Il
giorno seguente il sole si affacciava tranquillo e sereno, coprendo d’oro i
tetti delle case.
Tutto
era come sempre. Sabrina portò prima Giulietta a lavoro e poi il suo cucciolo all’asilo.
Ormai
Giulietta si era addentrata bene nel suo lavoro, non le dava neppure fastidio
che facesse nuovamente la cameriera. Ormai la delusione iniziale era passata. I
suoi piccoli sogni erano quelli di trovare un lavoro come quello di sua cugina.
Ma non valeva la pena piangersi addosso. Sapeva bene che tutto era così, perché
con il tempo tutto si dissolve e sciama, quasi a diventare un nonnulla. Stava
finendo di passare lo straccio in una suite, quando una voce maschile richiamò
la sua attenzione:
“Chica!”
Lei si
voltò e vide Federico Sepùlveda, era appoggiato sulla
soglia della porta che la guardava sorridente:
“allora
parliamo un po’?” chiese in spagnolo
“Ora? Io sto lavorando, e poi mi vergogno”
“ma
figurati, non ti devi vergognare, guarda che sbagliando si impara! Se non ti
butti nelle cose, non potrai mai sapere se saresti riuscito a farle”
“Hai
ragione” rispose lei, questa volta in castellano“ma se sbaglio mi correggi?”
“Naturale
che lo farò”.
Lei
puliva e lui la seguiva. Parlavano come due vecchi amici, e spesso lui le
riprendeva l’accento o le suggeriva la parola esatta. Senza presunzione e senza
superbia le faceva notare gli errori per aiutarla a migliorare. Ridevano di
gusto come alla giovane non capitava da tempo. Quel giovane riusciva a
trasmettere a Giulietta delle sensazioni nuove. Stava bene con lui. non aveva
paura del suo giudizio, e ogni qual volta che lo vedeva sentiva in lei una
gioia pervaderle il cuore. E fu così che Federico le disse:
“Domenica
pomeriggio ti va di mangiare un gelato insieme a me?”
Il suo
ovale si illuminò, lui non dovette attendere la risposta, perché poté leggerla
sul volto di Giulietta, che divenne radiosa e ancora più bella di quello che
era. Le prese una mano, gliela baciò e sentenziò:
“Allora
domenica ti aspetto di fronte alla gelateria che c’è di fronte in piazza di
Spagna”
Sabrina era appena giunta a
casa. Accese la luce e si illuminò un piccolo lampadario che aveva la forma di
un piattino di porcellana. La luce dorata si posò sulle pareti, che pareva
avessero fiori marroni e avorio che stavano per cadere sul pavimento, ma che invece
rimanevano li, fermi. Alessandro corse verso il suo cavallino a dondolo in
legno, ed iniziò a cavalcarlo come se fosse un cow-boy autentico. La giovane
mamma, appese il suo cappotto marrone, bordato d’antilope dello stesso colore,
nel piccolo guardaroba a muro che stava poggiato alla parete. Un tavolo ovale
in legno scuro era al centro della sala da pranzo, e sopra vi era una ciotola
in argento che conteneva cioccolatini; il suo sguardo venne attirato da un
piccolo foglio di carta posato sul tavolo. Lo prese e lo lesse:
“non aspettarmi, stasera
tornerò tardi, tuo Gabriele”
Sbuffò leggermente, ma non lo
diede a vedere, capitava che alle volte il marito facesse tardi. Alle volte in
ufficio avevano bisogno di lui. andò in cucina e dal cassetto estrasse un
grembiule, se lo legò in vita. Era bianco, e aveva le sue iniziali ricamate
sopra, era un regalo che le aveva fatto Giulietta. Mise su un fornello una
padellina ci mise un pezzetto di burro, e quando questo si sciolse fece
scivolare dentro due uova. E quella sera cenò così. Con il suo adorato
Alessandro che con i suoi occhioni azzurri le diceva
tutte le parole belle che sanno dire i bambini ad una mamma, anche se le loro
labbra non sanno pronunciarle.
Finalmente il pomeriggio
tanto atteso da Giulietta era giunto. La mattina era corsa da Sabrina che le
aveva prestato una giacchetta panna e gonna dello stesso colore, sotto aveva
una camicia nera che spezzava, in vita una cintura della stello colore della
camicia risaltava la sua linea snella e slanciata. Le piccole scarpe con un po’
di tacco facevano il resto. Lasciò il cappotto a casa, perché la brezza
primaverile stava iniziando a farsi sentire. Aveva sciolto i suoi lunghi
capelli neri sulle spalle, che facevano risaltare il suo volto pallido ma con
un ovale perfetto. Sopra i capelli aveva messo un cappellino alla moda con un
fiore di panno rosso, pareva quasi un uccellino, delicato e soave allo stesso
tempo. Era ferma davanti la gelateria, e non dovette aspettare, perché ad
attenderla c’era già Federico. Anche lui elegante. Un paio di pantaloni chiari
con camicia in tinta ed un maglione poggiato sulle spalle. Lui le andò incontro
e le baciò la mano, poi prendendola sottobraccio andarono a cercare posto. I
tavoli rotondo coperti da tovagliette chiare erano predisposti largamente, e
sopra ognuno di essi vi era un vaso con un fiore. Si sedettero ed un giovane
cameriere si presentò di fronte a loro per prendere le ordinazioni.
Un te per entrambi.
“Ma non dovevamo prenderci un
gelato?” chiese lui ridendo
Giulietta lo guardò dritto
negli occhi e rispose seriamente:
“alle volte la vita ci
sorprende talmente tanto, che in realtà non facciamo quello che ci eravamo
prefissati, oppure troviamo quello che non stavamo cercando”
Federico fu colpito da quelle
parole pronunciate in tono greve e rispose:
“Già! E io sono felice di
poter dire che tu sia giunta nella mia vita”
La ragazza arrossì lievemente
e si sentì imbarazzata, cercò di tenere nascosta la sua emozione. Perché sentì
in quel momento il petto gonfiarsi per l’emozione, ed il cuore accelerare i
suoi battiti violentemente. Abbassò lo sguardo sul suo te caldo, lui si accorse
dei suoi gesti e le disse:
“non te ne vergognare ti
prego! Non devi, è così bello vederti arrossire, essere così sensibile e
sincera. Credo di non aver mai conosciuto una persona più limpida di te” era
sincero credeva davvero che quella giovane fosse delicata come una rosa nel
vento.
Una signora dai lineamenti
marcati si accostò al loro tavolo. Aveva capelli castani e occhi dello stesso
colore. Una bocca larga e piccole rughe intorno agli occhi. Era vestita
elegantemente e appena vide Giulietta disse con voce un po’ beffarda:
“guarda chi si vede, da
quando ti puoi permettere di frequentare questo genere di locali?”
Giulietta abbassò nuovamente
i suoi grandi occhi e cercò di trattenere tra le ciglia delle piccole lacrime
cristalline. Era Adelina, la donna per la quale aveva
lavorato precedentemente. Con orgoglio lei la guardò negli occhi e sostenne lo
sguardo, e senza rispondere alla sua domanda disse:
“Come sta signora?”
“Io bene, grazie. E questo
giovane chi sarebbe?”
“Non credo che la cosa la
debba interessare, come non le deve interessare da quando la signorina qui
presente si possa permettere certi locali. Con permesso e senza offesa vorrei
dirle, che se fanno accomodare gente come lei, non vedo il motivo perché una
rosa come Giulietta non potrebbe stare qui!”intervenne Federico irridente.
Donna Adelina
si sentì umiliata e rispose:
“lei è proprio impertinente!”
e se ne andò impettita tenendo stretto il suo cappello calcato sui capelli.
Federico iniziò a ridere, e
Giulietta le chiese:
“perché stai ridendo?”
“perché la gente ricca è
assurda! E alle volte può essere tanto cattiva!”
“Tu che ne sai?”
“Lo so, perché stando in
albergo e guardando le signore annoiate ho scoperto che sono frivole e
superflue, e possono anche essere cattive e scostanti … soprattutto se da
povere diventano ricche, quella è la fine!”
“Basta così per favore, non
voglio sentire altre cattiverie”
“Ma non sono cattiveria, è
realtà pura. Oh Giulietta come sei tenera”
Lasciò qualche centesimo sul
piatto che aveva lasciato il cameriere, e se ne andarono insieme per le strade
a passeggiare.
Giulietta lo guardò dritto
negli occhi per qualche istante e sentì perdersi in quel mare nero petrolio.
Lui le infilò un braccio nel braccio, e lo strinse a se passeggiando per le vie
di Roma, quella città che non smetteva mai di stupire per la sua bellezza.
Una vita lenta che scorreva
sempre uguale. Ogni giorno era uguale all’altro. Ma questo non voleva dire che
fosse noiosa. Era un giorno qualunque. E Giulietta vedendo il ritardo della
cugina, si incamminò a piedi verso l’asilo di Alessandro. Una giovane maestra
con un grembiule nero e il colletto bianco le diede il bambino tra le braccia.
La conoscevano bene, e sapevano che era autorizzata a prendere il bambino.
Fatto ciò lentamente i due si incamminarono verso l’ufficio di Sabrina. un
palazzo imponente lungo la strada principale, Un portone alto e in legno
massiccio con una anta già aperta, luccicava grazie ai riverberi di sole che
stava per tuffarsi dietro le nuvole. Un aquila di profilo sovrastava sopra lo
stabile, e una scritta in latino dava il benvenuto a coloro che entravano. Entrarono.
E subito fu conquistata dalla bellezza
di quel posto, una distesa di marmo ricopriva il pavimento luccicante, un
enorme lampadario stava appeso al soffitto. Era già acceso. Una scala che
girava era in mezzo al grande atrio. Giulietta la salì e dopo pochi gradini si
ritrovò di fronte l’ufficio della cugina. Una grande parete in legno chiaro era
posta all’interno, tutta piena di libri e fascicoli. La finestra che stava di
fianco la scrivania di Sabrina era appena socchiusa. La donna era accanto al
telegrafo e quando Alessandro vide la
mamma, impazzì per la gioia e corse verso le braccia della mamma.
“che ci fate qui?” chiese
Sabrina sorpresa
“Tu stavi facendo tardi, ed
allora abbiamo deciso di farti una piccola sorpresa”
“Oh è una sorpresa ben più
grande di quello che immaginate!” affermò lei. Poi posando il piccolo sul
pavimento si allontanò per prendere alcuni fascicoli nella stanza accanto. Giulietta
fece alcuni passi indietro per vedere meglio dove fosse finito il piccolo
Alessandro.
Pochi istanti.
E poi sbatté contro qualcosa.
Si rese conto ben presto da un’imprecazione, che era qualcuno. Si voltò di
scatto e i suoi occhi incrociarono un paio d’occhi grigi. Chiese scusa, ma lui
vedendola ammorbidì i tratti del suo viso e prontamente disse:
“scusi lei – tese la sua mano
e aggiunse – Fabio Paris” lei gliela strinse
debolmente, evidentemente imbarazzata, perché le sue gote si colorarono
vistosamente di rosso, e rispose:
“no, è lei che deve scusare
me!la prego mi perdoni”
Sbucò fuori Alessandro, che
con i suoi occhi azzurri chiamò:
“zia”
Lei si voltò e lo raccolse.
Fabio carezzò il volto del bimbo. Le disse che era davvero stupendo. Arrivò
Sabrina che vide la scena e subito disse:
“Mi scusi signor Paris, lei è mia cugina e il piccolo è mio figlio, ho fatto
tardi e quindi hanno pensato di venire loro fin qua …”
“Paso, non preoccuparti, mi
fai passare come uno schiavista! Anzi per favore lascia stare tutto quello che
stai facendo, è davvero molto tardi. Ci vediamo domani mattina”
Congedò le due ragazze e
disparve nel suo ufficio lasciando le giovani senza parole.
Non appena furono fuori, e
salirono nella rumorosa macchina di Sabrina, Giulietta chiese:
“Questo sarebbe lo schiavista
della quale mi stavi parlando? A me non sembra proprio! Anzi devo dire che è
davvero gentile e carino”
“Guarda che sono rimasta
basita anche io, non lo mai visto così gentile. Deve essergli successo qualcosa
–poi cambiando discorso –stasera ti fermi a cena da me?”
Non c’era bisogno di una
risposta. Era ovvio che si sarebbe fermata con lei. Quando entrarono in casa,
la casa era nuovamente buia. Sabrina accese le luci e si avvicinò al tavolo.
Nuovamente sul tavolo vi era un biglietto. L’ennesimo biglietto di Gabriele che
l’avvisava che non sarebbe rientrato per cena. Sabrina storse il naso. Era già
parecchie sere che suo marito non rientrava per l’ora di cena. Una volta lavate
le stoviglie e messo a dormire Alessandro, le due cugine si sedettero una
accanto all’altra a scambiarsi le loro chiacchiere. E fu in quel momento che
Sabrina aprì il suo cuore:
“Sono davvero preoccupata.
Gabriele è da parecchio tempo che ci vediamo solo al mattino quando mi alzo per
preparagli un po’ di caffè. Non mi parla per niente, e quando gli chiedo
spiegazioni, è sempre vago. Sono davvero preoccupata”
“ma no, lo sai che ti vuole
bene, lui non farebbe niente che ti faccia stare male”
“ma in questi periodi ho
davvero paura!”
“Paura di cosa?”
“Della guerra! Ma lo ascolti
il radio giornale?”
Giulietta non seppe cosa
rispondere.
La guerra.
ascoltava il radio
giornale,e leggeva i giornali. Ma non si
era mai soffermata al pensiero della guerra. La sentiva come una cosa
lontanissima. Quasi come se non le appartenesse. Mentre adesso si affacciava
fortemente e prepotentemente nella sua vita e in Italia.
Giulietta non ebbe il tempo
di rispondere, che Gabriele apparve. Sabrina si alzò di scatto e gli corse
incontro. Lui l’abbracciò velocemente e scomparve.
“Lo vedi? È sempre così e io
non lo riconosco più” disse Sabrina lanciandosi sulla sedia sconsolata.
“non preoccuparti, se vuoi ti
aiuto io a scoprire cosa sta succedendo”
“lo faresti sul serio?”
Giulietta annuì con la testa.
E si abbracciarono.