Il bacio della Libellula
Il regno di Breza.
Il regno sorgeva
su una grande isola circondata dai due oceani del Mondo, il mare Orientale e
quello Occidentale. Era a detta di molti il luogo più bello fra le terre
conosciute, diviso in piccoli villaggi molto ospitali e caratteristici,
piacevoli da visitare. I Breziani vivevano nella più completa pace da almeno un
secolo, ovvero dall’epoca degli Stregoni e dell’eroina Lyl, sereni e felici
delle loro esistenze tranquille. Si dedicavano ai raccolti, all’allevamento,
alla pesca, al commercio e a varie attività lontane da ogni genere di pericoli.
L’esercito dei Guerrieri di Shidal naturalmente esisteva ancora, ma il grosso
del lavoro da svolgere per i Guerrieri era presenziare alle varie festività e cerimonie tradizionali
del regno. Era tutto molto diverso dal secolo scorso, ma i Breziani non
chiedevano altro che continuare a condurre le loro vite in questo modo, un po’
monotono forse, ma in pace. Era stato insegnato loro ad apprezzare ogni attimo
di questa calma, in memoria del passato burrascoso che i loro antenati avevano
dovuto patire.
I guai però
arrivano ovunque e questo bellissimo regno non fa di certo eccezione.
Una mattina
accadde qualcosa di insolito al castello: venne dato l’allarme con il Sacro
Corno.
I Breziani, che
si stavano svegliando in quel momento dato che era l’alba, si spaventarono non
poco. Il Sacro Corno era il segnale di un pericolo incombente o di una
emergenza e nessuno di loro l’aveva mai udito prima, nemmeno i più anziani. Un
po’ incerti sul da farsi, pian piano tutti si recarono al villaggio Neis, il
villaggio centrale, al piccolo castello dove il re dava annunci al popolo di
tanto in tanto. Si trattava di un edificio molto antico, di mattoni marroni
consumati dal tempo, che affacciava direttamente nella grande piazza. Era stato
utilizzato in passato come rifugio per i precedenti sovrani in caso di
attacchi, ora la sua funzione era al massimo ospitare il re per informare i
Breziani dell’arrivo di qualche festa. Il castello vero e proprio si trovava
più lontano, alle pendici dei Monti Dermili.
Quando la piazza
si riempì erano già passate diverse ore dal suono del Sacro Corno.
Il re Taddeus I
si trovava sul balcone che dava sul popolo. Aveva una folta barba marrone, era
abbastanza panciuto e indossava una pelliccia rossa che doveva far crepare dal
caldo. Naturalmente prima dovette salire sul gradino che aveva fatto posizionare apposta, data la sua statura limitata. Una volta
su, per poco non gli cadde la pesante corona, che
sicuramente avrebbe ucciso qualcuno se non l’avesse afferrata in tempo, anche
se in modo strambo, facendola rimbalzare ora in una mano ora in un’altra. Nel
silenzio, tossì per schiarirsi la voce e poi gridò: « Popolo! La principessa è
stata rapita! »
Un brusio di
preoccupazione sconvolse la folla, non avrebbero mai
potuto immaginare una simile disgrazia. La principessa Semi era la giovane più
bella del regno, dolce come un fiore, gentile, aggraziata, un esempio per tutte
le bambine e le adolescenti. Bionda, minuta e delicata, la principessa aveva
solo vent’anni.
Cogliendo
qualche commento dal gran parlare, il re disse, con lo stesso tono
melodrammatico che aveva usato in precedenza: « Non sappiamo chi sia stato. Il malfattore
si è intrufolato nel castello stanotte eludendo la sorveglianza delle guardie. E non ha lasciato tracce. »
Tacque, per dar
modo alla massa di scambiarsi altre esclamazioni di paura e apprensione. Poi disse
quello che esattamente il popolo non avrebbe mai voluto sentire: « Chiunque la
ritroverà verrà ben ricompensato. Chi
si offre per l’impresa? »
Silenzio.
Il brusio cessò di colpo, così
com’era cominciato. L’unico suono che si udì in quel momento fu il fruscio
d’ali di uno strano uccello variopinto che volava su quella scena imbarazzante.
Il re sbuffò impercettibilmente,
facendo vibrare i grandi baffi. Senza troppe speranze nella voce aggiunse: « I
volontari possono presentarsi al castello oggi prima del calare del sole, mi
raccomando, non accalcatevi… » , e se ne andò, inciampando dapprima nello
sgabello e poi nel lungo strascico del mantello, sorretto immediatamente da due
guardie reali.
* * *
Lontano dal villaggio Neis, al
limitare del bosco Querciasecca e in prossimità della Zona Arida che precedeva
le Miniere Perdute, una ragazza si stava preparando a partire. Aveva folti
capelli rossi che cadevano in ciocche disordinate sulla schiena esile. Era
minuta, non molto alta, dimostrava ancor meno dei suoi diciassette anni. Poteva
sembrare una giovane comune, non fosse stato per i suoi occhi: grandi, intensi,
di un insolito colore rosso. Brillavano di una luce intensa e viva che faceva
pensare alla lava più calda o a un fuoco scoppiettante, c’era un mondo intero
dentro quegli occhi. In questo momento erano coperti da un velo di tristezza,
ma ardevano comunque di determinazione e coraggio. Coraggio per affrontare il
suo destino.
Sua madre era morta un mese prima,
lasciando un vuoto incolmabile. Dyna non aveva mai conosciuto nessuno a parte
lei, nemmeno suo padre, che era morto prima che lei nascesse. Aveva sempre
vissuto in quella casetta dimenticata dal regno, avendo contatti solo con
qualche animaletto selvatico. Non era mai stata in nessuno dei villaggi di
Breza, nemmeno ai mercati o a qualche fiera popolare. Si può immaginare quindi
il suo dolore e la profonda solitudine che l’aveva colpita dopo aver perso una
madre che era anche l’unica persona che conosceva. Si era sentita sperduta
all’inizio, non aveva mangiato per giorni, incapace di smettere di piangere.
Poi quando le lacrime finirono si ricordò del suo destino: essere una Guerriera
di Shidal, come sua madre. Era l’unica cosa che sapeva -che aveva sempre
saputo- della sua vita.
Seppellì sua madre da sola,
graffiandosi le piccole mani, stringendo i denti per non cedere alla
disperazione, e giurò sulla sua tomba che non l’avrebbe delusa. Sentiva chiara
dentro di sé la voglia crescente di avventura, uno spirito combattivo che non
le dava pace e che non le permetteva più di vivere in quella casa abbandonata
da tutti.
Così un giorno prese la vecchia
divisa da Guerriera di sua madre. Indossò i calzoncini bianchi, che le stavano
un po’ larghi, e la maglietta rossa, semplice, senza maniche. Poi infilò gli
stivali, bianchi anch’essi. Infine il mantello, ancora candido come se fosse
nuovo. Dyna lo appuntò al collo con il fermaglio a forma di fiore, simbolo del
regno di Breza e si guardò allo specchio. Era pronta. Il suo destino si sarebbe
compiuto. Sua madre sarebbe stata fiera di lei guardandola dall’alto, ma Dyna
sapeva in fondo al cuore che non lo stava facendo solo in sua memoria. Lo stava
facendo perché era il suo desiderio,
perché era nata per essere una Guerriera di Shidal.
Prese la sacca in cui aveva riposto
le poche cose necessarie per il breve viaggio e stava per uscire di casa,
quando si ricordò di una cosa. Tornò al baule e iniziò a rovistare fra le varie
cianfrusaglie, finché non estrasse uno strano paio di occhiali. Erano molto
grandi, rivestiti di gomma e spessi parecchi centimetri. Erano anche dotati di
un laccetto in modo da poterli legare dietro la nuca: un oggetto piuttosto
bizzarro. Dyna non li aveva mai usati, ma sapeva che erano appartenuti a suo
padre. Li ripose nella sacca. Così avrebbe avuto vicino entrambi i suoi
genitori. Poi fece un sospiro profondo e finalmente uscì.
Si lasciò la sua casa alle spalle,
insieme alla sua vita, e non si guardò indietro nemmeno una volta.
* * *
Il sole era ormai quasi tramontato
del tutto e il re sedeva sul suo trono con la faccia appoggiata pigramente sul
palmo dello mano. Non si era presentato nessuno. D’altronde lo aveva previsto.
Troppi anni in pace, la gente non era più preparata all’avventura, né ne aveva
voglia.
« Dovrò chiamare l’esercito » decise,
sollevando il capo.
Il consigliere,
un nano tutto vestito di nero fino al cappuccio, con le guance rosse e gli
occhi perennemente spalancati in un’espressione timorosa, si azzardò ad
esprimere la sua opinione. Che poi era il compito di un
consigliere. « M-mi perdoni, Sua A-a-altezza… ma contro chi dovrà scontrarsi l’esercito…? Noi n-non conosciamo il
nostro nemico… »
Il sovrano lo
guardò con disprezzo e sbraitò facendo vibrare i fitti baffoni: « Behhh e
secondo te per quale motivo li chiamo, per andare a fare una gita, forse?
Devono appunto scoprire chi è stato quel maledetto che ha rapito la mia amata
figliola…! »
Dopo un minuto
di silenzio, il consigliere di nuovo parlò: « M-ma… Sua Maestà… se bisogna
mettersi sulle tracce di qualcuno… sarebbe più saggio non mettersi troppo in
vista… per il bene della principessa… e un intero esercito non passa certo
inosservato… oh! »
« Chiudi il becco, stolto
impiccione! Non capisci nulla di strategie » sbottò il re, riassumendo la sua
posizione di attesa, con il gomito sul bracciolo dorato del trono.
Nonostante il
caratteraccio del vecchio reggente, il consigliere trovava quella decisione
tanto sballata, che non ce la faceva a stare zitto, anche se aveva paura di una
sua ulteriore reazione. « M-ma… mio sovrano…
l’esercito non ha mai combattuto…
non è pronto per una missione così delicata… finiranno per peggiorare la
situazione… »
Stavolta il re
perse completamente la pazienza. « Adesso basta, piccolo ficcanaso! Sei forse
un Veggente, per caso? No, quindi non ti mettere a prevedere il futuro! Ora,
prima che ti licenzi, vai a convocare l’esercito, anzi, portami qui il
generale. E muoviti! Che fai ancora qui? Vai! »
Il consigliere corse verso
l’ingresso principale, per quanto i suoi minuscoli piedi gli
consentissero di correre, ma mentre alzò la mano per girare la maniglia, il
grande portone di quercia gli finì sul naso pronunciato, mandandolo a gambe
all’aria.
« Sire! Sire! Aspettatemi, voglio
partire anch’io! »
Un giovane dai capelli neri,
leggermente lunghi e spettinati, entrò come un ciclone, calpestando
inavvertitamente il nano.
Il re non si mosse dalla sua
posizione, ma il suo sguardo era divenuto perplesso e teneva la bocca aperta,
confuso di fronte a quella scena anomala. Intanto il ragazzo era arrivato
davanti al trono e sembrava più preoccupato che mai. “ Oh no… non ditemi che
sono già andati via. La prego, Mio Signore, mi lasci partire lo stesso, li
raggiungerò sulla strada. »
« Ma di cosa
stai parlando?... Chi sei tu? » chiese il re,
scrutandolo come se fosse una strana creatura di terre lontane.
« Oh, mi perdoni… ». Il
ragazzo si inginocchiò, lasciando che il mantello
fluisse in aria. « Sono Oliver Galir, Guerriero Semplice di Shidal. » Detto questo
il mantello gli cadde sulla testa, coprendolo tutto.
Il re si grattò la fronte, sentiva
che stava arrivando un gran mal di testa.
« Signore, io voglio partire con gli
altri a cercare la principessa, lo so che sono arrivato tardi, ma la prego di
lasciarmi andare ugualmente » disse Oliver, una volta liberatosi del manto.
« Figliolo, non
capisco perché ti scaldi tanto… puoi partire a cercare la principessa »
concesse il re.
Oliver si rialzò
di scatto. « Ah! Davvero?! Bene, allora vado subito… dove si sono diretti,
perché io avrei un’idea di chi… »
« Figliolo, ho
paura che dovrai partire da solo, perché vedi, sei il primo che si fa vedere
oggi. E anche l’ultimo, ho ragione di pensare. »
L’entusiasmo
negli occhi del cavaliere si spense. « C-come l’ultimo?
Non capisco… nessuno ha risposto alla chiamata? »
« Nessuno »
ripeté stancamente il sovrano, addossando stavolta tutto il corpo allo
schienale della poltrona. Dopo un po’ aggiunse: « Se sei un Guerriero, allora
torna con i tuoi compagni, perché stavo per mandarvi a chiamare. Partirete
stanotte. »
Oliver si sfregò
la testa, deluso. Stava per seguire il suggerimento del re, quando gli venne in
mente qualcosa. “ Mio Signore, aspetti un attimo. Questo non è un compito
adatto all’esercito… Dobbiamo prima scoprire il colpevole e se l’intera armata
si mette sulle sue tracce lo saprà anche una formica delle Cime Innevate… E se
il nemico decidesse di andare ancora più lontano di
dov’è, impaurito? O peggio ancora, preso dal panico,
potrebbe decidere di uccidere la principessa… Senza contare che l’esercito non
è per niente preparato ad affrontare una simile impresa. Sono pochi quelli che
si addestrano a dovere per ogni circostanza. Ma io
sono uno di quelli! »
Il monarca registrava lentamente le
parole del giovane. Andare più lontano… uccidere la principessa… uccidere…
« Oh, per tutti i Trippiti, hai
ragione! Consigliere! Non si permetta di andare a chiamare il generale,
altrimenti la licenzio in tronco! »
Il nano,
riavutosi dalla botta, borbottò: « Ma Mio Signore, perché non avete dato
ascolto a me, prima… ho detto le stesse cos… »
« Silenzio una buona volta! E ora
dimmi, mio giovane amico… cosa credi che sia più opportuno fare? »
« Beh, io credo che potrei partire
da solo, ma un aiuto mi farebbe comodo »
rifletté Oliver.
Il sovrano rise e gli assicurò che
gli avrebbe affiancato sicuramente qualcuno.
« Bene, allora io ho già un piano
» disse Oliver, riacquistando
l’entusiasmo di prima. « Credo che il colpevole sia il Mostro del Piccolo
Fiore. Insomma, lo so che forse è una leggenda, però non sarà del tutto priva
di fondamento visto che la gente da lì è scappata davvero qualche anno fa, non
crede? Io credo che la principessa sia più vicina di quanto pensiamo. »
« Vuoi dire che potrebbe trovarsi al
Piccolo Fiore? » domandò il sovrano,
sfiorandosi il mento irsuto. « Beh, sì… Ma perché questo ipotetico mostro non
si è mai fatto vedere in questi anni… Bah, la gente
qui ha perso completamente la ragione e i mostri non sono da meno… Soprattutto quelli inesistenti. Però visto che è
l’unica pista che abbiamo… Ma sarai capace di
arrivare lassù? La strada è impervia. Dovrai passare per la foresta di Querciasecca,
non sarà facile. »
« Maestà! » esclamò Oliver, ergendosi in tutta la sua
altezza « Io sono un Guerriero di Shidal! »
« Sì, anche gli altri lo sono e non
sono capaci nemmeno di allacciarsi le scarpe. La povera Shidal morirebbe di
vergogna se fosse ancora viva » borbottò il re. « Va bene, ora devo solo
trovare qualcuno che ti accompagni, magari uno con un po’ più di esperienza.
Quanti anni hai, ragazzo? »
« Ventiquattro, Signore. »
« Ventiquattro…
Sei solo un ragazzino. Va bene, ma sta’ sicuro che lo troverò un pelandrone
disposto a partire, ah! Se lo troverò! »
In quel momento il portone di
ingresso si aprì per la seconda volta, ma per fortuna il consigliere si trovava
fuori portata. Entrò una ragazzina di circa quindici anni, con un’enorme chioma
rossa che incorniciava il piccolo volto. Si avviò con passo spedito in
direzione del trono, senza salutare nessuno, poi disse scandendo bene le
parole: « Maestà, sono qui per diventare una Guerriera di Shidal. »
« Benedetta figliola! » esclamò il re, che non aveva mai passato un
giorno peggiore di quello « Dovresti essere a casa con tua madre a bere il
latte e poi correre a letto a quest’ora! »
« Mia madre è morta e il latte non
mi è mai piaciuto, Sire! Io sono qui per diventare cavaliere » ribatté la giovane.
Il sovrano si portò una mano alla
testa e si afflosciò di nuovo sulla poltrona. « Santa pazienza, ma coma ha
fatto a entrare? »
Oliver alzò le spalle e il
consigliere si guardò disperatamente intorno, convinto che la colpa andasse
ancora una volta a lui.
« Non mi meraviglia che stanotte la
principessa sia stata rapita! Se questa ragazzina è riuscita a eludere la
sorveglianza, figuriamoci un malvivente esperto! » brontolò il re.
« La principessa è stata rapita?
» domandò la ragazza.
« Lo sanno tutti » disse Oliver.
Dyna gli rivolse uno sguardo
omicida, poi si presentò: « Maestà, io mi chiamo Dyna e sono qui per diventare
cavaliere. »
« Sì, questo l’abbiamo capito »
mormorò il sovrano.
« Perciò andrò a cercare la
principessa, e poi vi riporterò sia vostra figlia che la testa di chi l’ha
rapita » affermò Dyna.
Oliver deglutì, il re invece non
sembrò particolarmente colpito e disse: « Ascolta, benedetta bambina, ho già
trovato chi porterà a termine la missione, vale a dire questo giovanotto qui, Gliver Olir. »
« Ehm… Oliver Galir, Signore… »
« Sì, e io che ho detto? Ora troverò
un altro Guerriero disposto ad accompagnarlo e partiranno solo loro due, tu
torna qui fra una decina d’anni. »
Dyna strinse i pugni, offesa a
morte. « Ma… posso accompagnarlo io! Se ne nessuno vuole andarci, andrò io con
lui! So maneggiare la spada, so andare a cavallo, ma la cavo benissimo in ogni
situazione, darò un prezioso aiuto e… »
« Figliola » la interruppe il re « Io temo per le sorti di
mia figlia e sarei disposto a fare tutto per riaverla qui con me. Ma se c’è una
cosa che non farò, sarà mettere a repentaglio la vita di una bambina smaniosa
di crescere e farsi male. Ora torna a casa, Pyna. »
« Mi chiamo Dyna » borbottò la giovane, amareggiata. Uscì dalla
stanza senza più proferire parola.
« Oh, Santa pazienza, che giornata
» esclamò il re.
Non fu impresa facile trovare un
cavaliere abbastanza giovane e capace disposto a partecipare all’impresa. Anzi,
in verità non si trovò. Il re fu costretto a minacciare di portarlo nelle
Miniere Perdute, solo così il povero Josh Norton
acconsentì ad accompagnare Oliver.
« Forza, non perdete altro tempo,
ormai è l’alba, sareste dovuti partire stanotte, se solo tu, maledetto codardo,
non mi avessi fatto perdere tempo! » strepitò il sovrano, mentre i due
Guerrieri montavano a cavallo.
Josh aveva trent’anni, era un bel
giovane dai capelli castani, e come tutti gli abitanti di Breza dell’epoca era
irrimediabilmente pigro e un’avventura come quella che si stava preparando ad
affrontare era proprio il genere di cosa che meno lo rendeva felice.
Finalmente partirono, lasciandosi il
sicuro castello alle spalle, e si avviarono verso il villaggio. Certo, anche
quello era un luogo sicuro, ma ciò che preoccupava Josh
era la foresta di Querciasecca. Aveva sentito dire che nessuno vi entrava da
anni, perché era un posto tetro e irto di rischi. Potevano abitarci animali
feroci, o potevano esserci piante velenose. Il Guerriero rabbrividì. E la sua
paura aumentò al pensiero del famigerato mostro, ammesso che esistesse davvero.
Chissà com’era fatto un mostro? Suo padre gli aveva raccontato qualche storia
che a sua volta gli aveva narrato suo nonno, e così via fino a
ripercorrere le più antiche generazioni. Qualche suo antenato aveva sicuramente
affrontato dei mostri, ma quelli erano altri tempi… Tempi
bui e pericolosi. Ringraziava il Fato tutti i giorni per averlo fatto nascere
in quel periodo di pace, e ora si trovava in quella assurda situazione. Si
voltò verso il suo compagno di viaggio, che conosceva solo di vista. « Allora… Anche
tu sei stato costretto dal re a imbarcarti in questa avventura? »
Oliver sobbalzò, perché era
soprappensiero. Gli capitava spesse volte di perdersi a meditare e sognare ad
occhi aperti. « Eh? Come? Ah, no, io mi sono offerto volontario. »
« Volontario? Però…
O sei estremamente coraggioso o estremamente stupido » commentò Josh. « Che cosa ti ha spinto, scusa? Non potevi stare per
i fatti tuoi, senza problemi? In fondo a te cosa importa? »
« Come sarebbe? » esclamò Oliver « E’
la principessa del nostro regno, certo che mi importa! Noi siamo i Guerrieri, è
nostro dovere salvarla! »
Per tutta risposta, Josh scrollò le spalle. « Se lo dici tu. »
Il viaggio proseguì in silenzio, ma
abbastanza velocemente, tanto che alla sera erano già giunti alla Foresta. Si
accamparono prima di addentrarsi all’interno, rimanendo nella zona più esterna
e mangiarono qualcosa. Poi decisero di fare dei turni di guardia perché non
conoscevano la foresta e non volevano correre rischi inutili. Il primo a
vegliare fu Josh. Oliver, stanco per la cavalcata, si
addormentò quasi subito.
Non erano nel fitto del bosco, ma
già gli alberi oscuravano la maggior parte del cielo senza stelle. Non si
vedeva neanche la luna quella sera. Josh si appoggiò
al tronco di un faggio, con le mani dietro la nuca e una foglia tra le labbra,
sperando che le due ore passassero in fretta, così avrebbe potuto fare un bel
sonno ristoratore. Mentre pensava a quest’ idea confortante, non si accorse che
qualcuno, dai cespugli selvatici, stava avvicinandosi. E come avrebbe potuto?
Chiunque fosse era più silenzioso di un serpente su un pavimento di vetro.
Ormai era vicinissimo, prese un bastone e colpì con forza la fronte di Oliver.
Solo allora Josh si accorse della sua presenza,
afferrò velocemente la torcia per vedere che fosse, ma non fece in tempo a
urlare: « Chi è là? » che la figura nera gli fu addosso, gli mollò un calcio
negli stinchi e poi un pugno sul viso. Infine usò di nuovo il bastone e Josh prese a russare rumorosamente.