Crossover
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Autore: Darik    19/02/2006    2 recensioni
Dopo aver sfiorato l'apocalisse, l'umanità sperava che il tempo delle guerre fosse finito... Un cross over tra FMP, due famose serie gonagaiane e un'altra serie, diciamo nascosta. Nota: questo racconto è il seguito di NGE Vs Mazinga.
Genere: Avventura, Azione, Commedia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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5° CAPITOLO

“Mamma mia, sono stanca morta!”

Chidori si lasciò cadere sul letto, la giornata di ieri l’aveva stremata al punto che a scuola era stata più volte sul punto di addormentarsi.

E adesso non aveva neppure voglia di togliersi l’uniforme scolastica.

Sapeva comunque che c’era chi stava peggio di lei in quel momento, come la sua amica Tessa, tutta presa da rapporti e riunioni con i suoi superiori a causa della battaglia del giorno prima, che aveva visto un cambiamento di strategia del nemico e la comparsa di un nuovo robot.

Che si trattasse dell’oggetto volante non identificato di cui le aveva parlato Tessa?

E chissà chi lo pilotava.

Ma era davvero stanca e c’avrebbe pensato dopo una bella dormita.

Gauron si aggirava per la città di Neo-Tokyo 4, dove alcuni quartieri erano chiusi a causa della battaglia del giorno prima.

E nonostante ciò, la gente non aveva perso la voglia di vivere la loro vita come sempre.

Le strade erano piene come al solito.

E Gauron era contento di tanta vitalità, perché gli avrebbe permesso di uccidere più persone possibili.

Ma in quell’occasione doveva trattenersi, non doveva attirare troppo l’attenzione, solo individuare il pilota del misterioso disco volante.

Non sapeva chi fosse, non sapeva perché i suoi padroni lo volessero, e non gli interessava neppure.

Ma sapeva come trovarlo, dato che i suoi sensi erano stati modificati per permettergli di trovare tracce invisibili ai sensi umani.

Inoltre il suo obbiettivo aveva qualcosa di unico, che lo distingueva da tutti gli altri e quindi lasciava una traccia chiaramente distinguibile.

Una traccia che aveva già agganciato, anche se non recentissima.

Comunque era un punto da cui iniziare.

La traccia lo condusse davanti ad un negozio di vestiti.

Chidori si alzò stiracchiandosi, aveva dormito per due ore, ma erano soltanto le cinque del pomeriggio.

Avrebbe dovuto mettersi a studiare, ma non ne aveva proprio voglia.

“Ma si, esco a fare una passeggiata, cosi magari lo rincon…”

Si fermò a riflettere su quello che stava dicendo.

Lo rincontrerò?

Quel tipo strano?

E perché mai?

E perché gli era venuto in mente proprio ora che sembrava essere riuscita a dimenticarlo?

“Oh mamma mia, ma non sarà mica… no, assolutamente no!”

Si mise a sedere sul letto, a rimuginare.

Di restare a casa proprio non le andava, ma uscendo avrebbe corso il rischio di incontrare nuovamente quel Sousuke.

Però in fondo, in una città come quella, quante possibilità c’erano che si potessero incrociare?

Quasi zero.

E lui non sapeva dove Chidori abitava.

Perciò decise di correre il rischio, si cambiò ed uscì.

Quando fu di fronte all’uscita del condominio, le venne di nuovo qualche timore.

Ma si ripeté che le possibilità erano quasi zero.

Uscì, pensando di andare magari al cinema.

Attraversò la strada, e dopo aver camminato per un po’, vide seduto per terra un mendicante che chiedeva l’elemosina.

“Tenga, vada a mangiare qualcosa di buono” gli disse mettendogli in mano una banconota.

L’uomo la ringraziò, e quando Chidori, sorridendo, fece per riprendere la sua passeggiata, andò a sbattere contro qualcuno.

“Ops, mi scu…”

E sbarrò gli occhi.

“Signorina Chidori, proprio lei”.

“Sa… Sagara?!”

Il ragazzo di prima, con indosso sempre la tuta nera ma stavolta messa nel modo giusto, stava sorridente e sorpreso davanti a lei.

Kaname sospirò.

Le possibilità erano quasi zero.

E quindi non era proprio zero.

Gauron continuava la sua ricerca, sempre con un inquietante e arrogante sorriso stampato sul volto.

Le persone che lo incrociavano, istintivamente si facevano da parte e dopo averlo superato acceleravano il passo.

Sentivano che in quell’uomo c’era qualcosa che non andava.

Ma Gauron non se ne curava, aveva altro a cui pensare.

“Le tracce si fanno man mano sempre più recenti” pensò, mentre arrivava all’ingresso della metropolitana.

“Davvero non la disturba accompagnarmi?”

“Ma no. Tanto non avevo niente da fare” rispose Kaname sorridendo.

Ma dentro di se la ragazza imprecava contro se stessa: aveva deciso di passare un po’ di tempo con quel ragazzo.

Col rischio quindi che quella preoccupante e rapida confidenza aumentasse ancora di più.

Il guaio però era che mentre la sua razionalità trovava troppo strano quel ragazzo, chiedendosi chi fosse, da dove venisse, perché era cosi strano, se per caso era un maniaco o uno sbandato, il suo istinto le diceva che poteva fidarsi ciecamente di lui.

E poteva fare anche di più, volendo.

E questo la spaventava.

Doveva distrarsi in qualche modo.

“Che ne diresti di andare al bar?” propose allora la ragazza.

“Bar?”

“Si. Un luogo dove ti servono da mangiare”.

“Oh be, volentieri. Ma il guaio è che in quei luoghi ho visto che bisogna pagare. E io soldi non ne ho”.

“Oh, non preoccuparti. Di soldi ne ho abbastanza. Dai andiamo”.

E mentre si avviavano verso un bar lì vicino, Kaname si bloccò: “No! Che cosa ho detto! Un bar è un luogo perfetto per avviare una discussione e imparare a conoscersi. Potremmo acquisire sempre più confidenza e…”

“C’è qualcosa che non va?” domandò Sousuke perplesso.

“No, no, niente. Andiamo”.

La povera ragazza non se la sentì di ritirare l’invito, e poté solo pregare che il ragazzo non le facesse domande personali.

Entrati nel locale, Kaname si avvicinò alla vetrina dei gelati.

“Cosa stai guardando?” le domandò il ragazzo.

“I gelati, no?”

“Gelati?”

“Si, gelati. Cosa ci trovi di strano?”

Sousuke assunse un’espressione perplessa e pensierosa.

La ragazza piegò il capo su un lato: “Perché fai quella faccia? Non dirmi che… ma no. E’ impossibile. Stai scherzando, vero?”

La perplessità del ragazzo aumentò vistosamente.

“Tu… non sai cos’è un gelato?”

“No”.

La ragazza cercò di schiarirsi le idee: “Allora prendiamone due, cosi te lo insegno”.

Presi due coni gelato, si sedettero ad un tavolino.

Sousuke guardava incuriosito il suo gelato come se avesse in mano chissà che cosa.

“Immagino che se non sai cos’è un gelato, non saprai neppure come si mangia, giusto?”

“Be… si”.

“Si fa cosi” disse Chidori dando una leccata al suo.

Dopo aver fatto questo si bloccò nuovamente: “Ma stai a vedere che è tutto un trucco per iniziare qualche stupido e volgare discorso sui giochetti con la lingua?!” pensò allarmata.

Ma quando guardò Sousuke, vide che era completamente preso dall’osservare il gelato: i suoi gesti, le sue parole sembravano davvero sinceri, non quelli di qualcuno che finge.

Titubante il ragazzo diede una leccata al gelato, imitando la ragazza.

“Ma è freddo!”

“Ma certo che è freddo! Secondo te perché si chiama gelato?!”

Sousuke sembrò arrossire imbarazzato.

Da un lato Chidori lo squadrò considerandolo un tipo davvero bizzarro, quasi un bambino dell’asilo.

Dall’altro lato però, le venne da pensare che imbarazzato e arrossito era ancora più carino.

“No! Ancora. Chiudiamo subito la faccenda del gelato, va!” pensò allarmata.

Cominciarono a consumare il loro gelato, e Sousuke acquisì sempre più dimestichezza.

Mentre mangiavano, il ragazzo disse: “Posso chiederti una cosa?”

Questa domanda scatenò una tempesta di timori dentro Chidori: “Oh no! Comincia con le domande! Da dove vengo, che vita faccio… oh mio Dio!”

Ma per educazione rispose lo stesso: “P.. prego”.

“Chi erano quei mostri che ieri hanno attaccato questa città?”

“Be” Chidori trasse un sospiro di sollievo “Erano mostri dell’Impero di Micene”.

“Impero di Micene?”

“Si. Un antico impero che intende conquistare questo pianeta. Non lo conosci?”

Il ragazzo fece segno di no col capo.

“Mmm, ma dove vive questo?” pensò Kaname per poi continuare la sua spiegazione: “Si tratta di un regno dalle origini antichissime e sconosciute, che dispone di un esercito di mostri meccanici, come quelli che hai visto ieri. Abbastanza frequentemente attaccano varie città del pianeta, con l’intenzione di conquistarci pezzo per pezzo. Ma per fortuna disponiamo del frutto di tecnologie pre-Third Impact, con le quali riusciamo a fermarli sotto la guida della Mithril”.

“Mithril?”

“Si, un organizzazione che si occupa della difesa del pianeta”.

Chidori ritenne che fosse meglio non menzionare il MazinKaiser, nel caso le scappasse di rivelare che era lei a pilotarlo.

“E dimmi, per favore, cos’è questo Third Impact?”

“Eh? Non conosci neppure questo?! Sei davvero ignorantello in storia, sai?”

“Scusami”.

“No, scusami tu, non volevo offenderti. Be, neanche io sono ferratissima su questo argomento, nessuno lo è, si tratta di un evento avvolto nelle nebbie del mito, sebbene sia stato dannatamente reale, come dimostrano gli oceani”.

“Gli oceani?”

“Si. Sono stati trovati molti reperti archeologici, foto, quadri, vecchi filmati, che dimostrano come fino al 2015 gli oceani della Terra fossero stati azzurri. Ma in quell’anno avvenne il Third Impact: nessuno sa chi o cosa lo provocò, però quando avvenne, l’umanità si trovò vicino all’estinzione. Gli oceani, a causa di uno sconosciuto processo chimico, hanno assunto la loro attuale colorazione rossa, almeno metà della popolazione mondiale scomparve nel nulla, un’intera porzione dell’Asia, in particolare il Giappone, venne ridotta ad un deserto bruciato da un esplosione apocalittica.

Le popolazioni superstiti si riunirono in grandi città soprattutto costiere, collegate tra loro da tunnel lunghi anche migliaia di chilometri.

Questa città per esempio, Neo-Tokyo 4, è stata fondata dai superstiti del Giappone.

E due secoli dopo, quando finalmente l’umanità era sul punto di riprendersi, apparve l’Impero di Micene”.

Sousuke aveva ascoltato con grande interesse quella spiegazione.

Finché Chidori non attirò la sua attenzione: “Ehm, Sagara, il gelato ti sta colando sui pantaloni”.

Sousuke rimase di stucco: “Ma… ma si è sciolto!”

“Ma certo che si è sciolto! E’ freddo, ma stando fuori al caldo si scioglie!”

“Si scioglie cosi facilmente?”

E Kaname si mise una mano sulla fronte: “Ma di tutti i tipi, proprio questo…”

Gauron continuava a seguire la sua pista.

Sembrava che la sua preda avesse girato parecchio, ma non importava.

Un predatore doveva saper essere paziente.

Fu anche interessato dal fatto che da un po’ di tempo alla traccia del suo bersaglio, se ne era aggiunta un’altra, e si trattava di una femmina umana.

Arrivò davanti ad uno stadio.

Lasciato il bar, Sousuke e Kaname stavano camminando su una strada panoramica che dava sulla città, ed era affiancata da un boschetto.

Ormai il giorno volgeva al termine, ed erano visibili le prime stelle.

Era soprattutto lei a parlare, del più e del meno, e Sousuke l’ascoltava senza ribattere.

Ma anche Kaname si era molto rilassata, stando insieme in quel modo, l’eccessiva confidenza che aveva col ragazzo non la imbarazzava.

“Bene, abbiamo, anzi, ho parlato a sufficienza. Ma tu non hai niente da dire?” chiese Kaname.

“No. Vedi, sono un completo straniero qui. Non saprei di cosa parlarti”.

“Come sarebbe a dire? Da dove vieni, scusa”.

“Be.. ecco, è difficile da spiegare, ma si tratta di un luogo molto lontano, e del tutto diverso da questo”.

“Quanto lontano?”

Sousuke si guardò intorno: “Ecco, volendo fare un esempio” puntò un dito verso il cielo “Vedi quella stella lassù? Immagina che quella stella corrisponda a questa città. Il luogo da cui provengo io” e spostò il dito di parecchio verso sinistra “corrisponde a quell’altra stella, parecchio distante dalla prima”

Kaname lo guardò dubbiosa.

Che razza di esempio era?!

“Mi stai prendendo in giro?”

“No” rispose lui, ancora con quella voce del tutto sincera.

“E perché saresti venuto qui da un luogo cosi lontano?”

“Non so spiegarlo. Qualcosa mi ha spinto a venire qui, una specie di impulso”.

“Tutto qui?”

“Si”

Stranamente quella risposta le ricordava qualcosa, il fatto cioè che la sua strada si era incrociata con quella del MazinKaiser proprio perché anche lei aveva sentito in un determinato giorno un impulso che l’aveva spinta ad avventurarsi dentro quel misterioso hangar, dove attendeva l’antico gigante.

Quasi come ipnotizzata vi era salita sopra.

E le guardie, accortesi dell’intrusione, l’avrebbero sicuramente abbattuta, se non fossero rimaste a bocca aperta quando sotto i loro occhi il MazinKaiser si attivò senza il minimo problema.

Ma ricacciò quei pensieri, non c’entravano nulla in quel momento, e si concentrò nuovamente su Sousuke.

Kaname non capiva perché quello strano ragazzo non volesse dirle niente di se.

Tuttavia anche lei fino ad allora non gli aveva detto nulla della sua vita.

Quindi non poteva insistere per sapere qualcosa che lei per prima non aveva voluto dire.

“Mmm, va bene, finiamola qui. Tra l’altro si è fatto tardi, e devo rientrare. Faresti meglio a tornare a casa anche tu, prima di ficcarti in qualche guaio”.

“E’ una cosa che dovrei fare, e lo farò, a tempo debito. Comunque voglio ringraziarti”.

“Per cosa?”

“Per avermi aiutato. Sono un perfetto sconosciuto, eppure per ben due volte mi hai dedicato molto del tuo tempo. E non mi hai preso in giro davanti ai miei errori”.

Sousuke fece un inchino.

Kaname arrossì: “Ma no, non c’è bisogno di essere formali. E poi a dire il vero…”

Ci rimuginò sopra un poco, poi pensò che in quel caso confidenza per confidenza…

“… anche io dovrei ringraziarti. L’altra volta, quando mi hai fatto ridere, anche se per poco, mi hai fatta sentire davvero bene. In questa città non mi era mai successo”.

“Allora sono lieto di essere riuscito a renderti felice” disse il ragazzo, facendo un altro inchino.

“Ti ho già detto che non hai bisogno di essere cosi formale!” esclamò imbarazzata la ragazza “Ci vediamo domani”.

“Domani?”

Kaname si mise una mano sulla bocca.

E alla fine si arrese a se stessa.

“Si, domani, al bar di oggi e alla stessa ora”.

“Ci sarò” rispose lui, chiaramente felice.

Kaname lo salutò con la mano e se ne andò.

Sousuke rimase a guardarla finché non scomparve alla sua vista.

Rimasto solo, sospirò e guardò il cielo stellato.

“Quanto vorrei dirtelo…”

Improvvisamente il ragazzo si girò verso il boschetto, con i muscoli tesi.

Aveva percepito un pericolo.

Scrutò con attenzione le fronde degli alberi, ma senza riuscire a vedere qualcuno.

Poi quella sensazione di pericolo scomparve.

E anche Sousuke, guardingo, se ne andò.

Kaname cercò le chiavi davanti alla porta di casa, ma aveva difficoltà a trovarle perché immersa nei suoi pensieri.

“Incredibile. Gli ho dato un appuntamento! Non avrei dovuto farlo, ma ormai non posso più ingannarmi: quel Sousuke può essere strano e misterioso quanto si vuole, ma… mi piace.

Mi piace stare con lui.

E devo dire che nonostante le sue stramberie, sembra un ragazzo gentile e sensibile.

Speriamo solo di non ficcarci in qualche pasticcio”.

Trovò poi finalmente le chiavi di casa, ed entrò.

“Uffa, ma dov’è l’interruttore?” sbuffò cercando a tastoni il pulsante per le luci.

Quando lo trovò e accese le luci, si ritrovò un uomo sconosciuto davanti a lei, che la fissava divertito.

“Ben arrivata, mia cara!”

E prima che la ragazza potesse reagire in qualunque modo, l’uomo la prese per il collo, la sollevò e la stordì facendola sbattere con la testa contro il soffitto.

  
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