Film > Alice nel paese delle meraviglie
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Autore: Angel666    03/06/2011    5 recensioni
Longfic. Elise è una ragazza che non hai mai creduto alle storie fantastiche che raccontava sua madre Alice. E' sempre stata una ragazza razionale e controllata finché anche lei a sua volta finirà nel Paese delle Meraviglie, dove scoprirà che quelle non erano solo favole. Dovrà sconfiggere una volta per tutte la Regina Rossa, che sta radunando una truppa, ed ha intenzione di tornare dall'esilio e riconquistare Sottomondo. Tra mille nuove avventure, vecchi amici, e un po’ di romanticismo.....la storia di una ragazza riflessiva che imparerà che un po’ di follia nella vita porta solo felicità! PLEASE R&R. [personaggi: un pò tutti]
Genere: Generale, Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Improvvisamente tutto tacque. Le mani attorno a me sparirono. Sentii un lieve rumore di onde in sottofondo, e quando aprii gli occhi mi ritrovai sulla spiaggia al tramonto dove ero approdata all’inizio del mio viaggio.
Molto lentamente il castello di fronte a me, come se fosse fatto di sabbia, iniziò a sgretolarsi per poi sprofondare nel terreno, innalzando un’enorme nuvola di polvere.
“Spettacolo inquietante, ma al contempo affascinante, non trovi cara?”
Non avevo bisogno di chiedere chi fosse stavolta.
“Mi chiedevo dove fossi finito.” Sussurrai.
“Ero qui, ad aspettarti.”
“Non hai combattuto come gli altri?”
“Certamente, anzi mi sono dato parecchio da fare.” Il suo volto tondeggiante apparve adagiato sulla sua pancia mentre galleggiava a pochi metri da me. “In verità non sono un tipo molto mondano, il tuo Cappellaio è l’anima della festa di solito. Io sono un gatto, amo la solitudine dei posti tranquilli.”
Non avevo il coraggio di ammettere che questo posto, invece, mi metteva i brividi.
“Anche l’ultimo barlume di malignità appartenente alla Regina Rossa è crollato come un castello di carte sotto il più flebile alito di vento.” Disse “ Ho sentito che le hai fatto ruzzolare via la testa. Il destino a volte ha uno strano senso dell’umorismo.”
Mi voltai amareggiata verso il grande lago arancione “Vuoi congratularti con me? Dirmi che sono una degna Paladina?” sputai acida.
“Non era mia intenzione.” Rispose lui tranquillamente.
“Che cosa allora? Non capisco!” sbottai.
“Cosa non capisci? Perché non mi congratulo o perché tra tanti posti sei finita qui?” sorrise enigmatico.
“Se sono ancora viva.” Sussurrai. In quel momento infatti mi accorsi di non sentire più dolore in nessuna parte del corpo.
“Specchiati nel lago bambina.” Disse lui in risposta.
Entrai lentamente nell’acqua fredda, lievemente increspata, e quello che vidi mi lasciò senza fiato: non avevo più l’armatura addosso, e non un solo livido o graffio ricopriva la mia pelle. Ero vestita esattamente nel modo in cui ero arrivata: con una leggera sottoveste da camera di seta. La ragazza che vedevo era tranquilla e sembrava più vecchia di me.
“Sono io?” chiesi.
“Chi altri sennò?” disse ridendo lo Stregatto. “Ancora ti sorprendi di questo mondo?”
“Che c’è, ora che vi ho dato quello che volevate mi date il ben servito e mi mandate a casa così, senza neppure salutare mia madre?” o Tarrant… pensai.
“Niente affatto, per tornare ci vuole la pozione e la stanno preparando ora al castello. In realtà nemmeno il tuo corpo si trova qui adesso, ma è sotto le sapienti mani della Regina Bianca, che sta curando le tue numerose ferite con la magia. Ma ho avuto l’impressione che avessi bisogno di un po’ di tranquillità.”
Rimasi in silenzio a fissare la mia immagine increspata.
“Era inevitabile; lo sai?”
Annuii.
“Tra poco su questa terra scenderà la notte perpetua e verrà dimenticata.”
“Non bisognerebbe dimenticare le cose brutte del passato; servono a non commettere gli stessi errori in futuro.” Dissi sovrappensiero.
“Sei saggia bambina, ma io credo che nessuno per molti anni a venire si dimenticherà della perfida Regina Rossa. Solo il luogo di distruzione dove ha regnato verrà abbandonato definitivamente.”
Mi voltai verso di lui sorridendo “Dovrai trovarti un altro luogo di solitudine.”
Lo Stregatto fluttuò sopra il lago con fare pigro “Ce ne sono molti quaggiù…” Detto questo comparve nel nulla, lasciandosi dietro solo il sorriso riflesso nel lago al posto della prima falce di luna.
“Ehi aspetta! Non abbandonarmi di nuovo qui. Non so come fare per tornare a Marmorea….”
Poi mi ricordai ciò che mi aveva detto: il mio corpo già si trovava lì, questo era solo una specie di sogno nel sogno.
Tornai a fissare il lago e mi venne voglia di immergermi e fare una nuotata: l’acqua era così limpida e fresca che naturalmente mi lasciai trasportare dalla corrente.
Chiusi gli occhi: era stata una lunga giornata ma finalmente era giunta al termine. Avevo compiuto la mia missione con successo. Sottomondo era in pace e tutti erano sani e salvi, ora non mi restava che tornare a casa mia. Quel pensiero mi mise una grande tristezza addosso. Ero partita da questo luogo con la voglia andarmene via, cercando un senso in tutta questa follia; ora invece tornavo col voglia di restare e accettare una volta per tutte ciò che Sottomondo aveva da offrirmi. In fondo su non avevo nulla per cui valesse la pena tornare; ma d’altra parte quaggiù mi sarei sentita sempre fuori luogo.
Sospirai in preda alla confusione e poggiai i piedi sul suolo sabbioso.
Improvvisamente sulla riva apparve una piccola macchia bianca che si agitava nella mia direzione. Aguzzai la vista e “Non è possibile….” Sussurrai.
Presi a nuotare velocemente verso la riva, mentre il Bianconiglio urlava “E’ tardi! E’ tardi!!” indicando un grande orologio da taschino. Tardi per cosa? Pensai. Non è forse un sogno questo? . L’animale non attese neppure che uscissi dal lago, ma iniziò a correre come un pazzo verso il cratere dove prima sorgeva il castello della Regina Rossa. “Aspettami! Non riesco a starti dietro!” urlai; ma quello non accennava a rallentare.
Nel frattempo il cielo stava diventando sempre più scuro: un manto nero senza stelle stava prendendo il posto del tramonto. La Notte Perpetua. La luce era sempre più flebile e non riuscivo a scorgere bene i contorni delle rocce più grandi, figuriamoci un coniglio! Provai a chiamarlo ma non ottenni risposta, così mi limitai a seguire il ticchettio nell’ombra fino a che non giunsi in cima alla collina. Mi fermai un momento a prendere fiato e guardai verso il lago, ora così nero che non si distingueva dal cielo: era come si di fronte a me ci fosse il nulla più assoluto, e la cosa più che spaventarmi mi affascinava. Chissà come sarebbe stato lasciarsi immergere da questa notte e non doversi svegliare mai più; senza affrontare i problemi della vita; la mia crescita da sola in mondo reale ben peggiore di Sottomondo, lontano da mia madre, dal Cappellaio e da tutti coloro che per la prima volta avevano davvero creduto in me, facendomi scoprire un nuovo lato di me stessa, un po’ folle. Chissà come sarebbe stato dimenticare il dolore e il senso di colpa per aver ucciso un altro essere umano, che mi attanagliavano il petto; e dormire per sempre in questo luogo silenzioso? TIC-TAC TIC-TAC .
Il Bianconiglio! Il pensiero mi riscosse dall’ipnosi che quel nero aveva causato; con un brivido mi voltai e iniziai a correre, senza guardare veramente dove stessi andando, solo con la voglia matta di scappare via da quel luogo maledetto.
Non feci molta strada però che subito sentii mancarmi la terra sotto i piedi e iniziai a cadere nel vuoto.

Non avevo mai provato la sensazione di precipitare a picco nel vuoto, e nonostante questo dovesse essere un ‘sogno nel sogno’ , tutto ciò che provavo era piuttosto reale. Ben presto mi stancai di gridare e in fondo al nero del tunnel vidi una luce ambrata. Senza che me ne rendessi conto la velocità con cui stavo precipitando era rallentata, fino a diventare quasi un leggero fluttuare nell’aria: la fonte di luce si scoprì essere un’antica lampada ad olio poggiata su una…..mensola??
Per quale assurdo motivo all’interno di un tunnel che portava al entro della terra doveva esserci una libreria? Per passare il tempo? Scoppiai a ridere tra me e me e inizia a guardarmi intorno: quelle che prima erano pareti di roccia ora erano ricoperte da pareti con libri, quadri di strani animali e specchi barocchi, prendendo la forma di un elegante salotto. Ogni tanto un oggetto fluttuava nell’aria sorpassandomi, come se le leggi di gravità funzionassero al contrario in questo strano posto.
Con un sospiro mi accomodai su di un pianoforte a coda, chiedendomi se questa discesa sarebbe durata in eterno. In realtà la mia mente riconosceva questo luogo: era il portale in cui mia madre per la prima volta era scesa a Sottomondo. Questo stava forse a significare che alla fine mi sarei di nuovo trovata a Mondo di Sopra? Scossi la testa: mi serviva la pozione.
Improvvisamente il movimento cessò.
Il pianoforte si era poggiato su uno strano pavimento ricurvo. Guardandomi intorno vidi un grande lampadario che partiva dal suolo, e sopra la mia testa era attaccato un bel tavolino di vetro. Con orrore mi accorsi che non era la stanza a non avere alcun senso, ma ero io ad essere attaccata al soffitto. Lentamente scivolai sulla superficie lucida del pianoforte e con un tonfo mi schiantai sul pavimento. “Ahia!”
La stanza era molto semplice: circolare con cinque porte di legno scuro tutte uguali e piuttosto piccole, alternate da candelabri appesi alla parete che emettevano una luce tremolante; al centro c’era un semplice tavolino di cristallo completamente spoglio. Mi avvicinai alla prima porta, ma quando girai la maniglia mi accorsi che era chiusa a chiave. A turno provai con le altre ma ottenni lo stesso risultato. Che cosa c’era dall’altra parte? E come facevo io a sapere qual’era la porta giusta da aprire? Per curiosità mi abbassai a sbirciare dalla prima serratura. Quello che vidi mi fece gelare il sangue nelle vene: zia Margarethe era seduta sulla sua poltrona preferita vicino al caminetto intenta a leggere un libro. Quello era proprio il mio salotto! Riconoscevo i quadri, le tappezzerie, ogni cosa era esattamente come la ricordavo; eppure qualcosa non quadrava. Innanzi tutto non c’era nessuna porta dove mi trovavo io adesso, ma un grande specchio; e poi era come se tutto fosse…alla rovescia: le figure nei quadri, il titolo del libro che mia zia stava leggendo.
Improvvisamente capii: ero io che in quel momento mi trovavo dietro lo specchio! Provai a bussare, ma mia zia parve non accorgersi di nulla. Alzò tristemente lo sguardo e lo portò fuori dalla finestra. ‘Chissà se gli è già arrivata la notizia della mia scomparsa’ pensai. In quel momento mi accorsi dell’espressione stanca del viso e delle tristezza nei suoi occhi: per la prima volta la vidi per quello che era, una donna anziana rimasta completamente sola, e mi fece pena. Provai a bussare di nuovo, con più forza e a chiamare il suo nome: volevo rassicurarla, dirle che finalmente stavo con la mamma e che anche lei stava bene, volevo dirle delle grandi imprese che avevo compito….ma il suo sguardo fisso fuori dalla finestra mi fece capire che non mi avrebbe mai sentito. Dovevo lasciarla andare, lei faceva parte di quel mondo razionale che io mi ero lasciata alle spalle. Non avrebbe mai potuto capire neanche se fossi improvvisamente uscita dallo specchio con tanto di spada Bigralace in pugno. Sospirai sconsolata e mi allontanai da quella porta: quel mondo che credevo perfetto adesso mi appariva alla rovescia, eppure non mi sentivo più dalla parte sbagliata come all’inizio.
Mi avvicinai alla seconda porta e guardai dal buco: un bellissimo giardino fiorito stava dall’altra parte. Riuscivo a sentirne il dolce profumo e il canto degli uccelli che svolazzavano allegri tra i fiori; era un paradiso! Eppure neanche quella mi sembrava la porta giusta: era stupendo quel posto si, ma completamente disabitato. Non riuscivo a scorgere altro che fiori e piante: nessun essere umano o case in lontananza.
Mi staccai anche da quella e mi chinai alla terza porta.
Quello che vidi mi fece ridere improvvisamente: su di uno scoglio in riva al mare stava appollaiato un Dodo che fumava una pipa mentre cantava una filastrocca di cui non riuscivo a cogliere le parole. Sotto di lui correvano in cerchio tanti animaletti diversi, che puntualmente venivano sommersi dalle onde che si infrangevano sulla spiaggia, ribagnandosi di nuovo.
‘Quello deve essere Capitan Libeccio che canta la sua Maratonda!’ pensai deliziata. Subito il ricordo di mia madre mi colpì in pieno: quando ero piccola andavo sempre al mare nel Devon con lei e papà; ogni volta dopo il bagno mi lamentavo per il vento freddo e lei per farmi asciugare mi faceva vorticare sulla spiaggia mentre cantava questa buffa filastrocca, accompagnata dalle risate di mio padre. A quanto pare Capitan Libeccio e la sua ciurma non si erano ancora stufati di correre in cerchio, e non avevano capito che stando in acqua non si sarebbero mai asciugati davvero del tutto.
La quarta porta era quella con la maniglia più consumata di tutte eppure quando mi chinai e sbirciai dalla serratura non vidi nulla. Provai ad aguzzare la vista e a poggiare l’orecchio alla parete, ma dall’altra parte c’era solo buio e silenzio.
Fu così che sconsolata mi chinai all’ultima porta, capendo finalmente che era quella giusta.
Quella era la stanza che avevo avuto al castello della Regina Bianca: attorno al letto erano raccolte molte persone, tra cui mia madre, il Cappellaio, la Regina stessa e la Lince. Avevano tutti un’aria triste e gli occhi rossi per il pianto. Sentivo una strana sensazione, come una morsa alla bocca dello stomaco, ma non volevo farmi prendere la panico. Solo quando la Regina Bianca si spostò capii che i miei timori erano fondati. Adagiata su quel morbido letto c’ero proprio io; o comunque il mio corpo. Ero pallida e immobile, sembravo quasi morta e probabilmente era questo che pensavano tutti accanto a me.
Subito iniziai a strattonare la maniglia con quanta più forza avessi, a battere pugni sulla porta e ad urlare i loro noi. Nessuno mi sentiva.
Mi voltai di scatto e presi a girare per la stanza “Deve esserci una chiave da qualche parte, deve esserci!” ma non c’era niente da nessuna parte. Tornai alla porta e guardai di nuovo attraverso la maniglia, anche se quello spettacolo mi faceva male. Mia madre mi stava accarezzando i capelli, sussurrandomi dolcemente qualcosa che non riuscivo a sentire e il Cappellaio ai piedi del letto mi fissava immobile, con il suo strano cilindro in mano.
Calde lacrime presero a rigarmi il volto “Mamma! Mamma sono qui, sono viva, sto bene. Mamma ti prego! Tu devi sentirmi.” Più gridavo e battevo sulla porta meno loro si muovevano.
“Tarrant…” sussurrai. I suoi occhi verde brillante mi sembravano così vuoti e tristi in quel momento. “Sono qui..” singhiozzando mi lasciai scivolare lungo la porta. Non potevo più sopportare la vista delle persone che amavo mentre mi compiangevano. Poggiai la fronte sul pavimento freddo e inizia a pensare; ma più pensavo più mi rendevo conto che non esisteva una soluzione per andare dall’altra parte. La logica mi aveva sempre salvato, anche in questo mondo, ma adesso non c’era nulla che potessi inventarmi per scampare a questa situazione. Non solo non avevo una chiave, ma le porte era comunque troppo piccole e io non sarei mai riuscita ad oltrepassarle.
“Smettila di piangere con tutta questa umidità finirai per arrugginirmi!” mi staccai di botto dalla porta e mi guardai intorno per vedere chi aveva parlato. Ero sola in nella stanza eppure avevo sentito bene quella voce.
“Co-come?” non riuscivo a smettere di singhiozzare.
“Piangere non serve a nulla, e le lacrime mi arrugginiscono.” Borbotto di nuovo la voce.
“Chi ha parlato?” chiesi.
“Quaggiù.” Guardai la porta e mi accorsi che era la maniglia quella che mi stava rimproverando.
“Posso sopportare gli strattoni al naso, la ruggine proprio no!”
Non sapevo cosa dire, lo guardavo a bocca aperta, troppo stupita e felice per rispondergli.
“Dunque devi andare dall’altra parte.”
Annuii con forza “Assolutamente, ma non so come fare.”
“Con la chiave ovviamente, che domande!” borbottò.
“Ma qui non c’è alcuna chiave…”
“Ah tale madre, tale figlia. Guarda sul tavolo sciocchina.”
Mi voltai di botto, ma sul tavolo non c’era nessuna chiave; in compenso ora c’era una piccola boccetta con scritto “Bevimi? Non capisco…”
“Come pensi di passare attraverso la porta grande come sei?”
In effetti non aveva tutti i torti la maniglia.
“E questo mi permetterà di andare dall’altra parte?”
“Questo ti farà diventare della misura giusta, per aprirmi hai comunque bisogno della chiave.”
“Ma io non ce l’ho!” dissi esasperata.
“Guarda in alto.”
Alzai lo sguardo e vidi il grande lampadario vicino al pianoforte. Stavo per chiedere alla maniglia cosa intendesse con guarda in alto, ma poi mi resi conto che il lampadario non emetteva alcuna luce. Infatti attaccate ai suoi riccioli barocchi pendevano decine di chiavi, solo che prima non me ne ero resa conto.
Provai ad alzare una mano ma il soffitto era troppo alto.
“Fossi in te seguirei il consiglio.” Disse annoiata la maniglia.
Bevimi….cosa avevo da perdere?
Buttai giù d’un fiato il contenuto della boccetta, che stranamente sapeva di marmellata, e subito vidi le mie gambe allungarsi spropositatamente. Prima che me ne rendessi conto sbattei con violenza la testa al soffitto e fui costretta a curvarmi leggermente.
“Quale sarà la chiave giusta?” chiesi.
“Quella che si abbina alla mia bocca.” Sbuffò la maniglia.
Stavo per rispondergli male, quando mi accorsi che effettivamente tutte le maniglie avevano un colore ed una fattezza diverse tra loro. Quella che mi serviva era piccola e d’argento, senza alcun tipo di lavorazione sopra.
“Eccola!” l’afferrai con gioia “Ora come faccio a rimpicciolirmi?” chiesi. “Guarda sul tavolo.” Era apparso un piattino con sopra una crostatina alla crema. “Vedi di non fare lo steso errore di tua madre e tieniti stretta la chiave.” Mi ammonì la maniglia.
‘Perché non c’è niente di semplice in questo mondo?’ pensai ‘ Non ho forse già provato abbastanza quanto ne sono degna?’ scossi la testa e afferrai il dolcetto. Il familiare strappo all’ombelico mi colse, riportandomi della misura giusta per oltrepassare la porta.
“Complimenti Paladina, qui finisce il tuo viaggio.” Disse la maniglia sorridendomi. Dopodiché spalancò la bocca e io riuscii a infilare la chiave con mani tremanti.
La porta si aprì con un piccolo tac e io fui immediatamente investita da una fortissima luce bianca.




A/N: non so se delle persone che hanno iniziato con me questo viaggio ne sia rimasta ancora qualcuna; ma una promessa è una promessa e io questa storia ho intenzione di finirla a qualsiasi costo. Questo capitolo è molto lungo e la parte delle porte l’ho fatta pensando al 5 libro di Harry Potter ( come la scene delle chiavi al soffitto al 1 libro) come piccolo omaggio ad una saga che amo moltissimo. Il prossimo capitolo sarà l’ultimo. A chi può interessare sarà soprattutto incentrato sulle figure del Cappellaio e di Elise, che finalmente avranno un confronto tutto per loro, e sarà molto più allegro di tutti i capitoli precedenti. Troppo angst fa male! Non faccio promesse su aggiornamenti perché dall’ultima volta è passato tipo un anno, ma il capitolo è già scritto per metà, quindi non dovrei metterci molto…grazie a chiunque mi ha seguito leggendomi, regalandomi impressioni e preziosi consigli, e inserendomi tra i preferiti. Spero che lo facciate anche per questo capitolo, che ci ho messo davvero molto a scrivere. Non mi resta che dirvi alla prossima!
   
 
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