuori, usciti.

 

Emily era in giro con le sue amiche, e di questo era contento: meno si vedevano e meglio stava. Erano come calamite che avevano acquisito lo stesso polo: più si avvicinavano, più rischiavano di respingersi.

 

Draciel uscì fuori dal campo di gioco, facendo inarcare al biondo un sopracciglio: non si era accorto di essersi distratto…

Si voltò ad osservare il suo beyblade rotolare fuori per poi fermarsi, come una marionetta a cui avevano tagliato i fili.

 

Che immagine triste. E patetica.

 

“Max.” Il giapponese richiamò Dragoon velocemente, fissandolo con le braccia conserte. “Sono tuo amico e un tempo non lo avresti dimenticato!” protestò vivacemente.

Quella frase, buttata lì, apparentemente senza senso, servì a far risvegliare un certo orgoglio nell’americano: sapeva quello che Takao voleva dirgli: che era dalla sua parte. Che di lui poteva fidarsi. Che gli voleva bene. Che non era da lui trattare il bey in questo modo.

 

Sorrise. “Lo so. Grazie.”

 

Il giapponese alzò gli occhi al cielo. “Svegliati, dannazione!” sbottò. “Qualsiasi cosa tu abbia, non puoi combattere così: tra pochi mesi c’è il campionato. L’ultimo!”

 

Non è un campionato il fulcro dei miei pensieri, ora…

 

Quando lo pensò, si sorprese di se stesso: se non teneva al campionato a che diavolo poteva tenere? Qual era, allora, il centro delle sue priorità?

 

 

 

 

 

Si tolse da lui con la grazia di sempre e con il fiatone che caratterizzava i loro ménage: anche quella volta, si erano incontrati in un posto alquanto improbabile – il bagno di un bar dell’altra parte di Tokyo, dove praticamente Max non andava mai.

Quel giorno aveva deciso di esplorare la parte della città che non conosceva, per vedere quartieri nuovi, facce nuove… E in chi si era imbattuto?

 

 

Si era già rivestita, come al solito.

L’aveva trovata nell’ingresso del bagno del bar; come al solito erano bastate due battute, un ammiccamento, e la passione era esplosa: travolgente, assurda, bestiale. Mai avrebbe pensato di farlo contro il muro di un edificio pubblico, con tutti i clienti che potevano sentire.

 

Si sistemò alla rinfusa, cercando di sistemarsi i capelli biondi che, in quel frangente, dovevano mostrare tutto quello che, fino in quel momento, aveva fatto: quella ragazza era un demonio, una strega, un essere di un altro mondo che era stato inviato per confondere le sue idee già vacillanti.

Quando si trovava in sua presenza non riusciva mai a pensare lucidamente, si incantava semplicemente a guardarla e a rimuginare sulle poche frasi che diceva.

 

Ma questa volta non voglio che se ne vada così.

“Ti offro qualcosa.” non era una domanda e calibrò attentamente il tono di voce affinché risultasse più gentile e dolce possibile, ma quando vide lo sguardo di lei tutte le sue speranze morirono in un istante.

 

“Non ti disturbare.” sbottò, alzando gli occhi al cielo e rivolgendogli uno sguardo beffardo, sistemandosi la coda: quel giorno vestiva in maniera etnica, con un caftano arancione con i bordi dorati e dei grandi orecchini a cerchi d’oro; pareva dovesse partire da un momenti all’altro per l’Egitto.

 

Max strinse le labbra: sapeva quanto fosse testarda e quanto il suo caratteraccio si spingesse in là, ma era determinato ad abbattere la barriera che aveva innalzato. “Non è un disturbo: l’ho deciso io.”

 

Lei lo fulminò con lo sguardo, incrociando le braccia al petto. “Okay, stammi bene a sentire: noi non mangiamo insieme. Noi non beviamo drink insieme. Noi non dormiamo insieme. Noi facciamo sesso. Sesso, è chiaro? Non vedo perché debba esserci qualcosa di sentimentale in tutto ciò. E’ come giocare a beyblade. Giochiamo e chi si è visto si è visto.” sbottò, livida, aprendo la porta del bagno. “Hasta luego, cowboy.”

 

 

 

 

 

Il perché ci tenesse a distruggere quella corazza, quella cortina che chiudeva la ragazza dentro il suo mondo, proprio non lo capiva.

Più passava del tempo con lei, più ne era ammaliato, assuefatto, affascinato come mai lo era stato in vita sua. Desiderava soltanto ottenere la sua fiducia, sfondare quel muro che lei aveva innalzato contro il mondo e capire cosa pensasse, cosa bazzicasse dentro la sua testa, il perché di tanti suoi atteggiamenti.

Quella ragazza era un vero mistero, un brivido continuo, un rebus assurdo che più provava a risolvere più si intricava…

 

Perché mi sto intestardendo con lei?

 

Sospirò: in quel periodo, al posto di risolvere i loro problemi, lui ed Emily si evitavano come fossero semplicemente schifati l’uno dall’altra, e questo, al posto di portare una serenità a casa Kinomiya aveva portato ulteriore tensione.

Lui a casa di Takao non c’era quasi mai, e quando c’era subiva gli sguardi penetranti dei suoi amici o quelli accusatori della sua ragazza.

Sapeva di starsi comportando in maniera sbagliata, ma era come entrato in un circolo vizioso che non sapeva più come gestire.

 

Sbadigliò: quella notte aveva dormito poco e niente; aveva pensato a Maryam tutto il tempo, i suoi pensieri si erano mischiati ad Emily e quello era il risultato…

Doveva essere parecchio stanco, perché non si accorse di un beyblade blu che gli sfrecciava accanto.

 

“Attento.” spalancò gli occhi: Kai era a metri di distanza da lui e lo fissava con uno sguardo neutro che solo lui poteva avere, ma che tradiva la domanda implicita possibile che tu non ti sia reso conto nemmeno di Dranzer?

 

“Ehm… Scusami.” balbettò l’americano, sbattendo gli occhi e mettendosi di lato: Dranzer continuò ad allenarsi per diversi minuti, sfrecciando da un punto all’altro del giardino e Max lo fissò, lo sguardo perso nel vuoto.

Sentiva crescere dentro di sé un’inquietudine fuori dal comune, qualcosa che nella sua vita spensierata e allegra non aveva provato mai, si sentiva come se lo stessero schiacciando, ma… Perché?

“Kai, tu… Perché la aspetti ancora?” mise in moto la bocca prima del cervello e quando si ritrovò lo sguardo penetrante del russo su di sé, si pentì amaramente della domanda fatta. “Scusa!” esclamò, sgranando gli occhi. “Non…  Non ci ho pensato!” fece, mettendo le mani avanti. “Fa’ finta che non ti abbia chiesto nulla.”

 

L’altro inarcò le sopracciglia. “Ti stai riferendo a Hilary.” il suo tono di voce era neutro ma i suoi occhi si fecero profondi, tradivano un mare d’ametista in cui era possibile sprofondare. Lì c’era passione, ardore, inquietudine, dolore… Amore. C’era tutta la pazienza di un ragazzo che si era accorto anni prima di essere stracotto dell’unica ragazza di cui si era fatto amico, e che aveva aspettato per anni: l’aveva vista avere vari flirt, dichiarare che non si sarebbe mai fidanzata né sposata, baciare tizi anche sotto i suoi occhi… Tutto per la speranza che un giorno, forse, sarebbe stata sua.

 

“Sì.” Max non sapeva cosa fare: tutti nel gruppo sapevano che era innamorato di Hilary da anni, ma mai aveva preso il discorso con lui direttamente. Si aspettava di essere mandato a quel paese, invece…

 

“I sentimenti quando sono genuini sanno aspettare.” con una scrollata di spalle, il blaider russo richiamò Dranzer, che ritornò tra le mani del suo padrone. “Fa male, fa soffrire, sanguini dentro, ma… Fa parte del pacchetto.”

 

“E’ un po’ un tutto compreso.” Max annuì. “Come… Come hai capito di essertene innamorato?”

 

Quando vide il russo sorridere, aggrottò le sopracciglia. “Ammetterlo è sempre una sorta di sconfitta. Ma intanto vedi lei abbracciata ad un altro e ti prende la voglia di prendere quell’idiota a pugni. E non riesci a capire che ti succede.”

 

L’americano sentì la sua gola seccarsi. “Per caso succede quando… Lei ti sorprende qualunque cosa faccia e ti senti…Come rimescolato? O quando è un chiodo fisso che non riesci a non pensare? O quando…”

 

Kai lo fermò con un semplice gesto della mano; aveva un sorriso divertito e le sopracciglia inarcate. “Sì.”

 

A quel punto Max si chiese se per caso stesse ancora respirando: si sentiva come se un grosso peso fosse tolto dal suo stomaco. Ma all’improvviso, un altro più grande ne prese il posto… Cosa voleva dire, quella chiacchierata? Che lui forse era…

 

Innamorato di lei.

 

Inghiottì a vuoto, chiudendo per un istante gli occhi, e l’unica cosa che riuscì a vedere furono degli occhi verdi che lo fissavano ironici, come a dirgli che se sperava che avrebbe avuto vita facile, si sbagliava di grosso.

 

“Non puoi stare con il piede in due scarpe.” le parole di Kai lo riscossero e lo sorpresero: come diamine faceva a sapere che…?

Il russo lo fissò profondamente, prima di girarsi e andare via.

 

Max sospirò. “Grazie.” esclamò, nella sua direzione; lo vide alzare una mano in gesto di noncuranza, poi girare l’angolo.

 

Rompere con Emily.

 

 

 

 

 

Essendo in estate, la spiaggia di Tokyo si ritrovava ad essere perennemente affollata a tutte le ore del giorno e del pomeriggio.

Max amava la gente: non gli dispiaceva confondersi, sentire le risate, il chiasso, ed essere contagiato dall’allegria tipica della stagione.

 

Ma non in quel periodo.

Voleva stare per conto suo, non sentire nulla, stare lontano dalle occhiate delle persone e discostarsi da tutto e da tutti. Andava raramente in spiaggia, ma quel giorno, lo sentiva, sarebbe stata una buona idea.

 

Aveva giustamente scelto la sera per andarci e, steso sul bagnasciuga, osservava le onde infrangersi. E pensava.

 

La vita non era mai come la si programmava.

Non aveva programmato di smettere di amare Emily, ma era successo.

Non aveva programmato di incontrare lei nuovamente, ma era accaduto.

Non aveva programmato di innamorarsi di Maryam, ma era successo.

 

Che casino…

 

Non appena avrebbe incontrato Emily avrebbe messo fine alla loro storia: l’aveva tirata anche troppo per le lunghe e aveva fatto male. Lei non meritava di soffrire e lui… Beh, lui si era comportato anche troppo da bastardo.

 

“Allora mi segui.” incredibile come si voltasse e saltasse letteralmente in aria al suono di quella voce: zero trucco, capelli lasciati liberi di ricadere sulle spalle, costume intero, occhiaie ben visibili al pallore di quella pelle che aveva tante volte accarezzato, baciato, toccato… Maryam era lì, davanti a lui, con il solito sorriso sarcastico stampato sulle labbra pallide.

Non la vedeva da giorni… Ed era ancora più magra dell’ultima volta.

 

Inarcò le sopracciglia. “Tecnicamente saresti tu a seguire me, visto che, ogni volta, io mi trovo in un posto e tu arrivi sempre dopo.”

 

La vide fare una smorfia divertita. “Chiamala casualità.” fece, scrollando le spalle. “Destino…” ora la sua voce era maliziosa e il suo sguardo famelico, come quello di un lupo che ha trovato la sua preda; con un cenno del capo gli fece segno di seguirla e fu naturale per lui andarle dietro, una volta toltosi la maglietta, rimanendo in costume.

 

In acqua la sua figura si muoveva in maniera ancora più aggraziata che sulla terraferma: pareva la sirena che aveva scambiato la coda per un paio di gambe al prezzo della voce, della fiaba di Andersen. Quando si distese in mare, i suoi capelli galleggiarono e si distesero tutt’intorno, come a formare un’aureola nera.

 

Affascinato.

Qualunque cosa facesse, qualunque cosa dicesse, ne era affascinato. Ma non era più tempo di farsi mettere da parte, di essere trattato come una valvola di sfogo: voleva di più. Voleva far parte della sua vita, voleva che lei condividesse cosa la faceva stare così male… Perché era evidente: lei stava male.

 

“Sei dimagrita.” constatò, preoccupato: il diametro delle sue braccia si era visibilmente ridotto, così come quello delle gambe.

 

“Non farmi la paternale.” con un tuffo all’indietro, la vide fare una capriola con la massima agilità, per poi ricomparire in superficie, vicino a lui. “Non ti impicciare.” soffiò, guardandolo dritto negli occhi.

 

Con il viso bagnato e alla luce del tramonto, i suoi occhi verdi risaltavano ancora di più; parevano due pozze di smeraldo: smeraldo puro, splendente, triste, disperato.

 

Non resistette: la baciò, e fu un bacio diverso da quelli che si erano dati fino ad allora; tanto carico di desiderio, quanto di amore e di consapevolezza. E di disperazione. Max la stava baciando con tutto l’amore che aveva scoperto di sentire e anche con tutto il turbamento che stava provando.

 

Ma come era iniziato quel bacio finì, e anche all’improvviso: sciogliersi da quella bolla dove esistevano solo loro due fu difficile, praticamente impossibile, e servì una grande forza di volontà ma lo doveva fare.

Quando poi si specchiò in quegli occhi che stava imparando a conoscere, pressoché confusi e smarriti, sospirò. “Mi impiccio perché ci tengo.” la voce gli uscì impastata, roca, ma andava acquistando sicurezza ad ogni sillaba. “Ci tengo a te e non mi piace vederti così. Non mi piace vederti in questo stato, non mi piace che mi tratti come una pallina antistress: basta.

 

Quando la indossò, la maglietta si appiccicò alla sua pelle, ma non importava: l’unica cosa che importava fu quando vide, con la coda nell’occhio, Maryam ancora in mare, attonita, che si portava una mano alla bocca.

Forse non era stato tutto inutile. 

 

 

 

 

 

Sbadigliò: un nuovo giorno era appena iniziato, e lei doveva soltanto decidere come trascorrerlo.

Ecco uno dei tanti vantaggi dell’essere una viaggiatrice solitaria: poter decidere tutto da sola, senza nessuno che facesse pressioni, senza nessuno che rompesse, senza nessun tipo di fiato sul collo.

Lei. Solo lei e basta.

 

Conosceva Tokyo da un po’ di anni, ma ora che l’aveva riscoperta l’aveva decisamente vista sotto un altro punto di vista… Anche completamente nuovo.

 

Un lieve bussare al portone di quella casa abbandonata la fece stranire: chi mai poteva essere? Attenta e guardinga, si avvicinò all’ingresso dell’abitazione con passetti felini molto misurati, che poi rilasciò quando capì che dall’altra parte non c’era nessuno.

 

 

Una piccola scatolina di cartone.

Maryam vi si accucciò dinnanzi, aprendola con una mano, e spalancò occhi e bocca quando il suo contenuto fu rivelato.

 

La fascia rossa che metteva tra i capelli quando aveva quindici anni: l’aveva usata per bendare il braccio di Max dopo che erano rimasti rinchiusi in quell’edificio e lui si era quasi rotto un braccio per salvarla.

 

Cowboy…

 

 

 

 

 

“Dov’è Emily?”

 

Quando lo chiese a Hilary la ragazza si voltò, la fronte aggrottata. “Dovrebbe essere con Karen e Mao… Io sono rimasta qui a studiare.”

 

Max annuì brevemente. “Non appena la vedi, dille che le devo parlare.” fece, con un tono di voce che non ammetteva repliche; uscì da casa Kinomiya, decidendo di andare a casa sua: suo padre, ormai, abitava a New York con sua madre e casa Mizuhara era libera, sarebbe stato il luogo ideale per riflettere e stare un po’ in pace.

 

Il tragitto fu abbastanza tranquillo, quello che non si aspettava fu di trovare la porta di casa sua socchiusa.

Aggrottò la fronte: avrebbe dovuto essere chiusa già da mesi e mesi, che ci faceva lasciata così?

 

“E’ aperto.”

 

Non è possibile…

 

E invece lo era: lingerie di Vittoria’s Secret, i lunghi capelli neri che le ricadevano sulla schiena in sensuali onde morbide, una giarrettiera da cui non riusciva a staccare gli occhi… Lei era lì. La rappresentazione dei suoi sogni e dei suoi incubi, tutto concentrato in un'unica persona.

 

“Questa è violazione di domicilio, lo sai?”

 

La ragazza scrollò le spalle. “Non ho nemmeno dovuto forzare la serratura…

 

Max sospirò, arrendendosi. “Che ci fai, qui?” le scoccò un’occhiata in tralice, andando verso il frigo e versandosi dell’acqua, sedendosi poi sulla sedia.

 

Maryam scrollò le spalle. “Passavo di qui ed ero dell’idea che venirti a trovare avrebbe giovato ad entrambi.”

 

Il suo maledetto sarcasmo fu come un ago infuocato tra le carni del ragazzo: trangugiò l’acqua in un sorso, per poi pararsi di fronte a lei in uno sguardo di fuoco. “Non sono il tuo antistress.” sibilò, socchiudendo gli occhi.

 

La vide atteggiare le labbra in un broncio stizzito e sbuffare. “Io non la metterei da questo punto di vista…” sussurrò, umettandosi lentamente le labbra con gesti misurati. “Ci… Facciamo un favore.” sussurrò, avvicinandosi a lui e lambendogli il collo con il fiato, cosa che gli causò uno scompenso ormonale non da poco.

 

Calmati: distraiti. Pensa ad altro.

 

“Maryam, no.” ci volle non poca forza di volontà per respingerla e fissarla duramente, senza ammettere repliche.

 

La ragazza ridusse gli occhi a due fessure. “Se volevi rompere, bastava che lo dicevi. Non c’era bisogno di tutta questa sceneggiata!” il suo ringhio si sparse per tutta la casa; si stava arrabbiando talmente da divenire rossa sulle gote e da tremare.

 

Max stette bene attento a non staccare gli occhi dai suoi. “Che succede? Perché ogni volta che ti vedo sei sempre più magra? Dove sono gli altri componenti della tua squadra? Perché-”

 

La mora lo interruppe con un sibilo. “Non ti permettere mai più.” lo disse con una rabbia tale da farlo rabbrividire. “Prima mi respingi e poi ti interessi della mia vita privata; fatti un po’ di cazzi tuoi, capito, biondo? Non-”

Non finì la frase: un paio di labbra si artigliarono alle sue, impedendole di proseguire qualsiasi insulto.

 

E successe come sempre: poche scene, poche sequenze. Loro che venivano contagiati da una passione febbrile sempre maggiore, che non potevano e sapevano trattenersi, che si amavano lasciandosi addosso la loro tachicardia e nulla di più.

 

 

 

“Mi lasci andare?”

 

“Mh?”

 

La ragazza ridacchiò, nascondendo il viso per terra: era da almeno mezz’ora che avevano finito di fare l’amore, ed era almeno mezz’ora che lui la teneva ancorata a sé come se non la volesse far andare via, eppure ora si era riposata, era tempo che se ne andasse…

 

“Max, mi devo vestire!” sbottò, divertita.

 

Il biondo scosse la testa, scoccando un bacio sulla nuca della ragazza che lo osservò meravigliata: perché tutta quella dolcezza? Che diamine voleva dimostrare?

“Non devi andare da nessuna parte.” fece, sicuro. “Puoi restare.”

 

Maryam si voltò di scatto. “Qual è il trucco?” chiese, sospettosa.

 

L’americano le baciò nuovamente la bocca, dopodiché la artigliò per i polsi. “Resta qui, Mary. Non resti mai…” la ragazza pose la testa sul suo petto, e lasciò che lui le accarezzasse lentamente i capelli.

“Sei bella…” era da tempo che non riceveva quelle attenzioni, quelle coccole, e non poteva dire nemmeno che le dispiacessero, anzi; lui era dolcissimo, era gentilissimo... E a lei quelle attenzioni provocavano strane sensazioni…

 

“Hai mai pensato al suicidio?” glielo disse di getto, con lo sguardo perso nel vuoto, mentre lui le carezzava i capelli. E fu un attimo: la sua mano si immobilizzò, il suo respiro si bloccò, il suo colorito si fece pallido.

 

“Che cosa?!” lo sentì sbottare.

 

Sorrise tristemente. “Niente, era solo… Un’idea.”

 

Ma l’americano non era dello stesso avviso: la prese, scrollandola per le spalle e la guardò fisso negli occhi. “Che cos’è questa storia?”

 

Lei fece spallucce. “Niente, nulla… Semplicemente quando sono giù di morale e non ho nessuno a cui appoggiarmi, penso che potrei farlo.” disse, senza battere ciglio, come se stesse parlando di andare a fare la spesa dato che mancava il pane.

 

“Non lo dire nemmeno per scherzo: Maryam, io ti amo. Se solo tu lo volessi, potrei essere io la persona a cui ti potresti appoggiare, se solo tu me ne dessi la possibilità-” fu bloccato da un dito indice all’altezza delle labbra, e da un breve bacio sulla bocca che lo zittì.

 

La mora sorrise di un sorriso obliquo, fece un gesto con la mano, come a voler scacciare una mosca. “Sta’ calmo, cowboy, era per dire.” fece, alzandosi e cominciando a prendere i vestiti: se li rimise il più lentamente possibile, sotto gli occhi attoniti del ragazzo, dopodiché aspettò ancora un po’ prima di chiudersi la porta alle spalle.

“Io non do il mio cuore a nessuno: ma se sei abbastanza coraggioso puoi sempre provare a rubarlo.” una risata e fu via… Via come il vento.

 

 

 

 

 

Emily Watson non era una stupida.

Aveva capito che la sua storia d’amore con Max non filava, e da un pezzo; aveva semplicemente una caratteristica: era ostinata. Quando si stendeva delle fette di prosciutto sugli occhi, nemmeno se si svolgeva la terza guerra mondiale si poteva per farle capire che era un atteggiamento sbagliato. Era l’atteggiamento del rifiuto.

 

Ma quel giorno – dopo due di essersi preparata psicologicamente – e dopo che Hilary le aveva riferito che Max l’aveva cercata, non poteva più rimandare la sua chiacchierata con il suo – in quel momento – fidanzato.

 

Si erano incontrati di comune accordo al luna park di Tokyo, un posto ritenuto neutro, e stavano camminando in silenzio da una decina di minuti senza che nessuno dei due si decidesse ad aprire bocca.

 

“Allora, Hilary aveva detto che mi volevi parlare.” provò a dire, sistemandosi gli occhiali con un gesto che tradiva il nervosismo che stava provando.

 

Max annuì lentamente e sospirò prima di iniziare a parlare. “Sai anche tu che non abbiamo passato un periodo tutto rose e fiori; siamo molto diversi: troppo.”

 

Lei si morse le labbra. “Sì, ma se ci arrendiamo non va!” sbottò, prendendogli le mani tra le sue e baciandolo. “Io ti amo,e quando c’è questo le cose si possono aggiustare!”

 

Fu allora che si sentì un verme completo: l’aveva tradita e non aveva scusanti. Era un mostro.

“Em, io mi sono innamorato di un’altra.” lo disse guardandola negli occhi, e quando la vide sgranare occhi e bocca sentì una morsa gelida artigliargli lo stomaco, non poté impedirlo. “Mi dispiace.” provò ad aggiungere, ben sapendo quanto a poco sarebbe servito.

 

“T-Ti dispiace?!” quando la voce della ragazza assunse una nota stridula, capì che erano arrivati al punto di non ritorno: stavano per iniziare recriminazioni, rimpianti, insulti e litigi, tutte cose tipiche di una storia alla deriva. “Come fai a dire che ti dispiace?”

 

Sospirò, stanco. “Em…”

 

“No! Tu ti sbarazzi di due anni insieme senza neanche muovere un dito, senza nemmeno provare a salvare la nostra storia, perché tanto non ti è mai importata, accidenti!” la ragazza era furibonda, pareva fosse in pieno esorcismo. “Ero io che mi preoccupavo di te, ero io che badavo a te, ero io che-

 

“Em, amo un’altra.” per arrestare il flusso corrente delle parole della sua quasi ex le dovette parlare di sopra, tanto era furibonda. “Non è stato perché tu non fossi speciale, o meno bella, o che so io; è stato solo perché il tempo per noi… E’ finito.” la fissò dritto negli occhi e quando l’azzurro limpido dei suoi si specchiò nel marrone di quelli dell’americana, lei abbassò lo sguardo.

 

“Probabilmente.” fece la ragazza, la voce rauca. “Ma ferisce lo stesso.”

 

Guardare la sua ormai ex andare via con le lacrime agli occhi fu molto più arduo di quanto avesse mai potuto immaginare; lo trattenne la sola consapevolezza che finalmente, dopo tante cazzate, aveva fatto una cosa giusta.

 

 

Non seppe per quanto tempo rimase lì impalato, dinnanzi il tunnel dell’amore del luna park di Tokyo, ma quando vide qualcosa di rosso affacciarsi al suo sguardo, subito aguzzò la vista, sbattendo gli occhi.

 

La fascia rossa di Maryam.

 

La stessa che aveva fatto recapitare la mattina scorsa a casa sua; la stessa che lei quel giorno di diversi anni prima si era tolta e con cui gli aveva fasciato il braccio.

 

E ora era lì, legata ad un lampione proprio di fronte a lui.

 

Poteva essere una coincidenza; una stupida coincidenza. Poteva.

Peccato che lui non credesse alle coincidenze e che in quel momento stesse sentendo il cuore martellargli forte nel petto e salirgli fino all’altezza della gola.

 

Trovarla, doveva trovarla.

 

 

Passò in rassegna tutti i posti che gli vennero in mente: bar, pub, belvedere, parco giochi, stradine, andò persino a casa Kinomiya, dove un ostinato Takao cercò di insistere per farlo rimanere, ma evidentemente non c’era alcuna traccia di lei, lì.

 

Dove sei?

 

E poi gli venne in mente: l’ultimo posto, forse perché il più banale, il più scontato, ma doveva provare anche lì…

Sentiva il cuore martellargli nel petto ad ogni passo, sentiva l’ansia esplodergli dentro ogni secondo che passava, e non sapeva nemmeno come mai.

Poteva essere un sesto senso o magari soltanto una superstizione…

 

Quando arrivò dietro casa sua e trovò il portone chiuso, non ci pensò due volte a farsi sentire. “Maryam! Maryam!”

 

Doveva capire se era lì dentro, e doveva capirlo immediatamente: si buttò giù di lato dalla parte bassa della vetrata e quando vide di sfuggita una chioma mora riversa per terra, non volle approfondire oltre: semplicemente si concentrò sul portone e lo abboffò di spallate, di così tante spallate, che fu presto buttato giù.

 

 

E poi lei.

 

E poi lei per terra, con il viso cinereo, con i polsi candidi tagliati, da cui sgorgava copioso del sangue… E lui non poté fare a meno di tremare. Tremare e inginocchiarsi.

 

“Aiuto…” sussurrò, ed era un sussurro implorato, implorato come una preghiera, perché il ragazzo non sapeva a che santo rivolgersi. “Qualcuno la aiuti…”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vi prego di rimettervi gli occhi nelle orbite, e di posare: fucili, mitragliatrici, pistole, machete, laser, mazze chiodate, bazooka, coltelli e ogni arma che potrebbe essere usata contro la sottoscritta.

 

 

Abbiate fiducia, okay?

 

Manca ancora un atto, santo cielo! u.u

 

Se questa prima parte vi ha lasciati attoniti e a dir poco sconvolti va bene: le spiegazioni sono nella seconda parte. Ovviamente, nelle recensioni accetto ogni tipo di critica e di bandierina rossa – o è arancione? – non abbiate remore nel farmi notare le cose che non vanno!

 

A Lunedì 30 con la seconda parte. =D

 

Un bacione,

 

Hiromi

 

P.s. = Per ogni minaccia che vorrete inviare alla sottoscritta, non usate gli MP di efp: ormai sono fuori moda. xD la Hiromi è su face book, iscrittasi sotto l’appellativo di Faith Hiromi. u___u

   
 
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