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Autore: Akane    21/02/2006    0 recensioni
C’è un onore quando si nasce, questo onore consiste nel far sì che non abbiamo rimpianti in nessun momento della nostra vita, ma che soprattutto meritiamo rispetto e fiducia. Questo onore va vissuto fino in fondo con coscienza, quando si sente il bisogno di rivitalizzarlo e portarlo a galla si possono rimediare agli errori, crescere e diventare qualcuno, quello per cui noi nasciamo.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AUTORE: Akane

AUTORE: Akane

TITOLO: sono solo un uomo

SERIE: original

GENERE: real life, riflessivo, un pochino sentimentale

RATING: PG13

TIPO: no-yaoi

PARTI: capitolo unico

PERSONAGGI: Ryan il protagonista, Shadie la seconda protagonista

DISCLAMAIRS: i personaggi sono miei, vengono dalla mia fantasia

NOTE: per il concorso indetto dal Comitato Consiglio Fanfiction del forum di EFP.

Questo è uno dei tipici personaggi che a me piacciono molto, la storia si incentra più che altro sulla sua maturazione, anche se forse un capitolo unico, magari, può risultare breve per una cosa del genere. Ho fatto del mio meglio. Vi sono molte riflessioni anche se ho cercato di inserire scene di movimento vere e proprie per evitare un flusso di coscienza, come il concorso, mi pare, richiedesse. Altro punto importante: il linguaggio. Ho cercato di curarlo nei punti di narrazione/riflessione(comunque la storia è in terza persona), evitare che sia troppo scurrile, ma nei dialoghi e in certe frasi non ho potuto fare in altro modo che come ho fatto poi. Spero si capisca, è il personaggio.

Il titolo è quello che è, nulla di speciale, ma non sapevo quale scegliere…

RINGRAZIAMENTI: ringrazio moltissimo Byakko, un aiuto prezioso per la realizzazione della storia.

DEDICHE: dedicato a chiunque aspiri ad essere uomo.

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SONO SOLO UN UOMO

 

 

Fare musica non rappresentava, per ogni cantante, semplice denaro, certo per alcuni era solo quello.

Solo un lavoro, un mezzo con cui procurarsi soldi e vivere nel modo più agiato possibile.

 Da sempre esisteva una categoria di persone che decideva di esporsi, poichè aveva qualcosa di serio da dire al mondo, capiva che l’unico modo che aveva per farlo erano le canzoni.

Qualunque cosa volessero dire, la musica la trasmetteva, l’ascoltatore ne percepiva il messaggio e ne rimaneva affascinato, grazie a tutta la passione che esprimeva, alla sincerità e talvolta all’anima nuda che mostrava, con l’uso di queste parole.

Questi erano quelli che facevano vera musica, Anche se da sempre esistevano coloro che la sporcavano utilizzandola per motivi ipocriti e sono la maggioranza, c’erano ancora quelli che partivano per esprimere le proprie idee, farsi ascoltare, esternare quanto avevano dentro.

Finendo, però, anch’essi per sporcarsi.

Logorarsi.

Cadere…senza nemmeno rendersene conto.

 

 

 

Le note si spensero opache e nella sala registrazione scese il silenzio per alcuni brevi secondi. Ci fu uno scambio di sguardi e poi un segno con le dita, l’unione del pollice e dell’indice ad indicare che il pezzo andava bene.

La porta della stanza non molto grande si aprì facendo entrare uno dei tecnici che seguiva il progetto.

Era un ometto basso e paffuto, ormai non più giovane, dall’aria molto stanca ma felice, un tipo sognatore ed ottimista di natura.

- Stai andando forte, Ryan. È il tuo momento, lo sento, nessuno ti ferma! Vedrai che arriverai in alto!-

Il ragazzo accettò di buon grado il complimento, ben conscio, in realtà, che anche quel successo era effimero.

- Prima finiamo l’album e vediamo come andranno le vendite …-

Rispose senza scoprirsi troppo, nel suo intimo l’entusiasmo era chiuso ermeticamente.

Frenò realisticamente il volo pindarico dell’uomo, sapeva di non essere un esordiente, questo non garantiva le vendite. Era un cantante affermato e amato nel mondo del rap e dell’hip-hop, aveva dimostrato di avere molto talento e di saperci fare, di avere carisma, di essere un  personaggio in continua evoluzione, provocante e folle.

Non era un personaggio inventato, ma il suo vero ‘io’ e il suo successo derivava dalla sua rabbia.

In se aveva sempre avuto una rabbia profonda e come la maggior parte dei cantanti di quel genere musicale, aveva avuto un passato sofferto; dopo aver provato molto dolore, era riuscito ad esprimerlo in quel modo vincente.

Arrivare fin lì non era stato facile, il successo è fuggevole e lui ne era pienamente consapevole, fino a pochi anni prima era stato nel pantano e l’odore di quel periodo ancora lo ricordava, incombente…come se da un momento all’altro potesse ricaderci.

Aveva lottato con tutto se stesso mettendoci ogni sentimento aveva in corpo ogni fibra del suo essere, per mostrare che poteva farcela, per non cadere alla prima difficoltà.

Eppure si trattava di quello, dei sentimenti.

Quali ne aveva in se?

Non aveva forse odio e rabbia per un mondo che andava sempre più a rotoli? Che mostrava la parte bella e gioiosa della vita, nascondendo quella brutta e dolorosa?

Aveva delle cose da dire, grazie a quello che aveva provato in passato.

Ora che era lì, però, la rabbia e l’odio per ogni cosa lo circondava, era un’abitudine

La verità era che un tempo, quel Ryan che si presentava trasgressivo e provocante, era vero. Ora…

invece, ora non riusciva più a capire chi era, o forse si.

Forse lui lo sapeva così bene da evitare accuratamente il discorso, preferendo farsi assorbire da quella sua vita indaffarata.

- ok, per oggi basta così! Vai, ci vediamo domani!-

La voce dell’altro tecnico arrivò al di là del vetro. Ryan si tolse le cuffie che aveva abbassato intorno al collo, le appese al gancio e dando un occhiata veloce alla finestra che faceva entrare già il buio notturno, un fugace pensiero andò a lei che l’aspettava a casa…sicuramente addormentata anche quella sera.

Si passò una mano veloce fra i corti capelli ossigenati, seccato di aver fatto ancora tardi.

Gli occhi azzurro ghiaccio di Ryan fissavano assorti la figura stesa nel suo letto, rannicchiata sotto le coperte dormiva una bambina bionda, dai lineamenti incredibilmente simili ai suoi, la piccola aveva otto anni ed era sua figlia. Accovacciato accanto a lei, la osservò con sguardo intenso, mentre con una mano le accarezzandola i capelli con tocco leggero, per non destarla.

 

 

La baby-sitter era andata via dopo avergli comunicato che la bambina aveva fatto i soliti capricci, voleva aspettarlo alzata, ma si era addormentata, di nuovo.

Sospirò impercettibilmente allontanando con aria infastidita quell’ennesimo pensiero che cercava di far capolino in lui.

Era solo una domanda che però non gli era permessa di essere formulata.

‘Cosa stava facendo?’

La successiva, poi, sarebbe stata:

Dove era arrivato?

In seguito, una serie di molte altre ancora più scomode e difficili da gestire.

Non era lui quello che rifletteva sulla propria vita, arrivato al suo culmine massimo di gioia.

‘Non è il momento’ si diceva. Non era mai il momento di farlo.

Era questo, no?

Si trovava nella gioia e tutto si sistemava.

Su cosa avrebbe mai dovuto riflettere?

In realtà andava tutto bene, lui e Shadie erano insieme dopo tante lotte contro quella dannata donna che l’aveva ingannato, eppure lui l’aveva amata veramente e ora che non viveva più nella povertà, non soffriva di soprusi e di violenze

Quel che l’aveva forgiato facendolo diventare la persona dura e aggressiva che era, non esisteva più, lo aveva sconfitto.

Ora c’era dell’altro che doveva sconfiggere, doveva stare attento a non far sfuggire quanto aveva conquistato,  solo questo importava: non chi fosse diventato, dove fosse arrivato, cosa avesse perso di vista, cosa volesse e cosa stesse facendo veramente…tutte sciocchezze noiose di cui non importava a nessuno.

Ultimamente se lo ripeteva spesso.

Con fastidio si alzò in piedi ed uscì chiudendosi la porta alle spalle, lo specchio di fronte alla camera rimandò la sua immagine dai lineamenti marcati e affascinanti, gli stessi di quella bambina che dormiva di là.

- che palle!-

Sbottò a denti stretti, un nodo sempre crescente continuava a farsi sentire in lui…sempre più difficile da ignorare.

Per quanto poteva ignoralo?

Fino a quando poteva continuare a fingere che dentro se stesso non c’era niente che non andava?

Con passo nervoso andò a dormire.

 

La svolta accadde un giorno.

Shadie era una bambina intelligente e sensibile, anche se dal carattere forte e duro.

Non chiedeva mai al padre, preferiva mandargli dei segnali, per quanto il rapporto fosse stato bello fra loro, non chiedeva nulla per non infastidirlo…ma sopratutto non voleva metterlo in difficoltà.

Normalmente era così, Quel giorno la madre, all’insaputa del padre, l’aveva chiamata.

Lei la odiava, l’aveva tenuta con se con la forza, rinchiusa, lontana dal suo adorato papà, poi l’aveva abbandonata a se stessa stanca di sentirla piangere e gridare.

Con fatica era riuscita a congiungersi con la persona che più amava al mondo ed era stata felicità per entrambi.

Quando risentì quella voce, si aprì squarcio in lei,come una finestra che le illustrasse una storia…le svelasse un segreto, una verità.

Suo padre la stava lasciando, ormai non osava più parlargli per evitare di infastidirlo, non lo aspettava più alzata per salutarlo…non si abbracciavano spesso e non avevano tempo per stare insieme. Ai suoi occhi di bambina lui continuava ad avere molti segreti; anche se era col suo papà, si sentiva sola, eppure non era sempre stato così.

La voce di quella donna, causò in lei la crescita di una disperazione senza nome, e non sapeva con chi confidarsi, era un peso troppo grande che finì per schiacciarla.

Calde lacrime le rigarono il volto, era un pianto silenzioso, dove nemmeno le spalle vengono scosse, solo il mento trema e la pelle del volto si bagna sempre più. Un pianto solitario e senza voce.

Voleva suo padre.

Quel padre pazzo e divertente che le insegnava cose fuori dal comune, la proteggeva e [gliele faceva passare tutte lisce le permetteva di fare tutto perché lui, da piccolo, aveva fatte di peggio. Quel padre complice e grandioso, un idolo, una grande persona di cui fidarsi, che nonostante le ore di assenza, i segreti che aveva non mancava mai.

Lo rivoleva più di chiunque altra cosa.

“Se me ne vado mi cerca?”

Un pensiero infantile, ovvio e naturale, proprio di qualunque bambino di quella età nella sua situazione, un po’ per disperazione, un po’ per rabbia contro il padre.

Un rifiuto nel volerlo con se.

Nella solitudine che provava crescente.

Voleva provare perché si sa, i bambini sono egoisti e fanno cose che un adulto non farebbe.

È per questo che hanno bisogno di attenzioni maggiori e non di silenzi e trascuratezze.

Il legame speciale fra due persone si era rotto.

Ma non scappò.

Si chiuse totalmente a lui.

 

 

 

Lo faceva più per abitudine che per vero gusto, anche se non era proprio esatto, stava ormai diventando un bisogno nel senso che ne era quasi dipendente.

Aveva iniziato dopo essere finito nel giro dei così detti ‘famosi’, prima non aveva i soldi per farlo. In seguito aveva avuti così tanti, tutti in una volta, che gli avevano dato alla testa.

Storia piena di luoghi comuni su cui pochi si soffermano veramente e con attenzione, tanto è sempre quella.

Ryan aveva iniziato con le droghe leggere, subito dopo aver sfondato, per il troppo successo e per il vuoto e la solitudine che derivavano; da giovanissimo aveva fatto il colpo di testa, si era sposato con una donna stupenda, avevano avuto una figlia e la moglie l’aveva tradito perché sentiva di vivere una vita troppo perfetta.

Si era comportata  male con lui che l’aveva amata veramente.

Senza remore aveva fatto di tutto per portargli via ogni cosa, a partire da quella a cui teneva maggiormente, loro figlia, Shadie.

Senza la donna che amava e la piccola creatura, cadde in depressione tanto da voler abbandonare tutto, non trovava più il riscatto nella musica, come era accaduto agli inizi.

Stava male senza comprendere perché, non capiva perché affannarsi per un mondo che era pronto a rifiutarlo e per cosa? Che senso aveva mettercela tutta, arrivare dove desiderava, per poi sentirsi solo e capire che non ha senso tutto quello senza qualcuno con cui condividerlo?

Cose che diceva, sapeva, ma ignorava finchè non arrivò a quel dannato successo, alla realizzazione dei suoi sogni. Cominciò a sentire che anche se avesse smesso di fare ciò per cui aveva lottato, non gli avrebbe cambiato nulla. Era senza forze.

A quel punto della sua vita, nella sua prima crisi, arrivarono coloro che avevano investito in lui, ad impedirgli che si togliesse dalla scena, aveva talento e avevano speso molto in vista del suo decollo.

Non ultimatum, ma un ordine, poteva solo andare avanti tirando fuori quella genialità carismatica che aveva mostrato all’inizio.

Non importava come, doveva farlo.

Importante non è come arrivò a quel punto, ma che cadde nel baratro creato dalle sostanze stupefacenti; cercava di controllarsi per tenersi lucido, si illudeva, non assumendo per endovena, di essere più libero degli altri.

‘ Io smetto quando voglio!’

Stronzate!

E finendoci dentro senza rendersene conto, si rifugiava in un mondo d’illusioni, pensando che tutto andasse bene, che quel vuoto potesse colmarsi in qualche modo.

Quando intraprese quel viaggio, quello nella droga, la sua carriera proseguì, quell’incentivo era l’ideale per accumulare l’energia necessaria a non atterrare.

Con essa era arrivata la voglia di lottare per riprendersi ciò che veramente poteva aiutarlo, sua figlia.

Era stato accusato di molte cose, la sua vita la viveva ai limiti, finendo per dimostrare che spesso aveva poco di un uomo. Andava in giro armato perché nel suo genere di musica andava di moda, creava problemi al suo manager che ogni volta lo proteggeva, aggrediva per non essere aggredito. Provocava.

 Provocava dannatamente tutti.

Accusandolo di non essere un buon  padre, la ex moglie l’aveva citato ed era iniziata una trafila difficoltosa e molto lunga, il ricordo e la sensazione palpabile di trovarsi con le manette ai polsi, l’essere sotto processo, era ancora con lui, quando si toccava i polsi.

Aveva lottato per non cadere, con tutte le sue forze, aveva fatto di tutto, per mostrare che andava bene come padre e come persona.

Perché aveva voluto dimostrare quelle cose? 

Per il suo onore di uomo, ma anche perché vedendo da lontano quella piccola creatura cresciuta i primi anni separata da lui, sentiva qualcosa in lei che arrivava dritto al suo cuore, come se la consanguineità potesse sentirsi, essere palpabile: un innato, improvviso, senso di benessere  che lo coglieva ogni volta che guardava negli occhi di quella bambina.

Perché, forse, più semplicemente, i bambini riescono a sentire innato in loro l’amore puro per i genitori e solo loro riescono a trasmetterlo incontaminato, far sentire amato colui che ti ha messo al mondo è il senso di vita più indistruttibile esistente.

Ryan si era sentito così, guardandola.

Aveva deciso che avrebbe lottato per lei.

Fece di tutto e alla fine vinse lui, come forse era naturale.

Passarono momenti intensi e felici, la piccola Shadie, cresciuta da uno come Ryan, divenne sempre più interessante ed affascinante, con un mondo fantasioso da scoprire, che rivelava solo al padre, una semplicità disarmanti e quel modo di essere  particolare, come un diamante allo stato grezzo, lo stesso che era stato Ryan da ragazzino.

Questo, tuttavia, non spiegava perché assumesse ancora delle sostanze stupefacenti.

Quei viaggi gli servivano ancora, per non farsi domande serie, per rimanere quel personaggio costruito anni fa sulla sua stessa essenza, quando ancora menefreghista faceva continui errori, quando la gente si rifletteva in lui e si sentiva meglio, pensando che se Ryan era così, anche loro potevano andare avanti.

Un simbolo, qualcuno che senza quell’immagine da ‘cattivo’ non sarebbe stato nessuno. O meglio, solo uno come tanti che faceva la sua musica.

Era indispensabile fingere che tutto fosse ancora così, che a sua figlia le arrivasse il suo amore, lei aveva fatto molto per lui, gli aveva dato tanto e se era cresciuto come uomo, lo doveva a lei, perché avrebbe fatto tutto per non farla piangere, ma poteva ancora dire che le cose erano così?

Era cresciuto come uomo? ERA un uomo?

Sentendosi sporco e a terra, fuggiva da quello stato d’animo, fuggiva dal rapporto con la sua adorata piccola Shadie, che mutava sempre più in qualcosa che non voleva riconoscere come reale.

La sentenza della corte federale gli arrivò in uno di quei momenti d’assenza mentale.

Cosa c’era mai scritto? Cosa significavano le parole? ‘Non è più in grado di occuparsi di sua figlia? Intossicazione? Verrà affidata alla madre? ‘.

Cosa significavano quelle parole che marchiavano quel dannato foglio bianco?

Cominciò a tremare. Di rabbia? Di qualche crisi per la droga? Per la confusione? Per l’insieme di tutto questo?

Gli occhi gli bruciavano e si appannavano, non riusciva a vederci più bene e le parole divennero pressoché illeggibili, il suo temperamento normalmente iracondo,  non fece fuoco e fiamme subito, in quello stato pericoloso fece una corsa a rotta di collo con l’auto provocando un incidente del quale nemmeno si accorse, arrivò allo studio del suo manager e gli porse la lettera, aveva gli occhi arrossati e una cera spaventosa, era livido di rabbia, ma la mente  appannata dal recente uso di sostanze stupefacenti, voleva sentirsi dire cosa c’era scritto in quel foglio.

Quando l’uomo che lo conosceva bene, lesse la sentenza che gli porgeva Ryan, gli spiegò che sua moglie tornava a portarle via Shadie perché l’avevano scoperto ad impasticcarsi o fumarsi qualcosa di pesante, la sua reazione fu devastante, il trattenersi andò lontano, e come se avesse il diavolo negli occhi, irriconoscibile, peggio del solito, diede pugni alla casa e ai mobili ferendosi un po’ lui stesso.

Urlò molto forte

- QUELLA PUTTANA! ME LA PAGA! L’HA FATTO DI NUOVO! IO LA AMMAZZO! MI HA PORTATO VIA MIA FIGLIA!-

Sembrava impossibile fermarlo.

Gridò diverse volte quelle parole e il suo manager ascoltò paziente come un padre.

Mentre lui spaccava oggetti, l’uomo prese a parlare calmo e freddo:

- Secondo quanto c’è scritto qui, l’hanno già portata via, tu non ti sei nemmeno accorto che non era in casa?-

- QUELLA STRONZA NON DOVEVA FARMELO! LA UCCIDO!-

- Io credo che la colpa non sia sua, ma che finalmente ha fatto quello che doveva. Se c’è qualcuno da uccidere, quello sei tu: avanti, Ryan, ucciditi qui. Lo dovresti fare, sai, sarebbe giusto, secondo quello che dici.-

Il cantante captò a pezzi il suo discorso, aveva di certo coraggio, per dirgli una cosa del genere.

Con le buone non era mai andato bene e lo dimostrava tutte le volte che in passato  l’aveva trattato con riguardo.

Si bloccò come in un fermo immagine e ad occhi sbarrati lo fissò avvicinandosi, lo prese di scatto per il collo della maglia, lo spinse contro il muro e con forza disse: - Che cazzo hai detto?-

Ansante riprese a parlare:

- Ryan, apri gli occhi. Ti ho portato io fin qua, ti ho visto diventare quello che sei, ti ho visto rovinarti con le tue mani e allontanare quanto avevi di più prezioso. Di chi credi sia la colpa di tutto questo? Non mi interessa cosa fai della tua vita,  mi interessa solo che tu faccia quello che ci porta al successo…-

Mentre parlava, il giovane allentava sempre più la stretta cominciando a capire, cambiando lentamente espressione.

- …ora però smettila di vivere in un mondo finto. Se tenevi veramente a quanto avevi ottenuto lottando, perché poi hai continuato a drogarti?-

Una domanda piatta, diretta, vera. Il primo dialogo dei due, le prime parole oneste che Ryan stesso riceveva in generale, tutti sempre preoccupati a trattarlo coi guanti di velluto.

Fu come se cadesse per non sentire più nulla, diventare sordo, rimase con le mani serrate sulla maglia dell’altro, ma lo sguardo come sotto shock volò in luoghi sconosciuti, memorie perdute, momenti dimenticati, rivisse quei momenti in cui prendeva ‘quelle cose’, spesso tanto per fare, altre per non crollare.

Cominciò nuovamente a tremare mentre pian piano tornava al mondo.

Affannato lo lasciò andare, lo sguardo azzurro era vuoto, non vedeva chi aveva dinnanzi, come un automa fece qualche passo indietro.

Non era sempre stato così.

No…

Quando aveva dimenticato come si faceva la musica? Quando aveva sporcato la SUA?

Cosa era accaduto nella sua vita per farlo perdere in quel modo, fagli sfuggire di mano tutto quello che aveva…e lui, solo lui, come se avesse fatto il possibile per farselo scappare, l’aveva lasciato andare, quel ‘tutto’.

L’aveva visto andarsene ed aveva quasi esultato. Dopo al momento della mancanza concreta si era svegliato da quel torpore, Alzò lo sguardo trovandosi davanti ad uno specchio, mosse qualche passo verso di esso e vide. La figura di un ragazzo vestito con abiti larghi e firmati, un espressione aliena in volto e una fama che lo superava.

Era un estraneo. Era un idiota che si era rovinato, era solo colpa sua.

Si fece schifo, in un impeto di rabbia, ulteriore, si sentì schiaffeggiare assieme alla realtà che violenta e cruda l’aveva colpito. Finalmente aveva visto, senza riuscire a scappare fece l’unica cosa che poteva fare in quel momento: distruggere quell’immagine che lo faceva star male.

Diede un pugno allo specchio facendolo andare in pezzi e con lui la sua immagine, si ferì la mano, non sentiva nulla, se non un grande dolore che gli cresceva dentro al cuore.

Si sentiva freddo e vuoto, un vuoto che, lo sapeva, non avrebbe potuto colmare con nessuna sostanza.

Si coprì il volto con le mani, accasciandosi a terra.

Voleva sparire.

 

Quando si arriva a questo punto, il punto di rottura, ci si rende conto che c’è un obbligo, una scelta da fare.

Non si liquida col crescere. Non si tratta solo di quello.

C’è un onore quando si nasce, questo onore consiste nel far sì che non abbiamo rimpianti in nessun momento della nostra vita, ma che soprattutto meritiamo rispetto e fiducia.

Questo onore va vissuto fino in fondo con coscienza, quando si sente il bisogno di rivitalizzarlo e portarlo a galla si possono rimediare agli errori, crescere e diventare qualcuno, quello per cui noi nasciamo.

Essere uomini.

Fu per questo che Ryan, successivamente, si iscrisse in una clinica di disintossicazione, si prese una pausa dalla musica per riscoprirla ma soprattutto per ritrovare se stesso e per riscoprirsi  come uomo, che con le proprie debolezze e fragilità sbaglia, ma che cade e si rialza, senza più nascondersi.

Lasciò la scena per quel periodo della sua vita, con una canzone che fece un suo nuovo successo, maggiore al precedente, spiegava perché doveva ritrovarsi.

Lo fece per le uniche cose veramente pure nella sua vita.

Sua figlia e la musica.

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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