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Autore: macchese    30/05/2011    1 recensioni
L'amore, è un bambino di cinque anni che fa quello che gli pare. T'incasina tutto, fa i capricci per ore, e le sue lacrime ti svegliano la notte. E non ti puoi chiedere cosa hai sbagliato... è un bambino! Ha cinque anni! E, indovina un po'...?
Genere: Comico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Posso 3
Non so se vi è mai capitato di uscire con gente che non definireste con l'aggettivo "simpatica". Di trovartela lì, con grande quanto triste sorpresa, senza poterci fare niente. A rovinarti sere e programmi. E dire: chi me l'ha fatto fare? Oh... a me è capitato. Anzi, quello che "capita" a me, è di uscire con gente che mi sta simpatica. Sempre più di rado. Ed è per questo che ormai sto perdendo la mia compagnia. Per la mia non sottovoce abitudine di mandare affanculo suddette persone. Sono fatto così... un inguaribile ottimista! Ed è per questo che, la cerchia di quelli che annovero tra amici si è ristretta alla poco invidiabile cifra che, quel usuale modo di dire identifica con "poterli contare sulle dita di una mano". Beh, sono pochi, ma almeno sono amici. Non contatti.
Ho l'abitudine di essere abbastanza fatalista su quello che mi capita. E sarcastico, ma questo solo per ridere. Perciò tendo a pensare che forse capitano solo a me certe cose. Ma l'assurdità, è una nube radiottiva che si sposta tanto in fretta quanto è abile nel contagiare menti. Ma c'è una cura. Recenti studi condotti da me presso la terra dell'idiozia, regione in cui dobbiamo passare tutti, merito nostro o altrui, hanno dimostrato l'esistenza di un processo chimico che può neutralizzare tale epidemia. Questo fantascientifico processo si chiama "Ragionare". Ed ha svariati sinonimi tra cui figurano "usare il cervello", "aprire gli occhi", "ascoltare le cazzate che si stanno dicendo", "Sveglia!", e per finire, un banale sonetto letto su una targhetta in simil porcellana in un tempo perduto come "non dire di me se di me non sai, prima pensa per te poi di me dirai". Che è anche in rima, quindi sono cazzi. In rima e su porcellana. Non so voi, ma a me la porcellana aiuta a riflettere.


E' sabato sera. Foby sta giocando a basket e Lurda si starà drogando in modo leggero. Se me lo dovessero chiedere, sono molto più sicuro del secondo. Non condividiamo le stesse compagnie. Io preferisco l'alcool. Più legale, più facile da reperire, a mio parere anche più efficace. Alcool: causa di inizio e fine della mia ultima pseudo relazione. Ciò che l'alcool unisce,  il giorno dopo divide. E mi trovo in un bel dilemma.
Cocktail o non cocktail? Non dovrebbe essere il problema! Come un moderno Shakespeare mi districo tra il desiderio di dimenticare preventivamente la mia serata futura e la paura di dovermi ritrovare solitario in una sbronza cattiva. Laddove ho imparato una cosa. Non bisogna bere per stare bene. Bisogna bere per stare meglio. Troppe le volte in cui mi sono ritrovato troppo presto nel mio letto con un cervello incapace di fermare l'analisi di una tristezza mai stanca. L'abuso smodato di etanolo è una cosa che mi sono lasciato alle spalle.
Il fatto è che, facendo un'altra analisi, la cosa è grave! Sto calpestando la piazza del mio paese, luogo in cui siamo soliti ritrovarci noi, amici, ed ultimamente, luogo in cui non è insolito trovare persone che nessuno ricorda chi cazzo le ha invitate. Ecco, la mia compagnia. Mia? Inquinata dal disprezzo reciproco non espresso per vigliaccheria. Avevo un sogno, ma non era questo. E crescendo, scopro quanto illusori fossero i miei progetti per la felicità. Io, pazzo. Ma vi chiedo, credersi l'unico sano di mente in un mondo di pazzi, significa essere pazzo? Perché allora io sono pazzo. Non siamo noi a cambiare per realizzare i nostri desideri, ma piano piano i nostri desideri cambiano, per adattarsi a quello che siamo diventati. Perché. Eccolo il perché. Quello che a volte mi chiedo. Quello che tutti si chiedono ogni tanto, vedendosi dove non vorrebbero o dovrebbero essere. Davanti ai miei occhi posso osservare la marcata differenza tra chi reputo mio amico e chi fatico a salutare (e chi fatica a salutare me). Ma il saluto non si nega a nessuno. Chi l'ha detto? Perché? Maleducazione? Vaffanculo...
Se mi permettete, vi voglio raccontare una barzelletta. C'è un ragazzo che va in giro con il suo motorino. Uno scooter. Un cinquanta. Ogni qualvolta che il motore sale di giri, lui tira velocemente la leva sinistra. Brooom... freno. Broooooooom... freno. Così, gli sembra di cambiare marcia. Ed è contento. Fine. Non fa ridere. Non era una barzelletta. Quel ragazzo esce con me. Questo per farvi capire. Un altro invece, ha costantemente uno sguardo lesso, con la bocca semichiusa e mascella invertita, in un'espressione da ritardo mentale non diagnosticato. Mi aspetto che da un momento all'altro possa perdere della bava dalla bocca. E questo si è fatto pure la mia pseudo ex! (quella dell'alcool). Non che lei fosse più sveglia, però la cosa fa riflettere. Sono davvero così messo male? Peggio del peggio? Forse no. Purtroppo, io sono quello che se lo chiede. E questi sono solo alcuni.
Gentaglia arrogante. Persone che considerano il solo parlarti uno sforzo. Un favore che ti fanno. Come straordinari... voci da segnare in rosso nel salario della vita. Come se facesse guadagnare rispetto, così da far cadere ai propri piedi tonnellate di ragazze smaniose di condividere dell'interesse... seh. Per fortuna, le ragazze, il genere femminile, è in gamba. Certo, non tutte. Me ne viene in mente una. Ma di solito, lo sono davvero. Sul serio. Io amo tutte le ragazze. Anche tu che leggi se lo sei. Ma non è questo il punto.
Non giudicate una persona solo da quelli che frequenta. Di solito è così, ma io voglio cambiare le cose. Non si possono scegliere gli amici. E non si possono scegliere gli amici degli amici. Non si può scegliere niente.
Come non posso scegliere dove cazzo andare stasera. Sono le undici passate. E' dalle cazzo di nove e mezza che sento proposte, ma nessuno si è ancora mosso. Il fatto è, che va così. Sempre più spesso. Metà compagnia, quella per cui simpatizzo, la metà A, non sa che fare. E volevo farvi notare questa figura retorica. "Metà compagnia". Come un'ora di trenta minuti. Si chiama "Ossimoro della madre nubile", perché così mi capita spesso di chiamare Lurda.
Alla fine però, contro ogni aspettativa, si materializza una destinazione. C'è una festa di compleanno, di un compagno di classe di qualcuno dell'altra metà compagnia, la B, a cui all'improvviso tutti decidono di andare. Ma perché? Non sono stato invitato! Qualcuno si è dato da fare per non informarmi... Decido di deluderlo.

    -Dai vieni...- mi dice Silvia. Brava ragazza. Troppo brava. Un'amica. "Amica?! Sfigato!" avrebbe detto Lurda. Ma lui non c'è. E non mi manca. -...Fallo per me.- prosegue.
L'unico fallo per lei che avrebbe salvato la serata risulta ormai una possibilità tramontata. Non che non ci abbia pensato, ma lei merita di meglio. Il meglio. E non voglio compromettere qualcosa che si è creato nel tempo e nei problemi condivisi. 
Accetto, promettendo di lamentarmi tutta la sera, e partiamo. C'è un obiettivo lontano e nemmeno troppo voluto da raggiungere. Una festa di compleanno, l'anniversario di nascità di uno che chiameremo "Schivi", perché é così che lo chiama Foby, acre nemico, con un certo ribrezzo. E chi sono io per contraddirlo?

Mi piace andare a Varese. Davvero. E' difficile parcheggiare e bisogna camminare, ma è ok. Ebbene, che male c'è? Le persone trovano sempre un modo per farmelo andare di traverso. Camminiamo per il Corso, sparpagliati come un branco di scalmanati ragazzini delle elementari. Compagnia, così la chiamano. Il dizionario forse. Io mi permetto di dissentire. Siamo tanti, è vero. Superiamo la quindicina. Ma ora più di ogni altro momento, capisco la differenza tra quantità e qualità. E chi beneficia della seconda a scapito della prima.
Infine arriviamo al locale. Dentro. Ci si saluta e ci si racconta. Baci e vigorose strette di mano false come una banconota da sette euro. Mi sto chiedendo chi me l'ha fatto fare quando incrocio lo sguardo di Silvia. Gliene restituisco uno di disappunto. Un mio amico, quello che dovrebbe essere uno dei migliori, saluta tutti. Ma proprio tutti. Tutti quelli che ha appena finito di disprezzare, appena fuori le porte del locale. Si. Ci sono dei problemi gravi in questo mondo, se ve lo stavate chiedendo.
Io giro, ordino un cocktail, mi spalmo in faccia il mio miglior sorriso da sette euro. Incrocio un professore della mia scuola. Eh?! Che cazzo ci fa qui 'sto pedofilo? Ah, già... mi sono risposto. Mi saluta. Io non lo conosco, non è uno dei miei. Temendo ripercussioni sul mio status di studente del fronte opposizione, si, lo saluto. Mi dice che quello non è un compleanno. Chissà come mai me lo aspettavo. Mai sottovalutare la stupidità di chi non vuoi intorno. Non sto a ribattere, congedandomi alla velocità della luce, sparandomi nell'altra sala del locale. Vago, finché il mio sguardo non inciampa nel simil soggetto della sua non festa di compleanno. "Schivi", per essere chiari. E' abbarbicato ad una ragazza, marmellatizzato come se non ci fosse un domani. Qualcuno aveva scommesso sulla sua omosessulità, ma vedo che non è così. Non so se sentirmi sollevato o deluso da questa scoperta, così decido di non sentirmi. Però, qualcosa non mi torna. Quel famoso Je ne sai quoi. Lei mi è familiare. La sua silhouette, almeno. I capelli, il profilo. E quando i nostri sguardi si incontrano a metà strada nel locale, la riconosco. Marina. Oh cazzo.

Non ve l'ho detto? Marina era la ragazza di Foby. O_  C_ _ _ o!
Dunque, anche lui mi guarda. Sa della mia amicizia con Foby. La scuola è la stessa. Ed è per questo che sulla sua faccia (di cazzo) si dipinge un sorriso alla ho vinto.
Ecco come trovarsi nel posto giusto, al momento giusto per qualcun altro. Ancora sorride. A me. Ed alla mia intestina voglia di fargli cadere tutti i denti.
Le risposte alle domande più arcane della vita, arrivano quando nessuno le sta cercando. Non sono ancora arrivato, ma ho già voglia di andarmene. A volte, è meglio non sapere. Anche se non cambia niente. Le cose, succedono comunque. Anche se non le sai. Soprattutto se non le sai.
Lunedì, tra meno di ventiquattro ore ormai, mi dovrò sedere accanto a Foby. Con una brutta argomentazione sul piatto, ed una risposta pessima alle sue domande. Immagino con la prospettiva di prenderla più larga possibile, guardare negli specchietti tre o quattro volte e dopo aver controllato olio e gomme, tastare il terreno. E poi? La reazione all'azione?

Stringete un bicchiere in una mano. Alzate il braccio di fronte a voi fino a che sia all'altezza della spalla. Contate fino a tre. Lasciate la presa. Che succede? Dovrete raccogliere i frammenti del bicchiere sparsi per tutto il pavimento della stanza. Ma lo sapete. Non c'è bisogno di farlo per scoprirlo.  Eppure... Voi lo vorreste sapere? Lo vorreste scoprire? Vorreste vedere i frammenti? Le cose lasciate andare, tendono a cadere. E anche se non si vede, le persone vanno in pezzi.
Immagino che tutti vorrebbero sapere. Almeno finchè non sanno. Forse non vogliono dopo. Prendere o... prendere.
Chi me l'ha fatto fare?










  
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