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Autore: releuse    21/05/2011    7 recensioni
D’un tratto una fitta dolorosa gli attraversò il torace e lui si aggrappò alle lenzuola e strinse i denti, gettando il viso di lato, sfregandolo sul cuscino. Come se una lama stesse correndo lungo il suo corpo, aprendogli la pelle in due. Poi un ‘tic’ simile a quello di una cucitura che parte, a un punto che salta, seguito poi dal secondo, dal terzo e così via, fino a provocare quello squarcio che separa due lembi di stoffa.
Così come accadeva in quella visione: la sua pelle, divisa in due, perdeva il vecchio involucro, lasciando spazio a quello nuovo.
Lo chiamavano processo di muta o, meglio, di ecdisi.
Fanfiction incentrata sul Golden 23 e sull'importante scelta di Ken Wakashimazu.
Genere: Introspettivo, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Jun Misugi/Julian Ross, Taro Misaki/Tom, Yayoi Aoba/Amy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Eccomi di nuovo!! Ultimamente sono prolifera, per la scrittura è un buon momento! Manco ho finito Azzurro che in 3 giorni ho scritto questaJ Era una storia che avevo cominciato l’anno scorso, ma bloccata alla terza pagina… però da tempo mi frullava tutta in mente, attendevo l’ispirazione necessaria che, finalmente, è più che arrivata!:)) Sono strafelice di tornare a scrivere sui miei amati figlioli, sulla mia coppia prediletta, loro… Jun e Ken! Dio, li amo! Sono la coppia perfetta! Quanto ce li vedo! Questa ff è, comunque, una storia un po’ anomala, per vari motivi. Prima di tutto, è una ff soprattutto sportiva. È incentrata sul nuovo ruolo di Ken nel Golden 23, una parte che io adoro, ma che il Taka non ha approfondito per nulla. MI sono sempre chiesta come facesse Ken a passare ‘tranquillamente’ da portiere ad attaccante… quindi ho voluto approfondire la cosa, incastrando il tutto nel mio particolare universo di Ken e Jun. In verità, il loro rapporto è più sullo sfondo, perché il centro della storia è la scelta di Ken e il calcio… quindi davvero pochissimo shonen ai… (giuro, scriverò presto una bella Lemon con loro!! La voglio!!XD), più che altro ho voluto dare un ruolo a Jun in tutto questo… idea che mi è venuta in mente proprio da una scena del manga che cito alla fine della ff!! Quindi da tutte queste riflessioni nasce Ecdisi. L’ecdisi è il processo di muta tramite cui i rettili perdono lo strato di pelle a favore di uno nuovo…. Quindi, un cambiamento.
Seconda ‘anomalia’: sono cambiata. Me ne sono accorta già da Azzurro. Lì avevo cambiato proprio il modo di vedere i rapporti fra i personaggi, è una ff più matura rispetto alle mie solite, e già dagli ultimi due capitoli anche lo stile era cambiato. E in questa ff c’è proprio un nuovo stile. Un po’ meno descrittivo, credo, rispetto al mio solito, e più dinamico e ‘veloce’. Sono andata un po’ in paranoia per questo XD, però leggendo e rileggendo mi sembra che comunque non manchi nulla e, forse, era proprio il carattere sportivo della ff a chiedermi uno stile più agile. Mah… mi auguro di non essere stata sterile e di aver passato il concetto!

Ok, meglio non scrivere un trattato e lasciarvi direttamente alla lettura della storia, ma prima…
Dediche: A Ichigo, perché i suoi figliocci sono finalmente tornati!! Grazie oneechan per aver letto con me la ff in fase di correzione, qui, al mio fianco, davanti a questo pc! Grazie per aver sclerato con me sui passaggi, ridendo e squeando… sì, come due matteXD (e lo siamo!!!) La dedica è tutta per te!!
Ringraziamenti: Alla super beta Berlinene, che è sempre pronta a betare (soprattutto quando si tratta di KenXD) e per sopportare i miei scleri e paranoie!!
A Sil, che è sempre così carina a sopportarmi, ha una grande pazienza!! (le ho mandato 20 mila versioni della ff che l’ho fatta diventare mattaXD) Grazie per aver letto in anteprima e avermi incoraggiata!!
E ora… il ritorno dei miei figli!!
Buona Lettura!!!



Ecdisi- Cambio Pelle-




Aveva gli occhi spalancati, persi nell’oscurità vellutata sopra la sua testa. Non riusciva a dormire. Non sapeva neanche che ore fossero, dato che, da diversi giorni, la sveglia riproponeva sempre la stessa: le due e venti. Avrebbe dovuto comprarle, quella dannate batterie, ma ogni volta se lo scordava.

Fece un lungo e stanco sospiro, mentre sollevava il bacino dal letto, attento a non far troppo rumore.
Comunque, si disse, lanciando uno sguardo laddove sapeva esserci la finestra, era ancora notte fonda, poiché nella stanza non filtrava alcuna luce naturale, ma soltanto quella elettrica dei lampioni adiacenti alla casa. Il mattino era ancora lontano. Era un bene: non aveva tutta questa gran voglia di alzarsi, né di affrontare la giornata. Molto meglio la penombra della camera, cui i suoi occhi si erano abituati, nonostante scorgessero soltanto ammassi d’indefinite forme, grigie e nere.

Eppure, distingueva chiaramente il giallo sulla parete di fronte. Che fossero i suoi occhi a vederlo, o la sua mente a proiettarlo, lui quel colore luminoso lo riconosceva. Più fissava quel punto, più quello s’allargava a macchia d’olio, assumendo una fisionomia nota: la divisa della Musashi, quella del campionato delle medie. Di fianco, era appesa anche la sua felpa del Toho. Le avevano appese lì il primo giorno in cui avevano messo piede in casa. Quelle divise erano colme di ricordi, un simbolo dei loro ruoli sul campo. A quei tempi, Misugi era stato un centrocampista offensivo, poi, negli anni, era diventato difensore, poi libero, e ora nuovamente centrocampista, nella strategia voluta da Mister Kira, con Misaki e Matsuyama.

Lui, invece, era sempre stato un portiere. Certo, se ci ripensava, gli era capitato di giocare come attaccante, sempre nel Meiwa, ma era successo così poche volte ed era passato così tanto tempo che faticava a ricordare. Ciò che sapeva bene, invece, era di aver sempre desiderato essere un portiere, e lo era diventato con anni di duri allenamenti e sacrifici. E lo era ancora, nel suo club: il Nagoya Grampus Eight., Insieme a quel pensiero, si lasciò sfuggire uno sbuffo nervoso, come nervoso fu il modo in cui strinse le lenzuola. All’improvviso, però, un tocco sulle sue mani lo distrasse, facendolo voltare. Accese la luce premendo l’interruttore sopra la testiera, e subito vide gli occhi di Jun saldi su di lui: vigili e per nulla assonnati.

“Ti ho… svegliato?” Domandò Ken, non del tutto convinto.
“Ero già sveglio.” Rispose il principe del calcio, confermando le ipotesi del portiere. “Anzi, a dire il vero, non mi sono mai addormentato…”
“Ah…” Stavolta, Wakashimazu lo guardò sorpreso.

Jun abbozzò un sorriso, poi si sollevò, lasciando che le lenzuola gli scivolassero sul corpo, scoprendo il torace nudo. Ken sembrò rapito da quel movimento e rimase a fissare la pelle del compagno, guidandoci la propria mano, posandola all’altezza del cuore per sentire, sotto il proprio palmo, il battito e la pelle calda. Cuore che per anni era stato di vetro, per il quale si era così preoccupato… ogni volta che avvertiva quel pulsare, provava una sorta di benessere, come se il cuore di Jun gl’infondesse forza.

Aveva bisogno di lui, la sua presenza lo confortava.

Era stata una buona scelta quella di acquistare quel piccolo appartamento, dove potersi vedere e trascorrere insieme i momenti liberi. Ormai erano adulti, e non potevano più continuare a stare l’uno a casa dell’altro, cercando ogni possibile escamotage per ritagliarsi istanti d’intimità, come facevano al liceo. Avevano scelto una zona tranquilla di Tokyo, dove si trovava la sede di un prestigioso club di baseball. Essendo la popolazione decisamente più ‘anziana’ da quelle parti, era molto probabile che fosse il baseball e non il calcio, lo sport più seguito del quartiere. Il calcio, infatti, si era affermato nel paese del Sol Levante solo da pochi anni.

Con quelle premesse, lui e Jun avevano meno possibilità di essere riconosciuti.

Il portiere fece scivolare la propria mano lungo il torace del principe, lentamente, chinando il viso verso il suo collo, fuggendo quegl’ occhi indagatori. 

“Cos’hai, Ken?”
Wakashimazu s’irrigidì.
“… è da ieri che sei distratto…” Doveva saperlo che il principe del calcio era un attento osservatore, anche quando lui si sforzava di sembrare tranquillo. Anzi, era specialmente in quei momenti che Jun lo capiva di più.
“Anche quando abbiamo fatto l’amore, prima… eri assente…”

Gli occhi di Ken corsero altrove, incapaci di guardare in faccia la realtà. Aveva lasciato fare tutto a Jun quella notte, senza coinvolgersi o coinvolgerlo. Come una bambola senza vita, si era lasciato prendere e nei gesti e nei sospiri del suo ragazzo aveva avvertito l’insofferenza per quella conclusione ottenuta con troppa facilità.

No, non era un rimprovero il suo, Jun desiderava soltanto vederci chiaro. E Wakashimazu lo sapeva bene. Purtroppo, però, il suo corpo si mosse indipendentemente dalla ragione e il portiere, inginocchiandosi sul letto, si chinò sul proprio ragazzo, costringendolo a cercare appoggio sui gomiti. Le sue labbra cominciarono a baciare la gola candida del principe del calcio, la lingua scese sulla clavicola, avanzando piano, mentre una mano correva dietro la sua testa e si chiudeva fra i capelli. L’altra, invece, camminò fin sotto le lenzuola, fra le gambe di Jun, pronta a rimediare alle mancanze di quella notte.

Misugi boccheggiò e, per un istante, chiuse gli occhi. Quando avvertì il fiato caldo dell’amante sul collo e le ciocche corvine solleticargli la pelle, lo travolse l’idea che il ragazzo potesse affondare i denti nella sua carne e succhiargli il sangue, come un avido vampiro.

Perché aveva bisogno di lui.

C’erano occasioni in cui avrebbe permesso a Ken ogni cosa, in cui si sarebbe volentieri abbandonato al piacere di quel tocco, all’abilità delle sue mani grandi. Attimi in cui il portiere, il suo personale angelo, gli avrebbe aperto facilmente le porte del Paradiso. Ma quel momento non era contemplato.  L’espressione di Wakashimazu, quella sera, era infatti quella di un angelo caduto, spaurito perché perso, incapace di distinguere il bene dal male. Ogni suo gesto era incerto, il respiro irregolare.

Perciò Jun fece un grande sforzo per ignorare i brividi del proprio corpo, la reazione che quelle attenzioni gli scatenavano. “Ken…” Lo chiamò respingendolo, passandogli poi una mano fra i capelli, scostandoglieli dal viso, affinché non lo nascondessero. Creò la distanza, ma cercò di non essere troppo brusco.

Ken si stupì che Jun non gli concedesse quel contatto, ma capì. Sapeva bene che una delle caratteristiche principali di Misugi era la capacità di controllare le emozioni, quella freddezza che più volte,  lottando contro i limiti del suo cuore, lo aveva tenuto in piedi sul campo.

“… è successo qualcosa da Mister Kira?” Insistette il principe. Se non era chiaro cosa turbasse il compagno, era però certo che c’entrasse la riunione avuta con Kozo Kira il giorno prima.
Le mani di Wakashimazu frenarono ancora e, stavolta, si strinsero in un pugno. Il portiere non sollevò comunque lo sguardo, ma preferì poggiare una guancia sulla spalla del compagno, contemplando qualcosa di indefinito davanti a sé.

Kozo Kira era stato scelto per allenare la nazionale in vista delle qualificazioni alle olimpiadi. Se n’era stupito, Misugi. Non aveva mai condiviso granchè i suoi metodi, che riteneva troppo severi e, talvolta, violenti. Sapeva, altresì, che, a causa della sua dipendenza dall’alcool, da anni era stato tagliato fuori dalla rosa degli allenatori della Nazionale. Eppure, quando aveva assistito alla sua nomina prima, e lo aveva ascoltato nelle riunioni poi, il principe del calcio si era trovato davanti a una persona completamente diversa. Capace e intelligente. Inoltre, l’uomo aveva voluto convocare tutti i giocatori, singolarmente, e quando era toccato a lui, quella mattina, sentire parlare delle tre M lo aveva caricato d’adrenalina. Sì. Mister Kira avrebbe davvero potuto far aprire loro le porte di Madrid.

Però… al contrario suo, Ken era turbato. E proprio dopo la riunione personale avuta con il mister.

“Non me ne vuoi proprio parlare?” Incalzò Misugi.
“Mi…” un piccolo sforzo, da parte del portiere. “… mi ha chiesto di fare l’attaccante durante le qualificazioni!” Gettò d’un fiato. “Mentre Morisaki starà in porta.” Passò qualche secondo e, sorpreso dal conseguente silenzio, Ken alzò lo sguardo su Jun che non aveva smesso di fissarlo, un’ espressione indecifrabile sul viso. Eppure, in quegli occhi, volle leggere una sorta di rimprovero per le sue ansie, simile a un ‘e allora? Cosa c’è di male?’. Il portiere guardò il compagno come se gli avesse piantato un coltello nel fianco. “Ti sembra tutto così normale?” alzò la voce, irritato e, senza lasciarlo replicare, continuò: “… a cosa sono serviti tutti questi anni di sacrifici come portiere? Le discussioni con mio padre, la rivalità con Genzo, il World Youth… io sono un portiere!”

“Lo so, Ken.” Jun, suo malgrado, sorrise. Comprensivo. “Sei un grande portiere.”
Wakashimazu rimase in silenzio, quelle parole placarono l’ira e il ragazzo tornò a sedersi sul letto, passandosi stancamente una mano sulla fronte. “Scusami, Jun… non ce l’ho con te…”

Il principe del calcio seguì i suoi movimenti, senza staccargli gli occhi di dosso. “… ti ha spiegato il perché?” Domandò poi.

“Non lo so…” Sbuffò Ken, poggiandosi sui gomiti, i muscoli dell’addome che si contraevano per lo sforzo e la tensione. Non ci stava più capendo nulla. “Ha detto di aver sempre notato le mie qualità come attaccante, già ai tempi del Meiwa… la mia ‘polivalenza’, così l’ha chiamata. Sostiene che possa essere un’ottima arma segreta…” Terminò, con poca convinzione.
“Beh non ha tutti i torti… è il tuo modo di giocare” Disse Jun, sovrappensiero. “Contro il Meiwa, nel campionato delle medie, facesti davvero una splendida uscita…”

Il portiere si ricordò all’istante dell’incontro disputato contro gli ex compagni di squadra: era vero, in quell’occasione stavano rischiando di perdere e lui aveva avuto l’istinto di uscire dai pali, entrare in tackle su Sawaki e recuperare la palla. Infine, grazie a un passaggio di Sorimachi, aveva segnato il goal della vittoria.

“Fuori dall’area di rigore, il portiere è un giocatore come tutti!” Erano state le sue parole, quel giorno.

“Hai un’enorme potenza d’attacco…” Aggiunse Misugi, sdraiandosi sul torace, le mani sotto una guancia e il viso rivolto al portiere.
“Lo so… ma quella volta è stato diverso. L’ho fatto per scelta… ora, invece… dovrei rinunciare al mio ruolo.” Wakashimazu fece una pausa, poi riprese. “Inoltre, dice che grazie a me, anche a un altro giocatore il mio ruolo da attaccante gioverà: Nitta.”
“Cos… Nitta?” Jun spalancò gli occhi per lo stupore, sperando che dalla voce non trapelasse il filo di nervosismo che l’aveva scosso l’udire quel nome.
“Già… il mister sostiene che alla squadra manchi una coppia d’attacco decisiva, alla stregua di Taro e Tsubasa, o di Kojiro e Tsubasa…”

Era vero, pensò Jun. Tsubasa e Kojiro non erano stati convocati perché impegnati coi rispettivi club.

“Vuole che faccia tandem con lui… certo, Shun è un bravo attaccante, poi da quando si allena al dojo è migliorato ancora, però, noi due, in attacco…”

La luce elettrica dietro di Ken gli sembrò improvvisamente troppo intensa, così Jun distolse lo sguardo. Da un po’ di tempo a quella parte, Nitta aveva cominciato a frequentare il dojo della famiglia Wakashimazu, desideroso di migliorarsi come attaccante. E pensare che il tutto era nato da una stupida scommessa… malediva il momento in cui lui e Ken avevano litigato.* Certo, sapeva che non c’era nulla di male, ma non poteva negare di provare fastidio per quella situazione, e anche un po’ di gelosia, forse. Anche perché, aveva l’impressione che Nitta…

“Anche Morisaki è migliore di me, ora?”

La frase di Ken, però, cancellò il suo ultimo pensiero. Il portiere si espresse con voce risentita, gli occhi che si chiudevano a fessura, come se davanti a sé, nel vuoto della stanza, ci fosse il peggiore dei nemici. “In questo modo… in questo modo Wakabayashi sarà sempre un passo più avanti. Anzi, lo sarà sempre di più…capisci?”

Lo capiva Jun, lo capiva. Il principe del calcio conosceva tutto della rivalità fra il suo ragazzo e Genzo Wakabayashi. Il loro rapporto era di più e di meno che una competizione. Era anche un’eterna e durissima battaglia, un confronto perenne da cui, doveva ammetterlo, era sempre stato Genzo ad uscire vincitore. Sapeva quanto Ken tenesse alla loro personale sfida, soprattutto dopo gli eventi del World Youth ed era conscio che, nonostante l’orgoglio, il suo ragazzo riconoscesse la superiorità dell’SGGK e desiderasse con tutto il cuore raggiungere il suo livello e, magari, superarlo. Sapeva anche, però, che se questo non era ancora avvenuto, era a causa sua, perché Ken avrebbe potuto diventare migliore di Genzo… se solo fosse andato a giocare in Europa. Ken, invece, aveva rinunciato… per lui. ‘Non potrei mai separarmi da te…’, gli aveva detto una sera, dopo che l’aveva sentito litigare al telefono con Hyuga. Quest’ultimo, infatti, aveva più volte tentato di convincere l’ amico a raggiungerlo in Italia, dove pareva che alcuni club della serie A fossero interessati a lui, ma Wakashimazu aveva sempre rifiutato. Aveva anche discusso con Mikami, che l’aveva convocato per parlargli di un ingaggio proprio in Italia. Quel giorno era presente anche lui e, nonostante fosse rimasto nel corridoio, aveva sentito l’intera discussione.

“Senti così tanto la competizione con Genzo e rifiuti di andare a giocare in Europa?” Tatsuo Mikami era incredulo. Al mister erano ben note le divergenze fra i due portieri, ne aveva avuto un assaggio alle eliminatorie asiatiche per il World Youth, e proprio per questo non riusciva a capacitarsi della risposta negativa di Wakashimazu.

“Posso superare Wakabayashi anche rimanendo qui in Giappone, anzi, ci sarà molto più gusto!”
Il portiere aveva ostentato un’arroganza che non gli apparteneva e Misugi si era rammaricato per quella maschera che il suo ragazzo era stato costretto ad indossare.

“Non vado da nessuna parte senza di te…” Aveva aggiunto, quando lui gli aveva ricordato che diventare un professionista in Europa era il sogno di ogni calciatore. E lui, Jun Misugi, non aveva potuto farci nulla, poiché nessun club straniero poteva essere interessato a un giocatore con una malattia cardiaca alle spalle, n’era consapevole e se n’era fatto una ragione. Non aveva però avuto la forza di insistere ancora con Ken: fondamentalmente non voleva che lui partisse e per questo si sentiva un vigliacco. Tante volte gli era passato per la testa che la sua presenza intralciasse la carriera di Wakashimazu e che, perciò, si sarebbero dovuti lasciare. Quando ne aveva parlato con Yayoi, la ragazza si era arrabbiata e l’aveva sgridato, accusandolo di voler fare sempre il martire, quello che vuole trovare una soluzione a ogni costo, con freddezza e senza pensare ai sentimenti degli altri.

“Ken ti vuole bene quanto tu ne vuoi a lui, se prendessi una decisione del genere non l’accetterebbe mai, ne sono certa!”

Probabilmente Yayoi aveva ragione e, comunque, non avrebbe mai avuto il coraggio di fare una simile scelta. Ken era troppo, troppo importante per lui.  Ed era proprio a causa di questo che si sentiva il principale responsabile di quella situazione. Cercò tutto il coraggio possibile per guardare ancora il compagno disteso al suo fianco. “Sei… costretto ad accettare?”

Ken fece un profondo respiro, scuotendo la testa. “No… il mister dice che la decisione spetta a me. Mi ha dato tempo fino alla convocazione al J village, quando ci riuniremo per prepararci per le amichevoli contro Danimarca e Nigeria. In caso di risposta negativa, potrei comunque rimanere in porta…”

Jun si poggiò su un lato, quello rivolto al ragazzo. “E tu? Cosa vuoi fare?”
Ken trattenne il respiro, sdraiandosi completamente sul letto. “Non lo so…” Rispose in un sussurro, chiudendo gli occhi.
Il principe del calcio fece per dire qualcosa ma preferì tacere e, nell’andare a cercare le labbra di Ken con le dita della mano, pensò che doveva fare qualcosa per lui.
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“E questo che significa?” Domandò con grande sorpresa Wakashimazu, nel guardare dritto, di fronte a sé. Da qualche giorno Jun si comportava in maniera strana: vagabondava per la casa sovrappensiero, borbottando di tanto in tanto qualcosa di incomprensibile, lo aveva visto annotare chissà che su un quaderno, cancellare, riscrivere, parlare al telefono senza dirgli mai con chi finché, quella mattina, non lo aveva anche costretto ad alzarsi presto, vestirsi sportivo e uscire per andare non si sapeva dove. Si era preoccupato, Ken, ma anche un po’ infastidito. Era un momento difficile per lui, perché allora Jun si metteva a giocare a fare misterioso, invece di stargli vicino?

Però, ora che si trovava a fissare un campetto da calcio della periferia di Tokyo, cominciava a pensare che il principe del calcio avesse pianificato tutto.
“L’ho affittato per questa mattina…” Disse soddisfatto Jun, mentre lanciava uno sguardo all’orologio.
“Eh? Perché?”
“Beh, perché se vogliamo davvero capire se vuoi fare l’attaccante o il portiere, credo che la soluzione migliore sia sperimentarlo sul campo, no?” Spiegò Misugi, sorridendogli.

“È vero, ma…”

“Capitaaaaaano!” Un coro di voci li raggiunse, richiamando la loro attenzione. Un gruppo di ragazzi si stava avvicinando e Ken si stupì non poco nel riconoscere delle facce note. “Ma quelli sono…” Non era certo di ricordarsi tutti i nomi, tuttavia era più che sicuro che i primi tre fossero proprio Ichinose, Honma e Sanada, il tridente d’attacco della Musashi delle elementari e medie! Con al seguito, il resto della squadra.

“Capitano, quanto tempo!” Escamò l’ex numero undici Sanada, abbracciando Jun. Questi sorrise a quel epiteto, con cui gli ex compagni lo chiamavano ancora, nonostante le loro strade si fossero divise da un pezzo. Molti di loro, infatti, dopo il liceo avevano abbandonato il calcio per entrare nel mondo del lavoro, e se qualcuno aveva continuato a giocare, lo faceva solo nei momenti liberi per pura passione.

Anche Ken fu accolto con grande entusiasmo. “Sei diventato un vero campione, Wakashimazu! Sei il miglior portiere di tutto il campionato!” Lo elogiò un eccitatissimo Ichinose, stringendogli la mano. “I Grampus con te in porta possono stare tranquilli!”
“Grazie, davvero!” Rispose il portiere, un po’ imbarazzato.
“Oh, ma vi ricordate la partita che disputammo contro il Toho?!” Intervenne Honma, ex numero dieci. “Sei riuscito a parare tutti i nostri bolidi, dico, tutti!”
“Sì, è vero!” Esclamò Ichinose, rivolto al compagno. “Ti avevo servito un assist precisissimo e tu avevi tirato una bordata micidiale, ma Wakashimazu fece una parata memorabile!”
Honma scoppiò a ridere. “Cavolo, è vero, Wakashimazu! Hai parato bloccando il pallone sul mio piede! Che spettacolo, ragazzi!”

Ken li ascoltava, piacevolmente divertito: era incredibile l’entusiasmo dei ragazzi! Anni fa, il solo ricordo di una sconfitta del genere li avrebbe fatti rodere, mentre ora, a distanza di anni, l’amarezza era scomparsa lasciando solo il piacere di aver disputato una bellissima partita. Era proprio vero che il calcio aveva la capacità di unire e divertire.

“Scusate il ritardo! Ci siamo persi qualcosa?”

Una voce femminile fece voltare tutti e, stavolta, non fu soltanto Ken a sorprendersi: di fronte a lui c’erano Taro Misaki e Yayoi Aoba.

“Manager!!”
“E c’è anche Taro Misaki della Jubilo Iwata!” Esclamarono gli ex giocatori della Musashi, increduli ma felici.

“Ciao Ken, come stai?” Il ragazzo si avvicinò al portiere, dandogli una pacca sulla spalla.
“Che sorpresa, Misaki…” Wakashimazu lo guardò con grande stupore. Intanto, anche Misugi si era avvicinato scambiandosi con Taro uno sguardo d’intesa.

Il resto dei ragazzi, intanto, si era stretto intorno a Yayoi.

“Che sorpresa, Manager! Quindi stai sempre con Misaki?”
“Che significa sempre? Certo che sto con lui!” Rispose un po’ imbarazzata Yayoi. Ormai lo sapevano tutti… era dal secondo anno del liceo che lei e Taro si frequentavano.
“Ah, ah, ah! Sempre con calciatori famosi, eh?” Scherzò Honma.

La ragazza arrossì vivacemente.

“Eravamo tutti innamorati di te quando facevi la manager, ma tu non te ne sei mai accorta!” Ridacchiò Sanada. “Avevi occhi solo per il capitano…. ‘Juuuuuuuuuuuuuun’” La imitò, scimmiottandone la voce.
“Antipatico!” Sbuffò Yayoi, dandogli un buffetto sulla testa. “Io mi prendevo cura di tutti voi, Jun, di’ loro qualcosa!” Ma Misugi e Taro stavano già ridendo per quel siparietto. “No, Wakashimazu-kun, anche tu! Ti facevo più serio!!” Esclamò imbronciata la ragazza, vedendo Ken nascondere a sua volta una risata con la mano. Yayoi fece un lungo sospiro e non poté far altro che unirsi a quelle risa contagiose.


“Allora quando si comincia?” Domandò a un certo punto Misaki, catturando l’attenzione di tutti.
“Vero, siamo qui per l’allenamento speciale di Wakashimazu, no?” Sorrise trepidante Honma, imitato dai compagni.
“Io farò l’arbitro!” Esclamò Yayoi, tutta contenta. “Mi sono anche attrezzata!” Indicò il fischietto al collo e l’abbigliamento sportivo che aveva indosso: una tuta rosa e giallo pallido che ben s’intonava al colore dei suoi capelli e alla carnagione chiara.

Wakashimazu guardò i ragazzi, poi Jun. Nel sentirli parlare, capì che Misugi aveva semplicemente accennato a un ‘allenamento speciale’ in vista delle eliminatore asiatiche, lasciando intendere che servisse al suo intuito di portiere, senza menzionare il possibile cambio di ruolo voluto da Kira. Solo Misaki sapeva. Ora, finalmente, gli era tutto chiaro.

“Grazie, Jun… grazie davvero…” Sussurrò Wakashimazu, mentre si posizionavano in campo.
“… è tutto quello che posso fare per te, Ken…” Gli rispose Misugi, carezzandolo con lo sguardo. “Il resto… sarai tu a deciderlo.”



Le formazioni videro Misugi e Wakashimazu l’uno contro l’altro. Dalla parte di Jun, Honma e Sanada, da quella di Ken Misaki e Ichinose. Negli istanti che lo separarono dal fischio d’inizio, Ken sentì salire l’adrenalina alla stessa maniera di un’importante partita, anzi, forse la tensione era molto più intensa. Il portiere si ripromise d’impegnarsi a fondo, poiché da quell’allenamento sarebbe dipeso il suo futuro di giocatore.

Quando Yayoi diede il via, fu proprio Wakashimazu a scattare in avanti, agganciando il passaggio di Taro. Con una serie di salti e finte, riuscì a evitare un paio di avversari, passando poi ai compagni. D’un tratto, però, un difensore riuscì a rubargli la palla, facendolo scivolare in terra, ma subito Ken balzò in piedi, deciso a recuperare. Era davvero strano, pensava il portiere, essere impegnato come attaccante per un’intera partita. Doveva seguire tutti i giocatori, individuare i compagni, studiare come evitare gli avversari. Nella sua mente balenarono i ricordi del gioco di Hyuga, di Sawada, Sorimachi, gli attacchi di Tsubasa, l’abilità di Matsuyama e quella di… Misugi. Misugi, che ora stava proprio di fronte a lui, la palla ai piedi, e che doveva fermare.

Jun gli sorrideva, mentre aspettava le sue mosse e Ken accolse la sfida, imponendogli una marcatura serrata. Durante quella lotta non si dissero nulla, ma si studiarono, ognuno attento ai movimenti dell’altro. Fu però il principe ad avere la meglio, creandosi un varco che gli permise di passare a Sanada, mentre Ken serrava i denti per quello smacco. Misugi era comunque sbalordito dal gioco di Wakashimazu, era molto di più di quanto si aspettasse. Il suo ragazzo aveva una grandissima agilità, ottimi riflessi e un buon intuito, nonché grinta da vendere. Certo, aveva bisogno di ulteriori allenamenti, però in poco tempo avrebbe potuto... raggiungerlo. Quella bravura che lui aveva ottenuto dopo anni di allenamento… Ken avrebbe potuto guadagnarla in breve. Già… perché nonostante avesse sempre fatto il portiere, sembrava già… un attaccante nato.  E di questo, Misugi, era davvero felice.

Quando tornarono a casa, il principe del calcio rispettò i silenzi di Ken. Il portiere mangiò qualcosa al volo poi si sdraiò sul divano, chiudendo subito gli occhi. Si capiva che non stava dormendo, ma bensì pensando. Non coinvolse Jun nelle sue riflessioni, né gli parlò di quella giornata, se non per ripetere le battute scambiate coi ragazzi, ma non alluse mai al gioco in sé. Non poteva parlarne, perché nella sua testa tutto era ancora troppo confuso.

Anche nei giorni successivi, la Musashi si riunì più volte, anche se non regolarmente, per l’ ‘allenamento speciale’ di Wakashimazu. Alla fine anche i ragazzi sembrarono capire che c’era qualcosa dietro a quegli allenamenti, ma sia Ken sia Jun apprezzarono la loro discrezione, poiché non chiesero mai nulla.

Pian piano il portiere si stava abituando e cominciò a parlarne con Misugi.

“Accidenti, Honma e Sanada sono davvero pericolosi! E anche tu non scherzi! Ma tu sei il regista, devo trovare il modo di bloccarli definitivamente, così da avanzare senza problemi verso la porta! Dammi una mano!”
“Ma io sono tuo rivale!” Rise Jun.
“Oh, ma quante storie, sei qui per aiutarmi!”

Chiacchierarono moltissimo quella sera, seduti sul pavimento, davanti a un grande foglio con abbozzati campi da calcio e schemi di gioco. “Forse potrei…” Ipotizzò Ken, tratteggiando con la matita su un giocatore, iniziando un percorso. “Uh? Ma che hai da ridacchiare?” Domandò perplesso Wakashimazu, all’indirizzo del suo ragazzo.
“Nulla… nulla… noto solo… che stai cominciando a pensare come un attaccante…”

La mano di Ken si fermò, non prima che la punta della matita segnasse una deviazione dal percorso intrapreso. Il ragazzo riportò gli occhi sul foglio e guardò gli abbozzi dei giocatori, notando di non aver disegnato il portiere: stava davvero basando tutto su difesa e attacco. Lasciando cadere la matita, guidò le mani sotto lo sguardo e le immaginò protette dai guanti da portiere.

Sarebbe stato solo per quel periodo, no? Per le eliminatorie asiatiche e le Olimpiadi… poi avrebbe ripreso il proprio ruolo.

“Comunque, ci pensi?”

Jun attirò la sua attenzione. Il principe del calcio lo guardò per una manciata di secondi, dopodiché terminò la domanda. “Potresti trovarti a giocare in campo con Wakabayashi!”

“Eh? Io e… Genzo?” Ken lo guardò, interrogativo. Ci mise qualche istante prima di dare a quelle parole il senso che meritavano.

“Beh…” si stiracchiò Jun “potrebbe essere un buon modo per andare d’accordo, una volta tanto!”

Il portiere non capì se Misugi stesse esprimendo quel pensiero per smorzare la tensione o per farlo realmente riflettere su quell’eventualità. In effetti, non ci aveva mai pensato. E, quando in quel momento lo fece, si rese conto che la cosa non gli dispiaceva poi così tanto. Fondamentalmente, lui e Wakabayashi miravano agli stessi obiettivi, e una volta tanto sarebbe stato bello poter gioire di una vittoria per i meriti di entrambi. Certo, in questo caso significava… nella stessa partita, e non alternati in uno stesso campionato. Compagni… e non rivali.

“Perché no? Questo però non significa che sia disposto a cedergli il ruolo di portiere. Mh, lui in attacco e io in porta?” Scherzò Ken, facendo una linguaccia.
“Naaaaa! Non ce lo vedo Wakabayashi in attacco, lui sta bene solo fra i pali!” Ammise Jun, ridendo.
Wakashimazu gli lanciò un’occhiata torva. “Non capisco se queste sono lodi al sottoscritto o meno!”
“Uh, come sei permaloso! Intendo che lui non ha la tua polivalenza!” Jun gli strizzò un occhio.

Non convinto, Ken gli si gettò contro, gli afferrò i polsi e lo fece cadere sulla schiena, inchiodandolo a terra. A carponi su di lui, il portiere lo guardò contrariato. “Altro che principe… sei un ruffiano!”

Poi sospirò, allentando la presa sul suo ragazzo. “Comunque non ci saranno di questi ‘problemi’. Al momento sembra che Wakabayashi non parteciperà alle olimpiadi…”

Il suo sguardo si adombrò nuovamente. Lui, poi, non aveva ancora preso la sua decisione.


 “Ken…”

Le mani di Jun si liberarono facilmente e andarono a cercare il viso del portiere. Il principe del calcio si chinò, attirandolo a sè. “Qualsiasi cosa deciderai, andrà bene…” Terminò, cercando le sue labbra per un bacio.


Quella notte, Ken Wakashimazu faticava a riposare. Aveva chiuso gli occhi e cercato di assopirsi… ma una sensazione sconosciuta lo aveva disturbato. In quel limbo, al confine fra il sonno e la veglia, qualcosa lo agitava, suscitandogli angoscia e lievi tremori. Aveva freddo, molto freddo e, pertanto, con un gesto istintivo, attirò a sé le coperte, cercando tepore, inutilmente. Si trattava di qualcosa di… interno, come se il sangue avesse cominciato a gelare. Avvertiva gli arti intorpidirsi quando, all’improvviso, fu travolto da un’ ondata di freddo intenso che gli partì dai piedi e salì lungo le gambe, conquistando piano piano il suo corpo, guadagnandosi anche il torace e la gola, ormai inaridita, insieme alle corde vocali, paralizzate dallo schock. Prima che quell’afflusso gelido raggiungesse anche l’ultimo capello, il portiere inarcò la schiena e boccheggiò, come se l’aria gli fosse venuta meno. Come se fosse stato avvolto in un involucro, che gli impediva di respirare. Le gambe tese quasi a fargli male, le dita dei piedi arricciate, cominciò a contorcersi nel letto, scosso da bruschi spasmi, tormentato da un formicolio crescente. Le dita di Ken corsero a grattare laddove avvertiva maggiore fastidio, a graffiare… sentiva la pelle dura, squamosa che, lentamente, cominciava a venire via.

Cos’era quell’ illusione?

D’un tratto una fitta dolorosa gli attraversò il torace e lui si aggrappò alle lenzuola e strinse i denti, gettando il viso di lato, sfregandolo sul cuscino. Come se una lama stesse correndo lungo il suo corpo, aprendogli la pelle in due. Poi un ‘tic’ simile a quello di una cucitura che parte, a un punto che salta, seguito poi dal secondo, dal terzo e così via,  fino a provocare quello squarcio che separa  due lembi di stoffa.

Così come accadeva in quella visione: la sua pelle, divisa in due, perdeva il vecchio involucro, lasciando spazio a quello nuovo.

Lo chiamavano processo di muta o, meglio, di ecdisi.

Il portiere si svegliò, spalancando gli occhi e sollevandosi di scatto. Si liberò delle lenzuola, non sentiva affatto freddo. Subito le sue mani andarono a toccare il viso e poi le braccia, mentre gli occhi temettero la discesa lungo il corpo. Con grande sforzo, però, abbassò lo sguardo sul torace, scoprendolo intatto: non era cambiato nulla.

Wakashimazu, il cuore ancora agitato, si voltò verso Jun e capì subito che stava dormendo. Tirò un sospiro di sollievo, sia per non averlo svegliato, sia per aver capito di aver semplicemente sognato.

*****

“Oggi giocherò con te!”

L’affermazione di Jun arrivò inaspettata. Erano sul campo da un pezzo, insieme agli altri ragazzi, Yayoi e Taro, quando Misugi se ne uscì con questo cambio di programma.

“Proviamo a giocare insieme, no? Vediamo se funziona!” Esclamò Jun, in risposta alla sorpresa del compagno.
“Va bene!” Annuì Ken. Jun non l’aveva mai affiancato, ora, invece, l’idea di poter giocare insieme lo elettrizzava da morire.

Lui e Jun… insieme, sul campo.

Scattarono nel medesimo istante, eseguendo una serie di passaggi con cui superarono vari giocatori: una sincronia perfetta, degna della coppia d’oro. Ken continuava a chiedersi cos’era quella sensazione che gli cresceva nel petto, quel misto di entusiasmo e ambizione che lo spingeva in avanti, facendogli desiderare ardentemente di arrivare in porta, segnare e sancire la vittoria sua, di Jun e della sua ‘squadra’.

Era questo ciò che da anni provava Kojiro? Che provava anche Jun?

Quando Misaki fu su di lui, Wakashimazu riuscì a superarlo, effettuando poi un retropassaggio verso Jun, sorprendendo tutti, Taro compreso. La squadra, compattata intorno a Misugi avanzava, non lasciando spazi, e dopo pochi minuti erano già tutti concentrati nell’area avversaria, pericolosi. Fu un attimo. Il traversone di Misugi schizzava dritto nella sua direzione e Ken non poté fare altro che seguire il proprio istinto: nell’istante che ritenne più opportuno saltò, chiedendo alle gambe il massimo slancio possibile e, con un colpo di testa, raggiunse il pallone che andò dritto in rete.

Quando si rese conto del goal, Ken ebbe l’impressione di non udire più alcuna voce intorno. Vedeva i ragazzi andargli incontro, congratularsi con lui, Jun che gli sorrideva soddisfatto e si complimentava, Yayoi che batteva le mani. Ma non sentiva nulla.

C’erano solamente il pulsare emozionato del suo cuore, il respiro affannato e un sorriso trionfale che gli si allargava sulle labbra. 
********************


“Ho preso la mia decisione!”

Faceva caldo, quella mattina. Era una di quelle giornate torride e afose, in cui il sole picchia forte e la gola s’inaridisce troppo facilmente. Ken aveva comunque dormito abbastanza bene, si era alzato, facendo attenzione a non svegliare Jun, fatto una doccia rinfrescante e preparato per uscire. Siccome non aveva un grande appetito a causa del caldo, aveva fatto una leggera colazione, giusto per non rimanere a digiuno. Poi, non appena aveva aperto la porta, aveva sentito una voce alle sue spalle: Jun stava in piedi all’ingresso, gli occhi ancora un po’ assonnati. “In bocca al lupo…” Gli aveva augurato e lui aveva risposto con un sorriso grato. Durante il tragitto in auto aveva pensato al possibile discorso, alle parole da usare ma, ora che si trovava davanti a Kozo Kira, nella sua casa di Tokyo, inginocchiato di fronte a lui, il discorso era venuto meno, gli era rimasta soltanto una gran foga di parlare.

“Io… ho deciso di accettare la sua proposta, mister!”

Un’espressione di sollievo e gioia animò lo sguardo di Kira, mentre un sorriso si allargava sulle sue labbra.

“Però… a una condizione…” Disse Ken, abbassando lo sguardo. Lo sguardo del mister mutò e si fece particolarmente attento.

Ken strinse i pugni sulle ginocchia. “Mister…” Alzò nuovamente lo sguardo su di lui. “Mi faccia fare anche il portiere! Quello è il mio ruolo e se facessi soltanto l’attaccante sono sicuro che mi sentirei incompleto come giocatore! Mi affido a lei su come impiegare i due ruoli, ma, la prego, me li faccia ricoprire entrambi! Fare il portiere è troppo importante per me, ho ancora una sfida aperta con Wakabayashi e lei lo sa ben…”

“Wakashimazu…” Lo interruppe l’uomo, guardandolo come se non comprendesse bene le sue parole. “Non ho mai pensato di rinunciare a te come portiere…”

La sorpresa di Ken fu enorme.

“Non te l’ha detto… Misugi?”

“Eh? Misugi?” Lo stupore del portiere dei Grampus crebbe ancora di più. 
“Beh… quando sei uscito dal mio ufficio, l’ultima volta, ti ho visto parecchio turbato e sconvolto, quindi ho pensato che, forse, nello spiegarti la mia nuova strategia, non ero stato chiaro sul punto che non volevo rinunciare a te in qualità di portiere…” Spiegò l’uomo. “Per questo, quando il giorno dopo, nella riunione avuta con le tre M, ho preso da parte Misugi e gli ho chiesto di spiegartelo. Ho pensato che lui sarebbe stato in grado di aiutarti nella decisione…”

Ken sentì un vortice di emozioni animarlo dentro. “… è stato proprio così, mister.” Disse, perdendosi per un istante nei suoi pensieri. Jun lo sapeva… e non gli aveva detto nulla. E, nel pensare a ciò che aveva organizzato per lui, alle partite con gli ex compagni di squadra, alle serate passate a pensare a possibili schemi d’attacco, comprese ogni cosa: Jun aveva voluto renderlo consapevole delle sue potenzialità come attaccante, per non fargli vivere quel nuovo ruolo come un’ imposizione o una sconfitta in quanto estremo difensore ma, anche, e soprattutto, per non farlo adagiare sul fatto che avrebbe comunque ricoperto il suo ruolo di sempre. In quel modo aveva potuto scegliere, prendere una chiara decisione. In cuor suo ringraziò infinitamente il proprio ragazzo per ciò che aveva fatto.

Poi, però, resosi conto delle parole del mister, non potè fare a meno di domandare con un po’ di timore: “Come mai… proprio Misugi?”

Kozo Kira lo guardò brevemente, poi afferrò la bottiglia d’acqua che stava al suo fianco. Ne versò un po’ nel suo bicchiere e in quello di Ken, poi prese il proprio fra le mani e ne ispezionò il contenuto. “Sarò anche un ex alcolizzato…” Esordì con un sorriso disteso. “Ma non sono totalmente rimbambito.”

Ken sussultò.

“È da anni che faccio l’allenatore di calcio e, puoi stare certo, che non è la prima volta che mi capitano… ehm… situazioni come la vostra… non posso capirle appieno, lo ammetto, ma ritengo che ognuno debba vivere come meglio creda. Non sono nella posizione di giudicare nessuno. Siete entrambi dei ragazzi in gamba…” Sorrise l’uomo, paterno. “E poi, ho come l’impressione che Misugi acquieti un po’ il tuo fare impulsivo, no?”

Wakashimazu posò le mani in terra e fece un inchino davvero sentito. “Grazie mister. Grazie.”

L’uomo alzò il bicchiere e bevve d’un fiato. “Allora ti aspetto al J Village, Wakashimazu!”

“Sì, mister!”

********


Alla fine del primo tempo, il Giappone conduceva per 2 a 1 contro la Danimarca, grazie ai goal di Misaki e Nitta. Si era lasciato fare un goal, ma nel complesso aveva protetto la porta egregiamente, erano state queste le parole del mister, nello spogliatoio. Nonostante tutto, avvertiva aria di cambiamento. Così, quando sentì Kozo Kira pronunciare quella frase, il suo cuore cominciò a battere per l’emozione.

“È arrivato il momento di usare l’arma segreta e la nuova strategia provata durante gli allenamenti…”

Wakashimazu tergiversò, prima di sfilarsi la maglia da portiere, per lui come una seconda pelle. Tentennò un istante, mentre recuperava quell’ultimo pensiero. Una nuova pelle. E, finalmente, capì: il sogno, la metamorfosi, il suo cambiamento. Infine, con decisione, indossò la nuova maglia da attaccante.

Togliersi la divisa da portiere era come essere spogliati del proprio ruolo. Non soltanto il corpo si privava di qualcosa, ma anche la sua mente, in quegli istanti completamente svuotata. Misugi, di fronte a lui, gli porgeva la nuova maglia, sollecitandolo con lo sguardo. Ken allungò la mano e l’afferrò, senza distogliere gli occhi da quelli del ragazzo, neanche mentre l’indossava. Non appena fu pronto, si sentì carico di energie, come se, quel giorno, non fosse ancora entrato in campo. Era il suo nuovo ruolo, un nuovo Ken Wakashimazu.

Quella maglia era la sua nuova pelle e lui non poteva assolutamente tradirla.



Il secondo tempo era cominciato da pochi istanti e le tre M erano già entrate nel vivo dell’azione, effettuando passaggi rapidi e precisi fra loro, che li fecero avanzare pericolosamente nell’area avversaria. All’improvviso, Misaki cambiò strategia, procedendo in dribbling ma, non appena due difensori danesi lo raggiunsero, il numero undici passò alla sua destra, in direzione di Misugi che agganciò al volo.

Era noto che il principe del calcio non fosse un giocatore individualista e che prediligesse il gioco di squadra. Quel giorno, però, Misugi pensò che, per una volta, poteva esserlo anche lui. Avanzò in una progressione solitaria, correndo sulla fascia finché, superata l’area di rigore danese, decise di passare.

Sì, i compagni dovevano assolutamente concedergli quell’azione egoistica, perché il primo passaggio per Wakashimazu in veste di attaccante, non poteva essere che il suo.


FINE




*capitolo 7 de “il cuore e il pallone”: Nitta scommette con Ken che, se fosse riuscito a parare il suo tiro, si sarebbe iscritto anche lui a Karatè.

Si ringrazia il Taka per la scena del Golden 23: è davvero Jun il primo a effettuare il primo passaggio  a Ken in veste di attaccante ed è proprio da questa bellissima scena che è nata la ff!

Adoro il siparietto della Musashi *__* qui trovate il trio: (da sinistra Honma, Ichinose e Sanada) [http://i234.photobucket.com/albums/ee55/releuse/034-035.png

Grazie a tutteee:))))
  
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