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Autore: EffieSamadhi    31/05/2011    1 recensioni
“Ehi, questo è nuovo” commentò, sfiorando con la mano un tatuaggio all’altezza del cuore. “E’… sono…”
“Il nome di mia madre” completò lui, spostando la propria mano su quella di lei. “E quello di mio fratello. E il tuo.”
“Mancano Angel e Jerry” gli fece notare.
“Oh, loro sono qui” ribatté lui, indicando un altro tatuaggio. “Ma questo è un posto speciale. Mia madre, Jackie, tu… avete il mio cuore.”
Adia osservò il tatuaggio, poi alzò gli occhi nei suoi, guardandolo con amore. “Farò di tutto per meritarmelo, Bobby” bisbigliò, suggellando la promessa con un bacio.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Four Brothers - Call Me When You'Re Sober.

31. Beato Te

 

 

            Per la seconda volta in poco meno di un anno, Bobby si ritrovò inginocchiato sulla tomba del padre di Adia, pregando per la sorte della donna che da circa nove mesi poteva definire sua moglie. Il reverendo Chambers lo fissava con il solito sorriso immobile, tentando vanamente di rassicurarlo. Bobby non riusciva a calmarsi: non era soltanto di Adia che si parlava, questa volta, ma anche di suo figlio. Suo figlio, una delle poche cose buone che fosse riuscito a realizzare nel corso della propria vita. Suo figlio o sua figlia, ancora non poteva saperlo con certezza. La sola cosa certa era che suo figlio – o sua figlia – avrebbe dovuto nascere due settimane prima, e invece se la stava prendendo comoda.

            Da una settimana, Adia era stata ricoverata in ospedale, per tenere la situazione sotto controllo e assicurarsi che tutto procedesse secondo i piani. Da una settimana, Bobby faceva la spola tra il magazzino del vecchio Artie, che lo aveva appena promosso responsabile, la propria casa e l’ospedale, nutrendosi quando capitava e dormendo ancor più di rado. “Io… io glielo chiedo per favore. Insomma, Adia è sua figlia. Parliamo di suo nipote” disse, trovandosi per la seconda volta a parlare con una tomba. “Gliel’avevo promesso, che l’avrei amata. La amo, l’ho sposata. Avrei voluto fare tutto in modo diverso, ma… è stato il destino. Lei dovrebbe saperne qualcosa. È stato il destino a mettere Victor Sweet sulla sua strada, no?” Un rumore di neve calpestata alle sue spalle gli fece voltare la testa. Distolse lo sguardo nell’incrociare la figura dell’agente Carmichael, il poliziotto che l’aveva arrestato per il maggior numero di volte. “Salve, agente. Prima di tirare fuori i braccialetti, lasci che le dica che sto pregando.”

            “Pregando?” ripeté l’agente, incredulo. “Lasciamo stare. Ti cerco da almeno un’ora, sai?”

            “Qual è il capo d’accusa? Molestie nei confronti di un cadavere?”

            “Non voglio arrestarti, Mercer. Ha chiamato il vecchio Artie. Ti cercano dall’ospedale. Hanno provato a cercarti a casa, ma non rispondeva nessuno, e il cellulare risulta staccato.”

            Bobby guardò immediatamente il cellulare. “Merda, si è scaricata la batteria. Che è successo?” domandò, alzandosi in piedi.

            “Sembra che tua moglie sia entrata in travaglio, ma si rifiuta di avere il bambino, finché non sarai da lei.”

            “Wow” sospirò Bobby.

            “Non mi sembri entusiasta.”

            “Oh, lo sono. È solo che… sono anche terrorizzato. Molto terrorizzato.”

            L’agente Carmichael scoppiò a ridere. “Ti capisco, Mercer. Ho tre figlie. Il tuo cos’è, maschio o femmina?”

            “Non lo so. Non l’abbiamo voluto sapere.”

            “Non sei curioso di scoprirlo?”

            Bobby guardò un’ultima volta la tomba del suocero, poi si lasciò andare ad un sorriso.

 

            Per la prima volta in vita sua, Bobby salì su un’auto della polizia senza le manette ai polsi. Approfittando della divisa e dell’auto d’ordinanza, il poliziotto accompagnò Bobby davanti all’ingresso dell’ospedale in un lampo. Bobby corse immediatamente nell’atrio, dirigendosi verso l’accettazione per sapere dove trovare Adia, ma fu intercettato da Carla, l’infermiera che un anno prima aveva assistito Adia nel corso dell’intervento alla gamba, e che si stava occupando di lei anche in quel frangente. “Bobby, finalmente!” esclamò, afferrandolo per un braccio. “Forza, non c’è tempo da perdere! È già al massimo della dilatazione, non c’è più tempo, ma continua a dire di volerti aspettare. Forza, andiamo!”

            “Cosa… cosa significa che è al massimo della dilatazione?” domandò l’uomo, mentre la donna lo trascinava lungo un dedalo di corridoi, fino al reparto maternità.

            “Significa che tuo figlio, o tua figlia, o che diavolo è, muore dalla voglia di farsi vedere dal mondo” ribatté l’infermiera, continuando a guidarlo verso la meta. “Ok, ci siamo” annunciò, fermandosi davanti all’ingresso della sala parto. “Togliti la giacca, su!” gli intimò, strattonando il giubbotto pesante. “Mettiti il camice, forza!” gli ordinò ancora, aiutandolo ad infilarsi un buffo camice azzurro. “Ok, ti risparmio la cuffia, ma andiamo, forza! Sarà già abbastanza difficile senza che perdiamo tempo…” continuò, prendendolo per la mano e trascinandolo nella sala. “Ci siamo, dottor Evans!” annunciò, rivolgendosi al ginecologo. “Ho il padre!”

            Bobby non ebbe bisogno di essere guidato da Carla, per capire che il suo posto era accanto a Adia, spettinata e scomposta come mai. “Ehi, tesoro, come ti senti?” le domandò, avvicinandosi e baciandole la fronte. “Sei bellissima, lo sai?”

            “Anche tu stai bene” rispose lei con serenità, un istante prima che una contrazione le facesse digrignare i denti. “Ho paura, Bobby…” sussurrò.

            “Non avere paura, agnellino” la rassicurò, prendendole la mano. “Ti ho cacciata io in questo pasticcio, e io ti starò accanto mentre ne uscia… ahia!” esclamò, nel sentirsi stringere la mano con una forza inaudita. “Cristo santo, che male!”

            “Beh, è pressappoco lo stesso dolore che prova lei” lo informò Carla, sorridendo.

            Bobby sospirò, e sistemandole meglio le braccia attorno alle spalle, le prese anche l’altra mano. “Almeno distribuiscilo equamente, per favore” la pregò, riuscendo a strapparle un minimo sorriso.

 

            Ci volle almeno un’ora, prima che Adia riuscisse ad avere il bambino: un’ora intera prima che Bobby potesse guardare negli occhi suo figlio. “Mio Dio, è un maschio” sussurrò, estasiato, mentre Carla, insieme ad un’altra infermiera, lavava e vestiva il piccolo. “Dio, ho un figlio!” esclamò, baciando Adia. “Abbiamo un figlio…”

            Carla si avvicinò sorridendo, e delicatamente adagiò il piccolo tra le braccia della madre, stremata per le lunghe ore di travaglio. “Come si chiamerà?”

            “Samuel” rispose Bobby, nello stesso istante in cui Adia diceva “Jack.”

            “Oh” fece Carla. “Immagino che dobbiate ancora finire di discuterne.”

            “Credevo volessi chiamarlo come tuo padre” disse Bobby, guardando Adia.

            “Credevo volessi chiamarlo come tuo fratello” rispose lei.

            “Possiamo chiamarlo con entrambi i nomi” propose lui.

            Adia scosse la testa, sorridendo. “Messi insieme non stanno affatto bene. D’altra parte, non è facile mettere insieme i Mercer e i Chambers.”

            “Preferisco Samuel, allora.”

            Adia scosse ancora la testa. “No. Ha la faccia da Jack. Suo fratello potrebbe chiamarsi Samuel.”

            “Suo fratello?”

            “Sì, beh, se in futuro dovessimo decidere di fargli un fratellino, intendo.”

            Bobby sorrise, annuendo. “Sono d’accordo.”

            “Naturalmente, pretendo che passi almeno un anno, prima di iniziare. Più o meno è il tempo che mi ci vorrà per riprendermi da questo.” Guardò di nuovo suo figlio, che per attirare la sua attenzione aveva agitato debolmente il pugnetto chiuso. “Jack Mercer. È perfetto. Somiglia persino un po’ allo zio Jack.”

            “Sì, beh, considerando che è impossibile che gli somigli, direi che hai ragione” sorrise Bobby, posandole un bacio tra i capelli. “Jack Mercer” sussurrò, lasciando che il neonato gli stringesse il dito indice con la piccola mano. “Mi chiedo se Detroit sia pronta per questo.” In risposta, quasi avesse voluto dire la sua, il piccolo Jack emise un debole vagito. Bobby non ebbe vergogna di asciugarsi una lacrima. Mi chiedo se Detroit sia pronta per vedermi diventare padre.

   
 
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