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Autore: Hiromi    10/05/2011    11 recensioni
Takao e Karen, Mao e Rei, Max e Maryam, Hilary e Kai... Pezzi di puzzle che si incastrano alla perfezione, complicati e piccolissimi, finissimi e ricercati... Ma non ci mancherà qualche pezzo? Sarà il caso di rimediare...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E rieccoci con una nuova shot tutta per voi, un nuovo pezzo di puzzle da porre nel quadro di RMA

E rieccoci con una nuova shot tutta per voi, un nuovo pezzo di puzzle da porre nel quadro di RMA. Pronti? ;D

Allora, giusto per la cronaca, qui Mao ha diciassette anni, Rei e Kai diciotto, Hilary sedici.

Hope u like it. =D

 

 

 

 

 

 

A Padme86.

Perché se non ci fosse stata lei, oggi non avrei minimamente saputo come fare.

Perché resiste stoicamente alle mie ansie, ai miei scleri e ai miei lamenti.

Come faccia, però, è ancora racchiuso in uno dei misteri dell’universo.

 

 

 

Spoiled

 

 

 

 

 

 

Un anno che passa 
Un anno
in salita 
Che senso di
vuoto 
Che brutta ferita 
Delusa da
te, da me,
 
da quello che non c’è stato mai

Per tutta la vita – Noemi

 

****************

 

 

L’aeroporto di Dublino era proprio strapieno di persone: giornalisti, fans, persone comuni, bladers di alto e medio livello si confondevano tra loro, parevano essere tutti imbottigliati in un edificio un po’ troppo piccolo per contenerli tutti.

 

Dublino. Dublino e il nuovo campionato del mondo di beyblade.

 

Mao sospirò, procedendo con le sue due valigie azzurre.

Hilary ed Emily sarebbero arrivate solo nel pomeriggio, e fino ad allora, fino a quando non sarebbe potuta esplodere, era senza dubbio meglio concentrarsi sull’allenamento in vista del torneo; quell’anno le regole sarebbero state differenti: ogni squadra doveva avere quattro componenti, che si sarebbero sfidati uno alla volta, decretando il vincitore.

Per i Baihuzu avrebbero gareggiato Lai, Gao, lei e, ovviamente, Rei.

 

Si morse il labbro superiore: in quei giorni, non aveva fatto altro che ripensare al fatto che aveva passato tutta la sua vita in Cina, a Pechino, al villaggio e… Dietro un ragazzo che la considerava come una sorella.

Sentiva crescere nel suo petto una sorta di inquietudine, qualcosa di opprimente che cercava di scacciare con tutte le sue forze, ma che non ne voleva sapere di andar via: da qualche settimana, con l’avvicinarsi del suo diciassettesimo compleanno e del campionato, era stata parecchie notti sveglia a meditare circa la sua vita, ed a fare il punto della situazione, uscendone sconfitta.

 

La verità era che non sapeva cosa fare.

 

“Andiamo?” quando due occhi ambrati si posero sulla sua figura, non poté fare a meno di distogliere lo sguardo, o sarebbe arrossita. La verità era che Rei le faceva sempre quell’effetto, sin da bambina, ma in quel momento ne era come… irritata. Da se stessa e dalle sue emozioni.

Si limitò a seguire la squadra, andando verso l’uscita dell’aeroporto; non essere tampinati dai giornalisti fu davvero dura, perché si infilavano da tutte le parti e non avevano riserve nel porre domande inopportune o sconcertanti, ma riuscirono comunque a farla franca e a salire sul taxi che li portò all’hotel che la BBA aveva prenotato come residenza per i bladers.

 

Un’elegante signorina alla reception diede loro la chiave di una stanza, e Mao si avvicinò, chiedendo, come ogni anno, una tripla riservata, prenotata per tempo: da quando lei, Emily e Hilary avevano fatto amicizia, ogni anno si facevano mettere assieme; ne venivano fuori i pigiama party più rumorosi e le chiacchierate più lunghe avesse mai fatto.

 

“Ti porto le valigie?”

Sorrise a quel ragazzone di Gao, che la osservava con un sorriso buono.

 

“Se non ti dispiace.” scrollò le spalle, indicando il piano superiore dell’hotel.

 

“Non capirò mai perché mia sorella debba portarsi il villaggio intero ogni volta.” brontolò Lai, scuotendo la testa in segno di disapprovazione, facendo ridere gli altri.

 

“Pensa per te.” lo rimbrottò lei, andando verso l’ascensore, seguita dall’amico.

L’hotel era, come sempre, un cinque stelle grandioso; la BBA si manteneva sempre a livelli molto alti e nessuno dispiaceva la cosa. Premette il secondo tasto, sospirando, e ravviandosi i capelli.

 

“Sei triste, Mao?” la domanda che le rivolse Gao la lasciò completamente spiazzata: voleva bene a quel gigante che conosceva da una vita, che non pensava ad altro che al cibo e al beyblade, ma che sapeva essere davvero tanto dolce…

E in certe situazioni non si aspettava davvero tante cose. Tipo questa.

 

“No, io… No.” sapeva di non avere un tono di voce particolarmente convincente, ma gli sorrise ugualmente, come a fargli capire che non voleva parlarne. “Siamo arrivati. Grazie per l’aiuto.”

 

Lui ricambiò il sorriso. “Noi siamo amici, Mao, e io sono qui ogni volta lo vorrai.”

 

La ragazza abbassò lo sguardo, portandosi fuori dall’ascensore.

Lo so, grazie.

 

 

 

 

 

 “Il viaggio da New York a qui mi ha distrutta!” si lagnò Emily, buttandosi sul letto. “Ho un mal di testa davvero incredibile, mi sembra di essermi sbronzata.”

 

Hilary la guardò di traverso. “E tu non hai nemmeno dovuto cambiare due aerei: per Dublino non c’è un diretto da Tokyo. Non farmelo ricordare.”

 

“Anche Julia e Mathilda sono arrivate.” fece Mao, guardando fuori dalla finestra, con aria pensierosa. “Magari domani potremmo andare tutte a fare shopping. Ho sentito che questa è molto carina come città.

 

Emily annuì lentamente, poi seppellì la faccia sotto il cuscino. “Sì, ma prima fammi riprendere.”

 

Hilary sbuffò. “Concordo. Mi sembra ancora di viaggiare in turbolenza.

 

Mao le guardò sorridendo. “Volete che abbassi le serrande e vi lasci riposare?”

 

La bruna la fissò inarcando un sopracciglio. “Mi piacerebbe, ma prima siediti accanto a me e dimmi cos’è quell’aria afflitta.” Emily, da sdraiata, alzò melodrammaticamente il pollice verso l’alto.

 

La cinese cercò di sorridere e, automaticamente, si sedette sul bordo del letto della sua amica, mordendosi le labbra. “Brutti pensieri.”

 

“Di che genere?”

 

“Mi sono stancata della mia vita.” buttò fuori tutto d’un fiato, fissando un punto davanti a sé.

 

“Bada che mi opporrò al tuo suicidio.” la frase di Emily, buttata lì a casaccio in tono neutro, fece ridere le altre due.

 

“No, intendevo dire che io…” Mao abbassò lo sguardo ed accavallò le gambe, non sapendo bene come articolare la frase.

“Non ne posso più: della tribù. Della Cina. Di Rei. Soprattutto di Rei. Ho sempre condotto la stessa… Normale, scontata vita: sono sempre stata Mao, quella innamorata persa di lui, del futuro capo della tribù della Tigre Bianca, quella che è un’ottima cuoca, quella che, forse, lo sposerà… Ma ora… Non lo so. E se volessi altro dalla vita? Che ne so… E se mi innamorassi di un francese? Di un dublinese? E se decidessi di aprire un ristorante qui? Secondo le regole non potrei farlo, ma io voglio essere libera di fare quello che voglio!” disse, tutto d’un fiato. “Non… non credo di aver mai vissuto veramente. Io voglio vivere.”

 

La pausa che seguì fu un lungo silenzio, ma la prima che prese la parola fu l’americana che, seppur pallida per il lungo viaggio le dedicò un sorriso. “Se per ora non sei felice, credo dovresti fare ciò che ti permetta di esserlo.”

 

Hilary annuì. “Emily ha ragione. Chiariamoci: io credo che Rei ti voglia bene, però… Non so, è da vedere. Se tu ritieni di voler ritrovare la tua libertà, io ti aiuterò. Sarò sempre al tuo fianco. Sempre.”

 

Mao le strinse la mano. “Grazie. Vi voglio bene.”

 

Emily sorrise. “Domani, come prima cosa, si va a fare shopping anche con Julia e Mathilda. Prima, però, facci riprendere, che diamine!

 

 

 

 

 

Il campionato iniziava ufficialmente tra due giorni e le ragazze ebbero il tempo di visitare la città, nonostante gli allenamenti.

Radunate Julia e Mathilda, decisero di andare in giro per la città celtica, perdendosi tra i vari negozi, le statue, i monumenti e i musei. 

Mao dovette fare un gran sforzo per cacciarsi alle spalle le preoccupazioni che la assillavano, soprattutto perché per gli allenamenti non era stata al top della forma: stando accanto ai ragazzi, sentire Rei che, con il suo sguardo le ricordava le cose brutte che pensava, non aveva giovato alla sua prestazione sportiva, ma quel giorno era determinata a divertirsi.

 

“Coraggio.” Hilary la prese a braccetto. “Da oggi comincia qualcosa di nuovo.” fece, schiacciandole l’occhiolino.

 

La ragazza annuì, sorridendo, e seguendo la sua amica: sapeva che non avrebbe scacciato la sua inquietudine con uno schiocco di dita, ma perlomeno ci avrebbe provato.

 

“Guardate, questa è la statua di Molly Malone!” esclamò Mathilda estraendo la digitale. “E’ praticamente il simbolo di Dublino.”

 

Julia si fermò a guardare la statua con aria dubbiosa: raffigurava una bella ragazza in abiti succinti che spingeva un carretto. “Okay, facciamo una foto?”

 

“Mettetevi in posa!” sorrise la componente della squadra europea.

 

“Sì, ma tu poi non ci sarai!” protestò Emily, corrucciando la fronte.

 

Mathilda fece per scrollare le spalle e ribattere, quando udì una voce da dietro le spalle: “Se volete posso scattarvela io.” a parlare era stato un ragazzo alto, dai capelli rossicci e gli occhi verdi: aveva un sorriso aperto e sincero, che splendeva come il sole.

 

“Ci faresti un favore.” gli sorrise Hilary.

In breve, tutte presero posto l’una accanto all’altra, vicino la statua, e ne venne fuori una foto di notevole qualità.

 

“Che bella.” Emily era ammirata. “E c’è un sole piuttosto forte, come hai fatto?”

 

“Sono uno studente all’accademia di belle arti, nel corso di fotografia.” spiegò il giovane, non smettendo di sorridere. “Mi chiamo Shane, non sono di Dublino, ci studio: sono di Kilkenny.”

 

La brunetta aveva l’espressione di chi aveva appena avuto un’idea geniale. “Io sono Hilary, lei è Emily, lei Mathilda e lei Julia.” fece, escludendone volutamente una.

 

La cinese sbatté gli occhi. “Ah, e io sono Mao.”

 

Siete tutte straniere.” osservò il ragazzo, aggrottando le sopracciglia, confuso.

 

Da dietro, Hilary fece cenno alle ragazze di stare due passi più indietro rispetto a loro, infatti la conversazione si concentrò solo su loro due.

“Sì.” rispose Mao, ravviandosi i capelli. “Io sono cinese, Julia è spagnola, Mathilda è danese, Hilary è giapponese ed Emily americana.”

 

Lui sorrise, ma aveva un’espressione sorpresa. “E’ strano che cinque ragazze di diversa nazionalità vengano qui, a Dublino… Per caso alloggiate all’University College of Dublin per fomentare la conoscenza dell’inglese?”

 

Mao gli sorrise, scuotendo la testa. “No, siamo delle bladers. Siamo venute a partecipare al campionato del mondo.

 

Shane spalancò occhi e bocca. “No, che figata! Allora quand’è così fatevi offrire un aperitivo: ho l’onore di conoscere delle campionesse, non capita mica tutti i giorni.

 

 

 

 

 

Quella giornata fu meravigliosa, trascorse letteralmente in un lampo: Shane fu una compagnia divertente, affabile, galante, gentile, e insieme trascorsero delle ore veramente bellissime, testimoniate dalle numerose foto che scattarono.

Mao sospettò più volte che le sue amiche stessero tramando di lasciare appositamente lei e il ragazzo da soli, visto che, spesso e volentieri, loro due si ritrovavano a parlare insieme mentre le altre si eclissavano chissà dove, ma non le dispiaceva.

L’irlandese era un ragazzo di ottima compagnia, e trascorrere la giornata con lui era stato quanto di più piacevole si potesse aspettare.

 

Erano andati da un punto all’altro di Dublino, visitando il Trinity College, passando per il Liffey River, ed avevano visto anche la Cattedrale di San Patrick.

Sfortunatamente non vi era stato tempo, altrimenti Shane aveva detto che le avrebbe portate a visitare la casa di Joyce e anche il posto dove gli U2 incidevano i primi dischi (e qui sia Hilary che Julia avevano fatto un salto, da fan sfegatate della band), ma le avrebbe portate l’indomani.

 

Però, per quella sera le aveva invitate al Temple Bar, un famosissimo pub di Dublino dove si scatenava la vita notturna irlandese, e aveva dato loro appuntamento per le dieci.

 

“E’ bello vederti così.” quando Hilary la sorpassò, Mao aggrottò le sopracciglia.

 

“Così come?”

 

“Sorridente, finalmente.” la bruna si fece dare dalla receptionist la chiave della loro stanza. “Shane ha colpito, eh?”

 

Mao arrossì. “Beh, è carino…”

 

Julia sfoderò un sorriso malizioso. “E’ il tipico maschio irlandese: dolce ma ci sa fare. Non so se mi spiego…” tutte scoppiarono a ridere, facendo arrossire la cinese ancora di più.

 

Mathilda intervenne per salvare l’amica da ulteriori imbarazzi. “Mi sa che dobbiamo prepararci per la cena, che poi al pub non possiamo mica andare a stomaco vuoto…

 

Emily sollevò i numerosi sacchettini che reggeva. “Così passiamo pure dalle nostre camere a depositare questi: pesano un po’.” le altre sorrisero, ricordandosi dei numerosi negozietti accuratamente selezionati dal ragazzo in cui avevano fatto, di tanto in tanto, una sosta.

 

“Avete svaligiato mezza Dublino?”

 

Julia inarcò un sopracciglio alla domanda di Lai, ponendo le braccia conserte. “Non che siano affari tuoi, ma siamo andati a fare shopping. Non lo sapevi?”

 

“Hai perso una giornata di allenamento solo per questo?” borbottò il cinese, in direzione della sorella.

 

Mao si irrigidì, scegliendo di passare avanti e di non rispondergli nemmeno, infilandosi direttamente sull’ascensore, dove fu seguita dalle compagne di stanza.

 

“Tutto bene? E’ raro che te la prendi per qualcosa che ti dice tuo fratello.” osservò Emily, fissandola di sottecchi.

 

La cinese sospirò lentamente. “Sì, io… Lo so, ho reagito in maniera esagerata.”

 

Hilary scrollò le spalle. “Non crucciarti per questo: stai passando un periodo particolare, è più che normale scattare come una molla alla minima stronzata. Ora posiamo nella stanza le nostre cose, andiamo a mangiare che stasera ci divertiamo. Soprattutto tu.” dichiarò, strizzandole l’occhiolino.

 

 

 

 

 

Se c’era una cosa a cui era sempre stato abituato fin da bambino, era ad avere un occhio sopraffino, oltre che un udito fuori dal comune e un intuito eccezionale.

Da membro e futuro capo della tribù della Tigre Bianca, non era uno sprovveduto: sapeva che qualcosa nella sua amica era cambiato, e che, probabilmente, era tormentata da diversi pensieri: erano giorni che il suo animo pareva rodersi, e giorni che sembrava non concentrata sul mondo che la circondava.

 

Lui, ovviamente, non aveva fatto pressioni: ci sarebbe sempre stato per lei, esattamente come lei c’era sempre stata per lui.

 

Mao, aveva, da sempre, occupato un posto speciale nel suo cuore: era stata la sua compagna di giochi, erano cresciuti insieme, ed era stato spontaneo sentir affiorare, nel petto, quel dolce sentimento che ora sentiva esplodere e cercare di contenere ogni qualvolta lei gli sorrideva…

Lei era stata colei che si era dichiarata davanti a tutti durante il primo campionato del mondo di beyblade, dichiarando che lo avrebbe aspettato sempre… E lo aveva fatto.

 

Come Penelope aspetta Ulisse che naviga per raggiungere Itaca, anche lei era rimasta, paziente, presso la tribù, mai lamentandosi, mai urlandogli contro, ma sempre sorridendogli e andandogli incontro ogni qualvolta tornava dai suoi viaggi.

E, nonostante tutto questo, nonostante lui fosse tornato in pianta stabile in Cina da ormai due anni, non si erano ancora parlati, e non avevano fatto alcun riferimento a quanto era accaduto quando entrambi avevano tredici anni.  

 

Non sapeva se l’inquietudine di Mao dipendesse da questo, o vi fossero altri motivi o ragioni, ma una cosa era certa.

 

Ci sarò sempre per te, Mao…

 

 

 

 

 

Emily fissò compiaciuta la mise elegante della cinese quella sera: per essere una semplice serata per le vie di Dublino, Hilary aveva passato un’ora intera a decidere cosa fare indossare a Mao e come farla truccare, e il risultato era stato più che sconvolgente.

Un tubino nero metteva in risalto le forme prorompenti della ragazza, e un trench bianco le sottolineava candidamente. La bruna, poi, le aveva prestato una borsa Chanel che si intonava alla perfezione e che rendeva ancora più elegante ed armoniosa la sua figura.

 

“Wow.” Shane era ammirato. “Sei… Di un altro pianeta.” il ragazzo non riusciva a smettere di sorridere e fu con gesto automatico che le porse il braccio. “Ragazze, spero non vi dispiaccia.” fece, rivolgendosi alle altre.

 

“Oh, no, no.” Julia, Mathilda, Emily e Hilary lo esclamarono quasi in coro, cercando di sorridere in maniera spontanea e non da streghe, come le aveva apostrofate la loro amica cinese minuti prima.

 

Nel quartiere di Dublino che prendeva il nome Temple Bar, vi erano numerosi artisti di strada, cosa che catturò subito l’attenzione di Julia, estasiata da tutta quella bravura.

 

“Oh, l’Hard Rock café!” mugolò Mathilda, indicandolo. “Shane, ci devi portare assolutamente, domani.”

 

Lui le sorrise. “Sarà fatto.”

Più avanti le condusse presso un locale che spiccava per i muri rossi dove, a caratteri cubitali, stava scritto Temple Bar. “Ecco, il pub che ha dato il nome a tutto il quartiere.” dichiarò, facendole entrare. “Sapete, Sir Temple era il rettore del Trinity college nel 1600, colui che ha probabilmente dato il nome al pub e, successivamente, a tutto il quartiere.”

 

Shane dimostrò di sapere parecchie cose su Dublino, nonostante ci vivesse da solo un anno: si descrisse come un curiosone e un amante dei viaggi, dopodiché, ordinate le birre, chiese loro di illustrargli le curiosità del beyblade.

 

“Quando inizia il campionato? E’ un vero peccato, ormai i biglietti saranno andati a ruba… Mi sarebbe piaciuto fare il tifo per voi…

 

Mao gli sorrise. “Mai dire mai.” fece, estraendo un pass. “Piacere di conoscerti, Giancarlo Bianchi, giornalista italiano de ‘La Repubblica’.” tutti scoppiarono a ridere.

 

Shane fissò le altre. “Io amo questa donna!” e a Mao si strinse il cuore in una morsa di inquietudine.

 

 

 

 

 

Le vie irlandesi viste dall’alto erano meravigliose.

Si strinse nella sua vestaglia, mordendosi le labbra, quasi potesse impedire ad una lacrima di solcarle la guancia, inutilmente; un singhiozzo le scivolò via dalle labbra, prepotente. Si portò le mani alla bocca, nel tentativo, inutile di calmarsi.

Era sempre stata una ragazza energica e combattiva, pronta a combattere le sue battaglie: perché in quel frangente era ridotta uno straccio? Perché non si riconosceva più?

 

S’irrigidì appena quando sentì delle braccia circondarle la vita, ma si rilassò subito quando capì che si trattava della sua migliore amica.

Aveva solo bisogno di una spalla su cui appoggiarsi e di piangere, piangere fino allo sfinimento, e magari di urlare, urlare fino a non avere più voce… Ma poi perché?

 

“Sfogati.” la voce di Hilary le arrivò chiara e dritta alle orecchie, in una stilettata che fece quasi male e le fece abbassare lo sguardo.

 

Si appoggiò al muro, mordendosi le labbra. “Perché?”

 

“Perché non posso vederti così.” le prese una mano, accarezzandole lievemente il palmo. “Ti voglio bene, e mi fai soffrire.”

 

Le sue parole, appena sussurrate, furono un incentivo per far inumidire gli occhi della cinese. “I-Io… Non ce la faccio più.” scoppiare a piangere fu automatico, così come essere strette dall’abbraccio della bruna.

 

“Stai attraversando un brutto periodo, ed è normale una crisi d’identità, specie a chi è sempre stata catalogata dalla gente con una sola etichetta.” la scostò dolcemente da sé, fissandola dritto negli occhi. “Io so esattamente chi sei: tu sei Mao, sei la mia migliore amica e io ti adoro.” fece, scoccandole un bacio sulla guancia.

“Se tu decidessi di mollare il beyblade, di sposarti Shane alle Hawaii, di fare un bambino in provetta, di fare la barbona al supermercato… O di mollare tutto e insieme andare a fare le ladre sexy alla Thelma e Louise… Io ti appoggerei.” le schiacciò l’occhiolino.

Ma voglio che tu ricordi una cosa, e per quanto dolorosa devo proprio dirtela: non ha senso voler rinnovare se stessi se la nostra anima rimane accorata al passato.” le sorrise dolcemente, ravviandole i capelli dietro l’orecchio.

“Buonanotte, ti voglio bene.”

 

 

 

 

 

“Dai, vediamo di godercela bene quest’ultimo giorno di libertà!” trillò Julia, da sopra la piccola torre della casa di James Joyce.

 

“Esagerata.” rise Emily, nella sua direzione, scattandole una foto, per tutta risposta.

 

Avevano visitato la dimora dello scrittore dublinese, rimanendo affascinate – soprattutto Hilary, grandissima lettrice di autori classici come la Austen, Joyce e le sorelle Bronte da quel luogo che emanava una storia così vivida, limpida che pareva esser toccata con mano.

 

“Hilary è in visibilio.” sghignazzò Mao, in direzione del ragazzo, che annuì.

 

“Senti, ti va di scendere dabbasso?” Shane aveva una nuova luce negli occhi che la ragazza non seppe interpretare, tuttavia scelse di annuire leggermente: quando le dita del ragazzo si insinuarono tra le sue, sobbalzò leggermente, e il pensiero andò a Rei: sarebbe morta se quel gesto lo avesse fatto lui.

 

Vicino la casa di Joyce c’era un grande spiazzo, ideale per parlare, riposarsi, soprattutto se c’era una bella giornata, come quella che stavano vivendo. Il clima irlandese era capriccioso, come un po’ in tutto il regno unito: il sole non durava a lungo, così come non durava a lungo la pioggia.

 

“Dublino è bella.” soffiò Mao, affacciandosi a vedere il panorama dal muretto: i suoi capelli si mossero a ritmo del vento abbracciava l’intera città, ipnotizzando il ragazzo.

 

“Io credo che sia tu a renderla tale.” la voce roca di Shane fece aggrovigliare lo stomaco di Mao in un impeto di… tremore?

Quando lui si avvicinò  lei chiuse gli occhi di scatto, con fare quasi disperato, ma non bastò. Non bastò, perché quando le labbra di lui furono sulle sue, furono altre labbra quelle che desiderò di baciare.

E si dette della stupida.

 

 

 

 

 

Lai afferrò Galeon con fare quasi rabbioso non appena terminò il suo scontro con Rei. Erano stati tutto il giorno ad allenarsi, come quasi tutti i bladers, e l’indomani sarebbero cominciati i campionati. Era preoccupato per sua sorella perché non la vedeva serena, il campionato era solo la punta dell’iceberg, e poi… Dove diavolo andava ogni giorno?

 

“Io starei tranquillo.” fece Gao, con aria pacifica. “Mao sa quello che fa, ed è già brava per com’è.”

 

 “Sì, lo so.” brontolò. “Ma vorrei perlomeno sapere cosa le passa per la testa.”

 

Kiki, che faceva da riserva, era il più tranquillo di tutti; ponendo le braccia dietro la testa, si stiracchiò. “Ah, non farla troppo lunga: quando vorrà parlarcene, noi ci saremo.”

 

“Ben detto.” approvò il gigante cinese. “Ora andiamo a cena?”

 

Mentre il gruppetto rideva e lo prendeva in giro, nella hall dell’albergo erano appena rientrate la comitiva di ragazze cosmopolite che, dopo una giornata all’insegna della Dublino più pura, stavano festeggiando la novità in maniera alquanto rumorosa, destando l’attenzione delle persone vicine.

 

“Dai, Shane, rimani a cena!” chiocciò Julia, tutta un sorriso.

 

“Infatti, noi ceniamo sempre tutte e cinque in un tavolo da sei.” spiegò Mathilda. “E stasera saremo veramente sei.”

 

“Si festeggia il fidanzamento di Mao!” esclamò Hilary battendo il cinque a tutte e facendo arrossire i due.

 

Quello che seguì fu una scena particolarmente imbarazzante: Lai andò dritto sparato dalla sorella, artigliandole il braccio con occhi di fuoco. “Mao: cos’è questa storia?”

 

Hilary si schiaffò una mano sulla fronte. “Calmati, stavo esagerando.” fece, provando a gettare acqua sul fuoco. “Mica si sposano o roba simile: tua sorella adesso sta semplicemente con questo ragazzo.”

 

La cinese sbuffò. “Grazie Hila, ma ci penso io.” fissò Lai trapassandolo con lo sguardo. “Che c’è?”

 

Il fratello incrociò le braccia al petto. “E’ per questo che hai saltato gli allenamenti? Per stare con lui?”

 

Mao inarcò pericolosamente un sopracciglio. “Anche se fosse?”

 

Lui serrò la mascella, stringendo i pugni. “Abbiamo un campionato da disputare, e lo sai. Non sono ammesse… Distrazioni.”

 

La ragazza inarcò un sopracciglio. “Io ho una mia vita, ma probabilmente tu te ne sei dimenticato, te ne dimentichi sempre.” ringhiò. “Io esco con lui, se ti sta bene okay, altrimenti va’ un po’ a quel paese.” strinse la mano di Shane con aria di sfida, poi fece un cenno alle ragazze con la testa. “Venite, andiamo a cenare.”

 

La stettero a guardare mentre si allontanava, scortata dalle sue amiche e da quel ragazzo: sembrava così diversa dalla Mao che erano abituati a conoscere… Era evidente che in lei stava cambiando qualcosa.

 

Rei cercò di tenere a bada la sensazione di furia e gelosia che minacciò di propagarsi per tutto il suo essere: mai, mai avrebbe immaginato che quel giorno potesse arrivare.

Aveva letto nello sguardo della sua amica una rabbia, un furore non indifferente, ma una cosa era certa: non era amore quello che l’aveva spinta a schierarsi con il ragazzo. Era piuttosto disperazione, frustrazione,e qualche altra cosa che non aveva saputo classificare.

Lei non provava nulla per quel ragazzo.

 

La sua Mao c’era ancora, non era cambiata.

 

Il suo unico cruccio era se doveva lottare per riprendersela oppure aspettare. Aspettare i suoi tempi, aspettare che questo periodo finisse, un po’ come lei aveva sempre fatto con lui.

 

Che devo fare?

 

 

 

 

 

Hilary lanciò il mozzicone di sigaretta lontano, badando bene a non farsi accorgere da nessuno: aveva iniziato a fumare da pochissimo, e non voleva che nessuno se ne accorgesse, altrimenti le sentiva già le lamentele: già bastava Takao, di tanto in tanto, a fare le veci di sua madre senza che ci si mettessero pure le altre…

 

“Che fai?” sobbalzò quando Mao uscì fuori sul balcone.

 

“Niente, pigliavo una boccata d’aria.” finse un tono quantomeno casuale. “E pensavo che quest’anno è una noia: tutte facce già viste, già conosciute… Tranne la nuova leva della squadra europea, direi. E’ carino. Quasi quasi…”

 

La cinese ridacchiò. “Attenta, che secondo me si è preso una cotta per te, quel povero viennese.”

 

Hilary scrollò le spalle. “E’ tanto per divertirmi, Mao. Lo sai qual è la mia filosofia con i ragazzi: usali e poi gettali.

 

La cinese sospirò: sapeva bene che la brunetta aveva avuto numerose relazioni durate un arco di tempo inferiore al tempo dove una limonata non era intesa come la bevanda, ma era fatta così: aveva chiarito che non le interessavano le relazioni. “Forse non hai trovato quello giusto.”

 

“Quello giusto!” la scimmiottò. “Diamine, ho sedici anni, mi voglio divertire! Voglio essere baciata, guardata, e tra un po’ vorrò pure scopare, che diamine!” alla faccia scandalizzata della cinese, lei rispose con una linguaccia.

“Sì, cara mia, è meglio che ti adegui: sco-pa-re. Voglio questo, e basta. Sono una ragazza libera e indipendente, l’ultima cosa che voglio è un ragazzotto che mi dica come devo vivere. Ho sedici anni e tutto il diritto di divertirmi.

 

Mao sbuffò. “Non è così che… Mi hanno insegnato.”

 

“Beh, se è per questo neanche a me, ma le idee vanno soppiantate, cara mia.” fece, strizzandole l’occhiolino.

 

La cinese scosse la testa, appoggiandosi alla ringhiera del balcone. “Non ti interessa sposarti, avere una famiglia?”

 

La brunetta inarcò le sopracciglia. “Sì… Più o meno tra una ventina d’anni.” fece, scoppiando a ridere. “Ho se-di-ci anni!”

 

Mao si morse le labbra. “Probabilmente se anch’io, anni fa, l’avessi pensata come te non mi sarei trovata in questa situazione adesso…”

 

Hilary le cinse le spalle con un braccio. “Ascoltami, okay? Con Shane non è che ti ci devi sposare o altro; ci stai, vedi come va, e se non ti ci trovi… Lo mol-li. Cos’è che non è chiaro?”

 

L’altra sorrise. “Niente, tu fai proprio tutto facile, Hila

 

 

 

 

 

Il campionato del mondo iniziò il giorno dopo, e grazie al pass speciale che Mao aveva procurato a Shane, il ragazzo poté presenziare agli incontri che videro combattere quattro delle otto squadre mondiali che presenziavano al campionato.

Il presidente Daintenji fece il classico discorso d’inizio campionato, e, quando le squadre si batterono, tra cui quella dei Baihuzu, i tifosi furono subito pronti ad acclamarli, ed a tifare per il loro preferito.

 

Mao non giocò, quel giorno, chiedendo brutalmente di essere sostituita.

Nella sua squadra si respirò tutta la mattinata un clima orribile: suo fratello non le parlava e gli altri la fissavano di sottecchi; Rei, poi, sembrava volesse comunicarle con gli occhi qualcosa che lei voleva fuggire a tutti i costi.

Non le sopportava quelle iridi ambrate. Non le sopportava e non sopportava nemmeno il calore che le provocavano per tutto il corpo.

Non sopportava che ogni qualvolta lui si degnava di posare il suo sguardo su di lei, lei dovesse sentirsi così, come una povera scema.

 

Perché con lui mi sento così e con Shane no?

 

La prima mattinata d’incontri si esaurì presto, e Mao poté dileguarsi per il pranzo: non avrebbe retto ancora a lungo la presenza dei Baihuzu.

 

Rei la guardò andare via con un misto di rabbia e impotenza: il non sapere che cosa doveva fare stava divenendo una sensazione lacerante, impossibile da sopportare.

 

Come diavolo posso far fronte a tutto questo?

 

Fu quando si pose la domanda che la possibile risposta gli passò accanto. In jeans e canotta rossa.

 

“Hilary!”

 

La brunetta si volse verso di lui, sorridendogli genuinamente. “Ciao Rei. Complimenti per l’incontro: siete stati mitici!

 

Rei ricambiò il sorriso: voleva bene a quella brunetta conosciuta qualche anno prima in Giappone che considerava alla stregua di una sorella. Era diventata un must nei campionati, un vero elemento della BBA; tutti le volevano bene e, se c’era qualche problema si confidavano con lei. Era divenuta una sorta di psicologa.

 

“Posso parlarti?”

 

Hilary annuì. “Pranziamo insieme? Ho un certo languorino…”

 

Il cinese inarcò un sopracciglio prima di sorridere. “La vicinanza con Takao ti ha fatto male…

 

 

 

 

 

“E’ stato un peccato che tu non abbia giocato… Domani non so se potrò esserci, sarà allestita la mostra di Andy Warhol.” Shane stava blaterando da ormai dieci minuti, ma Mao aveva la testa da tutt’altra parte.

 

Per la precisione, fissava il tavolo in fondo alla sala pranzo del ristorante dell’albergo, quello in cui, da cinque minuti, si erano accomodati Rei e Hilary.

Di che diamine potevano parlare?

 

 

Parecchi metri più in là il cameriere aveva portato ai due ragazzi del fish and chips, sul quale Hilary non si era minimamente risparmiata.

 

“Scusami, ma ho fame.” fece, sorridendo. “I campionati mi mettono sempre un certo appetito.”

 

Rei scosse la testa. “Ti capisco, anche io sono affamato.”

 

“Allora, dimmi tutto.” esclamò, con voce allegra, condendo il pesce con una spruzzata di limone.

 

Il cinese non seppe da dove cominciare: sapeva bene che aveva scelto la persona giusta per confidarsi: in fondo Hilary era una ragazza fidata e poteva anche dargli il consiglio giusto, ma non sapeva proprio come impostare il discorso…

“Non so cosa fare… Con Mao.”

 

La bruna annuì, accompagnando la forchetta alla bocca. “In che senso, esattamente?”

 

“Speravo potessi dirmelo tu.” inarcò brevemente il sopracciglio lui, inghiottendo un boccone.

 

Lei sorrise furbescamente. “Ah, no! Io so cosa ha in testa Mao, ma hai torto se speravi che te lo dicessi.” esclamò, accavallando le gambe. “Non sai cosa fare… In che senso? Qual è il tuo bivio esattamente?” sussurrò con fare accattivante.

 

Mi ha fregato.

“Shane.” ammise, con un sospiro che sapeva tanto di sconfitta. “Amo Mao, e la mia colpa è non averglielo mai dimostrato. Quindi le due strade sono: vado a riprendermela o la aspetto, come lei tante volte ha fatto con me?

 

Hilary roteò gli occhi e ridacchiò. “Tu e Mao siete proprio due anime gemelle. Vi auguro veramente che, quando vi ritroverete, non vi lascerete più, perché come voi ne esistono poche al mondo.” ridacchiò, nascondendo il sorriso dietro una mano. “Rei, lei non ama Shane. Lui è un diversivo. Deve soltanto trovare se stessa.”

 

“Che devo fare?”

 

La brunetta assottigliò gli occhi. “Se tu fossi una ragazza che si sente data per scontata, una che per tutta la vita non ha fatto altro che essere etichettata come quella che aspetta e spera… E ora si è proprio rotta i coglioni e vuole provare il brivido… Che faresti?”

 

Rei sorrise, e una luce brillò nei suoi occhi color caramello. “Non aspettavo altro che tu me lo dicessi.”

 

 

 

 

 

Non capiva perché quel giorno si sentisse quella strana sensazione addosso: era differente dalla solita inquietudine a cui ormai aveva fatto il callo, differente da tutte le strane emozioni che provava di solito, era qualcosa che aleggiava su di lei come un’ombra, che la rendeva ulteriormente nervosa.

E non era perché il clima nella sua squadra era ormai compromesso, o perché Shane fosse assente. No.

Aveva come una sorta di strano presentimento.

 

Si batté contro la squadra europea quasi rabbiosamente, determinando la sua vittoria in pochi minuti. Non sopportava quella sensazione, voleva tornare a sedersi in panchina.

 

“Sei stata brava.”

 

Fu come una stilettata.

E all’improvviso capì: lui, era sempre lui, sempre e solo lui il responsabile di tutto.

Mao strinse i pugni, abbassando lo sguardo, tremando appena. Gli passò accanto senza degnarlo di uno sguardo né rispondendogli; semplicemente si detestò ulteriormente per il suo cuore che, furioso, aveva aumentato i battiti.

 

 

 

 

 

“Voglio sapere cosa vi siete detti tu e Rei ieri sera.”

 

Hilary si fermò con la mano a mezz’aria, ed Emily emise un gemito. “Strappala tutta, dannazione!” forse non era stata una buona idea fermarsi con la striscia di ceretta a metà.

 

La brunetta sorrise, riprendendo il suo lavoro. “Spiacente, ma lo sai che quando le persone mi parlano non rivelo mai cosa so. Parlare con me è come parlare con un muro: i muri parlano?

 

Mao tremò di rabbia: non ce l’aveva con la giapponese, ma se non le diceva cosa si erano detti con Rei la sera prima, poteva rischiare di fare una pazzia. “Bene, questa volta dovrai fare un’eccezione.”

 

Hilary spalmò dell’intrugliò appiccicoso sulle gambe di Emily per poi prendere delle altre strisce. “Dimmi perché.”

 

Mao scosse la testa come se, facendolo, un’idea balorda le potesse scivolare via come una mollica da un tavolo. “Perché sono confusa, ecco perché!” sputò fuori. “Io non so più chi sono, non so chi voglio essere, non ho un’identità…” i suoi occhi si riempirono di lacrime, che si affettò a scacciare. “E nessuno sembra farci caso!”

 

La giapponese sospirò, mettendo via la ceretta e stendendo sulle gambe dell’amica dell’olio adatto. “Ma io lo so. Emily lo sa, tutti lo sanno. Ma sai cosa dovresti fare, realmente fare, tesoro?” Hilary si asciugò le mani su una salviettina, che poi appallottolò e buttò nel cestino della carta. “Prendertela con il responsabile. Altrimenti questa crisi di identità durerà per tutta la vita, e tu sarai sempre costretta a chiederti con Shane che ci stai a fare.”

 

Mao sobbalzò. “Non è vero, io…”

 

“Tu cosa? Lo ami alla follia?” La bruna la inchiodò con lo sguardo e l’altra arretrò, mordendosi le labbra.

 

La cinese, sconfitta, abbassò lo sguardo. “No.”

 

“Solo affrontando Rei potrai gettarti ogni cosa alle spalle e vivere finalmente bene la tua storia con Shane.” Hilary pose le braccia conserte, e Mao annuì, decisa, uscendo dalla stanza.

 

Oppure potrai scoprire che la via precedente non era poi così male, ma si doveva soltanto riscoprire…

 

 

 

 

 

Driger si destreggiò alla perfezione tra lo slalom di ostacoli che vi erano sul campo; quel pomeriggio, in palestra, c’era un’insolita calma; non che Rei fosse particolarmente concentrato, ma tanto bastava ad allenarsi, quindi andava bene.

La verità nuda e cruda era che la sua mente andava sempre, perennemente a Mao.

Quando quella mattina lo aveva deliberatamente ignorato gli aveva fatto male, non poteva nasconderlo, ma che poteva fare? Possibile che uno come lui, così deciso quando si trattava di beyblade, in quel frangente non sapesse quasi come muoversi?

Era una cosa che non sopportava.

Quando un bey rosa dai bordi dorati si immise nel campo, dando parecchio filo da torcere a Driger, sobbalzò: lui conosceva quel beyblade.

 

Galux?”

 

Mao era ancora lì, alla sua destra, con il caricatore in mano e un’espressione sciupata sul viso. Era pallida, e le occhiaie che da qualche tempo avevano preso ad esservi sotto i suoi occhi parevano essersi fatte ancora più marcate.

 

“Hai smesso di ignorarmi.” nel suo tono non c’era traccia né di ironia né di sarcasmo, eppure ciò bastò per irritare la ragazza, che prese fuoco come un fiammifero.

 

“Ovvio. In fondo sono solo Mao Cheng, quella che aspetta e spera, l’idiota che sta a lavare i panni mentre tu viaggi intorno al mondo, no? I miei capricci non potevano durare a lungo.” la sua voce densa di rabbia mista al tremore delle sue labbra ferirono Rei come se si fosse trattato di una stilettata.

Sapeva di averle fatto del male, in quegli anni, ma non avrebbe immaginato così tanto.

 

Ma cosa dici?” fece per avvicinarsi a lei, ma la ragazza indietreggiò, prendendo a tremare.

 

Sta’ lontano da me!” urlò. “Sempre data per scontata, sempre, sempre stata ad aspettarti… Ma adesso sai che c’è? Che mi sono scocciata. Mi sono scocciata della tribù, della Cina, ma soprattutto di te. Voglio essere libera, libera da tutto e da tutti, libera di fare ciò che mi pare.” ringhiò, fissandolo dritto negli occhi.

 

Mentre la ragazza si sfogava, Rei si sentì esattamente come quando si allenava al villaggio e si immergeva nelle cascate per fortificare il corpo: lì la cascata gli pioveva addosso, e il peso dell’acqua gli si gettava all’improvviso tutto sulle spalle, e qui era lo stesso.

Solo che lo provò figuratamente, e fu una sensazione molto più devastante, anche perché capiva alla perfezione come si doveva sentire, perché era esattamente come si era sentito lui anni prima, quando aveva deciso di lasciare la tribù della Trigre Bianca. Aveva regole ferree, severe, intransigenti, e lui le aveva violate per andare in viaggio per il mondo, ed era stato additato come traditore.

Mao, per tutti quegli anni era stata ad aspettarlo, non facendo mai vacillare il suo amore per lui, e per tutti era stata sempre etichettata come colei che lo avrebbe sempre aspettato: non avrebbe mai pensato che, un giorno, si sarebbe potuta stancare.

 

“…Hai ragione.” la voce gli uscì come un soffio, ma almeno ciò che disse fu chiaro ed udibile. “Mi dispiace che tu stia soffrendo, e ti chiedo perdono. Ma io ti amo, Mao, e questo non posso cambiarlo; la mia unica colpa è stato non fartelo mai capire, e dirtelo adesso che è troppo tardi.”

 

La ragazza lo fissò in maniera neutra, non commentando.

 

“Sappi solo che non mi arrendo, e che lotterò per te, perché io credo in te. Tu sei Mao, la mia Mao, la mia compagna di giochi, la mia migliore amica, e vorrei che tu fossi anche qualcosa di più. Ma ti aspetterò, ti aspetterò sempre, dovessi attendere tutta la vita.

 

La cinese si voltò di scatto, mordendosi le labbra ed andando nella direzione opposta, marciando verso il corridoio, per non fargli vedere le lacrime che, copiose, avevano cominciato a scendere sulle sue guancie.

 

 

 

I'm spoiled
By your love boy
No matter how I try to change my mind
What's the point it's just a waste of time
I'm spoiled by your touch boy
The love you give is just too hard to find
Don't want to live without you in my life

SpoiledJoss Stone

 

******************

 

Emily sospirò, andando verso l’amica che, rannicchiata sulla poltrona della stanza, non si muoveva da una mezz’ora abbondante: sapeva che stava passando un periodo difficile, ma talvolta non sapeva proprio cosa dirle, come aiutarla.

Hilary sosteneva che era qualcosa che si sarebbe smossa da sola, ma lei non ce la faceva a stare a guardare. La giapponese e Mao erano state le prime amiche che aveva avuto, era particolarmente legata a loro; non voleva che soffrissero.

 

Emily era sempre stata una ragazza tutta calcoli e ragionamenti matematici; per lei tutto si limitava al razionale e al reale, non vi era spazio per altro… Ma quando entravano in gioco le sue amiche… Tutto ciò si andava a far benedire. E lei non sapeva cosa fare esattamente; si sentiva inutile.

 

Si sedette sul bordo del letto vicino alla poltrona, e sporse la sua mano in direzione della ragazza; Mao lo notò e le sorrise dolcemente, afferrandola. Stettero così per qualche secondo, fino a quando qualcuno non bussò alla porta.

 

L’americana si alzò, sospirando. Capiva benissimo che, in quel frangente, l’amica non voleva vedere nessuno.

 

Non appena aprì la porta, però, la sorpresa fu grande. Rei Kon.

Emily sbatté gli occhi: che diamine ci faceva lì? Non aveva il buon gusto, perlomeno di lasciarla in pace?

 

Rei cercò con lo sguardo Mao nella stanza, dopodiché con un sorriso, le chiese silenziosamente di venire alla porta. La cinese, irritata, lo fulminò con lo sguardo, alzandosi malamente dalla poltrona.

 

“Che cosa vuoi?” sbottò, fulminandolo con lo sguardo.

 

Il ragazzo, apparentemente, non si fece scoraggiare: aveva le braccia dietro la schiena, pareva reggere chissà cosa e sembrava essersi chiuso in un ostinato mutismo.

Poco dopo, estrasse una pila di fogli, che fecero inarcare le sopracciglia della ragazza; li mosse ritmicamente, e su ogni foglio vi era scritto qualcosa.

 

 

 

 

Ho delle confessioni da fare. Altrimenti non mi sentirò con la coscienza a posto, capisci?

 

Confessione 1)

La mia mente e il mio corpo viaggiano molto: ma trovano sempre un modo per arrivare a te;

 

Confessione 2)

Ho tanta paura di perderti, ma tu non sei nemmeno mia;

 

Confessione 3)

il 99% di me ti ama, ma l’uno per cento ti biasima per questa situazione;

 

Confessione 4)

Ti amo dalla prima volta che ti ho visto. Qualunque essa sia stata.

 

 

 

 

Mao sentì i suoi occhi inumidirsi e il suo stomaco aggrovigliarsi. Quanto aveva aspettato quella dichiarazione… Ed era arrivata in quel momento. Proprio in quel momento.

Si portò una mano agli occhi, mordendosi le labbra, e singhiozzò: perché doveva essere così difficile?

 

Rei la stette a guardare un istante, infine salutò con la mano, andandosene così come era arrivato, lasciando sole nella stanza le due ragazze.

 

Emily si voltò a guardare l’amica. “Lo lasci andare?”

 

Mao rispose a fatica. “Sì.” eppure dentro di lei lo sentiva: qualcosa aveva trovato la giusta posizione.

 

 

 

 

 

Anche per quel giorno il campionato finì, dichiarando i suoi vincitori e i suoi sconfitti. La platea si alzò e si spostò muovendosi a macchia d’olio, dirigendosi, in massa, verso l’uscita dello stadio: l’ora di pranzo incombeva e, dopo ore passate ad applaudire e a tifare i propri preferiti, un certo languorino si faceva di certo sentire.

Hilary, contenta, andò verso l’amica, abbracciandola. “Sei stata fenomenale!”

 

Mao le dedicò un sorriso stanco. “Insomma: Galux ha combattuto così così, ma, poverino non aveva tutti i torti. Sono io che in questi giorni ho altri pensieri per la testa.

 

La bruna si stiracchiò. “Che ne dici se io e te, al posto di andare a pranzare al ristorante, andiamo all’italiano qui a qualche isolato?”

 

“Sì, dai.” approvò Mao. “Oggi non c’è Shane e sono pure libera.”

 

Hilary dapprima la fissò, poi scoppiò a ridere. “Ma che dici? Guarda che è il tuo fidanzato, mica un poppante a cui devi fare da baby sitter!”

 

Mao arrossì. “Lo so, è che…” le parole le morirono in gola. “Niente, lascia perdere.”

 

La giapponese la prese a braccetto. “Mh, come vuoi.”

 

L’altra sospirò e si rivolse alla bruna con fare apocalittico. “Tu credi che dovrei lasciarlo?”

 

Entrarono nella hall di un ristorante italiano che aveva l’aria di essere molto in, ma, d’altronde, non ve ne erano altri in zona.

Le ragazze diedero al cameriere il loro soprabito e si accomodarono al tavolo, fingendo di non notare come l’aspetto pomposo del locale mal si sposasse con il loro abbigliamento sportivo.

 

“Accidenti, che figuraccia!” ridacchiò Hilary. “Ti credo che ci hanno spostato nel tavolo più in fondo di tutta la sala.”

 

Mao parve non farci nemmeno caso. “Rispondi alla mia domanda?”

 

La bruna fece per aprire bocca, ma arrivarono i menù, che lei aprì con crescente entusiasmo. “Guarda che cose buone che ci sono qui, ragazza mia! Adoro la cucina italiana, è veramente un sacco che non ne mangio. Tu che prendi?” fu quando l’amica le scoccò un’occhiata assassina che la giapponese calmò il finto entusiasmo.

“Okay, non lo so. Devi vedertela tu. Se non ci fosse un certo cinese di mezzo, tu e Shane… Sareste perfetti. Il punto è che Rei esiste. E non credere che Emily non mi abbia raccontato di ieri.

 

Mao si passò una mano tra i capelli chiari. “Sono ancora più confusa di ieri. E allo stesso tempo non lo sono.”

 

Hilary si accigliò. “Che intendi?”

 

“Quando si è presentato da me facendomi quella scenetta alla Love Actually… Mi ha stupito.” lo disse mordendosi il labbro inferiore, poi sorrise, come se si stesse perdendo nel ricordo.

 

La bruna scrollò le spalle. “Io ce lo vedo, onestamente. Voglio dire, Rei mi sa di romantico.”

 

Mao scosse la testa. “No, voglio dire che… Love Actually è il mio film preferito. Ma io non pensavo lui lo sapesse.”

 

La giapponese assunse un’espressione pensosa. “Io preferisco Il Laureato.”

 

 “In tutti questi anni ho pensato che mi considerasse soltanto una sorella, o peggio, la sorella del suo migliore amico… E ora scopro che non è così.” Mao scosse la testa, e una cascata di capelli chiari si mosse con lei. “Quanto tempo sprecato…”

 

Hilary fece spallucce. “Io non ho mai dubitato dei sentimenti di Rei per te. La sua unica colpa è di non averne mai parlato con te. Ma come ti parlava, come ti guardava… Era chiaro. Forse chiaro per tutti tranne che per te.”

 

La cinese sospirò. “Insicurezza. Che brutta parola… Può minare molti rapporti e anche l’equilibrio di molte persone.

 

L’altra annuì lentamente. “Tesoro, cosa farai adesso con Rei e con Shane?”

 

Mao pareva essere immersa nei suoi pensieri. “Anche se lui fosse stato l'ultimo uomo sulla terra, non vorrei mai essermi innamorata di lui. Un attimo di dannata insicurezza, e ho trovato me stessa tra le braccia di un’altra persona. Non avrei mai dovuto innamorarmi di lui.”

 

Hilary scostò la testa di lato. “Tesoro?”

 

La cinese sospirò. “Riflettevo a voce alta.” sbuffò. “Riguardo Shane, mi sa che lo lascerò. Per Rei… Sono così spaventata…” con le dita tamburellò sul tavolo, fino a quando la mano di Hilary non coprì la sua, come a farle forza e a dirle che, si, l’avrebbe superata, questa paura.

 

 

 

 

 

“Ecco qua, principessa: sana e salva.”

Mao si fermò a fissare i contrasti di luce che le lampade dell’albergo creavano con i capelli di Shane: da rossi, parevano, in certi punti, essere quasi biondi, mentre in altri, quasi castani.

 

Quel ragazzo era simpatico, spiritoso, di compagnia, con lui le ore passavano in fretta… Era davvero adorabile: peccato che accanto a lui non sentisse un brivido quando solo la sfiorava. Niente farfalle nello stomaco, niente brividi lungo la schiena, niente tremolii alle ginocchia… Niente di nulla. Era davvero demoralizzante.

 

“Grazie per la bella serata.” Mao si sforzò di sorridere, ma, quando, in realtà, era spaccata a metà: quella sera erano andati in giro per le vie di Dublino, era stata una serata meravigliosa, e qualsiasi altra ragazza avrebbe visto in Shane il ragazzo ideale… Ma non lei.

 

Perché aveva capito che poteva viaggiare per il mondo, farselo a nuoto, girarlo con la canoa, con l’aeroplano, con la nave… Ma il pensiero di Rei sarebbe rimasto sempre con lei. Così come quello dei suoi affetti: suo fratello, tutti i suoi amici… Non poteva sradicarli dal suo cuore con uno schiocco di dita.

Lei era Mao Cheng, lo sarebbe stato per sempre, qualunque strada avrebbe scelto di intraprendere.

 

Per quello aveva deciso che quella sarebbe stata l’ultima sera con Shane. Il giorno dopo avrebbe rotto con lui.

 

Cos’avrebbe fatto con Rei era ancora tutto da stabilire. Se ci fosse stata Hilary nella sua testa, in stile grillo parlante, le avrebbe detto di andarselo a riprendere.

 

Eh, ma in che modo?

 

Quando Shane intrecciò le dita con le sue, Mao si sforzò di sorridere: non era giusto prenderlo in giro così, lo sapeva, ma d’altro canto non sapeva proprio che altro fare.

Le labbra di lui arrivarono sulle sue alla velocità della luce e tutto quello che avvertì fu… Nulla. Un semplice contatto di labbra. Ricambiò il bacio, passandogli il braccio dietro il collo per qualche secondo ma lo allontanò da sé subito dopo.

 

“Okay,notte.” fece, ridacchiando.

 

Shane sorrise. “Buonanotte.” le sussurrò all’orecchio, per poi posarle un bacio sul collo. E ancora una volta, quello che provò fu… il nulla più completo. Una semplice alitata sul collo.

 

Eppure non poté fare a meno di pensare che se l’avesse fatto un’altra persona, a quell’ora si sarebbe retta a malapena sulle ginocchia.

 

Vide Shane varcare la soglia dell’uscita dall’hotel, e sospirò. L’indomani sarebbe stato un giorno pesantissimo.

 

“Ci divertiamo, eh?” sobbalzò a sentire l’ultima voce che si aspettava di sentire in quel frangente.

 

Che diamine ci faceva Rei lì, a quell’ora, nella hall dell’hotel, con le braccia conserte e con un cipiglio scurissimo sul volto?

 

Mao strinse gli occhi. “Ho festeggiato il mio compleanno.” ribatté, gelida. “Il mio fidanzato se ne è ricordato e mi ha festeggiato.”

 

Il ragazzo chiuse per un frangente gli occhi, come a volersi calmare, ma rimase terribilmente serio: parlò molti secondi dopo, e con un tono di voce terribilmente severa.

“Mi dispiace.” sussurrò. “Certe volte sono geloso pensando che qualcuno possa renderti più felice di quanto faccia io. Sono le mie insicurezze, credo. Perché so di non essere il più bello, il più intelligente, o il più divertente ed emozionante.” poi la inchiodò con lo sguardo, e per la ragazza fu come annegare. “Ma una cosa la so: non importa quanto a lungo tu possa cercare; non troverai mai qualcuno che ti ami quanto ti amo io.”

 

Mao lo fissò a bocca aperta, sbalordita da quella dichiarazione inaspettata; lo fissò per un istante, dopodiché si incamminò verso le scale, come Cenerentola quando si rese conto che era troppo tardi.

Solo, che a differenza di Cenerentola, non era troppo tardi.

 

 

 

 

 

Hilary cominciava ad averne abbastanza: da quando aveva quattordici anni aveva acquisito più maturità, più elasticità mentale, insomma, era cresciuta… Ma se la si metteva alla prova, erano guai.

“Okay, fammi capire.”

Erano le due di notte, e le ragazze stavano facendo uno dei loro pigiama party; Erano stati interrotte dall’arrivo di una Mao visibilmente scossa che aveva iniziato a farneticare sconnessamente.

“Ripeti, ti prego.”

 

La cinese prese a sciogliersi i lunghi capelli che teneva raccolti in uno chignon basso molto elegante, che ricaddero, liberi, sulle sue spalle. “Sono arrivata nella hall, stavo baciando Shane. Gli ho dato la buonanotte, ed è andato via.” armeggiò un po’ con la lampo, poi sbuffò. “Qualcuno mi aiuta?”

 

Mathilda intervenne, paziente, ad abbassare la cerniera all’amica. “Ecco fatto.”

 

“All’improvviso dietro di me subentra Rei. Fa delle battutine e io gli rispondo a tono. Lui si dichiara per la terza volta, io capisco che siamo fatti per stare insieme, lo lascio lì come un allocco e vengo qui senza dirgli una parola.”

 

Le ragazze ammutolirono, visibilmente sconvolte.

 

“Brava.” Julia spezzò il silenzio. “Prendi un uomo e trattalo male: così si fa.”

 

Hilary sbuffò. “Torniamo al pigiama party, che è meglio.” dentro di sé sentiva crescere un’irritazione fuori dal comune: quei due avrebbero combinato qualche cavolata, se lo sentiva. Meglio intervenire subito, o sarebbero stati guai e di quelli belli grossi.

Mandò un sms a Julia, che lettolo, le rispose con un occhiolino: fortunatamente poteva contare su validi alleati…

 

 

 

 

 

“Davvero sei cresciuta in un circo?” Shane sbatté gli occhi, incredulo, come se la ragazza davanti a lui gli avesse appena rivelato di avere una seconda testa.

 

“Beh? Qual è il problema, querido? Non ci credi?” distendendo le lunghe gambe davanti a lui per poi accavallarle, la madrilena gli lanciò un’occhiata maliziosa, ricambiata da uno sguardo affascinato: quel giorno Mao  era in ritardo, e lei e il ragazzo si erano incontrati per caso nella hall dell’hotel.

 

“No, non è questo, è che sei così…Normale. In realtà avevo dubitato persino che tutte voi foste delle bladers. Non mi sembrate in grado di fare grandi cose.

 

Ma senti un po’ questo

Julia inarcò le sopracciglia, resistendo alla tentazione di dirgliene quattro. “L’apparenza inganna.”  commentò, secca. “Piuttosto, tu e Mao avevate appuntamento qui?”

 

“Sì; anzi è strano che lei sia in ritardo, solitamente è così puntuale…

 

La spagnola glissò sull’ultima affermazione del ragazzo. “Il campionato tra un paio di giorni si sposterà a Berlino… Voi come farete? Voglio dire, Mao è una blader, è della Cina, tu sei di qui… Credo sia complicato.

 

Lui scrollò le spalle. “Lo so, ma… Non facciamo programmi. Guardiamo in faccia la realtà, Julia: stando insieme, sia io che lei sapevamo che sarebbe stata una storiella senza pretese, finita nel giro di poche settimane. Non mi aspettavo certo di sposarla, no?”

 

La spagnola esibì un sorriso irritante. “Ti dispiace scusarmi un attimo?” mollò l’irlandese nell’atrio dell’hotel e, pochi passi dopo si arrestò, incrociando le braccia. “Soddisfatte?”

 

Mao guardava davanti a sé con occhi disillusi, mentre Hilary sospirò. “Beh?”

 

La cinese guardò le amiche negli occhi. “Vado a mettere fine a questa farsa.”

 

Dios mio, sarebbe anche ora!”

 

 

 

 

 

Emily entrò nella stanza che condivideva con le sue amiche sentendosi parecchio confusa ma anche contenta: qualcosa stava accadendo tra lei e Max, anche se non sapeva bene che cosa… Ridacchiò, pensando alla chiacchierata di un’ora e mezza che avevano fatto sulle scale, salvo poi accorgersi che stavano intasando il passando per gli altri clienti dell’hotel e salutarsi.

 

“Beh?”

A sentire la voce alterata di Hilary, all’inizio l’americana pensò che ce l’avesse con lei; solo dopo qualche istante realizzò che la domanda era rivolta ad una Mao che, acciambellata sulla poltrona come una gatta, pareva non avesse la minima intenzione di smuoversi. “Hai intenzione di stare lì? Di non fare nulla?”

 

“Scusate, qual è il problema?” Emily posò la borsa, guardando le due interrogativamente.

 

Visto che ho lasciato Shane, secondo Hilary dovrei correre da Rei.”

 

Passandosi una mano tra i capelli rossicci, Emily  aggrottò le sopracciglia. “C’è ancora qualcosa che ti turba?”

 

“Tutto. E’ come se-”

 

“Si caga sotto.” le rimbrottò contro Hilary-

 

“Mi pare lecito.” Mao le lanciò un’occhiataccia che fece stringere i pugni alla giapponese: non poteva sopportare di sapere i suoi due amici ad un passo dal coronamento del loro sogno d’amore e mandare tutto all’aria per paura.

 

Nervosa, uscì dalla stanza, capendo che se fosse restata lì dentro avrebbe solo litigato con la sua migliore amica; che ci voleva ad andare da Rei a parlargli? Okay, magari lei non era la persona più adatta per dirlo, visto che nella sua vita non si era mai innamorata, ma… Si arrestò quando vide quando vide l’oggetto dei suoi pensieri.

Rei si trovava al bar dell’hotel, stava parlando con Kai.

Marciando spedita nella loro direzione, li raggiunse prima ancora di poter collegare il cervello alla bocca. “Rei Kon.” sbottò. “Cosa ci fai qui?”

 

Quello sgranò gli occhi, mentre il russo inarcò le sopracciglia nella sua direzione come a dire:Uh, sì, mi sa che ce l’ha con te.

 

“Stavo parlando con Kai di Berlino, visto che-

 

“Non mi interessa di cosa stavate parlando!” esclamò la ragazza. “Perché non sei a sistemare le cose con Mao?”

 

Si irrigidì di colpo. “Ho giocato le mie carte, che altro dovrei fare?” sbottò, incupendosi. “Lei, poi, sta ancora con quel-”

 

“L’ha lasciato; due giorni fa.”

 

La faccia del cinese, in quel frangente, divenne tutta un programma. “Cosa?!

 

Hilary incrociò le braccia al petto. “Santo cielo, quanto mi fate sclerare voi maschi! Rei, non ti insulto perché sei mio amico e ti adoro, ma… Dannazione, hai in te la tigre bianca solo quando ti conviene?! E sfoderali,sti artigli, cazzo! Vuoi qualcosa che, tra parentesi, vuole anche te? Allunga una mano – molto figuratamente parlando – e prenditela!” tuonò la giapponese. “Che cosa stai aspettando?!

 

Rei era come intontito: sia per le parole a raffica da parte della sua mica, sia per… “Hai detto che lei…?”

 

Hilary lo guardò malissimo. “Se adesso non vai lì e le fai una dichiarazione degna di James Dean, giuro che la mia ira funesta si abbatterà su di te.” la ragazza sgranò gli occhi e prese a saltellare. “Ma sei ancora qui?! Muoviti!”

 

Rei scosse la testa, e sorrise. “Con permesso.” e poi le ali si impossessarono dei suoi piedi, perché volò via alla velocità della luce.

 

Kai osservò la giapponese, stando bene attento affinché non si accorgesse del sorriso di ammirazione che gli era spuntato sulle labbra: che furia, quella Hilary… Alta poco più di un metro e sessanta, ed era in grado di tenere testa ad una mandria di sportivi grandi e grossi almeno il doppio di lei.

 

“Se le cose non vanno come previsto… Li do in pasto a Takao. Tutti e due.” Fu qui che non poté impedirsi di sorridere.

 

 

 

 

 

Detestava provare quella strana inquietudine che sentiva alla base dello stomaco: pareva che le sue interiora si fossero aggrovigliate per uno strano scherzo della natura e che questo avesse il potere di farla star tesa come una corda di violino.

Hilary era uscita dalla stanza ormai da un po’, Emily aveva preferito lasciarla da sola, e per quello la ringraziava… Non aveva voglia di parlare con nessuno, aveva bisogno di stare da sola: lei, lei stessa e i suoi pensieri.

 

Sospirando, si alzò dalla poltrona, passandosi una mano tra i capelli, e sobbalzò quando sentì bussare con una certa decisione; inarcando le sopracciglia, andò ad aprire, chiedendosi quale delle sue due compagne di stanza si fosse arrabbiata così tanto per bussare con così-

 

Rei. Rei e i suoi occhi; decisi, furibondi, timorosi, ma anche pieni di aspettativa. “Che vuoi?”

 

“Hai lasciato il tuo fidanzato.”

 

Assunse un’aria ironica. “Beh, sì.” il suo cuore aveva preso a galoppare ad una velocità mai provata prima, e i suoi occhi si erano già persi in quelli color caramello di lui.

 

“Si dice che il momento buono per dichiarare il proprio amore ad una persona sia prima che lo faccia qualcun altro; e io ho corso per arrivare qui proprio perché non commetto lo stesso errore due volte.”

 

La ragazza sentì il proprio cuore implodere, e proprio mentre gli occhi di lui affondavano nei suoi per quasi non riemergere più, fu la ragione a reclamare la propria parte, e a gran voce. “Pressata.” gracchiò. “Mi sento pressata.” per dirlo dovette fare uno sforzo immane, tanta la felicità che le era esplosa nel cuore, nello stomaco, non arrivando però nella testa, che reclamava la propria parte. “Ti ho aspettato per anni, sono sempre così scontata, io… Basta.” esalò, come se stesse riemergendo dopo cinque minuti ininterrotti di apnea.

“Ti amo, lo sai che ti amo, ma… Vorrei fare qualcosa per me stessa, qualcosa di più. Invece sono la solita, prevedibile Mao. Un cliché assurdo.”

 

Era incredibile come lui non staccò gli occhi da lei nemmeno per un secondo. “No.” lo disse come fosse la cosa più naturale del mondo. “Tu sei mia, ed è diverso. Tu sei quella normalità senza la quale il mondo – il mio mondo – non potrebbe girare, perché appena te ne sei andata, ho iniziato a vacillare.” le si avvicinò, e non appena fu tra le sue braccia, prese a rilassarsi, come se quell’abbraccio fosse stato fatto apposta per lei. “Non ti lascerò mai più andar via.”

 

Lei inarcò le sopracciglia con aria di sfida. “E se io volessi viaggiare proprio come hai fatto tu anni fa? Se decidessi di trasferirmi alle Hawaii ad intrecciare ghirlande?”

 

“Ghirlande siano.”

 

Polo nord?”

 

“Mi sono sempre chiesto come fossero fatti gli igloo.”

 

Equatore?”

 

“Sarà interessante tentare di abbronzarsi.”

 

Fu lì che Mao scoppiò a ridere, rovesciando la testa indietro. “Mi hai convinta… Solo una cosa: come mai tutto questo romanticismo? E’ un po’ sospetto…”

 

Lui si guardò intorno, poi assunse un’aria supplichevole. “Se te lo chiede Hilary… Io sono stato all’altezza di James Dean, okay?”

 

 

 

 

 

 

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

 

 

Oooooh: con Rei e Mao sono letteralmente uscita pazza per farli risultare come li volevo io, ma alla fine ce l’ho fatta, e tutto questo grazie alla Pad: ringraziatela tutti perché non so come avrei fatto senza di lei! ç___ç

Spero davvero che anche questo missing moment vi sia piaciuto e non sia stato banale, idiota, cretino o altro… xD

 

Noi ci risentiamo Venerdì 20 e… Cominciate a tremare. Perché sarà la prima parte di un missing moments bello tosto; sì: Lexy90, sto guardando proprio te. ;D

 

 

Grazie davvero a tutti coloro che hanno recensito, letto la fanfic più volte, messo tra i preferiti- seguiti- da ricordare. *__*

Vi adoro, vi adoro, vi adoro, vi adoro.

 

E sto lavorando per voi. u___u

 

A presto ;D

 

 

 

Hiromi

   
 
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