Biblioteche
e compagne di stanza.
Nessie.
Guardai l’insegna dove un penna intrisa d’inchiostro si frangeva su una pergamena. Molto azzeccata per una biblioteca, direi.
Entrai
dentro, era un edificio molto piccolo, ma scaffali enormi riempivano le
pareti
e ogni spazio libero al centro della stanza.
La
commessa mi sorrise lanciandomi uno sguardo indagatore attraverso i
suoi
occhiali tondi. Era anziana, sulla sessantina probabilmente, e portava
un
vestito a fiori abbastanza hippie che le conferiva un’aria
molto dolce
<<
Posso aiutarla? >>
<<
No, la ringrazio. >> le risposi cordiale, ma lei
abbassò gli
occhi,
sembrava delusa... forse non entrava molta gente lì dentro,
chissà
perché. Poi
guardai meglio gli eleganti scaffali intarsiati in legno e capii. No,
lì dentro
non entrava molta gente, ovvio, non c’erano i soliti best
seller:
niente
lucchetti attaccati ai pali, niente ragazzine in piena tempesta
ormonale,
niente drammatiche storie d’amore che si concludevano con il
solito
“felici e
contenti”. Non che avessi qualcosa contro di loro,
s’intende,
semplicemente non
erano il mio genere. I libri che piacevano a me erano molto diversi e
lì...
beh, avrei vissuto tutta la vita lì dentro se mi fosse stato
possibile!!
Sorrisi
al mio pensiero, sarebbe stato molto da me, in perfetto stile
René
Cullen, poi
mi concentrai: ero lì con uno scopo ben preciso e non potevo
permettermi di
cominciare a scorrazzare fra quei tomi come una ragazzina a Disneyland!
Anche
perché, in quel posto una reazione del genere sarebbe stata
completamente
assurda e incomprensibile a chiunque altro. Gli antichissimi tomi che
riempivano
le mensole avrebbero fatto fuggire chiunque altro, rabbrividire
perfino, ma io
ero fatta così! Spesso mi sentivo molto Hermione di Harry
Potter in
realtà,
vedevo un libro e tac! Dovevo assolutamente leggerlo. Soprattutto se
erano
portatori di grandi segreti come quelli!
Presi
in mano il testo con l’aria meno fragile, era pieno di
immagini
esoteriche e
delle strane iscrizioni accompagnavano le più accurate, gli
occhi mi
brillarono.
Quando
uscii mi sedetti al tavolino di un bar e solo sorseggiando una tazza di
cappuccino fumante –a proposito, non ne avevo mai assaggiato
uno così
buono!- fui
in grado di pensare razionalmente.
Come
ci ero finita a Firenze? Avevo davvero seguito quella scritta
“Salvatore –
Firenze 1870” sul medaglione di mio padre? Va bene, ero
approdata nel
posto più
bello al mondo – che per di più, si trovava in una
delle città più
affascinanti
che avessi mai visitato- ma cosa c’entrava tutto questo con
mio padre?
Avevo
davvero attraversato l’Oceano per visitare una libreria...
stentavo a
crederci.
Non
aveva senso quello che stavo facendo lo sapevo, ma cercando su internet
le parole
incise, la biblioteca che avevo appena visitato era l’unico
risultato.
Mi
vergognavo solo a pensarci, cosa speravo di trovare seguendo la scritta
incisa
su di un medaglione? È vero, non era un medaglione, era Il
medaglione, quello che mio padre aveva sempre portato al collo
da quando ne avevo memoria e che quando era stato ritrovato reggeva fra
le
mani.
Ma
come potevo capire chi e perché aveva ucciso mio padre, da
una
biblioteca? Si,
perché mio padre era stato ucciso, assassinato senza
pietà in un modo
talmente
irrazionale, che neppure la scientifica era riuscita ad identificare la
data e
le modalità del decesso. Era pieno di ferite, ma come se
l’era
procurate non
riuscivamo proprio a comprenderlo… una lacrima scese sul mio
volto, ma
la
ricacciai subito indietro. Non potevo permettermi debolezze, per
piangere avevo
avuto tre intere settimane, ora era il momento di agire.
Tornai
all’ostello della gioventù dove alloggiavo
–con così poco preavviso,
era stata
l’unica cosa che potevo permettermi- e sorridendo alla mia
compagna di
stanza
mi gettai sul letto a pensare e pian piano scivolai
nell’incoscienza...
***
Mi
risvegliai urlando e il perché, sinceramente non lo
ricordavo neppure.
Avevo
fatto un brutto incubo, ma come tutte le altre volte da quando era
morto papà,
non riuscivo a ricordare cosa popolava i miei sogni. Non che ci tenessi
granché, se le immagini dei miei brutti sogni mi sarebbero
rimaste
impresse nella
mente, mi avrebbero rovinato la giornata, ma era frustrante.
Risvegliarsi
urlando e non sapere neppure perché, mi dava sui nervi,
decisamente.
Per
fortuna erano ancora le otto e mezzo di sera e nessuno era ancora
andato a
dormire, avevo fatto preoccupare la mia compagna di stanza
–di cui, fra
l’altro, non conoscevo ancora il nome- che ora non la
smetteva più di
ciarlare.
<< Ehi? Ehi? Cos’hai? Pensavo qualcuno ti
avesse aggredita!
Cavolo che
spavento! Uff! >>
<
<<
Ahahahah >> lo so, non è educato
ma… << Ahahah >>
aveva in
mano un cappello da pirata, e sulla parte destra della testa della
stagnola e sull’altra
i capelli blu!
<<
Cosa? Cosa c’è da ridere?! Io mi sono preoccupata
e tu… >> era
totalmente
sconvolta dalla mia reazione e sembrava ancora più buffa,
cominciai a
lacrimare
dalle risate.
<<
Ma che hai? Un attacco isterico? Devo chiamare qualcuno,
ehi?>>
<<
No...>> alla fine trovai la forza di rispondere
<< ahahah!
Ma
cos’hai in testa? Sei tutta, tutta…
>> non riuscii
a terminare la frase che mi venne un
attacco di ridarella acuta, ma capitemi, quando comincio a ridere non
riesco a smettere
più. Comunque, a quel punto anche lei capì.
<<
Aaah. Stavo facendo la tinta! >> e a questo punto
cominciò a
ridere anche
lei. Erano giorni che non ridevo così, mi sentivo
estremamente più
leggera.
Ridemmo
per circa cinque minuti buoni, finché all0improvviso si
bloccò e affilò
gli
occhi fingendosi offesa << Comunque, quando avrai finito
di
ridere di me,
sarei felice di sapere qual è il tuo nome. >>
e poi sparì dietro
la porta
del bagno.
Rimasi
ad osservare la maniglia della porta per almeno trenta secondi
finché
alla
fine, annunciai << Renesmee, mi chiamo Renesmee.
>>
<<
Piacere Nessie! Io sono Alice. >> mi urlò da
dentro il bagno.
<<
Nessie? No, io mi chiamo Renesmee...>> dissi confusa.
<<
Si, ho capito che ti chiami Renesmee, ma Nessie è molto
più carino, non
trovi?
>> e affacciandosi da dietro la porta mi
scoccò un sorriso
smagliante.
Uno di quei sorrisi che mettono allegria semplicemente a guardarli.
Oh
beh, ero in Italia da solo un giorno e mezzo ed una ragazza di cui non
sapevo nulla
mi aveva già affibbiato un nomignolo assurdo! In altre occasioni me la sarei
sicuramente presa, ma infondo
Alice mi
era simpatica ed il nomignolo non era poi tanto male... mi sarei
vendicata
escogitandone uno ancora più assurdo per lei! Intanto che
rimuginavo
sulla mia
piccola ripicca cominciò << Di dove sei?
>>
<<
Vivo a Seattle, anche se non mi piace granché, troppa
umidità. >>
e le
sorrisi, irradiava felicità quella ragazza, non potevo
essere scontrosa
con
lei.
Stava
aspettando che aggiungessi qualcosa ma non mi veniva in mente nulla,
ero ancora
insonnolita dal modo in cui mi ero svegliata e non connettevo ancora
molto. Le
rivolsi la sua stessa domanda.
<<
Io sono di New York, ma i miei si sono trasferiti in Inghilterra, ma
poi
abbiamo litigato. Diciamo che questa è una specie di
“fuga” anche se
sono
sicura che non resisterò più di tanto lontana da
casa... sono lontana
da tre
giorni e li ho già chiamati un sacco di volte... poi, Emmet
ed Edward,
i miei
fratelli, mi mancano tantissimo... soprattutto Edward che ha appena un
anno e
ha appena cominciato a parlare!
Comunque
ho deciso che voglio vedere un po’ tutta l’Italia
prima di tornare da
loro...
sai, ci sono ancora un sacco di posti che non ho ancora visto e poi
stasera
vado ad una festa!>> e si sistemò un cappello
in stile Jack
Sparrow sulla
testa. Osservai gli altri suoi accessori: una benda ed una spada di
plastica ma
abbastanza realistica da incutere un certo terrore.
<<
E ci vai vestita così alla festa? >>
<<
Ma certo! E’ in maschera! Vienici anche tu, ti presento anche
degli
amici!
>>
<<
Mmh... >> non potevo andarci, avevo una missione da
compiere.
Si,
ma non hai ancora idea di cosa
fare. Domani torni in quella biblioteca e decidi okay?
–eccola, la mia vocina,
che mi
confondeva ogni volta le idee- Taci. Ho molto da fare!
A
quest’ora? Non credo, non vorrai
certo andare a dormire!! Dai, infondo una festa non si disdegna mai, no?
Ma
devo andarci con quella? Sembra una matta!
Senti
chi parla! Quella che sente le
voci nella sua testa!! E poi è simpatica!
La
voce sei tu! E non credo ti dispiaccia… Se vuoi
però, smetto
immediatamente
di darti ascolto!
No,
non lo fare! E poi, senza di me
saresti persa!
Si,
come no… senza di te sarei come un pesce senza pinne.
Ovviamente si! Comunque alla festa ci
vai! Ricordi cosa ti ha detto tua sorella la settimana scorsa?
Aveva
toccato –o avevo, perché infondo, la vocina ero
sempre io- il tasto
sbagliato.
Certo che lo ricordavo, ma a mia sorella non ci volevo pensare.
No, no,
no. La
sua voce che prima che iniziasse la litigata mi aveva detto
“Trova il
giusto
equilibrio, so che puoi superare la morte di papà.
E’ una brutta cosa,
manca
tanto anche a me, ma non puoi smettere di divertirti Renesmee. Torna in
carreggiata. ”
Mia
sorella Baylee aveva
ragione, e lo
sapevo. Ma neppure lei, ci riusciva però e si teneva tutto
dentro. Lei,
che era
quella emotiva, ora sembrava un’altra persona. Era diventata
imperturbabile, come
se indossasse una maschera e si fosse rassegnata. Non era da lei.
Quando
le avevo esposto il mio piano per scoprire la verità sulla
morte di
papà, aveva
cercato di fermarmi in tutti modi e mi era sembrato di parlare con
un’altra.
Ogni parola che utilizzava per rispondermi, sembrava calcolata a
dovere, come
se mi stesse nascondendo qualcosa. Ne ebbi la conferma quando mi stufai
di
litigare senza ottenere niente e le annunciai che ci sarei andata da
sola, in
Italia. Aveva borbottato qualcosa che somigliava ad un “prenderanno
anche te” ed io a quel punto ero impazzita, ed ero
fuggita via come una stupida!
Me
l’avesse detto ora, le avrei chiesto di cosa stesse parlando,
ma mi
sentivo
tradita, ed io orgogliosa fino all’ultimo da quel giorno ho
smesso di
risponderle al telefono finché anche lei si è
stufata e non mi ha
chiamata più.
Ora
avrei tanto voluto che mi chiamasse, anche con una scusa stupida, avrei
continuato la mia ricerca ma l’avrei perdonata. Mi mancava
troppo, le
avrei
perdonato di tutto a questo punto.
Renè,
la devi smettere! Ti farai solo
male così! Smetti di pensare a tua sorella!
All’improvviso
mi ricordai di Alice, e vidi il suo viso che attendeva ancora una
risposta con
un sorriso. Non si era neppure accorta della mia pausa.
<< Va
bene! Ci
vengo! >> si, avevo proprio bisogno di distrarmi ed una
festa mi
avrebbe
fatto dimenticare Baylee,
credo.
La
mia vocina interiore era esultante. Chissà
perché, vinceva sempre lei.
Poi
ebbi un’illuminazione << Ma cosa mi metto?
>>
<<
Per quello non ti devi preoccupare! Mancano ancora due ore
all’inizio
della
festa, andiamo a fare shopping! >> e così
vestita da pirata
com’era, mi
prese per il braccio, mi lanciò un giubbotto e mi
trascinò fuori.
***
Folle,
hai incontrato una folle. Tutti tu li vai a cercare i matti, eh
Renesmee?
Vedevo
Alice che pescava decine di costumi, finché ne estrasse uno
attillatissimo che
–ahimè- mi convinse a provare: era da vampira, con
una gonna nera così
corta da
essere invisibile, un top nero trasparente senza spalline che di
coprente non
aveva praticamente niente, ed un mantello nero da poggiare sulla
schiena. No, avrebbe
detto quello che voleva, ma non l’avrei indossato alla festa!
Mai!
Evidentemente
però, il destino ce l’aveva con me,
perché gli unici altri vestiti
della mia
taglia erano da pecorella (ma chi comprerebbe mai un vestito da
pecorella??) e
da Winx. Da Winx, vi rendete conto? Beh, forse il vestito da vampira mi
faceva
sembrare un po’ una sgualdrinella a caccia –cosa decisamente
riduttiva per quel vestito- ma per lo meno, non
sembravo uscita da una storia a fumetti!