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Autore: Iridia    12/05/2011    2 recensioni
Alhira, sedici anni, nessun passato. Solo un vecchio istinto la guida attraverso il mondo, soltanto dolci occhi ambrati vede nel suo riflesso, nessuna traccia di una vita dimenticata.
Non poteva infliggere dolore. Un essere talmente perfetto, talmente angelico, non poteva sapere come far del male. Quelle iridi di miele, dolci e spaventate, quelle gote pallide che sbocciavano in un rossore lieve come fiori di pesco in primavera. Quelle labbra piene, color ciliegia, quelle che non vedevano un vero sorriso da troppo tempo. Quei capelli mai al loro posto, le mani delicate, quel corpo agile.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Luci nella Notte.





C'è un rumore. Piacevole, squillante.
Cinguettio di uccelli. E' così melodioso, rilassante. Che strano sogno ho fatto. Non avevo mai sognato una cosa del genere. Ricordo bene i dettagli, le sensazioni.
Le lenzuola, gli occhi neri, le sue braccia quasi tremanti che mi abbracciavano, le mie lacrime. Era così imbarazzante. Per fortuna quella non era la realtà, la mia realtà è altrove. Tutto quanto è un sogno. Quando mi sveglierò sarò di nuovo a …

No!


Aveva aperto gli occhi ed aveva respirato profondamente qualche secondo per calmarsi. L'aria aveva un odore di mare, era salata e fresca.
Il mio nome è Alhira. Si ripeté, come se avesse paura di dimenticarlo di nuovo. Quindi non era tutto un sogno. La stanza era sempre la stessa, le lenzuola avevano lo stesso odore, la stessa trama ruvida.
Si levò a sedere e si passò le dita tra i capelli scuri; erano spettinati, annodati. Sentiva qualcosa di ruvido sulle guance, ma quando si toccò scoprì che era soltanto il residuo del sale delle lacrime versate la notte prima, lì tra quelle lenzuola, tra le braccia di uno sconosciuto. Doveva essere sembrata così debole agli occhi di quel ragazzo … non voleva rivederlo più. Formulò quel pensiero infantile come una bambina, ma se ne pentì quasi subito.
Scese dal letto poggiando i piedi sul pavimento di legno scolorito, era caldo. Un'asse cigolò sotto il suo peso, ma non sembrava ci fosse qualcuno nelle vicinanze, tutto in quella casa era calmo, non si udivano passi. Per un attimo pensò di scappare, di scomparire e cercare dove aveva lasciato tutti i suoi ricordi. La sua attenzione, però, fu attirata dalla finestra aperta che gonfiava le tende bianche come vele di galeoni. Vi si avvicinò e si sporse leggermente; il cinguettare degli uccelli era accompagnato dall'infrangersi delle onde sulla spiaggia e dal vociare del mercato, il cielo luminoso di mezzogiorno ospitava bianche nuvole dalla forma irregolare. Alhira inspirò profondamente l'odore di salsedine. Le piaceva.
Si chiese se prima abitasse in quel villaggio, ma le case ammassate le une sulle altre costruite sulla costa e sulla montagna che sembrava tuffarsi tra le onde non le dicevano nulla. Sperava di ricordare qualcosa vedendo un oggetto o una persona familiare, magari un amico, anche i propri abiti o quello che portava con sé.
La veste bianca che aveva indosso si animò ad una folata di vento che fece spalancare la porta. Curiosa, la ragazza si avvicinò all'uscita della camera. Davanti a lei vi erano un tavolo di legno povero, seggiole traballanti tutt'attorno, armadietti e mensole ricche di libri e boccette piene di ingredienti che non seppe riconoscere. In un angolo una pentola molto profonda fluttuava sopra un fuoco quasi bianco con riflessi verdi. Rimase a fissare quell'incantevole fiamma cambiare forma e colore mentre il contenitore al di sopra era sospeso nel nulla, galleggiava in aria come se fosse sospinto da fuocherello. Sembrava magia.
Magia.
Sapeva che la magia era praticata dai guaritori, da chi amava lo studio, la natura. Era accessibile a tutti, ma soltanto dopo un addestramento lungo e faticoso si era in grado di utilizzarla. Era tutta questione di volontà, bisognava studiare molto, sforzarsi, allenarsi e studiare ancora. Inoltre era molto importante avere un'ottima memoria. Sorrise pensando che molto probabilmente lei non sarebbe mai potuta essere una maga.
-Ciao!- una voce allegra interruppe il suo filo dei pensieri. Iethan era entrato dalla porta principale con in mano numerosi tomi dalla copertina di pelle colorata. Teneva inoltre pergamene varie e sacchetti di diverse dimensioni in equilibrio sui libri, che sembravano schiantarsi al suolo da un momento all'altro. Cercò di posare il carico vicino al tavolo (il quale non avrebbe retto tale peso) e di mettere le pergamene ed i sacchetti sulle seggiole. In preda all'entusiasmo fece cadere qualcosa, ma non se ne curò. Guardò Alhira con un grosso sorriso, felice di vederla in piedi ed in forze.
- C-come stai? Non hai la febbre vero? Ah già, ci ho pensato tutta notte … non mi sono presentato! Sono Iethan! Il quasi-guaritore del villaggio. Mi manca poco all'esame.- sorrise ancora di più e le porse la mano, mentre i suoi occhi, che alla luce del giorno erano verde scuro e non neri, si riempivano di allegria.
Sembrava che vedere quella ragazza in piedi gli avesse cambiato la giornata; era radioso.
-Piacere.- Alhira era immobile con un'espressione apatica sul viso. Vedere Iethan così elettrizzato l'aveva sconvolta, sembrava diverso dalla sera prima. Gli strinse la mano e tornò a fissare il fuocherello che continuava ad ardere in un angolo della stanza. Il ragazzo non sembrava deluso o in qualche modo offeso dalla mancanza di reazioni, era semplicemente occupato a mettere via i libri fischiettando allegramente.
-Sai usare la magia?- Le chiese mentre collocava i sacchetti in un piccolo armadietto basso e scuro.
-No, però mi piacerebbe.- Disse con un sorriso un poco amaro, quasi come se non ne avesse più la possibilità.
-Posso insegnarti se vuoi. Oppure appena torna Gelil le chiedo se posso portarti a fare un giro, vuoi?-
-Certo.- rispose Alhira cercando di essere cortese. Era combattuta; quel ragazzo avrà avuto la sua età o qualche anno in più, l'aveva consolata quando si era fatta prendere dal panico ed ora lei si sentiva in imbarazzo ogni volta che la guardava. Forse Iethan aveva dimenticato, o non ci aveva dato tanto peso.
La porta si aprì delicatamente, senza cigolare, come se chi l'avesse aperta dall'esterno fosse un essere fatato. Una ragazzina dai capelli biondi e ricci entrò portando al braccio una cesta di vimini. Indossava un vestito di velluto verde smeraldo con ricami d'oro sul busto ed una mantellina rosso scarlatto. Si rivolse immediatamente a Iethan senza accorgersi di Alhira:
-Si è svegliata?- chiese sottovoce.
-Controlla tu stessa.- rispose lui tenendo la voce bassa e ridacchiando.
Gelil si volse ed arrossì sotto le innumerevoli lentiggini che le ricoprivano il volto diafano e delicato.
-Buongiorno cara, scusa se non ti ho vista. Pensavo stessi dormendo, non ti volevo svegliare.- le rivolse un sorriso raggiante, si diresse verso di lei e con la mano minuscola e gelida le toccò la fronte, constatando che la febbre se ne era davvero andata. Febbre significava infezione, avvelenamento, incantesimo, perciò tirò un sospiro di sollievo.
-Sono Gelil, la guaritrice. Come ti senti?- chiese con il tono di una madre premurosa verso la propria figlia.
-Meglio.-
Questa ragazzina è la guaritrice? Alhira era piuttosto colpita dalla giovinezza della maga. Come aveva studiato così tanto in così pochi anni? Magari aveva una dote naturale per le arti magiche …
-Ricordi qualcosa?- chiese la guaritrice con voce ancora più preoccupata.
-Null'altro che non sia il mio nome.- Iethan le aveva parlato? Cose le aveva detto?
-Forse se potessi vedere i miei oggetti … - Aggiunse Alhira.
-Oh, certo cara. Vieni.- La portò nella stanza nella quale aveva dormito ed aprì la cassapanca ai piedi del letto. Estrasse un corpetto di cuoio marrone con le spalline larghe e dall'aspetto vissuto, un paio di pantaloni di pelle, un tascapane, una cintura, ma quello che attirò l'attenzione della ragazza era un pugnale che riluceva tra le mani pallide di Gelil. Era piccolo e maneggevole, l'elsa era decorata da una pianta rampicante nera che si avvolgeva fino alla lama, laddove erano poste le foglie splendevano gemme brillanti come zaffiri. Il fodero era decorato con complicati disegni dorati.
Alhira fissò a lungo quell'arma considerando tutte le ipotesi. Era per difesa? A cosa le sarebbe dovuta servire? Perché l'aveva con sé? Era così ricca da poterselo permettere? Era sua? … Era una ladra? Le mancò per un attimo il respiro.
Troppe domande.
-Posso?- chiese timidamente a Gelil.
-Certo, è tua.-
Il peso, il gelo del metallo, le gemme, la lama argentea affilata come il vento tra le sue dita. Era sua.

"Tienilo con te, non lo lasciare mai. E' il suo unico ricordo, ti prego fammi questo favore, Alhira."

Le parole risuonarono come in una cattedrale nella sua testa, era una voce che conosceva, ma che non riusciva a collegare a nessuno, non compariva alcun volto nella sua mente, le voleva bene e lo sapeva. Non aveva nulla se non quelle parole.
-Tutto bene cara?- Alhira si risvegliò.
-Ora … Ora ricordo la voce di qualcuno che mi dice che questo pugnale è l'ultimo ricordo di una persona. Devo farle un favore e tenerlo con me.-
-La riconosci quella voce?-
-No, ma so di volerle bene. Forse un conoscente, un amico, un familiare …- Vedendo l'espressione affranta di Alhira, Gelil cercò di rincuorarla:
-Vedi che qualche ricordo è tornato? E' una reazione a catena, devi solo trovare l'elemento scatenante di tutto il processo. Il corpetto, la cintura, non ti ricordano niente? Prova a controllare il tascapane … -
I vestiti non le dicevano nulla, non avrebbe nemmeno detto che fossero suoi, forse quella notte era la prima volta che li metteva, forse erano in prestito. Su consiglio di Gelil aprì il tascapane. Pergamene vuote, una penna, due mele, carne secca e qualche spicciolo in un sacchettino rosso. I soldi non erano tanti, ci si poteva comprare poco più di qualche frutto ed una pagnotta. Tutto quello che vi era li dentro non era suo, non sentiva nessuno di quegli oggetti di suo possesso.
-Non sono miei. Non mi appartenevano, forse me li ha dati qualcuno. Non riesco a ricordare.- La guaritrice sospirò e cambiò argomento:
-Vuoi mangiare qualcosa? Scommetto che dopo quasi due giorni di digiuno sarai affamata.-
- D-due giorni? Sono rimasta incosciente per due giorni?-
-Iethan ti ha trovata nel bosco due notti fa. Non c'era nessuno, avevi il pugnale in mano, ed eri distesa a terra.- -Il pugnale? … Ma cosa è successo?-
-Non lo sappiamo, forse sei stata aggredita ed hai sbattuto la testa, ma non hai particolari lesioni a quanto vedo.- In quel momento Alhira non volle proseguire con le domande, un poco per non disturbare troppo Gelil, un poco perchè aveva paura delle risposte che avrebbe potuto ottenere.
-Forza cara, vieni. Sei molto pallida, non ti preoccupare, i tuoi ricordi ritorneranno presto.-

La zuppa era molto saporita, Iethan era un ottimo cuoco e la ragazzina dai capelli ricci e biondi sembrava molto più matura di quello che si aspettava Alhira. Mangiarono in silenzio, ogni tanto Gelil chiedeva a Iethan cosa era successo al villaggio, se avesse studiato, se avesse qualche domanda da farle su qualche incantesimo.
Quando le loro pance furono piene, il sole splendeva alto e caldo in cielo facendo sembrare il mare una distesa argentea. Alhira si affacciò alla finestra che dava sulla strada; l'afa ed i raggi a picco avevano fatto scappare gli abitanti nelle loro case, qualche bambino giocava spensierato nell'acqua assieme ad i suoi amici, c'era un'atmosfera di calma assoluta. Quel villaggio era splendido da come l'aveva visto dalle finestre.
-Vuoi che ti accompagni a fare un giro? Partiamo quando il sole sarà meno intenso- Chiese Iethan vedendola così assorta in quel meraviglioso paesaggio.
-Volentieri.- rispose Alhira sorridendo.

Dopo essersi fatta un bagno ed aver ricevuto da Gelil un abito rosso scuro, uscì con Iethan. Si diressero verso il bosco, Alhira voleva vedere dove era stata trovata, magari quel posto significava qualcosa. Iethan si ricordava a malapena dov'era in quanto non vi erano particolari punti di riferimento, se non alberi e rocce.
-Eccoci.- Disse con il fiatone. Erano saliti sulla montagna e camminavano da una trentina di minuti per un sentiero accennato dalla mancanza di vegetazione.
-Eri esattamente qui. Non ti dice niente questo posto?-
-No, nulla. Mi fa soltanto venire i brividi.- Disse delusa. -Andiamocene.-
-Sicura? Non ti vuoi riposare un poco?- Alhira lo ignorò e riprese la via del ritorno sapendo che la richiesta di una pausa non era per lei ma per lui, che si trascinava stanco morto lungo la discesa.
-Come si chiama questo villaggio?- chiese la ragazza mentre continuava a scendere.
-Emtia. E' un'oasi nei Territori d'Oriente. Ricordi come sono fatte le terre?-
-Sì, le ricordo alla perfezione.-
-Bene, allora se ti dico che siamo tra la penisola di Tregern e la foce del fiume Serhy sai dove ci troviamo?-
-Ma siamo circondati da foreste e montagne!- Alhira si era fermata di colpo per riflettere; era originaria del luogo? Era quella la sua casa? A meno che qualche pazzo non avesse attraversato l'intera foresta per portarla in quel minuscolo villaggio. Ma a quale scopo?
-Si, ma è stupendo non trovi?- Iethan stava indicando la linea delimitata dal mare che segnava l'orizzonte. Si vedevano in lontananza piccole isolette, molto probabilmente arcipelaghi abitati da pescatori solitari. Il sole era diventato quasi arancione e irradiava colori caldi su tutta la costa, che vista dall'alto prendeva la forma di una piccola baia. Piccole imbarcazioni rientravano nel porto, uccelli dai piumaggi variopinti planavano sull'acqua in cerca di un pasto mentre poco a poco gli abitanti cominciavano ad uscire per svolgere le ultime commissioni. La bottega del fabbro emetteva nell'atmosfera il battito del martello su una lama giovane, i bambini si chiamavano a vicenda e si rincorrevano tra i vicoli in salita, da lassù si vedeva anche la casa di Gelil.
-Sì, è stupendo.- confermò Alhira con gli occhi color ambra pieni di meraviglia.
Iethan la raggiunse e la superò saltando da una roccia piuttosto alta. Le porse la mano come per volerla aiutare e dopo qualche attimo di esitazione la ragazza accettò la cortesia.
Quel ragazzo era premuroso, solare, la sua presenza l'aiutava in qualche modo a non crogiolarsi nella disperazione dei ricordi perduti, come era successo la notte prima. Ora non si sentiva più così a disagio con lui.
-Cosa farai ora? Se i ricordi tardano a tornare, intendo.-
-Non lo so. Mi troverò un lavoro ed una sistemazione, oppure, in caso non fossi di Emtia, potrei partire ed attraversare la foresta, girare le Terre.-
-Mi sembra un'impresa ardua per una donzella come voi.- scherzò Iethan.
-Venite con me allora, mio salvatore! Potreste combattere qualche viverna selvatica!- Alhira cominciò a correre sulle stradine in discesa ed Iethan la seguì. Entrambi si ritrovarono a ridere all'unisono come due ragazzini, mentre alcuni mercanti li guardavano incuriositi.
Ad Emtia tutti conoscevano tutti, era come un'enorme famiglia. Molto difficilmente qualcuno si inoltrava nella foresta che la circondava o nel deserto della penisola di Tregern per trasferirsi altrove. Molti anziani non avevano mai visto i Territori d'Occidente, le grandi isole nei mari del sud e le enormi città della Pianura del Nord.
-Vieni!- Iethan le fece strada fino alla piazza. Era piccola, al centro vi era una fontanella animata dalla magia, qualche bancarella negli angoli ed il terreno era ricoperto da pietre irregolari dalla forma tonda, levigate da anni ed anni di vita. Era circondata da abitazioni modeste, l'entrata dava direttamente sullo spiazzo, il giardinetto era sul retro, recintato da pietre piantata a terra, che molti utilizzavano come orto in quanto i territori da coltivare era quasi impossibili da trovare nelle vicinanze; bisognava percorrere la costa per qualche ora per arrivare ai campi. C'era una strada, lastricata alla perfezione, che si dirigeva verso Sud ed era percorsa dai contadini che venivano a vendere i loro prodotti nel centro urbano che chiamavano la Via degli Zoccoli. Era un nome fantasioso dato da qualche abitante stufo di sentire il rumore che producevano asini e cavalli ferrati passando tutti i giorni.
-Ehi! Alnifer!- Iethan si sbracciò salutando un ometto basso che si aggirava tra le bancarelle del lato opposto della piazza.
-Iethan! Ragazzo!- Come soltanto una valanga riesce a farsi strada tra la gente, il tipetto gli venne incontro con le braccia levate, pronto ad abbracciarlo. Iethan era piuttosto alto, circa una spanna in più di Alhira, la quale non si poteva certo definire bassa. Alnifer, che gli arrivava a malapena al torace, abbracciò il ragazzo dandogli qualche pacca sonora sulla schiena. Aveva i capelli grigi, quasi bianchi, un grosso naso a patata e portava un buffo paio di occhiali dalle lenti circolari. Indossava una casacca e delle brache marroni sostenute da un paio di bretelle.
-Chi è questa bella fanciulla?- Chiese Alnifer guardando Alhira e facendo un breve inchino che la fece arrossire.
-Lei è Alhira. Una mia … amica.-
-Non vi ho mai visto qui, da dove venite?- chiese alla ragazza con tono curioso.
Alhira, presa alla sprovvista tentò di formulare una risposta, ma Iethan la interruppe:
-Viene da un villaggio vicino al confine con le Pianure del Nord, è arrivata qui qualche giorno fa. E tu cosa mi racconti Alni?- rispose cercando di cambiare argomento.
-Ah, sono riuscito a recuperare le erbe che mi avevi chiesto, vieni. Avevo già chiuso il negozio, ma per te ragazzo riapro volentieri!-
Arrivarono ad una casetta come le altre ma con una porta più grande e tende ripiegate vicino all'ingresso. Alnifer fece scattare la serratura ed entrò.
-Prego venite.- Il locale era angusto e buio, l'aria era carica di odori. Sul soffitto erano appesi mazzetti secchi di erbe varie, lungo le pareti vi erano piccole mensole ed armadietti. Sembrava la casa di Gelil. Boccette piene di liquidi colorati, libri, amuleti splendenti, piante. Mentre i due uomini effettuavano lo scambio, Alhira osservò la merce esposta, ma la sua attenzione fu attirata da un medaglione d'orato con incastonata una pietra bianca dai riflessi rosa. Quando vi si avvicinò il colore della pietra divenne nero all'improvviso. Alhira balzò all'indietro.
-Non vi preoccupate, quella pietra cambia colore a seconda dello stato psicologico di chi si avvicina.- Quando vide il colore che il medaglione aveva assunto aggiunse: -E' normale essere confusi, sapete? Non dovete esserne spaventata.- Quindi la pietra aveva percepito che Alhira aveva poco più di qualche ricordo … si chiese a cosa corrispondessero gli altri colori.
Iethan aveva terminato le spese e si era avvicinato alla ragazza per osservare l'amuleto. La pietra diventò verde brillante ed Alnifer ridacchiò.
-Iethan, tu hai sempre tutto sotto controllo, vero?-

I ragazzi si congedarono e ritornarono nella piazza, dove le luci del tramonto inoltrato dipingevano ogni cosa d'arancio.
-Ora dobbiamo tornare da Gelil, ma se non sarai stanca potremmo venire a divertirci un poco questa sera … -
-Ne sarei felice, Iethan.- Rispose Alhira, felice, solare, anche se confusa, da un pomeriggio così ricco di esperienze.

Gelil era impegnata nella lettura di un libro dai caratteri piccoli ed incomprensibili.
-Bentornati. Come è stato, cara?-
-Mi piace qui. E' un bel posto.-
-Ne sono felice, ed ho anche buone notizie! Ho trovato un incantesimo che potrebbe aiutarti a recuperare la memoria, proveremo ad applicartelo domani mattina.-
- D-davvero? E' magnifico!- Gli occhi di Alhira si illuminarono di speranza.
-Non sappiamo se avrà effetti, ma tentar non nuoce.-
Cenarono con poco, ma si saziarono. Alhira parlò a Gelil di quanto quel villaggio l'affascinasse, dei paesaggi, delle stradine, dei negozietti. Le raccontò del medaglione, e scoprì che Alnifer era un lontano parente di Iethan, anche se nell'aspetto fisico erano uno l'opposto dell'altro. Gelil era impegnata a studiare per l'incantesimo che avrebbe dovuto affrontare l'indomani. Anche Iethan doveva collaborare, ma senza avere un ruolo principale; il suo compito sarebbe stato offrire energia. Dicevano che non era una magia semplice e che richiedeva forza.
Il cielo era di un blu intenso, tra la notte ed il tramonto, le nuvole erano stracci dorati illuminati da un sole ormai scomparso dietro al mare. Si udiva il suono di percussioni e tamburelli provenire dal centro.
I due ragazzi ottennero il permesso di unirsi alle celebrazioni a patto di rientrare al loro termine.
Uscirono, entrambi impazienti di assistere allo spettacolo. Attorno alla fontana ardevano delle fiamme che creavano un cerchio attorno ad essa, altre lanterne erano state accese e disposte davanti alle entrate delle abitazioni, mantenendo però una certa distanza dalle costruzioni. Uomini e donne erano disposti lungo il perimetro della piazza, lasciata libera in attesa del mago. Qualcuno suonava per intrattenere la folla, qualcuno ne approfittava per vendere qualche prelibatezza. -E' così tutte le sere?- chiese Alhira.
-No, non sempre, soltanto d'estate, quando c'è il plenilunio o la luna nuova … ci ritroviamo in piazza per tre sere consecutive. Non ci annoiamo mai! Ieri sera, prima che tu ti svegliassi, erano state accese centinaia di piccole lanterne colorate, avresti dovuto vederle … sembrava che le stelle fossero scese per un attimo in terra. Ma stasera Laglor, il mago, ci ha promesso uno spettacolo di magia! - rispose elettrizzato.
Le percussioni cessarono e le fiamme si abbassarono. Un uomo vestito completamente di nero entrò a passi lenti, teneva le braccia lungo i fianchi ed i palmi rivolti alle fiamme. Si arrestò a qualche trabucco di distanza dal fuoco e chiuse gli occhi.
Lo spettacolo stava per iniziare.
Per un attimo fu buio.
Da dove prima si liberava un bagliore caldo, ora raggi luminosi illuminavano i volti degli spettatori stupiti. Un'esplosione di colori, tentacoli sinuosi di luce di diramarono nella piazza lanciando scintille rosa, gialle, rosse, azzurre. Poco a poco cominciarono ad intrecciarsi, come radici di un vecchio albero. Si unirono tra di loro attorcigliandosi, e nacque così un tronco. Si innalzò, possente, sempre più su. La colonna di filamenti luminosi sembrò arrestarsi. Ad incredibile velocità vennero a formarsi i rami, prima più grossi e robusti, poi sempre più sottili, delicati, sembravano voler toccare il cielo.
Il mago creò infine le foglie; gocce di cristallo che riflettevano la meraviglia di quell'illusione. I bambini allungavano le mani verso il cielo, gli adulti, silenziosi guardavano quell'infinità di colori pulsare di luce. Alhira era senza fiato, incantata.
Il mago si guardò attorno, forse in cerca di qualcuno. Posò lo sguardo su Iethan e gli sorrise facendogli segno di avvicinarsi. Il ragazzo, intimidito dalla folla si fece avanti e stette ad ascoltare le indicazioni che l'uomo gli sussurrava, ed alla fine annuì. Alzò le mani verso l'alto e si concentrò. Uccelli che brillavano d'oro e d'argento scesero dalle fronde dell'albero, volando sopra la folla. Alcuni si posarono sulle spalle degli spettatori, altri lasciavano scie di polvere argentea che si dissolveva poco prima di giungere al suolo. Iethan guardò Alhira e le chiese di venire. Lei cercò di rifiutare, ma qualche ragazza la spinse avanti, desiderando di essere al suo posto. Leggermente rossa in volto, lo raggiunse. Iethan abbassò le mani e le migliaia di foglie di cristallo si staccarono. Caddero dolci e lente; guardandole dal basso parevano gocce di pioggia contenenti un arcobaleno. Arrivate quasi a metà della loro caduta, vennero sospinte da una corrente d'aria che le trasportò prima sopra gli spettatori, e poi attorno ad Alhira. L'aria si fece sempre più forte, le foglie vorticavano attorno a lei scompigliandole i capelli. Sempre più vicine, finché non la toccarono.
Una sensazione di freschezza la pervase mentre i cristalli si illuminavano di luce azzurra a contatto con la sua pelle e scomparivano, polverizzandosi nell'aria. La ragazza si guardava strabiliata; l'abito rosso che la aveva dato Gelil ora riluceva di un bagliore azzurro, la stoffa era diventata blu, costellata da piccole gemme, simili alle foglie dell'albero. Il mago osservava divertito Alhira, Iethan si concentrò sull'albero. Quando anche l'ultima foglia si polverizzò, il vento cessò ed Alhira rimase un attimo immobile per riprendersi dall'emozione. La ragazza che l'aveva spinta avanti ora la guardava con un sorriso sognante negli occhi.
L'attenzione di tutti si focalizzò nuovamente sull'albero, che cominciava a dissolversi in piccole sfere luminescenti. Poco a poco la struttura si assottigliava, i rami si accorciavano, le radici si ritraevano. Pochi istanti e dove prima troneggiava una pianta maestosa e possente, ora vi era un'infinità di luci.
Il mago alzò un braccio ed assieme ad esso anche quelle piccole stelle si alzarono verso la luna, piena ed insignificante davanti al tali magie.
L'uomo strinse il pugno in un unico scatto e le sfere esplosero in fiamme calde, lanterne in cielo. Il fuoco cominciò a cadere pigro, non era caldo. Era freddo, come l'aria invernale, come la brezza mattutina. La notte era di nuovo tramonto, illuminata dalle numerose luci rosse ed arancio, le ombre tremavano, i respiri erano sospesi.
Le fiammelle si avvicinavano sempre più, Alhira, bloccata a guardare in alto, era rimasta accanto ad Iethan e Laglor. Sentiva che quella era la prima volta, la prima volta in cui i suoi occhi assistevano a qualcosa di tanto straordinario, la prima volta ad essere accarezzata dalla magia con tanta delicatezza. Fissava il fuoco tremante scendere verso di lei. Lo vedeva avvicinarsi, sempre di più, sempre più giù.

-Alhira! Corri!- grida la voce. L'aria mi manca, sento gli occhi bruciare ed un caldo insopportabile invade l'aria. Una trave infuocata mi cade di fianco ma riesco a schivarla. Non aspetto oltre, le mie gambe sono veloci, scattanti, corrono cercando un'uscita. L'ambiente è irriconoscibile. Voglio bene a quelle stanze, ai mobili che vi sono dentro e che ora stanno bruciando come paglia, voglio bene alle scale sulle quali ho giocato quando ero piccola, alle tende così colorate, ai miei libri. La voce è scomparsa, non c'è più. Fuoco. Fuoco ovunque. Fumo. L'aria è irrespirabile. Devo uscire. Dove sono ora? Non ce la faccio, non riesco a muovermi, inizio a tossire con violenza, i muscoli non mi rispondono. I polmoni richiedono aria. Devo uscire. Ora.

Le orecchie cominciarono a fischiare, il respiro era sempre più veloce, il cuore le batteva a mille. La visione. Ricordi, troppo intensi. L'avevano travolta come un'onda, l'avevano trascinata via per qualche istante. Ora non sentiva più nulla. Tra le fiammelle che toccavano il suolo e si dissolvevano, Alhira iniziò a correre. Si fece spazio tra la folla, e come inseguita da un incubo scappò via. Le strade erano buie, illuminate appena dalla luna e da qualche lanterna posta vicino a qualche entrata. Le stradine erano deserte, tutti erano in piazza. Non aveva sentito Iethan chiamarla, né riusciva a percepirne la presenza che la rincorreva. Si fermò quando ormai era lontana, il cuore batteva talmente veloce che le pulsazioni si confondevano, i suoni erano ancora ovattati, la fronte imperlata di sudore.
Si voltò indietro e vide Iethan che la stava raggiungendo preoccupato. Alhira non se ne curò e girò verso sinistra. Scese dalla strada e fu sulla spiaggia, si tolse le scarpe e camminò fino all'acqua, sulla sabbia fine e fredda, bianca come neve. L'onda le avvolse la caviglie, si alzò leggermente il vestito per non rovinarlo e si lasciò calmare dal moto perpetuo del mare, nero e misterioso.





Ecco il secondo capitolo, l'ho scritto nei buchi di tempo che avevo, spero possa piacere anche se la mia scrittura lascia molto a desiderare xD Grazie ed alla prossima =D
   
 
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