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Autore: rospina    22/05/2011    5 recensioni
La seconda guerra mondiale incombe sull'Europa e sull'Italia, tutto appare uguale e diverso da sempre, perchè il vento impone la sua danza e i suoi tempi e non resta altro che muoversi ai suoi ritmi per non essere spazzati via...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’odore forte del cloro le penetrava le nari. Tirava avanti e indietro il tira acqua lasciando scivolare il liquido incolore nella piccola grata di plastica. La piscina si era appena svuotata. E le donne erano tutte sotto le docce che ridevano e si criticavano con sottigliezza. Giulietta Paso con il suo camice bordò puliva il bordo piscina mentre lacrime cristalline le solcavano il volto. Le donne uscirono e non la salutarono.

“sono solo una cameriera. Come sempre” mormorò tra se la giovane.

Un giovane cameriere, che alle volte si prestava a fare il bagnino per le giovani borghesi di Roma si era appena finito di cambiare, e prima di uscire notò la giovane, che aveva lunghi capelli neri, trattenuti in una coda di cavallo. Lui bussò leggermente sul vetro trasparente che divideva il corridoio dalla piscina, lei sollevò i suoi grandi occhi neri arrossati. Lui gli fece un piccolo cenno di saluto con la mano. Lei sorrise debolmente. Credette fosse uscito. E invece lo vide arrivare di fronte a lei. Si presentò:

“Piacere, io sono Federico Sepúlveda” le sorrise tendendole la mano.

Lei rimase con le mani incollate al suo bastone e disse:

“Io sono Giulietta Paso”

“Sei nuova?”

Lei annuì con la testa e poi disse:

“si! Inizio oggi. Sei spagnolo?”

“No!”

“scusa … credevo lo fossi per via del cognome e la cadenza …” infatti la voce di quel giovane dai grandi occhi neri era dolce e calda. Avvolgente, come solo la lingua latina sa essere e lui rispose:

“Sono Argentino”

“Argentino? Che bello amo lo spagnolo” rispose lei spalancando i suoi grandi occhi neri

Que bien! Allora possiamo parlarlo insieme”

“mi piacerebbe moltissimo, però non è che io lo parlo bene, anzi la realtà è che lo sto ancora imparando”

“non è un problema! Fidati di me chica!”

Allargò le sue labbra sottili e finalmente Giulietta sorrise. Lui la salutò con la mano, prese il borsone e la lasciò sola. La giovane ricadde nella sua malinconia. Un volta terminato il lavoro raggiunse una stanzetta dove si tolse il camice e infilò gli stivali neri. Si chiuse in cappotto rosso e sciolse i suoi lunghi capelli sulle spalle. Pochi passi e fu nell’immenso giardino dell’albergo. Non aveva la bicicletta e si diresse a piedi verso casa. Stava piovendo ed aprì l’ombrello. Era pieno di piccoli ricci pieni di aculei. A volte si sentiva come quell’animale, piena di spine fuori, ma con un’anima da scoprire dentro. E si chiese: se fossi un riccio, qualcuno si accorgerebbe che sotto le mie spoglie vive un cuore in cerca d’amore?. Una domanda che in lei era sempre più ricorrente, ma anche la risposta era sempre la medesima: no a me non capiterà mai!

La pioggia battente aveva allagato le strade di Roma. Le strade erano inondate, e Giulietta cercava di non farsi bagnare troppo dalle macchine che prendevano le pozzanghere;fra le auto in fila riconobbe una vettura. Un giovane dalla testa rasata la salutò. Lei ricambiò. Ma tristi ricordi le affollarono la mente. Aveva lavorato come collaboratrice domestica in una casa per alcuni anni. Poi improvvisamente senza spiegazioni era stata licenziata. In quell’occasione si era sentita umiliata, come se valesse meno di niente. Era stata trattata peggio di una serva. Come se non fosse abbastanza intelligente che era stata sostituita da una donna più anziana che costava meno in manodopera. Cose che succedono. Si disse. Ma quando accadono fanno male. Pensava che per lei in quella casa provassero dell’affetto. E invece a nessuno importava di lei. Tranne che a quel ragazzo che aveva appena salutato. Tornò a casa stanca. Non mangiò e si tuffò nel letto. Non ebbe il tempo di finire neppure le sue solite preghiere serali, che gli occhi le si chiusero stancamente. Il mattino seguente si alzò. Spalancò la finestra della sua stanza. Un pallido sole si stava affacciando sulla città, un sole tiepido, che poteva scaldare solo i cuori e non la pelle. Si affacciò al balcone e inspirò la fredda aria nei suoi polmoni. Sua madre la chiamò:

“muoviti Giulietta! Tua cugina è già di sotto che ti aspetta!” la ragazza si cambiò in un attimo, trangugiò un succo di frutta e fu già sotto.  Sabrina era lì che la aspettava. Aveva grandi occhi azzurri e labbra sottili, posate su una pelle chiarissima. Le cugine erano pressappoco uguali se non fosse stato per i loro colori differenti, occhi azzurri l’una, corvini l’altra.

“Dai Giulietta, che Alessandro piange e lo devo ancora lasciare a scuola”

Sabrina era sposata da qualche anno e aveva un bambino meravigliosamente bello come lei. Grandi occhi azzurri e faccia tosta da vendere. Piangeva ininterrottamente per qualche piccolo capriccio, ma non appena vide Giulietta salì in macchina smise di piangere sfoderando un sorriso a due denti.

La ragazza si voltò per baciarlo e fargli un po’ di solletico e lui rise divertito ma la mamma disse:

“Uffa! Non lo sopporto più! È tutta la mattina che piange” mentre continuava a guardare la strada chiese:

“Com’è andato il tuo primo giorno di lavoro?”

“normale” rispose laconica Giulietta

“Che vuol dire normale? Ti piace? Si! No! Insomma puoi darmi una risposta decente?” gridò la cugina

“che ti devo dire? Pulizie. Non è niente di particolare. Sempre le stesse cose”

Sabrina stava fermando l’auto per farla scendere; quando un ragazzo bruno salutò proprio Giulietta. Lei rispose con un semplice cenno del capo.

“E quello chi è?” chiese Sabrina sgranando gli occhi

“un cameriere dell’albergo credo”

“corteggialo!” sentenziò seria

“ma che dici? Stai scherzando vero? ti ha dato di volta il cervello?”

“va va! Vattene che è tardi! E poi non capisci nulla, arriverà il giorno in cui saremo noi donne a corteggiare l’uomo che amiamo” concluse Sabrina facendola scendere dall’auto.

Sabrina era fatta così. Piena di vita, allegra, sempre sotto stress, era come se tutto il mondo gravitasse attorno a lei. Era moderna, credeva che non era obbligatorio che fosse l’uomo a fare il primo passo verso una ragazza. Amava smaltarsi le unghie di rosso e usare gonne più corte del normale. Ma a lei non importava di ciò che diceva la gente. Erano gli anni quaranta e qualcosa doveva pur cambiare, il mondo non poteva rimanere sempre lo stesso e le donne non dovevano fermarsi ad essere delle semplici pedine nelle mani degli uomini. No lei credeva che un mondo nuovo si dovesse affacciare da un momento all’altro. A differenza di Giulietta lei aveva trovato un buon lavoro, lavorava come segretaria per il vice ministro degli esteri italiano. Aveva avuto più volte la possibilità di vedere il Duce in persona. Niente di chè, diceva lei, un uomo piccolo con una testa calva, e vederlo di persona alle volte dava l’impressione che tutto questo potere fosse troppo per un uomo così piccolo. il suo capo invece, era scostante tirchio e altezzoso ma nonostante tutto si trovava bene. Lasciò il piccolo all’asilo e corse in ufficio. Dopo essersi tolta il giubbotto si mise subito a cercare fascicoli nell’archivio. La sua collega non era ancora arrivata. Come si sedette sulla sedia e arrivò il suo capo.

Fabio Paris.

Elegantissimo nel suo completo grigio. Non aveva la cravatta e questo gli dava un’aria sportiva. Sabrina lo salutò, e lui senza neppure salutare le disse:

“Preparami subito tutto per chiudere la pratica Maretti” e scomparve nel suo ufficio

Sabrina ormai non ci faceva più caso, era abituata ai suoi mancati saluti e alla sua mancanza di tatto. Ma alla fine per lei l’importante era che alla fine del mese il suo stipendio arrivasse puntuale. Arrivò anche la collega di Sabrina che aveva appena assistito alla scena e chiese sottovoce:

“Ma si può sapere perché è sempre così scontroso?”

Sabrina alzò le spalle e disse con fare da vecchia pettegola portinaia di paese:

“Che vuoi che ti dica, posso anche compatirlo, mi pare che la sua fidanzata, una certa Serena, lo ha lasciato all’altare per un giovane medico!”

Nel frattempo che parlava stava sistemando la sua scrivania di noce nazionale. Una pila di documenti erano sul lato destro, mentre sulla sinistra accanto ad una lampada spoglia teneva una foto di Alessandro che sorridente stringeva suo padre. Si avvicinò allo schedario che era poggiato alla parete aprì un cassetto e iniziò a cercare i documenti che le erano stati richiesti qualche istante prima.

“No!” sbottò stupita la collega. Sentirono la maniglia muoversi e velocemente ognuna tornò alle sue solite mansioni nel silenzio più totale. Il lavoro procedette veloce e frenetico fino alla sera. Come sempre vi era un gran via vai di gente, che andava e veniva senza fermarsi. Era come se tutti eseguissero sempre degli ordini. Il solo angolo di pace era per Sabrina una finestra che dava sul cortile, dove un prato verde faceva da cornice. A sera, Sabrina stanca andò a riprendersi il suo piccolo pargolo a scuola. Lo trovò seduto in un angolo che piangeva:

“Voglio la mia mamma!” erano le sue uniche parole. La giovane donna ebbe una stretta al cuore, e provò una fitta d’odio per il suo datore di lavoro Fabio Paris. Per colpa sua non aveva potuto usufruire di un orario flessibile“O così, o resti a casa” erano state le sue parole, fredde e distaccate, lei gli disse che aveva un bambino piccolo a cui badare ed un marito, ma lui dal gelo dei suoi grandi occhi verdi gli rispose:

“avevi solo da non sposarti e non mettere su famiglia”

Per Sabrina Paso, era un essere senza cuore. Non provava pena per nessuno. Si chiedeva se avesse mai sofferto in vita sua, o se perlomeno avesse desiderato tanto una cosa, e poi non poterla avere. Si disse che no. Lui non poteva provare questi sentimenti. Era fatto di ghiaccio.

Quando arrivò davanti l’albergo, Sabrina era ancora avvilita e attendeva che sua cugina si decidesse ad uscire. Quando Giulietta salì in macchina notò subito che qualcosa non andava e chiese:

“che succede?”

“Nulla!” rispose secca

“Non è vero che non c’è niente! Sei silenziosa come non lo sei mai”

“Vuoi davvero sapere cosa mi succede? Mi succede che sono arrabbiata! Avvilita, amareggiata, e chi più ne ha ne metta”

“Se forse ti spieghi capisco anche io”

“Odio Fabio Paris! Oggi per colpa sua ho fatto tardi a lavoro, e quindi Alessandro è rimasto da solo all’asilo con la maestra, e l’ho trovato che piangeva. Non puoi capire come mi sono sentita! Poi gli dici a quell’essere squallido che non ti puoi fermare perché hai famiglia e lui ti dice, che non può rinnovare il contratto! Tutto per una ripicca! Non è un essere umano!”

“Su dai non fare così, vedrai che tutto si calmerà, d’altronde è meglio avere un capo con cui litigare che stare a casa giusto?”

Sabrina la guardò. Sua cugina sapeva sempre come calmarla. Erano così simili e così diverse allo stesso tempo. Lei si riteneva molto più vitale di Giulietta, era sanguigna, impulsiva, e tante volte se non fosse stato per lei avrebbe fatto degli errori enormi. Ma lo stesso valeva per Giulietta, che era accomodante, sempre pronta a giustificare il mondo interno, e pensierosa. Non prendeva decisioni avventate, diceva che era meglio ponderare bene le proprie scelte. Due cugine così uguali e diverse. Sempre insieme, quasi come se fossero sorelle, ed alle volte lo parevano sul serio.

Quella sera Giulietta quando tornò a casa, trovò la madre che pelava delle patate e stava iniziando a cucinare una minestra e chiese:

“mamma, papà non è ancora rientrato?”

“No, lo sai com’è fatto tuo padre, finché c’è luce non lascia il suo orto” poi mentre metteva le verdure nella pentola disse: “accendi la radio tesoro, che dovrebbe iniziare il radio giornale”

Giulietta non rispose, si accostò all’enorme apparecchio marrone e girò la manopola. Dopo un brusio di sottofondo riuscì ad individuare la musica del notiziario. Era sempre la stessa voce che si ascoltava tutte le sere, che con professionalità apriva le notizie dicendo: “comunicato” oggi il Duce ha …

La ragazza non si mise ad ascoltarlo. La madre se ne accorse e disse:

“dovresti ascoltare, è importante, sembra che la Germania voglia l’aiuto del Duce per affrontare la guerra in Russia”

“oh mamma! Lasciami in pace, non ho proprio voglia di ascoltare brutte notizie”

“Ma non è una brutta notizia, anche il re lo crede. Lascia stare tu sei ancora troppo piccola per capire queste cose, prima o poi lo capirai. Ora vai a cambiarti, così dopo mi aiuti a cucire il vestito per la signora Marinetto …”

Poco dopo era già nella cucina che cuciva l’orlo a quella gonna di stoffa pregiata. La luce fioca scendeva dal lampadario appena arrangiato. La casa spoglia ma pulita era sempre accogliente per chiunque vi entrasse. pochi  oggetti erano poggiati sui mobili, perché poche erano le cose che avevano. Mentre la giovane cuciva, Ammirava quel modello e quella stoffa, ma non invidiava sicuramente le persone che se le potevano permettere. Quando la madre arrivò a completare il lavoro la figlia le disse:

“Mamma ho già finito”

“Grazie!”

Gracias, si dice così in spagnolo”

“Smettila con queste sciocchezze! Sapere tutte queste cose non ti porterà mai da nessuna parte”

Giulietta abbassò gli occhi. Forse sua madre aveva ragione, ma a lei non importava. Voleva conoscere lo stesso quella lingua meravigliosa. Si era innamorata di quel suono tanto tempo indietro, quando aveva avuto al possibilità di sentirlo parlare a due giovani marinai che erano di passaggio in città, da allora aveva cercato avidamente di apprendere tutto quello che poteva su quella lingua.

 

   
 
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