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Autore: Iridia    20/05/2011    1 recensioni
Alhira, sedici anni, nessun passato. Solo un vecchio istinto la guida attraverso il mondo, soltanto dolci occhi ambrati vede nel suo riflesso, nessuna traccia di una vita dimenticata.
Non poteva infliggere dolore. Un essere talmente perfetto, talmente angelico, non poteva sapere come far del male. Quelle iridi di miele, dolci e spaventate, quelle gote pallide che sbocciavano in un rossore lieve come fiori di pesco in primavera. Quelle labbra piene, color ciliegia, quelle che non vedevano un vero sorriso da troppo tempo. Quei capelli mai al loro posto, le mani delicate, quel corpo agile.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sangue.





La vide in piedi, ferma e immobile. Lì, sulla spiaggia, il vestito blu e scintillante che si animava al vento, rivolta verso il mare. Iethan non capiva perché se ne fosse andata così all'improvviso, nel mezzo di uno spettacolo mozzafiato. Forse si era spaventata … o forse aveva ricordato qualcosa.
Avevo corso per raggiungerla ed ora aveva il respiro affannato, aspettò qualche secondo per riprendersi. Quando ebbe recuperato aria, le si avvicinò, con cautela. Si arrestò ad un braccio da lei e la guardò. Quei suoi occhi grandi e ambrati erano fissi verso l'orizzonte, una linea invisibile dietro alla quale le stelle smettevano di brillare.
-Tutto bene?- le chiese a voce bassa, come per non rompere quel silenzio, per non coglierla di sorpresa, per non interrompere il filo dei suoi pensieri.
Alhira staccò lo sguardo dalle onde e guardò la luna, alta in cielo.
-Ho avuto un flashback.- disse con voce ferma. -Un incendio.-
Iethan capì cosa lo aveva scatenato, ed in qualche modo si sentì responsabile.
-Iethan, mi è successo qualcosa prima di svegliarmi qui. Non so cosa, ma … - le parole le si bloccarono in gola. -La mia casa stava bruciando, non la ricordo bene, ma l'ho riconosciuta tra le fiamme. Io non so se ho familiari, non so se sono vivi, dove vivono. Non so se mi stanno cercando o se sono stati loro a lasciarmi. Ma la mia casa stava bruciando. Io ero lì, tra i pezzi che cadevano e l'aria che diventava irrespirabile.-
Il ragazzo la lasciò parlare, ascoltando ogni sua parola, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare per lei.
-C'era una voce. Sempre la stessa voce che mi urlava di correre, di uscire da quell'inferno. Io la conosco, ma non so di chi sia. Come si possono dimenticare le persone a cui si vuole bene? Perché ricordo come è fatto questo mondo, ogni isola, fiume o vetta, ma non ho nessuna immagine di una voce, della mia infanzia?- fece una pausa e sospirò.
-Scusa se me ne sono andata così. Lo spettacolo era meraviglioso, davvero. Tu e Laglor stavate creando meraviglie dal nulla ed io …-
-Alhira. Non te ne devi preoccupare. L'importante è che tu stia bene, lo spettacolo viene dopo.- Lei fece qualche passo indietro per uscire dall'acqua e si sedette sulla sabbia, con le ginocchia strette al petto. Iethan fece lo stesso e rivolse lo sguardo alle stelle.
-Sai, io non ho mai conosciuto mia madre. E' morta quando la nave che la stava trasportando verso gli arcipelaghi è affondata. Era inverno, le temperature troppo basse, la costa troppo lontana. Non trovarono il suo corpo.
Sono cresciuto con mio padre. Lui non ha mai voluto un figlio, non ha mai voluto un ragazzo come me. Non mi considerava, non mi insegnava nulla. Fino a dieci anni ho vissuto come se non avessi famiglia; al mattino andavo dal saggio del villaggio per imparare, tornavo a casa e trovavo mio padre, spesso ubriaco. Al pomeriggio andavo a fare dei lavoretti qua e là, spazzavo, lucidavo le finestre, aiutavo nei negozietti. Alnifer mi dava sempre qualche moneta per pulire gli scaffali dalla polvere, Gelil mi ricompensava dandomi cinque o sei monete oppure con piccole magie, che al tempo erano oro per i miei occhi.
Quando mio padre si accorse che … beh, che non ero il ragazzo che i padri si aspettano, mi volle cacciare di casa. Non sapevo lavorare la terra, non sapevo combattere, non ero forzuto. Amavo però leggere, mi piaceva aiutare le persone, la natura mi affascinava e Gelil mi aveva proposto più volte di insegnarmi ciò che dovevo sapere sulle arti curative e sulla magia. Sarebbe stato un lavoro, sarei riuscito a vivere, a staccarmi da lui.- Iethan si fermò e guardò Alhira dritta negli occhi.
-Purtroppo si ammalò. Gelil disse che era incurabile, che non avrebbe potuto far nulla se non alleviare le sue sofferenze.
Fu una lunga agonia. Lui mi rifiutava, non mi voleva vedere, diceva che ero sempre stato una delusione e che in quel momento rappresentavo il suo più grande fallimento. Gelil mi ripeteva che era la malattia a parlare, ma sapevo che non era così. Malattia o non, quello è sempre stato ciò che mio padre ha pensato di me.
"Vattene" mi disse. Quelle furono le sue ultime sillabe prima di spirare. Non … non riesco a dimenticare il disprezzo della sua voce, lo sguardo fisso altrove, come se guardarmi avrebbe potuto procurargli altre sofferenze.
Da allora vivo con Gelil, studio magia, la aiuto nel suo lavoro. Molte volte viaggiamo verso le isolette al largo, altre dobbiamo incantare oggetti per i mercanti. Gelil da allora, da otto anni fa,è la mia unica famiglia.-
-Mi dispiace, Iethan.- disse Alhira turbata dalla storia del ragazzo. Faceva fatica ad immaginare come potesse essere passare un'infanzia simile. Lei non ricordava la propria, non sapeva né dove, né con chi era cresciuta. -Oh non ti preoccupare, Gelil è stata un'ottima tutrice.- le disse sorridendo.
Una domanda le sorse spontanea: dopotutto i calcoli non mentivano. Quanti anni doveva avere allora Gelil perché potesse prendersi cura di Iethan? Se in quel momento non ne aveva più di sedici, come aveva fatto? Era sicuramente più giovane di lui.
-Posso chiederti una curiosità?-
-Certo, dimmi pure.-
-Quanti anni ha Gelil?-
Iethan rise.
-Ho dimenticato di dirti che Gelil è leggermente più vecchia di quel che vuol sembrare. Lei ha trentacinque anni, ma preferisce apparire come una ragazzina perciò beve delle pozioni particolari che la fanno ringiovanire per qualche mese. Credo di averla vista soltanto qualche volta nel corpo della sua età; ti posso dire che non cambia il proprio aspetto per vanità. E' una donna affascinante, non avrebbe motivo di voler essere un'adolescente per apparire più bella. In ogni caso, non ho ancora capito il perché …-
In fondo non fu una sorpresa per Alhira, in qualche modo l'aveva sempre sospettato che una ragazzina talmente giovane non potesse avere così tante conoscenze.
-Questo spiega tante cose. - rispose. Alhira aveva bisogno di parlare, voleva dimenticare fiamme e fumo, per quella sera ne aveva avuto abbastanza.
-Quanto ti manca all'esame per diventare guaritore?- chiese a Iethan.
-Poco, qualche incantesimo, la preparazione di alcuni composti. Le ultime gocce di tutti questi anni di studio … Beh, non diventerò un vero guaritore come Gelil, dovrò far pratica per un paio d'anni, dare altri esami, ma questo è il primo e vero traguardo importante che raggiungo.-
-Come funzionano gli esami di magia?-
-C'è una commissione formata da quattro maghi, un esperto specializzato nell'esaminare i giovani, ed il maestro, il quale però non può influenzare il verdetto finale. Di solito chiedono di eseguire gli incantesimi di base, quali sono le procedure e gli ingredienti dei composti curativi, quesiti sull'anatomia delle popolazioni presenti nei Territori conosciuti; bisogna saper curare un umano come bisogna saper curare una Cecaelia, si deve sapere la fisionomia ed il funzionamento dell'organismo di ciascuna specie, è fondamentale per poter sapere quali magie applicare.-
- Deve esserci molto materiale da studiare … - disse pensando all'enorme quantità di informazioni che Iethan doveva aver appreso in tanti anni. -Cosa è una cecaelia?-
-E' un essere che ha la parte superiore del corpo molto simile a quella umana, mentre la parte inferiore è composta da lunghi tentacoli, come quelli di una piovra. Vivono soprattutto nei mari del Sud e non sopravvivrebbero fuori dall'acqua.-
-Deve essere bellissimo vivere sott'acqua.- disse Alhira fissando il mare.
-Esiste una pozione che ti permette di respirare sott'acqua, ma è molto complicata da preparare. Servono ingredienti rari, tanto tempo e pazienza. Una volta Gelil l'ha preparata per il mio undicesimo compleanno, sono rimasto sui fondali della baia per un giorno intero. Non ho avuto il coraggio di allontanarmi fino alle isolette.- rimase in silenzio; un pensiero doveva averlo interrotto bruscamente.
Alhira sapeva perché non aveva voluto andare al largo, perciò cambiò discorso:
-Hai mai volato? Esiste un incantesimo anche per quello?-
-Si, c'è un incantesimo che ti permette di levitare a qualche braccio da terra. Nulla di più, volare come un falco è il sogno di quasi tutti gli esseri condannati a passare la loro vita con i piedi a terra, se esistesse qualcosa del genere molto probabilmente passerei le mie giornate immerso nelle nuvole. Tornerei a terra solo per dormire e avrei già visitato tutto questo mondo e le terre sconosciute, sarebbe meraviglioso. Nulla a che fare con il volare su un drago. Io odio i draghi; sono solo grandi rettili alati con l'intelligenza di un gallo. Non hanno un bell'aspetto, le loro stalle sono sempre impregnate di un odore nauseante e sono ricoperti da una corazza dura e ruvida. Piuttosto che salire su un drago un'altra volta preferirei fare tutto il viaggio a piedi. Ricordi vero come sono fatti i draghi?-
-Certo, e li trovo molto affascinanti- disse Alhira. -I loro occhi sono stupendi e la leggerezza con cui si librano in aria è qualsi ultraterrena.-
-Beh, se mai dovrai viaggiare con me, non sarà a cavallo di un bestione del genere!- Iethan rise.

All'improvviso la notte sembrò più buia. Le esibizioni nella piazza si erano concluse e le lanterne erano state spente su tutte le strade, lasciando il villaggio buio e silenzioso.
-Forse è meglio tornare a casa, Gelil si starà preoccupando …- disse Iethan prima di alzarsi e scrollarsi di dosso la sabbia. Aiutò Alhira, e nell'oscurità ritornarono a casa.



Quella notte sognò. Incubi e scene meravigliose, luci e fiamme, paura e stupore. Quando si svegliò, poco dopo l'alba, non li volle ricordare, voleva soltanto cominciare una nuova giornata alla ricerca di se stessa. Era mattino presto; il sole era ancora basso e grande, luminoso ma freddo. Sentiva passi nell'altra stanza, forse Gelil e Iethan erano già svegli. Decise di vestirsi e di uscire dalla camera per vedere cosa stavano facendo. -Vi prego fate presto, non so quanto potrà resistere … - la voce che parlò le era estranea. Era una donna con il viso rigato di lacrime, tra le mani teneva stretto un fazzoletto azzurro, portava una casacca bianca, una larga gonna marrone ed un grembiule sporco di rosso.
Sangue.
Iethan e Gelil si muovevano rapidi prendendo boccette, erbe e libri e mettendoli in una sacca.
-Alhira, devi rimanere qui finché non saremo di ritorno. Dobbiamo aiutare un uomo ferito, si trova nella zona agricola, è piuttosto distante ma cercheremo di ritornare il prima possibile.- disse Gelil con voce ferma mentre si muoveva da una parte all'altra della stanza in cerca di un mazzetto di foglie.
-Certo.-
-Bene, il cibo è nella dispensa. Fa attenzione e non uscire.-
-A dopo!- le urlò Iethan uscendo assieme alla donna.
Alhira ricambiò il saluto e fu sola nella piccola casetta.
Grandioso, non posso uscire, però qui è pieno di libri …
Fece un giro scorrendo con lo sguardo tutti i titoli. La maggior parte di essi era in una lingua a lei sconosciuta, molti parlavano di pozioni ed incantesimi avanzati. Scorse poi un libretto dalla copertina rossa e consumata, le pagine gialle e leggermente scolorite. Una calligrafia quasi infantile sulla copertina aveva scritto un nome: "Iethan". Alhira sorrise e lo aprì. Nella prima metà aveva erano appuntate note varie sulla magia, poi aveva iniziato a scrivere caratteri a lei sconosciuti, li aveva ripetuti per pagine per imparare a tracciarli correttamente. Infine Alhira trovò i primi incantesimi, cose alquanto banali; sollevare un oggetto, creare un punto luminoso, accendere un fuoco. Piccoli scarabocchi indicavano come porre le mani, come concentrarsi, altri erano soltanto frutto della sua fantasia. Sull'ultima pagina, in piccolo ed in un angolo, vi era scritto "Il mio primo quaderno di magia" e di fianco c'era una macchia d'inchiostro che dall'ultima lettera si era propagata per una buona parte del foglio. Doveva essere uno dei ricordi più preziosi di Iethan, pensò. Lo ripose sulla mensola dove lo aveva trovato e si mise in cerca di un foglio, inchiostro ed una penna. Non ci mise tanto, erano vicino ad una raccolta di pergamene arrotolate da nastri colorati e riposte ordinatamente dentro una sacca. Aprì la boccetta e vi immerse la punta di una piuma blu dai riflessi verdi. Prese il pezzo di pergamena, bruciacchiato da un lato e strappato dall'altro, e cominciò a tracciare una linea. Doveva ricordare come controllare il tratto, come regolare la pressione della mano. Sapeva che aveva imparato a scrivere ed a leggere fin da piccola. Prese presto confidenza, così scrisse il proprio nome. Le lettere erano inclinate verso sinistra, strette e delicate. Contemplò per una attimo la propria calligrafia e riprese a muovere la punta della penna disegnando linee prive di significato lasciandosi trasportare dalla piacevole sensazione che le dava quel suono. Continuò a scarabocchiare parole sconnesse soltanto per vedersi scrivere, disegnò fiori e foglie lungo i margini del foglio mentre fuori il sole saliva sempre più in alto.
Presto le venne fame, così cercò qualcosa da mettere sotto i denti, nella dispensa, dove le aveva detto Gelil. Nel pomeriggio riprese ad osservare i libri, a sfogliarli con una delicatezza esagerata, quasi come se le pagine fossero di polvere. Navigò con la mente tra "I miti dei Centauri" e "Le Storie dell'Est"; due tra i pochi libri di narrativa che trovò. Imparò i nomi delle piante che si trovavano nei dintorni, leggeva divertita i commenti ironici scritti vicino al testo su cui aveva studiato Iethan. Il sole continuava il proprio cammino, cocente e luminoso.
Cominciava ad annoiarsi, ogni tanto si sporgeva sulla finestra che dava sulla strada, respirava un poco d'aria marina, disegnava, leggeva.
L'aria si fece sempre più umida mentre un grigiore si impadroniva poco a poco del cielo. Nuvole scure avanzavano lente sospinte dalla brezza di mare, andavano ad oscurare il sole, a spegnere l'azzurro e ad inghiottire luce. La brezza diventò vento, foglie volavano sospinte dall'aria, la spiaggia era oscurata da una nuvola di sabbia, le vele delle navi di ritorno si gonfiavano a dismisura. Alhira fu costretta a chiudere le finestre per evitare che una raffica facesse cadere fogli e pergamene varie. Rimase ad osservare il tempo peggiorare. In qualche strano modo le piaceva. Si sentiva piena di energie quando l'aria spingeva con forza, l'odore di pioggia la eccitava.
Quando un tuono squarciò il silenzio di Emtia, un brivido le corse lungo le braccia, la schiena, fino ad arrivare al collo. Un lampo illuminò la stanza per un istante. Non poté resistere. Tornò nella camera da letto e aprì la finestra. Lì non vi era nulla che il vento potesse scompigliare, così chiuse la porta dietro le sue spalle e rimase a sentire il temporale farsi avanti. Dapprima piccole ed innocue, poi sempre più grandi ed aggressive, gocce di pioggia cominciarono a cadere. Creavano piccoli cerchi scuri sulla terra, animavano, assieme al vento, le fronde degli alberi.
Non durò a lungo. Qualche tuono assordante, qualche minuto di acquazzone, poi tutto cessò così come era arrivato, quasi all'improvviso, lasciando nell'aria la freschezza dell'acqua.
Lasciò la finestra aperta e prese in mano il pugnale per osservarlo; non sapeva cos'altro fare. Era freddo, il metallo le trasmise un brivido. Le gemme brillavano alla luce bianca del tardo pomeriggio, che poco a poco prendeva una tonalità sempre più calda.
All'improvviso, secchi colpi sulla porta ruppero la perfezione del silenzio, ed Alhira, convinta che fossero Gelil e Iethan, si precipitò all'entrata. Aprì senza nemmeno controllare chi fosse, con un sorriso in volto. Non disse nulla. Il sorriso si trasformò in perplessità e poi in disagio. Sulla soglia della porta non vi erano Gelil o Iethan, ma un uomo alto e di bell'aspetto. Indossava una tunica lunga e nera, bordata di blu e decorata con ricami sulle spalle. I capelli erano castani, gli occhi azzurri come il cielo in una giornata serena. Sul viso dell'estraneo si disegnò, tra un accenno di barba, un sorriso.
-Salve.- Disse sorpreso, e squadrò Alhira, come un raro vaso antico al mercato.
- S-salve, adesso la guaritrice non è qui … se volete potete tornare domani mattina.- la sua vocina era flebile, forse intimorita dalla figura davanti a lei.
-Ah. Ero venuto soltanto perché Gelil mi doveva consegnare alcune erbe da porre nella lozione curativa.- la continuò a guardare, mettendola sempre più in imbarazzo.
-Però so come sono fatte, forse le ha già preparate. Di solito le lascia in un sacchetto bianco legato con un nastro rosso. Potete controllare che non le abbia lasciate da qualche parte?- aggiunse.
C'era qualcosa di sbagliato in quell'uomo, le cominciava a dare sui nervi, per come la guardava, per il tono della sua voce, per la sua vicinanza.
-Attendete qui, controllo.- imprudentemente lasciò la porta socchiusa, ma dopotutto non sarebbe stato educato chiudergliela in faccia. Si diresse verso le pergamene per controllare, poi cercò tra le boccette, tra i libri. Un cigolio di un'asse dietro di lei la vece voltare di scatto.
Non fece in tempo a respirare. La mano forzuta dell'uomo le stringeva un polso, così diafano e fragile. L'altra la teneva per una spalla. La spinse al muro facendole sbattere la testa.
Lui avvicinò il volto a quello della ragazza, ad appena una spanna di distanza.
Il cuore di Alhira batteva come un tamburo impazzito, sempre più veloce. Aveva paura. Respirava a fatica. Gli occhi, spalancati e terrorizzati erano fissi in quelli dell'estraneo. Tutto era sbagliato. Non c'era nulla di minimamente romantico, era soltanto il desiderio di un uomo. La presa era ferrea, la bloccava alla parete, non le permetteva di muoversi.
L'estraneo sorrise maligno e si avvicinò sempre di più.
-Lasciami.- cercò di dire Alhira con la voce rotta dalla paura.
-Avete degli occhi meravigliosi, non ve l'ha mai detto nessuno?- le sue labbra le sfiorarono il collo.
-Lasciami!-
In risposta ottenne una risata.
Come aveva potuto agire così ingenuamente? Perché si era fidata?
-Siete un angelo dalla chioma d'ebano, come potete sprecare tale bellezza in un villaggio del genere?- Disprezzo. Odio. Ribrezzo. Non poteva provare altro nei confronti di un uomo del genere.
Urlare sarebbe stato sciocco; non sapeva fino a che punto poteva spingersi, utilizzando tutte le sue forze non sarebbe riuscita a sfuggire dalle sue mani. Indagò la stanza con lo sguardo; la porta era aperta, ma nessuno era fuori casa dopo il temporale, non c'era nulla che la potesse aiutare, se non … Il pugnale! lo aveva lasciato sulla mensola che ora le era di fianco senza badarci. Doveva soltanto farlo andare via, allontanarlo da quella casa.
Il pugnale.
Un meccanismo, vecchio, logoro, esperto, scattò in lei. Il cervello ricordò come si agiva, i muscoli le risposero, i pensieri si schiarirono e la calma prese il sopravvento. Sembrava aver ritrovato l'istinto, lo stesso istinto che insegna come cacciare ad un felino.
Con la mano liberà afferrò l'arma e la puntò all'addome del suo aggressore. Lui non ebbe il tempo di formulare alcun pensiero; con un movimento complicato delle braccia, la ragazza ribaltò la situazione. L'uomo contro il muro e lei che lo minacciava. Lui la spinse via con forza, ma la forza non poteva nulla contro l'agilità. Cercò di afferrarle la mano che teneva il pugnale, ma lei gli sorrise e schivò ogni suo movimento. I muscoli reagivano scattanti, i tendini si tiravano, l'adrenalina era alta, ma era la calma che aveva il controllo. Sapeva muoversi come un'ombra, riusciva a sgusciare ovunque, le sue mosse fendevano l'aria in totale silenzio, mentre l'estraneo era stupefatto da una ragazzina così veloce.
Prendendolo di sorpresa, Alhira lo sbatté contro la parete a fianco della porta e gli puntò la lama gelida e scintillante alla gola. Dimenticò qual'era il suo scopo, non le importava più. Sentiva di essere tornata, nuovo sangue scorreva nelle sue vene; il suo vecchio sangue. L'aria che inspirava ora era diversa, ora i suoi polmoni erano diversi, tutto il suo corpo era cambiato. Aveva ritrovato l'abilità perduta, si era lasciata trasportare, era riuscita a trovare la strada. Vedeva con occhi nuovi. Quello davanti a sé non era un aggressore, ma soltanto un patetico umano. Le faceva quasi pena, con quei suoi che occhi la guardavano imploranti, la fronte imperlata di sudore, le narici che si dilatavano al suo respiro pesante e la vena che pulsava forte sotto la pelle del collo, esattamente dove era appoggiata la lama.
-Fermatevi! Vi prego!-
-Prima tu ti saresti fermato?- gli chiese inclinando la testa di lato, sentendosi potente come di fronte ad una preda.
L'uomo non rispose e rimase immobile contro la parete. Avrà avuto poco più di trent'anni e forse conosceva davvero Gelil, forse era stato soltanto un suo attimo di pazzia.
Alhira attese, la testa inclinata di lato, gli occhi socchiusi. Un felino a caccia, una predatrice.
-Lasciatemi e sarà come se nulla fosse successo.- Quelle parole la irritarono. Come poteva credere che l'avrebbe dimenticato, che avrebbe continuato a sfogliare annoiata libri dopo che qualcuno aveva tentato di aggredirla?
-Certo. E magari dirò a Gelil che un suo fidato cliente è venuto a chiedere cortesemente delle erbe per poi andarsene, senza fermarsi. Senza sbattere contro al muro nessuno, senza immobilizzarlo o toccarlo.-
-Non … -
-Non dire altro. Peggiori le cose. - la sua voce era ferma, decisa. Quello era un ordine.
Per un attimo ci fu silenzio.
Improvvisamente l'uomo tentò di far da parte Alhira per liberarsi. La spinse con un braccio mentre la lama disegnava una linea rossa sul suo collo. La ragazza si spostò di poco per ritornare dove era prima, il pugnale ancora contro la gola dell'aggressore diventato preda. Presto la mano della ragazza divenne rossa di sangue.
Sgorgava lento dalla ferita, colorando di porpora l'argento della lama fino ad arrivare alle gemme ed all'elsa. Non aveva danneggiato la carotide, ma il taglio era comunque abbastanza profondo.
Alhira posò lo sguardo sul collo dell'uomo ed abbassò l'arma. Senza alcuna emozione sul viso si allontanò di qualche passo indietro e rimase a fissare gli occhi della sua vittima. Sangue.
Lo guardò accasciarsi lentamente, scivolando lungo la parete. Respirava velocemente e si teneva una mano alla gola. Sangue.
Alhira non sentiva nulla. I suoni erano scomparsi, il mondo era silenzioso, sfocato, roteava vorticosamente attorno a lei, ma non riusciva a sentirlo. Non sentiva il vento che ogni tanto entrava dalla porta aperta, non sentiva i raggi del sole che timidi si facevano strada tra le nuvole. Sangue.
La mano con cui impugnava la lama era calda, stringeva sull'elsa convulsamente. Lenta, la alzò. Sangue.
Le dita si intorpidirono, il polso si indebolì. Cominciò a tremare mentre negli occhi si faceva strada il terrore. Tremava, come una foglia al vento, si guardava la mano ricoperta di sangue.
Il pugnale cadde a terra senza provocare rumore. Non sentiva nemmeno più il suo cuore. Sangue.
Un'ombra comparve sulla soglia ma Alhira non seppe riconoscerla.
Urlò il suo nome che riecheggiò nella sua testa come un'eco lontana.
Fu di nuovo una ragazzina senza passato, vittima e non predatrice, debole e spaventata.



Cosa ho fatto?
Nero la investì, e la trascinò con sé nell'incoscienza.










Maniaco! Haha lol, no, davvero, adesso ci voglio mettere un po' di azione e far succedere qualcosa. Vi prego, criticate, ditemi tutto quello che non vi piace, quello che vi piace, quello che trovate infinitamente stupido o che magari cambiereste :D Grazie ed alla prossima ^^
   
 
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