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Autore: Florelle    31/05/2011    1 recensioni
Luca é un giovane architetto venticinquenne, la cui vita é scandita dal lavoro in ufficio, le serate in solitaria e le notti brave a Torre del Lago, in cerca di sesso senza impegno, nel quale dimenticare una vita che gli sembra fatta solo di doveri. Ha pochi amici e non sente il bisogno di averne altri, non cerca una relazione e forse neppure ci spera più fino al giorno in cui conosce Nicola, brillante editore e insegnante di teatro. La storia sembra partire col piede giusto, ma non tutto é perfetto e Luca si troverà a fare i conti con le proprie paure.
Luca é un adolescente alle prese col diventare adulto, con lo scoprire la propria omosessualità. Bravo a scuola, serioso, timido ai limiti dell'asociale, sportivo, creativo. E come molti adolescenti, tiene un diario.
Luca ha una sorella, Marianna, meno fortunata di lui su cui si concentrano le attenzioni e le preoccupazioni dei genitori. É davvero facile crescere senza punti di riferimento?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ma sì, in fondo gli volevo bene anche io alla tua bestia puzzida” lo canzonò lei, mentre Luca accarezzava uno ad uno gli oggetti del suo adorato cane, Lulù, morto poche ore prima nello studio del veterinario che l’aveva sempre curato, alla veneranda età di sedici anni.
“Lulù non ha mai puzzato. E comunque ‘puzzida’ in italiano non si dice, Marianna” la rimbrottò Luca con un tono secco, curvando le spalle. “Non parlare male di lei” borbottò. Voleva veramente bene a quel cane: era stato il suo compagno fedele durante la sua adolescenza e probabilmente la presenza più sensata in quella casa.
Beh, adolescenza... Luca non era esattamente sicuro di averne avuta una, visto che sin dai primi anni del liceo – o forse anche prima – era sempre stato oberato da mille responsabilità. Ecco, adesso stava copiando le frasi di Alessandra un’altra volta. Scosse la testa.
“Certo, l’unica donna della tua vita!” rise lei a squarciagola, mostrando tutti i denti perlacei.
“Cretina!” sbottò lui.
“Luca, smettila di trattare male tua sorella!” gridò la madre, che stava preparando il pranzi per quella riunione familiare.
“Ha cominciato lei!” protestò il giovane.
“Smettetela di litigare come quando eravate bambini. Comportatevi da persone adulte!”
“Hai visto, mamma ha detto che non sei una persona adulta.” Luca avrebbe voluto risponderle, ma consolidando una tattica ormai vecchia, se ne rimase in silenzio, voltando lo sguardo da un’altra parte.
“Ehi, sto parlando con te!” Marianna gli si avvicinò e lo scosse per un braccio. “Sei sordo?” esclamò, urlandogli in un orecchio. “Sei sordo e cattivo!” disse ancora, scuotendolo più forte e alzando il volume della voce.
“Marianna! Abbassa la voce!” gridò la madre, senza entrare nella stanza.
“Sei cat-ti-vo!” gli urlò di nuovo.
“Lasciami in pace! Hai capito? Lasciami in pace!” Luca esplose, alla maniera di una pentola a pressione a cui il tappo salti. Si alzò dalla poltrona su cui era sprofondato e scattò verso le scale, per raggiungere quella che era stata la sua cameretta.
Perché gli sembrava che non cambiasse mai niente? In quel momento desiderò ancora una volta che sua madre entrasse piano piano senza bussare dalla porta di camera, lo abbracciasse e lo rassicurasse che sua sorella non aveva il diritto di comportarsi così, né di aggredirlo. Voleva che sua madre lo abbracciasse e lo rassicurasse dolcemente.
Ma sua madre non aveva mai fatto un gesto simile per lui perché “lo sai, tua sorella è sfortunata, tua sorella ha dei problemi, la devi capire.”
Che cosa doveva capire? Pensava rabbioso, massaggiandosi il braccio livido. Tirò sul col naso e si guardò allo specchio.
“Hai venticinque anni, non puoi comportarti ancora come un quindicenne” si disse a mezza voce, ma sapeva benissimo che se fosse sceso di nuovo in salotto, lui e Marianna avrebbero finito per litigare ancora. Si sedette sul letto e tirò fuori l’i-phone, cominciando a giocare con alcune applicazioni.
Se almeno Alessandra gli avesse mandato un messaggio per chiedergli come stavano andando le cose... ma Alessandra si interessava raramente di questo. Per non sentirsi solo, si concentrò sul videogame, impiegando tutta la sua rabbia per distruggere le bolle che cadevano sullo schermo.
“È pronto!” urlò la voce di suo padre che era tornato dal lavoro e, come al solito, si era probabilmente messo a guardare il telegiornale, senza curarsi di salutare i figli.
Luca rimise il cellulare in tasca e scese giù per le scale.
“Ciao, babbo” disse distrattamente, passando davanti al televisore.
“Ciao, Luca.” rispose l’uomo alzandosi e facendogli un cenno col capo. Si avviarono entrambi in cucina.
Marianna stava chiacchierando con la loro madre, anzi sarebbe più giusto dire – osservò Luca – che stava chiacchierando a sua madre, come al solito macinando sillabe e investendola con percorsi logici piuttosto ardui da individuare, se logici affatto. Sua madre con pazienza tentava di tenerle dietro e di risponderle dove possibile, altrimenti semplicemente annuiva.
“Come mai non sei allo studio?”chiese suo padre a Luca.
“È sabato, di sabato lo studio è chiuso” ripeté a macchinetta, quasi sentendosi in colpa per la settimana corta del suo lavoro, come se fosse stato lui il padrone dell’attività e non un semplice dipendente.
“A proposito, c'è una mia amica” cominciò sua madre “che ti dovrebbe chiamare nei prossimi giorni. Ha intenzione di ristrutturare la casa di sua madre, le ho dato il tuo numero.”
“Ok.”
“Mamma, stavo parlando io! Ti stavo dicendo che ho conosciuto questo tipo e...” riattaccò Marianna come se nulla fosse. Ovviamente i genitori non dissero niente e aspettarono in silenzio che la giovane finisse il suo monologo. Così scivolo via metà del pranzo. Quando finalmente Marianna si interruppe, distratta dalle bollicine della Coca Cola, il padre intervenne: “Luca, perché non hai mangiato quasi nulla?”
“Ho lo stomaco chiuso” fu la risposta sottile. Il padre scosse la testa, ma non commentò.
“Io invece ho mangiato tutto! Mamma cucina così bene! Sai mamma, dovresti darmi proprio la ricetta del tuo risotto, così lo rifaccio a Stefano... ti ho parlato di Stefano, no? Ecco vedi, la cugina di Stefano, che si chiama Lucrezia... Lucrezia... o forse era Lucia... no, ma mi sembra proprio Lucrezia... Lucrezia, che brutto nome, sembra un personaggio cattivo di un telefilm, Lucrezia... Lucrezia... cervellone, che vuol dire Lucrezia?”
“ È latino” rispose Luca laconico.
“Insomma, la tua ricetta, ecco dicevo perché Lucrezia fa un risotto buono, ma il tuo è più buono così faccio anche bella figura perché la mamma di Stefano dice che sono buona a poco. Ma è solo perché è una vecchia arpia antipatica ed è gelosa, quella troia...”
“Marianna!” sbottò il padre.
“Babbo, lo sai, quando ci vuole ci vuole ed io parlo come si deve, mica sono come questo cervellone qua che infiocchetta tutte le parole manco fossero caramelle, che poi alla fine mica si capisce nemmeno quando parla con tutte quelle caramelline.. Perché lo sai, la mamma raccomanda sempre di non mangiare troppe caramelle perché sennò ti si cariano i denti... ah, ieri l’altro sono stata dal dentista e...” Luca si disconnesse da quella scena, com’era solito fare, facendo una lista mentale delle cose che avrebbe dovuto fare nel resto del giorno. Fare un po’ di spesa, stendere la lavatrice, possibilmente finire il quadro che da due settimane stava sul cavalletto, magari uscire quella sera con Alessandra o qualcun altro. Non che avesse tutta questa voglia di uscire di casa, ma dicesi che, per convenzione sociale, fosse una buona cosa parlare con qualcuno che non fossero i colleghi di lavoro almeno una volta a settimana.
O magari poteva andarsene a ballare da qualche parte, prendere la macchina e arrivare fino a Tirrenia. Erano passate almeno due settimane dalla sua ultima avventura... rabbrividì inorridito quando realizzò i pensieri che stava facendo a tavola con i suoi genitori. Non era pulito, non era corretto.
La voce squillante di Marianna ancora una volta lo riportò alla realtà:
“Mamma, mi chiami un taxi? Ho un appuntamento con Stefano..” Almeno se Marianna se ne fosse andata, anche lui avrebbe avuto una buona scusa per tornare a casa senza sembrare scortese. Aiutò la madre a sparecchiare come aveva sempre fatto, in silenzio, poi guardò l’ora con un gesto plateale e annunciò che aveva del lavoro da sbrigare.

Distesi sul divano della casa dei genitori, Luca ascoltava ancora pazientemente le lamentele di Alessandra sull’ennesimo ragazzo che l’aveva trattata male. Alessandra non era una brutta ragazza secondo lui, dolce fin nei tratti del viso, sempre sorridente, forse un po’ ingenua, con le forme nei posti giusti – ok, forse un po’ troppo formosa – di una bellezza acqua e sapone un po’ retrò, vestita sia col caldo che col freddo con colori sgargianti.
“Ecco... perché non sei venuto ieri sera? Almeno gli avresti dato un pugno in faccia.” si lamentò, in riferimento alla serata precedente passata in discoteca con le amiche quando aveva visto il tipo con cui usciva – o, per dirla come pensava Luca, il tipo con cui aveva scopato un paio di volte – strusciarsi molto appassionatamente con un’altra.
Luca avrebbe voluto obbiettare che, essendo una serata tutte donne, si sarebbe sentito un po’ fuori posto, ma decise di lasciar perdere.
“Ah comunque... la Mari mi ha trovato qualcosa che cambierà la tua vita.”
“La mia vita?” Lei gli mise in mano un volantino stropicciato che pubblicizzava le nuove attività dell’Arcigay per quell’anno. Luca lo guardò sommariamente. “Tanto lo sai che al Gay Pride mi piace andarci da solo. Perché dovrebbe interessarmi?”
“Questo deve interessarti. Un corso di teatro!”
“Cosa?”
“Teatro e linguaggio del corpo. Ti farà bene, ti insegnerà ad essere un po’ meno baccalà... e vedrai che successo coi ragazzi.”
“Mi sono mai lamentato di non aver successo?”
“Lucaa... sei vecchio, hai venticinque anni, è ora che tu ti trovi un fidanzato! Basta andare a scopacchiare in giro come un quindicenne.”
“A me va bene così.”
“Ti va bene così finché avrai un visetto giovane e fresco e un bel culo... ma sai anche tu che non durerà per sempre.”
“Non ho ancora trovato la persona giusta. E comunque meglio soli che male accompagnati” Stava recitando la solita commedia perché ad Alessandra andava bene così. Era più facile per lei pensare che il suo migliore amico non aveva mai avuto una relazione importante, nonostante fosse decisamente di bell’aspetto e intelligente, piuttosto che addentrarsi a capire che bei lineamenti e un quoziente intellettivo sopra la media non bastavano, che nessuna delle cotte di Luca aveva mai trovato riscontro in qualcosa di più serio che una scopata, che spesso e volentieri i suoi coetanei non ne notavano neppure la bellezza, indispettiti dalla sua incapacità di interagire. No, quella non era la storia che Alessandra voleva sentire; allora Luca recitava per lei la parte del ragazzino che non vuole relazioni, che si vuole soltanto divertire. Non le aveva mai confessato i suoi sogni più intimi, quelli in cui fantasticava su un compagno dolce e affettuoso, cenetta a lume di candela e passeggiate in riva al mare di notte mano nella mano.
Non lo avrebbe mai raccontato ad Alessandra, lei non avrebbe capito. Ma del resto non si aspettava che qualcuno davvero lo potesse capire; gli esseri umani non si capiscono.
“Ti va di uscire a prendere una cioccolata calda da qualche parte?” le chiese.
“Mi vuoi ancora più brutta e grassa?” rispose lei, soffiandosi il naso in un fazzoletto. Luca rimase in silenzio, ascoltando il suo stomaco che cominciava a reclamare un po’ di cibo. Il cellulare di Alessandra interruppe il silenzio.
“Ciao, Marisa.. Sì, sono a casa. Come sto? Sto a pezzi... sì, sì, Luchino è qui da me... se vogliamo andate a mangiare una pizza stasera? Aspetta che chiedo... Luca, ti va di andare a mangiare una pizza fuori con Marisa e un suo amico? Mi farebbe tanto piacere, dai dai dai...”
“Non eri a dieta tu?” rispose lui, facendole la linguaccia..
“Ok... ci vediamo verso le sette al solito posto.” L’amica aveva ritrovato il sorriso; al contrario Luca stava già cominciando a sudare freddo alla prospettiva di dover conoscere qualcuno di nuovo e di vedere probabilmente per l’ennesima volta Alessandra fare la smorfiosetta.

“Ciao, tesora!” Marisa urlò attraverso il locale e andò a prendere i due amici. Salutò Alessandra con due baci sulle guance e un lungo abbraccio. “Ciao, dolcezza” disse a Luca, smorzando un po’ l’impeto, ma non rinunciando ad accarezzarlo sul viso. Lui si irrigidì come tutte le volte, non capiva proprio la smania della gente per il contatto fisico. Stava benissimo senza che nessuno invadesse il suo territorio.
“Alcuni amici si sono uniti a noi, spero non vi dispiaccia. Tutti simpaticissimi, comunque” sorrise. Luca avrebbe voluto scappare a gambe levate in quel momento. Ma se c’era tanta gente probabilmente nessuno avrebbe prestato particolare attenzione a lui e si sarebbe potuto ritagliare il suo angolo di spazio.
Non capì bene quante persone componessero il nuovo gruppo di amici, forse una decina, comunque troppi. Dall’abbigliamento si poteva distinguere chiaramente che fossero amiche e amici di Marisa, platealmente gay e questo calmò un poco Luca. Quanto meno, non si sarebbe sentito troppo un pesce fuor d’acqua.
Superato il solito rito della scelta dell’aperitivo si accomodò in un angolo, osservando gli altri e cercando di non riconoscere che era oggetto a sua volta di occhiate interessate. Almeno tre gradi di separazione, non avrebbe mai potuto scopare uno degli amici di Marisa, sarebbe stato imbarazzante.
Anche se il biondo con la camicia aperta non era niente male, forse un po’ troppo california-style e con troppi pettorali per i suoi gusti, e perché no, anche il tipo piccoletto con la testa rasata. Alessandra era scomparsa chissà dove con il ragazzo, che, come da copione, l'amica le aveva fatto conoscere, mentre Marisa era impegnata in un appassionato dialogo con una morettina.
“Posso?” Luca quasi sussultò quando sentì quella domanda e per una breve frazione di secondo si trovò occhi negli occhi con l’interlocutore.
“Non volevo spaventarti” rise il ragazzo. Luca si concentrò solo sui lunghi capelli castani, da metallaro.
“Ero solo sovrappensiero. Comunque sì, puoi prendere la sedia.”
“Io intendevo sedermici, non portarla a casa, veramente” rispose l’altro con un tono semplice e neutro che Luca non si aspettava. Si sforzo di guardarlo nel viso.
Come aveva fatto a non notarlo prima?!
Forse era stata una sorta di autodifesa da parte del suo cervello, cercare di escludere dai suoi sensi la persona che sembrava fatta apposta per lui. O per lo meno per i suoi ormoni.
Tre gradi di separazione...
“Sei anche tu un amico di Marisa?” gli chiese. Aveva pure una bella voce dolce e chiara.
“Sì” annuì Luca, senza riuscire ad aggiungere nient’altro.
“Piacere, io sono Nicola.”
“Luca.” Ci fu qualche momento di imbarazzo, Luca non sapeva se doveva tendergli la mano oppure no, se doveva fare qualcosa. Di sicuro era arrossito e la cosa non migliorava il suo umore.
“Mi sono trasferito in città da poco” sorrise Nicola. “Mi hanno assunto in una piccola casa editrice, finalmente! E soprattutto mi dedico alla mia più grande passione, il teatro. Così quando Marisa mi ha chiesto se volevo tenere un corso di teatro allÁrci gay le ho subito detto di sì, non vedo l’ora di iniziare.” Luca si lasciava cullare dal lento fluire delle parole. Chiuse gli occhi per un attimo: letteralmente adorava quando qualcuno gli parlava, sollevandolo dal fardello di dover attaccare conversazione o peggio ancora di dover rispondere. “Comunque, ti dicevo, mi sono trasferito qui da poco, ho studiato insieme a Marisa a Padova, poi sono rimasto a fare il dottorato in Editoria su e adesso sono venuto qua. Non mi dispiace affatto Firenze, almeno è una città aperta. E tu? Nato e cresciuto qui.”
“Sì.” Seguirono attimi di silenzio. Luca maledì la sua incapacità di sciogliersi o di fare una qualsiasi mossa che sembrasse seduttiva. “Faccio l’architetto. Cioè, per ora non ho uno studio mio... ma almeno faccio quello che mi piace.”
“Quindi sei un creativo!” esclamò l’altro con esagerato entusiasmo.
“Mi piace disegnare. Dipingere anche.”
“Un’artista misterioso!” esclamò di nuovo Nicola. “E con un bellissimo sorriso.”
“Nico, noi andiamo! Muoviti o ti lasciamo a piedi.” Il ragazzo coi capelli rasati venne a chiamarlo.
“Arrivo! Beh, Luca del Mistero, ci vediamo presto.” Gli sorrise. Luca avrebbe voluto sbattere la testa al muro.
Perché si doveva sempre comportare così?

“Luca, tutto bene?” chiese Marisa, approfittando del fatto che Alessandra si fosse allontanata per una lunga pausa sigaretta con Massimo, la sua nuova conquista.
“Sì” rispose lui, mettendo su una smorfia-sorriso di convenienza.
“Sei più silenzioso del solito.”
“Non mi sembra” biascicò, sbadigliando.
“Mercoledì c’è la lezione di dimostrazione del corso di teatro, ci vieni?”
“Non mi ossessionare anche tu!” ruggì.
“Sarà divertente, non sei mica obbligato a seguire il corso poi, ma sarà una serata carina. Da quando Giacomo si è fidanzato, tu non mi esci quasi più di casa. Cos’è, c’era qualche gelosia fra voi due?”
“Ma no!” Giacomo era stato il suo compagno di uscite in discoteca per i passati otto anni... fino a un mese fa quando era diventato una sottospecie di lesbica, aveva trovato l’uomo della sua vita, si era trasferito da lui e praticamente non aveva più considerazione per nessuno. “È che.. beh, non posso certo andare in un locale gay con te o con Alessandra, con tutto il rispetto.”
“Neppure puoi aspettare in eterno che Giacomo si lasci dal suo ragazzo per tornare in giro con te. Avresti bisogno di qualcun altro.”
“Sto bene, grazie per l’interessamento” rispose polemico, rinchiudendosi nelle spalle.
 
   
 
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