Storie originali > Epico
Ricorda la storia  |      
Autore: Mia    24/02/2006    5 recensioni
Come Peleo, figlio di Eaco, conobbe la Nereide Teti, madre di Achille il pié veloce.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nuova pagina 1

Avviso: Questa storia si ispira ad un mito minore di quelli che ruotano attorno alla guerra di Troia narrata nell'Iliade, perciò, sebbene la storia si trovi nella sezione Originali, la trama non è interamente da me inventata, ma trae ispirazione da un mito già esistente. Mi scuso inoltre con i lettori che l'avessero già letta per non avere inserito prima questo avviso. I personaggi non mi appartengono e storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


PELEIOS KAI QETIS

PELEO E TETI

Passeggiavo lungo la spiaggia di Ftia.

Il mare era meraviglioso quel giorno, ma io non vi prestai particolare attenzione. Avevo, infatti, molti altri pensieri che mi affollavano la mente.

Nei giorni precedenti mi erano giunte notizie su mio fratello e la morte di mio padre.

Ripensavo perciò al giorno in cui io e mio fratello Telamone avevamo ucciso il nostro fratellastro Foco lanciando un disco ed eravamo così stati cacciati da nostro padre.

Eravamo fuggiti ed avevamo cominciato ad errare per molte terre a noi ignote.

Telamone era più giovane di me di alcuni anni e perciò, presto, il suo spirito esuberante di ragazzo lo aveva portato a separarsi da me per cercare fortuna da solo. Io lo avevo lasciato andare. Del resto era grande ormai ed era figlio di un re: se la sarebbe cavata benissimo anche da solo.

Telamone si era recato con Eracle, che tutti dicevano figlio di Zeus, ad Ilio: una grande città della Troade, in Asia Minore, ricca di metalli e di spezie.

Ilio era la città le cui mura erano state erette da nostro padre Eaco con l’aiuto di Poseidone, signore del mare, ed Apollo, signore della luce.

Sapevo che Eracle aveva liberato la città da un mostro marino, al quale il re avrebbe dovuto offrire in sacrificio sua figlia Esione per placare la collera del Dio che l’aveva inviato. In cambio di questo favore fatto al sovrano, il semidio aveva preteso alcuni dei leggendari cavalli di Ilio, ma l’avaro Laomedonte glieli aveva negati. Allora il figlio di Zeus, assieme a mio fratello, aveva ucciso Laomedonte ed i suoi figli.

Con quest’atto però, Telamone ed Eracle, si erano guadagnati l’inimicizia di Ilio…

Improvvisamente scacciai questi funesti pensieri perché qualche cosa attirò la mia attenzione.

Volsi il mio sguardo verso l’azzurro mare della Tessaglia e vi scorsi una figura immersa completamente, che nuotava e di cui si scorgeva solamente la testa.

Rimasi immobile ad osservarla per un po’, fino a che non capii che ciò che avevo visto in mare era una donna.

Mi vergognai di me stesso per aver osservato così insistentemente e così a lungo una donna, ma subito questi sensi di colpa se ne andarono ed io fui di nuovo attratto da quella figura.

Aveva lunghi capelli neri, che sembravano formare una voragine attorno alla loro proprietaria.

Ella si stava avvicinando, io perciò mi allontanai e mi nascosi dietro una pianta, continuando però ad osservarla, quasi i miei occhi si nutrissero di quella vista.

Poco dopo, la giovane donna giunse a riva e si alzò in piedi.

I lunghi capelli neri bagnati le si appiccicarono al corpo, lungo tutta la schiena e sui seni, fino a coprirli interamente con la loro massa scura.

La pelle della donna era candida come una perla e faceva un enorme contrasto con il colore nero dei capelli.

Ella rimase in piedi, immersa fino alla vita nel mare, giocherellando con l’acqua chiara.

Io rimasi ad osservarla per molto tempo, incantato da lei e dalla sua figura esile e madreperlacea.

Il Fato volle che spostassi involontariamente un ramo della pianta dietro la quale mi ero nascosto, attirando così la sua attenzione. La giovane voltò il capo nella mia direzione e, appena mi vide, fece cenno di avvicinarmi.

Io uscii dal mio nascondiglio a testa alta, cercando di nascondere il mio imbarazzo.

Lei stava in piedi, immersa fino alla vita in mare.

Non era girata completamente verso di me, ma solo la sua testa era voltata nella mia direzione e mi guardava con un’occhiata di rimprovero.

I suoi occhi!

Appena incrociai il loro sguardo mi sentii rabbrividire.

Erano azzurri e profondi, ma il loro colore era indefinibile poiché tutti i verdi, gli azzurri ed i blu del mare erano riuniti in essi. In loro ci si poteva perdere come i naufraghi in mare.

Entrambi restammo in silenzio a guardarci.

Fu lei a parlare per prima: -Chi mai sei tu, che osi posare impudicamente i tuoi bramosi e libidinosi occhi su di me, che sono una sacerdotessa di Poseidone Cronide, signore del mare, e che solo lui ho deciso di servire ed onorare; nessun altro uomo, né mortale né divino?-

Io puntai i miei occhi dentro i suoi, prima di rispondere: -Io non sono nessuno, signora. Solo un uomo: incantato dalla bellezza sconfinata della sacerdotessa di Poseidone, signore del mare e scuotitore della terra. Ti posso giurare sugli Dei Immortali che mai i miei occhi mortali si posarono su una donna più bella e desiderabile di te: tu potresti competere per grazia e fascino con Afrodite Pandemia.-

Lei si accigliò e mi guardò con disprezzo: -Che blasfeme parole uscirono dalla tua bocca mortale? Io ti dico invero, affinché tu lo sappia, che non sono interessata agli uomini mortali: nella mia vita ho scelto di servire gli Dei Immortali. Per questo non ti consiglio di sfidarli in codesto modo oltraggioso, mettendo me in competizione con una Dea potente come Afrodite Pandemia, figlia di Zeus Cronide e Dione dagli occhi belli. Nessuna donna o Dea è più bella di lei.-

Sul mio viso apparve un sorrisetto e dissi: -Può darsi che sia vero ciò che tu dici, ma anche la tua bellezza è grande, ed è un terribile oltraggio che solo gli Dei possano approfittare di tanto splendore e tanta piacevolezza, signora…-

Il suo sguardo mi zittì.

Di nuovo quel suo sguardo profondo come il mare!

Di nuovo mi fissava con quegli occhi!

Io avevo avuto una moglie e molte donne mi avevano attratto, ma mai nessuna come quella che mi trovavo davanti in quel momento.

Dovevo averla!

Doveva essere mia!

Adesso non saprei dire cosa in lei mi affascinasse tanto, ma era qualche cosa che andava oltre la sua bellezza. Qualche cosa che non ho ancora identificato, ma che mi manca da morire ora che ella non è più con me.

Quando mi fui ripreso dallo sguardo di quella donna misteriosa, le dissi: -Mi dispiace, non volevo offenderti con parole o con fatti. Che io possa scendere sottoterra ora, se con un sol verbo avessi offeso la tua persona… ma, tu hai un nome oppure devo continuare a chiamarti signora?-

Lei mi voltò le spalle e disse: -Non penso che tu sia degno di chiamarmi per nome, poiché io sono una sacerdotessa! Inoltre non una sacerdotessa di un Dio qualsiasi, ma di Poseidone Cronide. Mai bocca mortale osò pronunciare il mio nome, anche perché nessuno lo conosce.-

-Tu sarai anche una sacerdotessa, signora, - sottolineai quella parola volutamente, per indispettirla.

Mi piaceva ancora di più quando era arrabbiata!

-Ma io sono re – continuai – e perciò desidero conoscere il tuo nome ed utilizzarlo qualora mi facesse piacere. Non sono un uomo come tutti quelli che hai conosciuto fino ad ora, ma discendo da una famiglia reale. Mio padre era un re ed il padre di mio padre era Zeus Egioco in persona.-

Lei volse di nuovo la testa nella mia direzione e mi disse, con tono aggressivo:

-Tu sarai anche re e discendente di Zeus Cronide, ma io sono la figlia di due divinità: io discendo direttamente da due Immortali, mentre tu hai il Tonante come discendente molto più remoto: come avo. Nereo è mio padre e Doride dagli occhi belli mia madre, perciò io esigo il rispetto che merito, essendo figlia di due Dei.-

La guardai con stupore e poi aggiunsi con scetticismo: -Non conosco queste divinità di cui tu parli, poiché sono Dei della vecchia religione: io non sacrifico pingui prede per loro e non li venero nella mia nobile casa. E poi, perché dovrei credere alle tue parole? Non posso sapere se sono veritiere.-

Sul viso di lei apparve un sorrisetto e mi disse: -Ti basti dunque sapere che io vidi tuo padre Eaco, figlio di Zeus, ancora giovine, erigere le sacre mura di Ilio divina, ed il mio aspetto, allora, non era diverso da adesso. Io sono destinata a rimanere così per sempre. Anche quando fra i tuoi capelli biondi e belli saranno apparsi dei fili bianchi, ed i tuoi occhi castani come l’ambra saranno ingialliti, io sarò esattamente come tu mi vedi adesso: tra i miei capelli non ci sarà un solo filo bianco ed i miei occhi non ingialliranno.-

Cominciai a preoccuparmi.

“È realmente una Dea costei, che afferma di aver visto Eaco, figlio di Zeus, costruire le mura di Ilio divina?” mi chiesi.

Il suo aspetto era quello di una donna mortale, ma la sua pelle madreperlacea ed i suoi occhi, profondi come il mare, non avevano nulla di umano. Furono proprio queste sue fattezze che mi misero il dubbio: quegli occhi così profondi e blu portavano i segni di una vita lunga; molto più lunga della vita dei comuni mortali…

Dovevo apparire molto stupito in quel momento, poiché riuscii a far ridere la donna, fino ad allora rimasta così seria.

-Teti è il mio nome: figlia di Nereo e di Doride. Tu sei invece Peleo, figlio di Eaco e di Endeide. Tuo padre, essendo caro agli Dei per la pietà e la dolcezza del suo carattere, siccome abitava su di un’isola spopolata, Zeus Cronide, intenerito dalle sue incessanti e compassionevoli preghiere, mutò in uomini delle formiche. Fu per questo che gli abitanti dell’isola furono chiamati Mirmidoni. Tuo padre costruì poi, con l’aiuto di Apollo, signore della luce, e Poseidone, signore del mare e scuotitore della terra, le mura della sacra Ilio.-

-Sì signora, è come tu dici.- fu la sola cosa che fui in grado di dire dopo questo suo discorso.

Fu così che conobbi Teti: colei che sarebbe stata la mia seconda moglie, anche se per breve tempo.

Prima di poterla fare mia però, dovetti faticare molto.

Il giorno stava volgendo al termine. Lei alzò lo sguardo verso il cielo di Urano e fissò il sole. Il signore del sole, Apollo, stava facendo scendere il suo grande carro trainato da cavalli infuocati sopra l’orizzonte.

-È tardi. È giunto il momento di congedarci.- disse lei.

Poi mi guardò.

-Addio nobile Peleo, figlio di Eaco. Non so né quando, né come, né dove ci rivedremo, ma ho la sensazione che questo non sarà il nostro ultimo incontro.- detto che ebbe questo, mi voltò le spalle, si immerse di nuovo in mare e cominciò a nuotare, fino a che non scomparve alla mia vista.

Anche io feci per tornare indietro fino al mio palazzo, ma con immensa fatica.

Continuavo a voltarmi, nella speranza di vederla emergere di nuovo dalle acque del mare di Tessaglia, ormai rese rosse dalla luce del sole che calava sull’orizzonte.

Quando infine giunsi al mio palazzo, faticai molto ad addormentarmi.

Pensavo a Teti.

Cercai più volte di scacciare quel pensiero, ma con scarsi profitti.

Mai avevo provato una così forte attrazione per una donna.

Ripensai al mio primo matrimonio.

Mia moglie Antigone era una donna buona e di piacevole aspetto.

Ero felice con lei, ma poi il Fato si era contrapposto alla nostra felicità. Dopo aver ucciso accidentalmente il padre di lei, Eurizione, fui esiliato e lei mi seguì.

Ci rifugiammo presso la corte di Acasto ad Iolco.

Io ero giovane e piacente allora e la regina Astidamia si era innamorata di me.

Una volta che ci trovammo soli, ella mi confessò il suo amore.

Io, spaventato pensando alla rabbia che avrei potuto suscitare nel re e preoccupato per il dolore che avrebbe provato Antigone se l’avessi tradita, dissi alla regina che non ricambiavo il suo amore; il che era vero, ma lei si adirò tanto che volle vendicarsi. Disse infatti a mia moglie che io la tradivo: la poveretta, dal dolore, s’impiccò.

Poi Astidamia si recò dal marito e gli disse che la insidiavo.

Il re non mi uccise subito, ma mi portò a caccia con lui, per poi lasciarmi senza armi nella foresta, in modo che le bestie potessero divorarmi facilmente.

Venni però salvato da Chirone: un saggio centauro che diventò, e sarebbe poi rimasto, il mio migliore amico.

Io allora, con l’aiuto di Chirone e di un esercito inviatomi da Zeus Tonante, il quale altro non era che l’esercito di mio padre, i Mirmidoni, scacciai Acasto dal suo regno ed uccisi Astidamia.

Fu così che conquistai Iolco e, in seguito, Ftia.

Dopo la morte di mia moglie non fui più attratto da nessuna donna, fino ad oggi.

Teti era stata la prima a suscitare in me sensazioni che nessuna donna da tempo era riuscita a risvegliare.

In quel momento presi una decisione: avrei ritrovato Teti e l’avrei fatta mia.

Così, giunto che fui a questa conclusione, riuscii finalmente a dormire.

***

La mattina dopo, molto presto, feci sellare il mio cavallo e partii.

Ero deciso a ritrovare Teti.

Con il mio destriero arrivai fino alla spiaggia, sperando di trovarla, ma non fu così.

Decisi allora di andare fino al tempio di Poseidone; esso però era lontano da dove mi trovavo io.

“Non importa quanto il tempio di Poseidone, signore del mare e scuotitore della terra, sia lontano! Io lo raggiungerò!”

Ora non saprei spiegare il motivo di una tale attrazione, ma posso solo dire che ero davvero innamorato; inoltre ero giovane, o almeno più giovane di quanto non sia adesso, e questo alimentava la mia passione.

Viaggiai tutto il giorno e parte della notte, ma infine giunsi al tempio del signore del mare. Stando bene attento a non fare il minimo rumore, vi entrai.

Il tempio era maestoso: costruito con pregiati marmi e decorato con maestria. Io però prestai poca attenzione alle decorazioni, passando oltre.

Volevo trovare le stanze dove dormivano le sacerdotesse.

Non so come né perché, ma vi giunsi subito. Reperii anche piuttosto in fretta la camera dove dormiva Teti.

Se non mi ero stupito per le decorazioni del tempio, ebbi invece modo di meravigliarmi vedendo la camera in cui dormiva Teti.

La mia prima impressione fu quella di essere entrato in una grotta ed infatti, poco dopo, mi accorsi che era proprio così.

Ella dormiva realmente in una grotta marina.

Il tempio, difatti, si affacciava sul mare.

Teti era addormentata davanti a me.

Bella.

Bellissima.

Fremetti davanti a tale sublime grazia: indossava un leggero peplo; trasparente era, tanto che riuscii a vedere attraverso di esso. Vidi i suoi seni perfetti, così piccoli, tondi e sodi, trasparire attraverso le sue vesti.

L’enorme massa di capelli neri contornava il suo meraviglioso viso.

Rimasi per un attimo a fissarla, incantato, poi mi avvicinai silenziosamente.

Volevo possederla: il desiderio mi sopraffece ed io non potei fare nulla per contrastarlo.

Prima di poter riflettere, afferrai le sue esili braccia e cercai di penetrarla, ma lei mi si sottrasse nella maniera più improbabile: si trasformò in uccello.

Rimasi molto sorpreso da questo: era dunque vero ciò che mi aveva detto riguardo alle sue origini divine.

Dapprima rimasi immobile, meravigliato, ma poi mi mossi, con un sorriso sulle labbra.

Così voleva farsi desiderare?

Ebbene, l’avrei accontentata.

Uscii dal tempio, montai sul mio cavallo e cominciai a seguire il volo dell’uccello che era Teti.

Era un uccello azzurro come il mare, perciò difficile da perdere di vista.

La seguii per un giorno intero, ma infine la raggiunsi.

Si era ritrasformata in donna ed ora ansimava, stanca dopo la fuga.

Sorrisi: -Ebbene? Ora non scappi più da me né dalla mia brama, signora? Sei troppo stanca ed affaticata per sfuggirmi un’altra volta, perciò lascia che io ti faccia mia: non è bello per una donna opporre resistenza.-

Lei mi guardò con odio e si trasformò in un albero.

Appena mi accorsi di ciò che stava per fare, mi precipitai verso di lei, nel disperato tentativo di impedirglielo, ma fu più veloce di me.

Presto mi trovai con, fra le braccia, la dura corteccia di un alloro.

Sbuffai, divertito.

-E va bene, divina figlia di Nereo! Se la metti in tali termini io starò al tuo crudele gioco, ma prima o poi dovrai cedere ed allora cadrai nelle mie mani.-

Rimasi così tutta la notte lì, vegliando presso l’albero d’alloro.

Mi riposai, ma anche lei poté recuperare le forze; infatti, la mattina dopo, appena mi avvicinai, mutò nuovamente forma. Divenne questa volta una tigre, come di quelle che si vedono solo in Asia.

Io mi ritrassi e lei scappò.

Salii allora a cavallo e la seguii; e così per giorni e giorni.

Lei mutò più volte forma: divenne acqua, fuoco, leone, serpente ed infine seppia.

Questo suo ultimo cambiamento avvenne esattamente nel luogo del nostro primo incontro.

Così come all’inizio di questo lungo inseguimento ero divertito, ora ero disperato.

La desideravo con tutto me stesso e non mi sarei dato pace fino a quando non l’avessi avuta.

Pregai perciò gli Dei Immortali, non aspettandomi però una risposta.

Ma commisi un errore: difatti il grande Dio Proteo uscì dal mare e mi disse: -Se davvero desideri possedere Teti la Nereide, divina figlia di Nereo, dovrai seguirla fino a che il carro del signore del sole Apollo sarà scomparso oltre l’orizzonte e la Notte avrà preso il suo posto nel cielo di Urano, senza farti scorgere né udire: quando Hypnos le avrà fatto dimenticare il dolore provato durante il giorno, tu dovrai legarla, senza far caso alle forme che assumerà, anche le più terribili e spaventose. Se ci riuscirai, Teti sarà tua.-

Detto questo, il Dio sparì sott’acqua.

Feci come mi era stato detto. La seguii per un giorno intero, fino a che non si fermò a riposare in una grotta. Mi avvicinai e la legai. Lei cominciò a mutare forma, assumendo anche le più spaventose, ma io non mi lasciai intimidire.

Infine lei cedette: -Vinci, sì, ma con l’aiuto di un Dio!- mi disse stizzita, ma ormai era mia: la sposai.

Il matrimonio fu grandioso e ad esso furono invitati gli Dei.

***

Eravamo sposati ormai da alcune lune.

Teti era incinta.

Io ero immensamente felice: nonostante non fossi più giovane come un tempo, non avevo ancora avuto figli. Il mio primo matrimonio, mi era già venuto il dubbio anni addietro, sarebbe risultato sterile se fosse continuato, ma adesso finalmente avrei avuto un erede per il trono di Tessaglia.

Anche Teti sembrava contenta del suo stato.

Malgrado i primi tempi si fosse rifiutata di venire a letto con me e non mi avesse parlato, ora camminava con orgoglio per i corridoi del palazzo, esibendo con vanto il suo ventre, reso gonfio dalla gravidanza.

In quei giorni la sua pelle madreperlacea aveva assunto un colorito rosato, inoltre la sua esile figura si era impercettibilmente ingrossata: le erano aumentati di volume i fianchi, le braccia ed i seni. Aveva un’aria molto più sana e la sua aurea divina sembrava averla abbandonata.

Ora era simile a qualsiasi altra donna mortale in attesa del primo figlio.

Con i lunghi capelli neri raccolti sotto un prezioso diadema ed il suo corpo gravido avvolto in un peplo di lana bianco, Teti sembrava un’altra persona: la sua espressione altera era scomparsa, per lasciare spazio ad un viso gioioso e sorridente.

Attendevo con ansia la nascita del mio erede, chiedendomi che sensazioni avrei provato, una volta divenuto padre.

Purtroppo però, ancora non sapevo che avrei dovuto attendere molto più del previsto prima di poter provare tali impressioni.

***

Quel giorno tutto era in agitazione. Donne andavano e venivano dalla stanza dove Teti avrebbe partorito.

Io mi sentivo smarrito: mai in tutta la mia vita avevo provato una tale sensazione di impotenza, neppure quando avevo conosciuto Teti la prima volta.

Il parto era un grande segreto femminile, al quale gli uomini non potevano assistere; io lo sapevo bene, ma cercai in tutti i modi di stare il più vicino possibile alla porta. Alla fine però la mia vecchia nutrice, di nome Melissa, mi spinse via dicendo: -Insomma sire, nobile Eacide Peleo, non ti angosciare in codesta maniera esagerata e sconveniente! Va’di là fino a che non ti chiamerò io per vedere il tuo nobile erede! Come possiamo altrimenti lavorare con te che ti aggiri come un’anima in pena davanti alla stanza dove la nobile regina, tua consorte, Teti dagli occhi belli, dovrà partorire?-

Io mi stupii, ma non ebbi neppure la forza o l’istinto di arrabbiarmi per il tono utilizzato alla mia nutrice.

Solitamente non permettevo a nessuno di parlarmi in quel modo, ma quel giorno non davo molta importanza a ciò che mi accadeva attorno.

Così mi allontanai e mi diressi verso la Stanza dei Tesori.

Lì, dopo aver osservato a lungo i preziosi oggetti contenuti in essa, ne sollevai uno piuttosto pesante e cominciai a guardarlo da vicino.

Era una grande armatura d’oro. Era appartenuta a mio padre e poi era passata a me, ma ora essa sarebbe stata di mio figlio.

“Non appena egli sarà abbastanza grande e robusto per sopportare un simile peso!” mi dissi. Infatti, l’armatura era grande e pesante, assai difficile da indossare anche per un uomo adulto.

“Oh, ma io sono sicuro che mio figlio la saprà usare con maestria in guerra, rendendomi fiero di lui.”

Stavo riponendo l’armatura a terra, quando udii dei passi che si avvicinavano.

Mi voltai e vidi entrare Melissa.

“È nato finalmente!” mi dissi.

Mi diressi verso di lei e le chiesi: -Ebbene? Cos’è? Un maschio, vero? È un maschio?- poi, vedendo la sua espressione, mi fermai.

-Cosa c’è? Perché discerno quest’espressione mesta sul tuo volto? Cosa è mai accaduto? Parla donna, che io non debba rimanere in un tale stato di inquietudine ancora per lungo tempo!-

La mia vecchia nutrice mi guardò e poi scoppiò in lacrime.

-Tuo figlio… tuo figlio sire… è… è…-

-È cosa, per gli Dei Immortali, abitatori dell’Olimpo?!-

-Morto. Era un maschio… ma è morto.-

Un enorme vuoto parve impossessarsi di me.

Morto?

Mio figlio era morto?

Non mi sembrava vero, non volevo crederci.

Melissa era sprofondata in un pianto dirotto ed irrefrenabile.

Cercai di consolarla, ma anche io, in quel momento, avrei avuto bisogno di conforto.

Infine ci separammo ed io chiesi: -Come sta la regina, la nobile Teti dagli occhi belli?-

Lei parve agitata: -Bene, bene…- rispose.

Io, in quel momento, non notai la sua agitazione, ma mi diressi verso camera mia.

Qui trovai Teti, distesa sul grande talamo.

I suoi capelli neri erano sciolti sulle spalle ed umidi. Il vestito era appiccicato al corpo impregnato di sudore così come la sua folta chioma.

Il suo viso era tornato del colore della madreperla e la sua figura era ritornata esile come un tempo.

I segni della gravidanza, tralasciando la fronte ed il corpo madidi, non si notavano neppure.

Io mi avvicinai a lei e le presi la mano.

-Mi dispiace. Mi dispiace immensamente, moglie mia adorata. Non essere triste però a causa della terribile e disgraziata morte di nostro figlio: sono sicuro che riusciremo presto ad averne un altro che ci darà gioia e soddisfazioni immense, quante avrebbe potuto recarne ai nostri cuori di genitori questo, che ora Thanatos, figlio dell’oscura Notte, ci ha sottratto. Questo era solamente il primo parto, avvenuto forse anche in un momento non favorevole, perciò è comprensibile che sia andato male.-

Lei mi guardò e mi sorrise: -Non ti affliggere, mio sire, nobile Peleo. Anche tu, al mio pari, non devi essere triste per la sorte di nostro figlio: egli in questo momento è sull’Olimpo dorato, fra gli Dei Immortali.-

Io mi accigliai: perché non sembrava neanche un poco rattristata per ciò che era accaduto a nostro figlio?

Infine la risolsi dicendomi che ella cercava solo di vedere il lato ottimistico delle cose, e perciò non badai più a quel suo strano comportamento.

Ero sicuro che presto avremmo avuto nostro figlio fra le braccia, ma mi sbagliavo.

***

Nei successivi quattro anni e mezzo, Teti rimase incinta altre sei volte.

Ormai sembrava felice di condividere il mio letto e dover perciò subire il peso delle gravidanze.

Sei volte mi illusi di poter avere il mio erede, e tutte e sei le volte le mie speranze furono deluse.

Mai però avevo veduto o udito Teti piangere la morte dei nostri figli, il che mi era parso non poco strano.

Ad ogni modo, cominciai a perdere ogni speranza.

Forse il problema stava nel seme e non nel ventre all’interno del quale esso cresceva.

Del resto, anche la mia prima moglie non aveva mai partorito, perciò, anche se di solito la colpa dei parti non riusciti si attribuiva alle donne, io cominciai ad incolpare me stesso per tutti quei fallimenti.

Questi pensieri però, furono presto dimenticati. Infatti Teti era nuovamente incinta.

Era giunto il giorno del suo settimo parto, ed io stavo passeggiando per i corridoi del palazzo, quando udii una donna piangere.

Era la mia vecchia nutrice.

-Assassina! Assassina!- la udii singhiozzare.

Mi venne un sospetto, un terribile sospetto.

Entrai nella stanza e mi misi davanti alla vecchia, la quale cercò di ricomporsi, non appena mi vide.

Ma ormai era tardi: avevo udito le sue parole ed avevo intenzione di comprenderle fino in fondo.

-Parla donna, e che le tue parole siano veritiere, altrimenti subirai la mia terribile e devastante ira: a chi desti dell’assassina, poco fa?-

-A nessuno grande sire, nobile figlio di Eaco! A nessuno: stavo solo parlando fra me e me come una vecchia sciocca, non hai motivo alcuno di preoccuparti!-

-Non mentire, vecchia! – l’aggredii io – Ti ho chiaramente udita pronunciare tali parole accusatorie fra i singhiozzi e le lagrime, perciò adesso mi dovrai dire la verità fino in fondo, altrimenti che la devastante ira degli Dei si abbatta su di te!-

Lei mi osservò per un po’e poi scoppiò nuovamente a piangere.

-Non posso! Non posso mio sire! Se parlerò dovrò pagare il prezzo delle mie parole! Lei mi ucciderà!-

-Cosa intendi dire con questo discorso funesto e terribile?! Chi ti ucciderà?! La regina Teti? È forse così?!-

Lei parve spaventata nell’udire queste parole, ma, dopo essersi guardata attorno per un poco, annuì gravemente.

-Cosa fa?! Cosa fa?! È lei dunque ad uccidere impunemente i nostri figli? È così?! È così, vero?! Parla donna, di’la verità oppure che Atena, protettrice della giustizia, ti punisca!-

Melissa parve spaventata ed annuì di nuovo.

-Sì, sire, tu che governi con giustizia sulla Tessaglia dalle belle spiagge, hai diritto di sapere: è come tu dici. La tua divina consorte, la regina Teri dalle bianche braccia, nobile figlia di Dei, ha ucciso i vostri figlioletti ancora prima che essi potessero venire al mondo completamente.-

Io inorridii: -Cosa mai vai dicendo, donna?! Tali orribili parole risultano difficili da credere. Come avrebbe fatto la regina Teti dalle bianche braccia ad uccidere i nostri nobili eredi prima ancora che essi venissero al mondo completamente?-

La vecchia donna scoppiò di nuovo in irrefrenabili singhiozzi: -Oh nobile sire, terribile è descrivere la maniera mostruosa mediante la quale ella uccideva le vostre innocenti creature! In modo disumano faceva ciò! La regina ha sempre voluto partorire seduta su di uno sgabello. Accomodata su di esso spingeva, in modo che la testa del bambino uscisse dal suo ventre; quando essa cominciava ad intravedersi fra le sue candide cosce, lei chiedeva che fosse portata dell’acqua bollente. La prima volta non vi feci caso ed obbedii a questa sua richiesta; allora lei ci immerse dentro la testa della povera creatura, uccidendola. Le volte successive cercai di impedirlo, ma la regina Teti dagli occhi belli, figlia di Dei, mi minacciò con terribili parole, ed usò su di me le sue spaventose magie! Così fui costretta a fare come mi diceva anche le volte successive. Tua moglie è pazza, sire! Ogni volta che una delle vostre innocenti creature veniva alla luce, per venire subito da lei uccisa, ella rideva dicendo: “Un altro figlio Immortale! Dei Immortali, prendetevi cura di mio figlio nella vostra dorata dimora!” Tu devi fermarla: presto ucciderà anche il vostro settimo figlio, che adesso sta per nascere!-

Ero riuscito a seguire il discorso a stento: l’orrore contenuto in quelle parole era tale che mi risultò difficile sopportarlo fino alla fine.

-Melissa! Melissa, vieni qua subito!- udii la voce di Teti provenire dalla stanza dove soleva partorire.

Melissa, mi guardò smarrita, ma poi si allontanò da me, per raggiungere Teti.

Io, dal canto mio, non avevo più intenzione di permettere a mia moglie di uccidere i nostri figli, perciò seguii la nutrice.

Giunto che fui davanti alla camera dove Teti stava partorendo, spinsi la porta con violenza ed entrai, ignorando gli urli scandalizzati delle donne.

Entrai in un ambiente umido e colmo di caldi vapori.

Vidi mia moglie completamente nuda e sudata, seduta su di uno sgabello, il viso contratto dallo sforzo: infatti, stava spingendo, in modo da permettere al bambino di uscire dal suo corpo.

Appena mi vide, un’espressione terrorizzata apparve sul suo viso.

-Sciagurata! – la aggredii io – Assassina della tua stessa prole, cosa mai hai fatto! Così il motivo per cui i nostri innocenti figli morivano eri tu?! Ed io che avevo cominciato a pensare di essere colpevole di tali morti!-

Lei voltò il viso verso Melissa e la guardò con odio.

-Guai a te, signora, se oserai utilizzare i tuoi divini poteri su Melissa al fine di ucciderla! Non è stata lei a dirmi le cose orribili che tu fai ai tuoi stessi figli!-

Non era del tutto vero, ma preferii mentire.

Teti volse di nuovo lo sguardo nella mia direzione.

Uno sguardo che mi fece rabbrividire: carico di odio.

-Vattene Peleo, figlio di Eaco! Tu non puoi capire ciò che faccio, né mai lo capiresti! I nostri nobili figli ora sono con gli Dei: sono anch’essi Immortali come i divini Olimpi! Vorresti forse paragonare la dorata e meravigliosa vita degli Dei Immortali con quella triste e tediosa dei mortali che abitano la terra, destinati un giorno a morire ed aggirarsi, per il resto della loro immortale esistenza, nell’Ade tenebroso?!-

Io la guardai con sguardo omicida.

-Tu sei pazza, signora! Uccidere il sangue del tuo sangue al fine di perseguire un tuo stupido sogno di immortalità! Ma adesso ne ho abbastanza. Non ti premetterò di uccidere anche il nostro ultimo figlio: egli sarà l’erede al trono della Tessaglia dalle belle spiagge, e colmerà di orgoglio il mio cuore come tutti gli altri miei figli mai potranno fare a causa tua e della tua pazzia.-

Detto questo mi avvicinai, ma lei urlò: -No! I miei figli sono fra gli Immortali divini e tu non impedirai a quest’ultimo di raggiungere l’Olimpo dorato! Melissa, porta l’acqua!-

-Non osare!- gridai io.

Teti si voltò verso di me e mi fissò con i suoi occhi freddi e terribili.

-Allora, se la metti così, nobile figlio di Eaco, provvederò io stessa ad ucciderlo. Gli schiaccerò la testa: non importa quanto dovrò soffrire, né quanto dolore proverò, ciò che conta è che anche questo nostro figlio vada a vivere sull’Olimpo dorato e diventi immortale!-

Detto questo cominciò a stringere le gambe con uno sforzo immane, nel tentativo di non far uscire la testa del bambino. Il volto le si arrossò a causa della pena, ma se avesse continuato così sarebbe riuscita nel suo intento.

Io allora l’afferrai per le braccia, cercando di farle allentare la tensione.

Si vedeva che Teti stava soffrendo molto.

Poco dopo cominciò ad urlare dal dolore, infatti, vidi la testa del bambino spuntare dal suo condotto vaginale. Mi inginocchiai sotto di lei e afferrai il bambino, che ella cercava di trattenere, inutilmente, all’interno di sé.

Infine tagliai il cordone ombelicale e potei stringere fra le braccia il mio primo figlio.

Era un bellissimo bambino; così bello che ne rimasi affascinato.

Teti scoppiò in lacrime.

-Sciagurato! L’hai sottratto dalle mani degli Dei Immortali, dove io deposi tutti gli altri miei figli! Ora egli non avrà più la possibilità di guadagnare l’immortalità come tutti suoi fratelli! Morirà come tutti voi, miseri ed infelici uomini mortali! Invecchierà e soffrirà per tutta la vita e conoscerà un giorno Thanatos, signore della morte.- poi mi guardò con grande odio:-Tu hai ucciso tuo figlio! Presto te ne accorgerai, Peleo, figlio di Eaco, allora sarai tu l’assassino e non io! Rammenta queste mie parole.-

Io però non le diedi retta.

Avevo il mio erede, mio figlio, e lo amavo; presto, ne ero certo, avrebbe imparato anche lei a volergli bene.

***

Il giorno dopo però, scoprii che Teti era scomparsa.

Da allora non avrebbe più abitato con me.

Mi rimaneva comunque mio figlio. Vedendolo la prima volta avevo capito che non era un fanciullo come gli altri e la prova mi arrivò pochi giorni dopo la sua nascita.

Melissa, quando provò a nutrirlo con il latte per la prima volta, mi disse: -È impossibile dargli da bere il latte, grande sire: il tuo nobile figlio sembra non volerlo. Ma la cosa più sorprendente è che egli sia riuscito ad inghiottire un pezzo di carne, nonostante non abbia i denti!-

Io rimasi sgomento davanti a tale notizia, ma ciò che mi era stato detto era vero.

-Questo bambino è speciale: non è adatto a succhiare con le labbra il dolce latte…- fui folgorato da un’idea.

-Lo chiamerò Achille: il senza labbra, poiché mai succhiò il latte materno.-

Da quel giorno mio figlio si chiamò Achille poiché mai le sue labbra si chiusero attorno al capezzolo materno per succhiarne il dolce latte.

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Epico / Vai alla pagina dell'autore: Mia