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Autore: ninive    25/05/2011    1 recensioni
Una ragazza a cena con il suo giovane (ex) insegnante di matematica, un appuntamento scandito dalle note di un amore impossibile.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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valzer

Valzer



"Alice laughed: "There's no use trying," she said; "one can't believe impossible things." "I daresay you haven't had much practice," said the Queen. "When I was younger, I always did it for half an hour a day. Why, sometimes I've believed as many as six impossible things before breakfast." -- Alice in Wonderland



Per questioni ancor oggi tutte da chiarire, i camerieri del ristorante Al Teatro erano vestiti tutti con uno smoking bianco panna. Perfino il papillon lo era, tanto da essere invisibile sulle camicie perfettamente immacolate degli impeccabili servitori.

-Sono tutti uomini,- notò ad alta voce Sofia, -e hanno tutti dei baffetti a spadino.-

Il suo interlocutore sorrise e invece di ribattere che “baffetti a spadino” era una definizione un po' bizzarra, bevve un sorso di vino rosso dal nome francese.

-Mi piace che un uomo mi ascolti,- continuò la ragazza, -e che non faccia smorfie strane quando dico assurdità.

Gli antipasti arrivarono e non ebbero il tempo di ambientarsi che già i filetti di pesce spada incalzavano, seguiti a ruota da un sorbetto vagamente alcolico.

La conversazione languiva non per mancanza di argomenti, ma perché entrambi non appartenevano a quel tipo di persone che sa raccontare storie, ma solo intervenire nei discorsi altrui con commenti azzeccati e risate al punto giusto.

“In fondo non chiedo poi molto,” pensò Sophia mentre il cervo in pasta sfoglia veniva adagiato sui piatti con deferenza commovente, “un uomo gentile, ma che non mi porti la colazione a letto, che non sopporto fare briciole.”

Senza nessun preavviso, il suo interlocutore aprì bocca, suscitando uno stupore tra gli astanti paragonabile a quello dell'annuncio di una rapina a mano armata. -Mi parli di lei.- disse semplicemente.

Mai quattro parole ebbero effetto così disastroso su mente umana: Sofia collassò internamente e solo con l'aiuto del vino riuscì a mantenersi nell'aldiqua; pur evitando quello sguardo azzurro che l'illuminazione poetica definiva come “una scintilla d'oceano”, trovando qualche sillaba superstite e un alito di fiato riuscì a rispondere:


-Mi faccia delle domande.-



Il suo interlocutore sorrise ancora, probabilmente la sua religione glielo imponeva.

-Potrei chiederle da dove viene, per esempio. O che scuole ha frequentato. Le chiederei della sua famiglia.-


-Annuirebbe nei punti giusti?-


-Farei anche commenti appropriati.-


-Prossima domanda.-


-Che razza di persona crede che io sia?- chiese gentilmente il suo interlocutore, a dispetto dell'apparente brutalità della domanda.


Improvvisamente il mondo tornò a girare come prima e Sofia potè togliersi la flebo di rosso. “Finalmente le persone ricominciano a parlare del loro argomento preferito, cioè loro stesse.” pensò. Il fatto che il suo interlocutore rientrasse in quella schiera di persona non la toccò minimamente.


-Lei è gentile, lo si capisce da come si guarda indietro quando esce da una porta, come per controllare di aver qualcuno a cui tenerla aperta.-

-Mi ha osservato molto bene.- disse il suo interlocutore nascondendo il rossore dietro il bicchiere ormai vuoto -Eppure io di lei non so niente.-


-Non sono un esame che si può preparare in una sera,- rispose Sofia molto stupita di essere riuscita a formulare la frase giusta al momento giusto, come se la proverbiale lampadina si fosse illuminata in quella parte del cervello relegata al linguaggio.


Perfino i lampadari brillarono per un attimo di una luce più intensa.


-Immagino di no.- disse lui con l'onnipresente sorriso sulle labbra. Il silenzio scelse proprio quel momento per andare in bagno, lasciando la sala in una cacofonia tale e improvvisa che i due si sentirono immersi in un frastuono assordante, o forse era solo l'assenza di una delle loro voci a rendere il resto del mondo un sottofondo fastidioso.


-Le devo confessare che il suo invito mi ha lasciato piuttosto spiazzato.-


Il tovagliolo color panna scivolò dalle ginocchia di Sofia, che se ne accorse solo dopo aver visto un cameriere scivolare sul pezzo di stoffa incriminato e atterrare con grazia sul tavolo a fianco. Le sopracciglia della ragazza si alzarono per la sorpresa: non pensava che i tovaglioli potessero essere così scivolosi.


-Spiazzato? Mi sarei aspettata piuttosto un discorso del tipo “trovo inopportuno che una studentessa chieda appuntamenti a un professore”, al che io avrei prontamente risposto che lei non è un professore, e che comunque non frequento più i suoi corsi. Non so cosa rispondere alla sua affermazione.-


L'uomo sembrò voler dire qualcosa, ma ci ripensò. Il vino era finito, e senza di esso non aveva possibilità di nascondersi dietro al bicchiere. Meglio tacere.


-Se non si trova a suo agio preferisco che me lo dica subito. Non ha senso che l'unica a trovare piacevole la mia compagnia sia io.-


Ora il suo interlocutore sapeva cosa dire, ma non l'avrebbe detto perché era una cosa ovvia, e se c'era una cosa che aveva capito di quella ragazza in quei sessanta minuti era che non apprezzava le ovvietà.

Il silenzio rientrò dal bagno con aria soddisfatta.


Le labbra di Sofia si costrinsero in un sorriso, illudendosi di poter competere con la sua bocca molto più esperta, ma fallendo miseramente. Poi qualcosa la colpì, un pensiero improvviso, o come un osservatore più attento avrebbe detto, un ricordo.


-Lei è rimasto spiazzato perché io non sono bellissima.- disse flebilmente portandosi la mano alla bocca, come se le fosse appena sfuggito un segreto militare.


L'espressione del suo interlocutore le comunicò un centinaio di emozioni diverse, ma quella dominante restava la confusione.

-Non... io... ma cosa...- balbettò lui, subito interrotto da un gesto della ragazza.

-Lasci stare, so benissimo cosa si aspettava. Conosco voi matematici, vi credete il Russel Crowe della situazione...-


Le calle nel vaso all'ingresso si adombrarono un poco al fragore della risata che rieccheggiò per la sala. Sofia sentiva delle vibrazioni quando appoggiava le mani sul grande tamburo indio nel patio di sua zia a San Paolo, ma quel suono... quel suono percuoteva la sua cassa toracica come una scimmia impazzita sul vecchio tamburo.


-Davvero, lei deve pensare che io sia un gran presuntuoso per paragonarmi al signor Nash.- disse il suo interlocutore quando la tempesta gli passò. Un cameriere passò discreto dietro di lui, spargendo odore di arrosto.


-Mi perdoni, a volte perdo il controllo di ciò che dico. Essere inopportuna mi riesce naturale.- mormorò Sofia abbassando il capo, -a volte fatico a comprendere quello che dico io stessa!-

-Non importa, ho capito. Cioè, penso di aver capito che si riferisse a un certo film in cui una studentessa chiede un appuntamento a un certo premio Nobel per la matematica... n'est-ce pas?-

-Oui, au moins je crois...- mormorò ancora lei, come se temesse di rompere i bicchieri se avesse ricominciato a parlare con un tono normale. E poi, perché stavano parlando francese?

-”Quello che non sai dire in inglese, dillo in francese”.- disse lui, leggendole nel pensiero.


Interessante.


-Lei è un mago?- chiese Sofia con occhi così scintillanti che i cristalli del lampadario arrossirono di vergogna. Le sopracciglia del suo interlocutore si alzarono in contemporanea ai lati della sua bocca, creando un quadro d'insieme che rendeva giustizia alla parola “adorabile”.

-No. E lei è pazza?-


-Questa domanda, seppur legittima, è oltremodo offensiva.- rispose Sofia storcendo il naso. -E poi, la pazzia di questi tempi sembra andare di moda. Lo trovano divertente, un modo per credersi diversi; sono fondamentalmente dei romantici. Patetici.-


Una mano interminabile si allungò sul tavolo, andando a prendere un foglietto ripiegato su un piattino di argento che si era materializzato dal nulla. Sofia avrebbe impedito a quella mano di avventarsi sul conto, se l'azione non avesse implicato il toccarla. Se la sua risata la ribaltava, non era il caso provare a vedere l'effetto che le avrebbe fatto toccare la sua mano, almeno non in pubblico.


Un osservatore più malizioso avrebbe commentato che Sofia non aveva un soldo. Quell'osservatore non ha ragione di esistere in questo racconto.


-La prego, lasci stare...- balbettò Sofia al culmine dell'emozione. -sono stata io ad invitarla, mi permetta...-

-L'unica cosa che le permetterò di fare, signorina, sarà di accettare che le offra la cena, e che mi prometta di pranzare con me domani.-


“La cavalleria non è morta, ma è prerogativa dei matti.”, pensò Sofia abbassando lo sguardo senza opporre ulteriore resistenza. L'avevano educata bene i suoi, sempre cercare di rifiutare prima, accettare di buon grado poi.


-Grazie.-


Il rumore di una bottiglia stappata la fece sussultare; il grattare della sedia sul pavimento mentre si alzavano entrambi contemporaneamente quasi la fece morire. Era come l'ultima nota di un notturno di Chopin, se non l'avesse trovato insopportabilmente banale e abusato. Era il segnale che la serata stava per finire, l'ultimo morto di una guerra vinta.







  
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