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Autore: Nykyo    23/02/2006    1 recensioni
Questa è la prima fanfiction che ho scritto.
La lettura di "Harry Potter e il Principe Mezzosangue", mi aveva lasciato innumerevoli interrogativi, soprattutto sul mio personaggio preferito: il Professor Piton.
Il racconto è la mia personale risposta a questi quesiti, non che la mia orgogliosa difesa di Severus Piton.
Finalmente, mi sono presa il tempo per correggere ulteriormente il racconto e apportare qualche piccolissima modifica.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Draco Malfoy, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’armatura di ghiaccio

 

 

 

“E’ troppo, Signore. Ma ve lo prometto, sul mio onore”.

 

Quest’ultima frase risuonò nella mente di Piton, ancora ed ancora, mentre il ricordo si faceva, via via, meno nitido, ma non meno doloroso.

Il pulsare sordo del suo cuore si era calmato, ma ora la testa gli doleva e sentiva la bocca secca, come se non bevesse da giorni.

Si sedette di nuovo e, trovata tastoni la brocca sbeccata posata poco distante dal suo giaciglio, bevve avidamente, senza nemmeno cercare il bicchiere poggiato poco più in là. Poi si bagnò le mani e se le passò sul viso ripetendosi che doveva mantenere la calma.

Doveva riflettere sulla situazione presente per essere pronto ad affrontarla fino in fondo. Non poteva semplicemente lasciarsi andare ai ricordi, se continuava così non ce l’avrebbe mai fatta - si disse.

Prima o poi, continuando a tormentarsi, sarebbe crollato.  Se si fosse trattato soltanto di lui non avrebbe avuto importanza. Però c’era Draco e Lord Voldemort era ancora vivo, libero di portare a termine i suoi piani.

Per quel che lo riguardava, Severus odiava rivivere il ricordo di quella notte nel parco e vi erano altre memorie, ancora peggiori, che avrebbe voluto cancellare per sempre, ma, in fondo, non riusciva neanche ad essere così clemente con se stesso da consentirsi di dimenticare.

Ricordare era un modo per punirsi e lui desiderava farlo, anche se sapeva di aver solo compiuto ciò che Silente gli aveva ordinato. D’altro canto, che senso avrebbe avuto cancellare quegli attimi dalla memoria, se l’omicidio del vecchio non si sarebbe mai cancellato dalla sua anima ?

Però, ora, non poteva concedersi nessuno dei due lussi, né quello di dimenticare, né quello di scontare la sua pena ricordando. Non aveva il diritto di farlo, o la morte di Silente sarebbe stata inutile e l’avergli tolto la vita avrebbe significato solamente distruggere invano anche la propria.

Piton lo sapeva: uccidendo Silente aveva ucciso una parte di sé ed aveva posto sulla propria testa una condanna a morte quasi certa. Ognuno dei membri dell’Ordine ora l’avrebbe ucciso, potendo, senza pensarci due volte e, se non manteneva la mente lucida, avrebbe finito col commettere qualche passo falso. Allora anche i Mangiamorte sarebbero stati un pericolo. Se Lord Voldemort avesse scoperto il suo gioco, il meglio che Severus potesse aspettarsi era che l’Avada Kedavra finale non tardasse troppo ad arrivare.

Piton provò a concentrarsi soltanto su ciò che aveva intorno. Ancora una volta tese l’orecchio, attento a percepire qualunque rumore che potesse indicare un pericolo, ma la stanza era ancora tranquilla.

Si strinse nel mantello, le gambe ripiegate a toccare il petto, il mento poggiato sulle ginocchia, chiuse di nuovo gli occhi. Avrebbe preferito il pericolo imminente al turbinio della sua mente, poteva affrontare un nemico, ma non riusciva a dominare se stesso, cosa che lo rendeva insicuro, perché non vi era abituato.

Piton aveva imparato presto a controllare le proprie emozioni schermandole alla vista degli altri.

Non era stato sempre così, ovviamente; non nella sua infanzia almeno.

Severus era stato un bambino fragile, anche fisicamente. Non c’era nulla che non andasse nella sua salute, ma era cresciuto sentendosi diverso dai suoi coetanei.

Era sempre stato troppo magro e pallido, inoltre, i giochi che tanto appassionavano gli altri bambini non lo avevano mai interessato più di tanto. Preferiva perdersi nei libri o curiosare tra gli oggetti magici di famiglia, piuttosto che correre dietro ad un pallone, discutere di Quidditch, o impegnarsi in molti altri giochi che trovava troppo rumorosi e stancanti.

Il fatto di essere figlio unico gli aveva reso più difficile farsi degli amici della sua età e, comunque, sentiva di non piacere molto agli altri bambini che lo prendevano in giro per il suo aspetto, per il suo naso, per il solo fatto che lui era “strambo”.

Questo lo aveva reso insicuro, ma gli aveva anche fatto scoprire l’amore per la lettura e l’interesse per la conoscenza. I suoi desideri più grandi, a quell’età erano imparare il più possibile ed essere accettato e ben voluto dagli altri.

Poi, ad undici anni, era giunto il momento di entrare a Hogwarts, la scuola che, secondo sua madre, avrebbe potuto schiudergli le porte della sapienza più di qualunque altro luogo.

Severus sorrise al pensiero di quanto era stato impaziente di varcare i cancelli della scuola e di quanto ingenuo fosse stato, allora, nelle sue aspettative.

Mentre l’espresso lo portava a quella che per sette anni sarebbe stata la sua nuova casa, aveva pensato che finalmente sarebbe diventato “uno come tutti gli altri”. Si sarebbe fatto degli amici, sarebbe stato apprezzato ed ammirato, perché lì non avrebbe dovuto far altro che quel che meglio gli riusciva: studiare.

Dal momento che tutti i giovani che lo attorniavano sul treno andavano ad Hogwarts proprio per imparare, si era sentito alla pari con loro ed aveva supposto che per loro lo studio fosse importante quanto lo era per lui. Certamente, se così era, aveva finalmente qualcosa in comune con i suoi coetanei ed, anzi, per la prima volta, era in grado di essere più bravo di loro. Persino il fatto di indossare un uniforme l’aveva fatto sentire piacevolmente parte di un gruppo.

Piton si era dovuto accorgere molto presto che il suo era stato un ragionamento sbagliato. Il suo aspetto continuava a suscitare battute e scherno, perché gli adolescenti, non meno crudelmente dei bambini, sono istintivamente portati a deridere chi appare loro per qualsiasi motivo “diverso”. Quanto al suo amore per lo studio, neanche quello era servito a renderlo popolare o, comunque, ben accetto ai suoi compagni. Anzi era vero il contrario. La maggior parte degli altri studenti lo consideravano un, noioso, insopportabile, secchione e scambiavano la sua timidezza per alterigia, o eccessiva serietà, mentre, quelli che tenevano particolarmente al rendimento scolastico lo detestavano per il solo fatto che otteneva, senza troppi sforzi, risultati migliori dei loro.

Era venuto un momento in cui, alcuni studenti, i più vivaci e popolari della scuola, avevano finito col rendergli la vita impossibile, con i loro dispetti e le prese in giro quotidiane. James Potter e Sirius Black, più di chiunque altro, erano riusciti a renderlo definitivamente la macchietta della scuola.

Severus, all’inizio, aveva provato a reagire tirando fuori tutta la sua rabbia, ma non era servito a nulla, così aveva imparato a reprimerla e a farsi pungente più che aggressivo. Aveva smesso di cercare l’approvazione e la stima degli altri, perché, farlo in quelle condizioni, lo faceva sentire ancor più umiliato. Così, si era trincerato dietro al personaggio che per tanto tempo non aveva voluto essere e che gli altri gli avevano imposto.

In lui era sorto un senso di superiorità, fondato sulle proprie capacità intellettuali e sui successi scolastici, che gli permetteva di sentirsi migliore di chi lo tormentava e di non perdere ogni fiducia in se stesso.

Severus Piton era diventato, realmente, freddo, serio e distaccato come tutti gli imputavano di essere e quella sua corazza lo aveva protetto a lungo.

Indossarla, inoltre, gli aveva fatto trovare, per la prima volta, qualche estimatore tra i Serpeverde, che di solito si ricordavano di lui soltanto quando faceva guadagnare punti alla Casa. Persone come Lucius Malfoy avevano scambiato il suo modo di difendersi per il comportamento di chi, come loro, si sentiva superiore a tutti per nascita ed educazione, l’avevano ritenuto simile a loro, per indole ed ideali e, di conseguenza, si erano avvicinati a lui.

Il pensiero di quegli anni gli lasciava sempre l’amaro in bocca. Se vi rifletteva a fondo, comprendeva che, se, ad un certo punto, era entrato a far parte degli adepti di Voldemort, era anche per il ruolo che si era imposto allora, per non perdere le poche amicizie che si era faticosamente creato, per il desiderio di rivalsa verso chi lo aveva allontanato o deriso. Perché, anche se nessuno dei suoi compagni degli anni di Hogwarts ne era mai stato consapevole, Severus doveva ammetterlo: tutta quella freddezza, tutta la sua imperturbabilità, non lo avevano comunque protetto del tutto. Molto più spesso di quanto non amasse ammettere era stato ferito ugualmente dal comportamento altrui. Solo dopo molto tempo, aveva imparato a stimarsi abbastanza da non tenere più in conto il giudizio degli altri, a meno che tale giudizio non fosse pienamente giustificato.

Ad ogni modo, era sopravvissuto a quei dispiaceri, quasi infantili, mentre ora, accoccolato su se stesso nell’oscurità della Stamberga Strillante, Severus si accorse che la sua armatura di gelo non poteva proteggerlo nemmeno un po’ dal dolore per la morte di Silente. Nulla poteva difenderlo dalla rabbia, dalla disperazione, dal lancinante rimorso che provava adesso. Anzi, quell’armatura - ora lo comprendeva - si era infranta definitivamente nel momento in cui il corpo del vecchio era volato giù dal parapetto della Torre di Astronomia. Piton poteva soltanto rimetterne insieme i pezzi e fingere che non si fosse incrinata. Doveva farlo per portare a termine il compito che Silente gli aveva assegnato, ma sapeva che non ne avrebbe tratto alcun conforto.

Due giorni prima, in quella orribile notte, Severus Piton era rimasto nudo, privo di ogni difesa, soprattutto contro se stesso.

 

 

   
 
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