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Autore: Hui Xie    26/02/2006    7 recensioni
Il puzzle e Yami sono scomparsi, Jounouchi è tornato un teppista, Gozaburo è ancora a capo della Kaiba Corporation, Marik non è più un custode delle tombe... E' un altro anime? No, è solo una semplicissima distorsione temporale... Capitolo nove modificato.
Genere: Avventura, Commedia, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Equilibrio precario

Equilibrio precario

Marik tremò leggermente, mentre i suoi passi risuonavano in modo innaturale all’interno di quelle stanze vuote. “Si può sapere dove mi hai portato?” protestò, annusando attorno l’odore di obitorio che veniva emanato da vasche piene di liquido puzzolente.

Bakura proseguì diritto verso la sua strada, attraversando una stanza dopo l’altra. “La casa della vita di Anubi” disse infine, giunti all’ultima stanza, che conteneva una solo vasca piena. “Il luogo della mummificazione”

“Vuoi dire che lì dentro…?” domandò leggermente Marik, indicando quella costruzione che ora gli sembrava simile ad una lapide.

“C’è un cadavere, si” Bakura non sembrava altrettanto schifato.

L’egiziano aprì lo schermo della macchina del tempo e controllò la data: primo mese della stagione della semina dell’anno ventunesimo del regno del faraone Horemheb. All’incirca, quindi, nel periodo che Satre aveva loro indicato. “Non dirmi che pensi che lì dentro-”

“Se le mie deduzioni sono esatte” lo anticipò Bakura. “Solo i principi reali avevano diritto alla mummificazione lunga, che dura settanta giorni, perciò venivano immersi nel natron nelle ultime stanze…” Si avvicinò al bordo della vasca. “Comunque, adesso controlliamo” Immerse le mani nel liquido e afferrò il cadavere che vi si trovava all’interno, facendolo emergere fino all’addome.

Marik trattenne il respiro: era veramente il Faraone Senza Nome, o Ramses, come avevano scoperto chiamarsi. Solo, era morto. Il natron stava agendo sulla sua pelle, atrofizzandogli i muscoli e incollandogli al pelle alle ossa, tanto che numerose macchie scure lo ricoprivano già. Gli occhi erano chiusi, ma nessuno avrebbe mai potuto pensare che stesse dormendo, vista la smorfia che avevano assunto le sue labbra livide e ormai rovinate. L’addome era abbassato, perché privato di tutti gli organi interni, e diviso a metà da un profondo taglio, ancora più inquietante perché non perdeva sangue, come fosse un pezzo di plastica.

Bakura, sempre tenendo il cadavere in posizione semi-eretta, prese il coltello a serramanico che teneva in tasca e iniziò ad incidere la pelle accanto ad un piccolo foro che aveva individuato all’altezza del cuore. Quando il taglio fu abbastanza lungo, rimise a posto il coltello, perfettamente pulito, e infilò le dita nella ferita, rimestando all’interno come se non stesse frugando in un cuore umano, ma nel fango.

Marik scostò lo sguardo: non era un tipo facilmente impressionabile, ma non amava i particolari macabri e risvegliarsi con il cadavere sanguinante del padre, da lui stesso ucciso, era stato abbastanza per lui. Riaprì gli occhi solo quando sentì il rumore del corpo che veniva immerso nuovamente nel natron.

“Guarda” Bakura allungò la mano sporca verso di lui, mostrando un piccolo oggetto rotondo, nero.

“E’ un proiettile!” esclamò Marik, riconoscendolo.

“Come volevasi dimostrare, qualcuno dal futuro lo ha davvero ucciso” L’albino scoccò uno sguardo alla vasca, con il liquido ancora in movimento. “Ora, se non altro, sappiamo da cosa dobbiamo salvarlo”

L’altro annuì, preparando la macchina del tempo. “Dove andiamo?” Poi si corresse: “a quando andiamo?”

Bakura rispose senza esitazione. “Quattro giorni prima di ora”

*-*-*

“Ma… Sei Yuugi?”

Bastò questa semplice frase, pronunciata da una voce troppo familiare, a far fermare il ragazzo, che aveva iniziato a correre, con le lacrime trattenute che bruciavano nel viso, giusto per dimenticare verso che futuro stava andando. “Raphael?” chiese, un po’ titubante, al ragazzo biondo e muscoloso che lo aveva chiamato, non sicuro di averlo riconosciuto. Poi, quando dietro di lui spuntarono altri due ragazzi, dalle inconfondibili pettinature rosso fuoco e castano alla Goku di Dragon Ball, non ebbe più dubbi. “Amelda, Valon… Ciao”

“Stai piangendo?” chiese Raphael, preferendo quella domanda, più diretta, al semplice come stai.

Yuugi scostò lo sguardo, mordendosi il labbro. Non voleva coinvolgere anche loro, ma non si poteva negare che fossero già implicati in tutta la storia, per non parlare del fatto che né Kaiba né Jounouchi si fidavano di loro. Alla fine, pensando che sfogarsi con degli estranei lo avrebbe fatto stare meglio comunque, si decise a raccontargli tutta la storia della distorsione temporale.

“Ecco, figuriamoci” fu il commento di Amelda, alla fine del racconto, allargando le braccia. “Quando succede qualche casino, c’è sempre Kaiba di mezzo…”

“Spero proprio che non sospettiate anche di noi…” Raphael si chinò verso Yuugi con viso poco amichevole. “No?”

Il ragazzino si limito a fare un sorrisetto imbarazzato. Ci aveva fatto un pensierino, in effetti, su di loro.

“Non ci sarebbe servito a niente uccidere il Faraone!” proseguì allora il biondo. “Dopotutto, è stato Darz a rovinarci la vita, al massimo avremo colpito lui…”

“O Gozaburo Kaiba…” aggiunse Amelda, che, nonostante tutto, non riusciva a dimenticare la figura di quell’uomo che si congratulava per la distruzione della città e per la morte di tanti innocenti, tra cui suo fratello.

“O Jounouchi… Stavo solo scherzando!” si giustificò un istante dopo Valon, all’espressione sconvolta del ragazzo dagli occhi viola.

“Yuugi, sei qua!” Puntuale come del proverbio del diavolo e delle corna, Jounouchi comparve nella strada,seguito dal resto della banda. “Perché sei scappato via in quel modo? Ci hai fatto preoccupare…”

Allora, lui si asciugò le lacrime. “Scusatemi, è solo un po’ di stress” Non sapeva perché, ma parlare con i tre ex-guerrieri di Doma gli aveva ridato un po’ di tranquillità, e si sentiva nuovamente pronto per tornare alla ricerca del colpevole.

“Vogliamo andare a casa mia, allora?” intervenne Otogi. “Così vi dimostrerò che mio padre è innocente…” Tutti annuirono, compresi Raphael, Valon e Amelda che erano ormai curiosi di sapere come sarebbe terminata quella storia. Magari, senza la presenza del faraone, sarebbe stato Dartz a vincere la guerra!

*-*-*

Bakura cercò di mantenere una calma che non aveva. Affondò ancora di più i piedi nella sabbia, mentre si avvicinava ai due ragazzi, vestiti di tutto punto per una battuta di caccia. “Perché diavolo voi due non ve ne restate a casa?!”

“Ma che vuoi?” Ramses, con la lancia stretta fra le mani, e l’arco appeso alla spalla, guardò l’esplosione di rabbia con indifferenza. Accanto a lui, Satre stringeva il laccio della faretra in modo che non le toccasse il capezzolo, e guardava Bakura come se fosse pazzo.

Marik rise sommessamente: a quanto pare, i due ragazzi preferivano starsene a cacciare per conto loro nel deserto, piuttosto che rimanersene chiusi a palazzo. Dopotutto, era la medesima cosa che lui stesso prediligeva, perciò non poteva pretendere che gli ubbidissero quando non aveva la facoltà di convincerli a fare dell’altro.

“A proposito, sai cosa mi è venuto in mente?” disse ad un certo punto Ramses a Satre, ignorando completamente Bakura, che fumava per il nervoso. “Una volta, anche io quand’ero bambino sono stato salvato da dei coccodrilli. E ricordo che il merito andò ad un ragazzo molto coraggioso che da allora ho sempre cercato di imitare…”

“Davvero?” Satre spalancò leggermente i suoi occhi blu. “Che coincidenza!”

“Sembrano il cioccolato con la panna…” pensò Marik, mentre guardava i due. Bastava notare semplicemente il modo in cui lui la guardava ridere, o le leggere occhiate che di tanto in tanto lei gli scoccava, per capire quanto fossero legati, se non già innamorati. Ma, per una volta, Bakura aveva ragione. Se fossero rimasti a palazzo, sarebbe stato molto più difficile per il misterioso assassino riuscire nel suo intento.

“Anche secondo me dovreste tornare a casa, credo che oggi sia un giorno nefasto…” disse, serio come un professore. Però, Ramses era totalmente concentrato a levare una mosca rimasta incastrata nei ricci intrigati di Satre e non l’aveva nemmeno sentito. La stessa cosa valeva per la ragazza, tutta impegnata ad osservare i gesti del compagno. “Ma mi state ascoltando?!”

Non ebbe il tempo di ascoltare la risposta, perché Bakura lo afferrò per un braccio e lo trascinò un centinaio di metri lontano dai ragazzi. “Che diavolo fai?” esclamò Marik liberandosi dalla stretta.

Bakura si sedette sulla duna di sabbia, nella classica posizione giapponese, ed, estratto dalla tasca il suo coltello portatile, se lo puntò verso il ventre, pronto a fare harakiri. “Marik, ti prego di eseguire il kaishatsu” disse serio.

“Idiota!” Marik scoppiò a ridere. “Non sei mica un samurai!” Poi si guardò attorno. “E dove la trovo in mezzo deserto una katana per tagliarti la testa?”

“Ma ti rendi conto?!” Bakura balzò in piedi e, dopo averlo afferrato per le spalle, iniziò a strattonarlo. “Io gli ho dato il suo nome segreto, io l’ho fatto diventare forte e coraggioso, io l’ho trasformato nel mio peggior nemico…!” Lo lasciò, voltandosi dall’altra parte. “Voglio solo morire…”

“Ah, non preoccuparti, ci penserà il Faraone ad accontentarti, fra poco” fu il solo commentò di Marik.

Bakura gli scoccò un’occhiata furente. “Che cosa vuoi dire…?”

“Sono sempre più strani” commentò Satre, che osservava la scenetta a distanza.

“Però sono divertenti” aggiunse Ramses, che non riusciva a capire nulla delle cose che dicevano in giapponese, ma li sentiva così vicini, così in sintonia, da provare una sorta di invidia nei confronti della loro amicizia, qualcosa che comunque non aveva nessuna ragione di provare, per due motivi essenziali. Il primo era che lui stesso aveva dei migliori amici, che avrebbero dato la vita per lui, come Mahado, e il secondo… Marik e Bakura non erano affatto amici!

Poi, Ramses sentì un rumore alle sue spalle, e si voltò: in lontananza, sopra un’alta duna, correva veloce un grosso animale, alzando spruzzi di sabbia al suo passaggio, galoppando. “Un orice!” esclamò, passando l’arco nelle mani di Satre. “E’ mio!” Quindi, si mise a correre nella sua direzione, perché dal punto in cui si trovava precedentemente la luce del sole era troppo forte per poter mirare precisamente, e nel frattempo si appoggiò la lancia sulla spalla, pronto a lanciarla quando fosse venuto il momento giusto.

Correva come un orice nella pianura…

“Minchia!” Bakura ricordò solo in quel momento la frase che Satre, due anni dopo, o un’ora prima a seconda della prospettiva, aveva detto loro, e ricollegò ciò che la ragazza aveva cercato di dire tra i singhiozzi. “E’ adesso il momento!” capì, e iniziò a correre.

Marik si guardò intorno e, nel riverbero dei raggi solari, vide una figura eretta, come un obelisco. “Là!” gridò, sperando che qualcuno lo ascoltasse. In quell’esatto momento si sentì un colpo di pistola.

“Ah, cos’è?!” si spaventò Satre, non abituata ad un rumore così forte, tappandosi le orecchie con la mano.

“Là!” tentò ancora Marik, affiancandosi a lei. Un attimo dopo la ragazza, ripreso il controllo di sé e notato la figura in controluce, afferrò una freccia e la scoccò verso la misteriosa persona. Subito dopo, però, abbassò gli occhi per la luce troppo forte, e li asciugò dalle lacrime che le stavano uscendo.

Anche Marik abbassò gli occhi e, quando ebbe la forza di alzarli di nuovo, perché il bruciore si era attenuato, non vi era più nessuna figura sulla duna. “L’hai preso?”

Satre scosse la testa. “Ra era con lui” Ed intendeva dire che la luce del sole era troppo forte.

Poi, entrambi voltarono lo sguardo per controllare la situazione. Bakura si era gettato su Ramses per fargli schivare la pallottola, ma entrambi giacevano ancora a terra, mentre la sabbia che avevano alzato scendeva lentamente su di loro.

Finalmente, Bakura alzò leggermente la testa, scrollando leggermente la lunga capigliatura per pulirsela, con movimenti non molto diversi da quelli di un cane. Sotto di lui, Ramses rise leggermente. “Si può sapere cose di prende?” sbottò irritato l’albino.

“Mi stai facendo il solletico sul collo…” rispose il ragazzo tra una risata e l’altra. Solo allora Bakura notò la posizione imbarazzante in cui entrambi erano finiti, e si scostò di scatto. Ramses invece non si mosse, ma allargò semplicemente le braccia e le gambe,rimanendo con la schiena sulla sabbia, fino a toccare la sua lancia, che era caduta a terra nello scontro. “Mi hai fatto perdere la preda…” mormorò infine.

“Oh, scusa tanto!” ribatté seccato Bakura. “Non l’ho certo fatto apposta!” E si pentì subito, perché quella frase suonava quasi come una giustificazione.

“Lo so” Ramses si alzò. Sebbene non sapesse dire esattamente cosa fosse successo, sapeva che quello strano ragazzo gli aveva appena salvato la vita. Lo capiva a pelle. “Grazie” Quindi gli voltò le spalle e si diresse verso la duna inondata di luce, dove Marik e Satre si erano recati, dopo essersi accertati della salute dei due compagni, per scovare delle tracce del colpevole.

Bakura tergiversò un poco prima di seguirlo. Aveva notato nei suoi occhi viola una luce diversa, un ringraziamento ben più profondo, come se quel gesto, assieme alle altre avventure che avevano vissuto, avesse formato per l’altro un legame indissolubile. “Modificare il passato è davvero strano…” pensò, mentre si avvicinava agli altri. Evidentemente, il motivo per cui Ramses, ai suoi tempi, aveva lottato con tanta determinazione doveva derivare anche dal fatto di sentirsi tradito da una persona che credeva amica: lui stesso.

Lasciò perdere questo discorso. Non gli importava nulla di ciò che il Faraone avesse provato, né quali motivi lo spingevano a combattere. Sapeva solo una cosa: l’avrebbe sconfitto. Almeno, questo era ciò che cercava di ripetersi, quasi una sorta di autoconvincimento, anche perché non riusciva a dimenticare l’espressione sul viso di Ramses quando l’aveva ringraziato.

Quando finalmente arrivò sulla collinetta, trovò Satre, delusa perché la sua freccia aveva solo sfiorato il colpevole, ed era quindi sporca di sabbia e sangue, Ramses che cercava di consolarla e Marik che rideva a squarciagola senza che nessuno gli desse peso. “Ma che cazzo fai?” fu la domanda di Bakura, che era già irritato per i fatti suoi.

L’egiziano smise finalmente di ridere. “Ho scoperto il colpevole. So chi è”

“Davvero?!”

“Si, e ho anche le prove…” Alzò il guanto. “Finché il capo supremo non ci chiama, abbiamo tempo per fare un’altra cosuccia…” E toccò pericolosamente il tasto blu della macchina del tempo.

 

Nella prossima (e ultima) puntata:
Finalmente, è venuto il mio turno di darmi da fare, visto che finora ha fatto tutto solo Bakura, e difatti si è vista l’utilità delle sue azioni… Lasciamo perdere, va’… E comunque, il mio nome è Ishtar, Marik Ishtar, e il colpevole sei tu!
Prossima puntata: “elementare, mio caro Bakura” 
Non perdetela!  

Hola! ^_^
In questo capitolo viene nominato l'harakiri e il kaishatsu (che spero vivamente di aver scritto giusto, perché ho perso il volume di Love Hina dove l'avevo letto -_-), che sarebbe, appunto, il suicidio tipico dei samurai (lo sa bene chi legge Ranma): in pratica, il malcapitato si tranciava il ventre con la sua spada mentre un altro gli tagliava la testa. Almeno, questo è quello che ho letto, spero sia esatto ^^
Grazie ancora a tutti per aver letto la storia e soprattutto a Ayuchan (non preoccuparti per la nota, era colpa mia che mi ero scordato di dirlo ^^'' Mi fa piacere che Ramses come l'ho costruito ti sia piaciuto, vista la tua passione ^_- ma come, adesso ti fidi più di Bakura che di Marik?!), Death Angel (se Bakura ti abbia fatto pena mi fa piacere, ma non l'avrò reso troppo drammatico? Spero di no!), Ita rb (non preoccuparti, grazie della recensione), Kim (con Yuugi temo di essere stato un po' sadico, mi dispiace, ma credo che davvero lui si sia sentito perduto nell'accorgersi di non essere riuscito a diventare forte senza l'altro se stesso... Credo che tu possa capire che intendo ^_-) e Evee ( la tua è un'ipotesi interessante... Dovresti dirlo a Marik prima che sbagli persona! Spero comunque di riuscire a rispondere a tutte le tue domande in tempo utile... ù_ù).
Alla prossima, spero presto.
Hui Xie

 

 

  
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