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Autore: Hermia    27/02/2006    6 recensioni
Due vite.
Due passati.
Due mondi separati e distinti che non avranno mai nulla in comune. Luce e ombra, calore e freddezza, amore e odio.
E’ possibile per essi incontrarsi?
"Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla. E così ho fatto." (La Chimera – S. Vassalli)
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Io § Tu

 

~  My education  ~

 

 

Tenuta estiva del Marchese Duval, Normandia, 30 Maggio 1995, 3:00 p.m.

 

L’aria umida di inizio maggio profumava già d’estate. La dolce fragranza dei fiori di campo e di terra bagnata stuzzicava piacevolmente le narici. Da lontano, il rumore dei freschi flutti infranti sulla battigia ed il libero canto dei gabbiani facevano volare la mente a pensieri di svago e divertimento.

Nessuno ascoltava la tediosa litania dell’officiante, ognuno perso nelle proprie fantasie.

Accanto al granitico sarcofago, una donna non più giovane ma ancora di piacente aspetto spostava l’aria con un ventaglio di pizzo nero. Lo sguardo mediterraneo, coperto dalla veletta, era perso nel vuoto, a tradire il suo ruolo mal recitato di vedova affranta.

Eppure, dopo aver tumulato altri cinque mariti, avrebbe potuto per lo meno imparare l’arte della finzione.

Narcissa scacciò dalla mente questi pensieri, portandosi una mano, avvolta in un pregiato merletto, alla bocca, a coprire un garbato quanto mai annoiato sbadiglio.

I funerali della famiglia Zabini-Sura-Caraccioli-Denterria-Gustaffson-Duval erano diventati particolarmente rinomati. Intorno alla scomparsa dei consorti aleggiava il mistero.

La donna, scostandosi una eversiva ciocca di capelli biondi dal viso, cercò con lo sguardo il figlioletto che, in compagnia dell’amico e padrone di casa Blaise, passeggiava nel parco della residenza del defunto Marchese Duval.

Poi tornò a guardare la vedova. Ricordava la prima volta che si erano incontrate, ad un the di comuni amici, l’aveva subito catalogata come una donna eccessivamente piena di sé, al confine tra appariscenza e volgarità, arrivista fino al midollo. La sua fama la precedeva, con alle spalle quattro matrimoni con uomini di varia nazionalità, tra i più prestigiosi.

Conoscendola, in seguito, aveva cambiato opinione sul suo conto, almeno in parte. Non giustificava il suo modo di vivere da mantenuta, ma lo rispettava, perché in quella donna arrivista ed appariscente aveva trovato un’amica. Più o meno.

La vide giocherellare distrattamente con i due giri di perle d’onice, il gioiello delle vedove, che portava al collo, prima di guardarsi intorno, alla ricerca di volti conosciuti tra quella folla di estranei, trovare il suo viso e sorriderle appena.

Ricambiò a suo volta con un accenno di sorriso, mentre il sacerdote invitava a porgere l’ultimo saluto al Marchese François Duval, marito e padre giustamente amato.

Narcissa, poggiando le punte delle dita sul bassorilievo della bara, all’interno dell’ombroso mausoleo di famiglia, non potè non compatire quel pover uomo constatando che mai parole furono più ipocrite di quelle.

Poi prese il braccio che il marito le porgeva, ed insieme si diressero a fare le condoglianze alla vedova.

 

Tenuta estiva del Marchese Duval, Normandia, 30 Maggio 1995, 3:20 p.m.

 

-Dai, fammi vedere!- disse in tono concitato, spingendo da parte il compagno.

-Noo. Ti ho detto che è un segreto!- esclamò l’altro, puntando i piedi e sbarrando l’entrata con le braccia.

-Io te li dico i miei segreti, e poi uffa voglio vedere!!- piagnucolò, spazientito. Il secondo bambino aggrottò le sopracciglia scure, pensandoci su. Poi si fece da parte, permettendo all’amico di aprire la porticina di legno, che emise un cigolio quasi sinistro.

-Wow!- fu l’esclamazione sommessa di Draco, gli occhi spalancati mentre osservava il lungo vello argento ed oro dei, saranno stata almeno una dozzina, cuccioli.

-Belli, eh? Me li ha lasciati il Marchese mio padre prima di passare a miglior vita. Sai, li commerciava in nero...- spiegò con tono cospiratorio il bambino, appoggiato con le spalle alla bassa staccionata interna.

-Sono fantastici! È proprio una fortuna che sia schiattato così in fretta.- considerò Draco distrattamente, lo sguardo voglioso fisso su quegli eleganti quadrupedi.

-Già, zio è stato un genio. Un altro po’ e l’avrei ammazzato io quello lì. O la mamma...era diventato insostenibile ultimamente. Pensa, voleva farmi davvero da padre!- disse, scuotendo la testa, incredulo delle sue stesse parole.

Vi fu una pausa di silenzio denso di vorticosi pensieri non espressi ad alta voce.

-Senti, io vado.- disse ad un certo punto Draco, allontanandosi dal legno della staccionata.

-Come? Ma il funerale non è ancora – ma, vedendo l’amico fare dietro front qualche passo più in là per prendere la rincorsa in un atletico tentativo di saltare la staccionata, si rese conto con orrore delle sue reali intenzioni.

-Ma che fai, sei impazzito? Fermati!- disse allarmato –Non sono nemmeno addomesticati!- la sua voce femminea di bambino si perse nell’aria tiepida, inutilmente. Draco era ormai partito e non aveva ascoltato nemmeno una parola.

Lo osservò preoccupato saltare il recinto ed avvicinarsi cautamente ad un Unicorno dorato particolarmente piccolo, accoccolato dolcemente al fianco della madre.

Qualche attimo di titubanza dopo anche lui seguì l’amico nella sua entusiasmante ma pericolosa impresa, complice sempre e comunque.

 

Studio, Château Blanc, Costa Azzurra, 12 Ottobre 1996, 10:57 a.m.

 

Il grande balcone con terrazza dava sul retro del maniero, mostrando una mattinata uggiosa incapace di illuminare naturalmente l’interno dello studio.

Alla luce traballante di un migliaio di candele, sorrette da un massiccio lampadario di cristallo di Boemia, l’inchiostro scivolava veloce sulla pergamena ingiallita, il fruscio della piuma accompagnava il rumore raschiante della punta sopra la dura superficie.

I secondi erano scanditi dai passi lenti alle sue spalle, che facevano su e giù per la stanza, nel vano tentativo di ingannare il tempo.

-Tempo scaduto!- disse, ad un certo punto, una voce adulta, strappando rudemente il foglio dalla presa del ragazzo, lasciandolo vagamente sconcertato. Non aveva ancora terminato.

Con sguardo rapido, l’uomo scorse il componimento, la fronte aggrottata quando incontrava qualche punto non molto chiaro o errato.

Alla fine afferrò la piuma, intingendola nell’inchiostro carminio, e tracciò una “A” svolazzante ed arzigogolata.

-Una “A”?– chiese il ragazzo stupito ed entusiasta per il suo ottimo risultato tanto inatteso.

-Esattamente. “A” come “Assolutamente insufficiente”– specificò l’uomo, poggiando le grandi e nodose mani sul tavolo, proprio di fronte al ragazzo.

-Cosa dobbiamo fare, Draco?– chiese una voce dura. La lucida cicatrice sulla sua fronte molto più evidente del solito su quel volto bruno.

Il bambino non rispose, tuttavia lanciò uno sguardo scocciato e furente al suo insegnante. Tra i due vi era stato un cordiale disprezzo fin dalla prima lezione, circa lo stesso periodo di due anni prima.

Lui si era impegnato fin dall’inizio, cercando di fare del suo meglio, non tanto per sé stesso quanto per suo padre. Ma aveva ottenuto sempre e solo insuccessi. Inoltre, quell’uomo non perdeva mai occasione per infierire e deriderlo.

Ogni tanto lo rimproverava con un “Allora? Cosa dobbiamo fare, Draco?” ed aveva inizio la solita ramanzina su quanto fossero importanti le Arti Oscure, il Male e tutta quella roba della quale suo padre andava ghiotto.

Non che a lui non interessasse, tutto il contrario. La materia aveva su di lui un grande fascino, ma l’assenza di stimoli da parte dell’insegnante l’aveva stancato.

-Pretendo una risposta, quando faccio una domanda!- proferì gelidamente l’uomo, gli occhi neri fissi su quelli chiari del bambino, puntati a terra.

Dall’espressione del suo viso, sembrava calmo e disinteressato, come gli avevano insegnato ad essere, a controllarsi, a fingere. Distacco fittizio ed apparente. Dentro ribolliva dalla rabbia, nel suo orgoglio ripetutamente ferito, dall’umiliazione di sentirsi costantemente un incapace.

-Cosa c’è, Draco? Pensi di essermi superiore, eh? E’ per questo che non sono degno di una tua risposta?- ringhiò alzando il tono di voce- Tu-mi-devi-rispetto!- urlò, sbattendo forte le mani sul tavolo, facendo capovolgere la boccetta d’inchiostro.

Macchie di denso color porpora insudiciarono quel compito su cui aveva tanto lavorato, simili a caldi rivoli di sangue. Per un istante Draco immaginò che quel sangue fosse il suo e che fosse stato lui a versarlo. Sorrise leggermente.

Alzò il suo sguardo gelido dalla pergamena.

-Io penso che non abbia senso imparare il Male e le sue arti su degli inutili libri. Continuando così non imparerò mai niente!-.

Una semplice constatazione che aveva il sapore di accusa.

-Vorresti insegnarmi come fare il mio mestiere?- fissò Draco con disprezzo. Il bambino sostenne sprezzante il suo sguardo.

-Bene, vuoi imparare dalla pratica? Bene.- ringhiò, gettando a terra con una mano tutto ciò che prima era sul tavolo e facendo sussultare il bambino, che per un attimo aveva temuto volesse colpirlo.

-Seguimi.- disse gelido, uscendo rapido dallo studio, il mantello bordeaux svolazzante alle sue spalle.

Dopo qualche attimo di indecisione, il bambino scostò silenziosamente la massiccia sedia sulla quale era seduto, eseguendo gli ordini del suo mentore.

 

Sotterranei, Château Blanc, 12 Ottobre 1996, 11:25 a.m.

 

Seguì il rumore dei passi dell’uomo lungo i corridoi semibui dei sotterranei della casa. Affrettò il passo per timore di perderlo e, quindi, perdersi.

In verità, non era mai sceso nelle segrete. Ma, dalle voci che aveva sentito, non rimpiangeva questa sua mancanza.

Dopo un lungo vagare, si accorse che il rumore dei passi sulla nuda pietra era svanito.

I battiti del suo cuore aumentarono di botto; iniziò a correre per fuggire da quel demone invisibile che lo perseguitava: aveva paura. Se lo avesse saputo suo padre...non voleva nemmeno immaginare.

Di fronte a sé gli sembrò di scorgere un’apertura laterale. Affrettò la sua corsa. Il fiato caldo creava bianche nuvolette nell’aria fredda e maleodorante. Poi si bloccò, il sangue ghiacciato nelle vene. Poco distante da lui una mano, o quel che ne rimaneva, avvinghiata ad una sbarra di ferro battuto. Era arrivato alle celle.

Fissò con occhi allucinati quello scenario di morte, prima di scappare via di corsa, ripercorrendo i suoi passi di poco prima.

Tornando indietro, notò una porta spalancata che prima, probabilmente, aveva superato senza accorgersene.

Tirò un sospiro di sollievo, quando, varcandola, vide il profilo del suo insegnante, intento a trafficare con una gabbia.

-Ho notato che ti sei perduto. Paura?- chiese con un sorriso malvagio.

Draco preferì non rispondere; pensava che il battito martellante del suo cuore all’interno della gabbia toracica fosse già abbastanza eloquente.

-Vieni qui.- disse l’uomo, disponendo meglio la sua gabbia su un tavolo centrale.

Avvicinandosi, Draco notò che, in realtà, le gabbie erano due, contigue. All’interno, avvolti su se stessi, stavano due enormi serpenti.

Anticipando la sua domanda, l’uomo disse, indicando la prima gabbia:

-Questo è un cobra reale.- disse sbattendo la mano sulla grata, in modo che il serpente, sentendosi minacciato, aprisse il suo “cappuccio” sulla gola. –Ora è in posizione d’attacco. Il suo veleno uccide.-

Il ragazzo ammirò quell’animale, che mai gli era capitato di vedere. 

-Lui, invece,- proseguì l’insegnante nella sua spiegazione -è un pitone. Stritola le sue vittime per poi nutrirsene, ma può anche avvelenarle, se preferisce.-

Ad un gesto della sua bacchetta, le tante torce appese ai muri si accesero, rivelando una serie di scaffali che ricopriva tutto il perimetro della sala. Sopra vi erano tante altre gabbie, simili alle due sul tavolo, ma con all’interno animali diversi.

-Accio murem!- mormorò, ed un piccolo topo bianco volò tra le sue mani.

-Tutti gli animali di questa stanza- disse, avvicinando l’animaletto alle gabbie dei due rettili, che scattarono repentinamente verso la cavia, sbattendo le teste contro le sbarre metalliche - vengono nutriti una volta al mese, quindi, come potrai dedurre, sono affamati.- .

Fece sparire il topo per tornare a guardare Draco, che sembrava parecchio toccato.

-Sai a cosa servono?-

Il bambino scosse la testa, attento.

-Vengono usati per torturare i prigionieri, per estorcere la verità, per scoprire i traditori. E per uccidere, naturalmente. Ottimo metodo, non lascia tracce.-

-Adesso guarda.- e con un altro gesto della bacchetta, la grata che separava le due gabbie sul tavolo scomparve.

I due serpenti si scrutarono per alcuni secondi, studiandosi. Poi, come aizzati da qualcuno, si scagliarono l’uno contro l’altro, lottando per sopravvivere. Il cobra, stretto tra le spire letali del pitone, morse ripetutamente le squame viscide del nemico, iniettandogli il suo veleno.

Draco osservò orripilato il pitone mangiare il cobra, ormai morto nella sua morsa, prima di accasciarsi anch’esso sul fondo della gabbia, avvelenato. I suoi occhi gialli tagliati verticalmente lo fissavano, immobili.

Alcune lacrime cominciarono a rigargli il volto.

-Non devi piangere!- ringhiò, dandogli un sonoro schiaffo. –Solo i deboli piangono.-

Il bambino si portò un mano al viso, asciugandosi in fretta le lacrime. Ma il suo sguardo continuava osservare i due rettili, disgustato.

L’uomo aspettò che il bambino avesse compreso appieno ciò che era accaduto. Poi fece sparire i corpi senza vita dei due serpenti e si sedette allo stesso tavolo dove, poco prima, si era svolta una lotta per la sopravvivenza.

-Questo, Draco, è il Male. E’ guardare due fratelli scannarsi tra loro per non morire e non far nulla per aiutarli. E’ essere crudeli, impassibili, privi di quei sentimenti e scrupoli che rendono gli uomini deboli.

Quando sarai capace di arrivare ad eliminare tutta l’umanità che, per natura, ti appartiene, allora potrai fare realmente del male. Prima sarai solo un ragazzino presuntuoso che puzza ancora di latte ma crede di sapere tutto della vita.

E ora fila di sopra, voglio una relazione di almeno tre pergamene sulla lezione di oggi.-

Il bambino corse via, sconvolto.

 

Sala degli allenamenti, Château Blanc, 30 Luglio 1997, 12:00 a.m.

 

Una goccia di sudore, scivolata sulla sua fronte nivea, fu asciugata con la manica della camicia, prima che il braccio fosse riportato dietro la schiena.

Al contrario, suo padre sembrava essere per nulla accaldato o stanco. Balzava ora avanti ora indietro con agilità, facendo scontrare la lama della sua spada con quella dell’avversario.

Lucius fece una finta e tentò di colpirlo con un affondo, che fu bloccato con un rumore metallico.

In assenza di magia, era importante sapersi difendere come saper attaccare. Aveva iniziato il figlio alla scherma pochi mesi prima, ma, a quanto pareva, la dote si spadaccino l’aveva nel sangue, perché riusciva a cavarsela discretamente contro persone molto più abili di lui.

Non poteva dire lo stesso per il corpo a corpo. I lividi che il ragazzo sfoggiava sul braccio scoperto ne erano la testimonianza. Il suo precettore sosteneva che era ancora troppo giovane per apprendere quel genere di combattimento. Con la crescita avrebbe acquisito la forza necessaria anche per quello.

Per ora poteva sfruttare la sua corporatura minuta per imparare le arti marziali, antiche tecniche orientali che non necessitavano di eccessiva forza fisica, ma solo di attenzione ed astuzia.

Lucius era l’unico a vedere le cose per come stavano, ovvero che suo figlio era irrimediabilmente un debole. Quanto all’astuzia, il fatto che non riuscisse a prendere voti che superassero la sufficienza la diceva lunga.

Parò il debole tentativo del figlio di colpirlo e ribaltò i ruoli, disarmandolo.

Gli puntò la spada appuntita al petto, sfiorandolo appena ma provocando, comunque, un lieve taglio su quella pelle delicata.

-Ti ho disarmato di nuovo. Se fossi un tuo nemico, saresti già morto.- disse gelidamente –Tutti i bambini della tua età sono molto più capaci di te. Il figlio di Nott ha quasi battuto suo padre!-

Con la spada aveva afferrato la catenina d’oro che il bambino portava sempre indosso. Quella che gli aveva donato la sua defunta nonna, con lo stemma della sua importante casata di appartenenza.

-Non sei degno del nome che porti.-

E nonostante il frastuono dei suoi passi, Draco riuscì ad udire il tintinnio dell’oro sul pavimento.

E del suo cuore, per l’ennesima volta infranto.

Rimase seduto sul freddo pavimento per quelle che gli parvero ore, a leccarsi le ferite. Non quelle esterne che suo padre gli aveva provocato, no. C’erano delle ferite che non potevano essere viste, che sanguinavano copiosamente e non potevano essere rimarginate. Si costrinse con forza a non piangere per il dolore.

-Mi scusi Signore...- disse una flebile voce dall’ingresso. Draco alzò lo sguardo lucido sulla cameriera che era appena apparsa. Strano, non se n’era nemmeno accorto.

-Sua madre ha detto di scendere per il pranzo, Signore.- riferì docilmente la donna.

-Non ho appetito.- rispose Draco, asciutto, riprendendo la spada per continuare ad allenarsi, anche se da solo.

-Sua madre si arrabbierà molto se non scende.- il suo tono era quasi una preghiera, sapeva che se il bambino non fosse sceso i padroni se la sarebbero presa con lei.

Draco provò un paio di affondi nel vuoto, ignorandola.

Quando però la cameriera si avvicinò a lui per costringerlo a scendere, si dimenò con forza dalla sua stretta e la ferì una mano.

Alcune gocce di sangue caddero sul pavimento.

Draco le puntò la spada insanguinata alla gola.

-Sparisci.-

 

Parco di Malfoy Manor, Inghilterra, 27 Agosto 1999, 06:00 p.m.

 

Il sole estivo stavo pian piano tramontando, lasciando nel cielo un paio di timide stelline sullo sfondo celeste-arancio. Tuttavia, nonostante fosse fine Agosto, l’aria era umida e fastidiosa.

I loro genitori stavano ancora conversando nella saletta dove poco prima avevano preso il the. I Malfoy avevano inaugurato da poco la nuova abitazione, ed avevano deciso di invitare gli amici per far loro vedere la casa.

A Draco non piaceva molto, forse per il tempo che lì era così diverso oppure per la semplice abitudine, ma non riusciva a sentirla come casa sua.

Blaise l’aveva trovata magnifica, non come il vecchio castello diroccato dove erano andati a vivere lui e sua madre a seguito del matrimonio della suddetta con un nobile mago dello Yorkshire. Unione necessaria per non fare andare il figlioletto in quella scuola di magia “per femminucce”, come la definiva la madre, ovvero Beauxbatons.

Ma del resto, fra qualche giorno sia Draco che Blaise sarebbero dovuti partire per Hogwarts, per cui le rispettive abitazioni non li preoccupavano più di tanto.

Camminarono silenziosamente, le spalle al tramonto, ispezionando quel territorio a loro completamente nuovo.

Videro alcuni giardinieri sistemare il giardino, grande passione di Narcissa, ed alcuni maghi operai erigere gli anelli di un futuro campo da Quidditch, passione di Draco.

Non trovarono nulla che potesse appartenere a Lucius, forse perché era talmente scarso il tempo che passava a casa, che non avesse bisogno di inutili passatempi.

-Sai, oggi il mio patrigno mi ha detto che spera che io finisca a Tassorosso, la sua Casa. Ti rendi conto? Solo un tonto come lui potrebbe sperare di andare in quel covo di fessi!-

-Già, io andrò a Serpeverde!- disse con orgoglio Draco –Tutti nella mia famiglia sono andati lì, quindi è sicuro che ci andrò anch’io.-

Blaise si sentì a disagio. Avrebbe desiderato avere la sua stessa sicurezza. Sua madre era stata una Serpeverde, ma il padre veniva da Durmstrang, quindi... Inoltre aveva sentito dire di un suo cugino Pascal che, con i genitori entrambi Serpeverde, era finito a Grifondoro.

Tremò al sol pensiero. Sarebbe stato un disonore per lui.

-Guarda!- disse Draco, indicando un boschetto poco fitto alla loro sinistra. Accanto ad un albero li osservava, nella sua altezzosa maestosità, un Unicorno adulto.

Sembrava quasi brillare di luce propria nella sera scura che stava scendendo.

Draco si chinò per terra, come per allacciarsi la scarpa. Poi si avvicinò, ma non troppo, al quadrupede. Sapeva che non amava gli uomini.

Portò indietro il braccio e poi con forza scagliò una pietra verso l’Unicorno, colpendolo in pieno viso.

L’animale galoppò via, emettendo un penoso lamento e sparendo nel folto del bosco.

-Stupida bestia!- disse Draco, divertito.

I due ragazzi si avvicinarono al luogo dove prima stava l’Unicorno e raccolsero la pietra con la quale lo avevano colpito, ora macchiata di una strana sostanza argentea.

-Ma è sangue.- constatò Blaise, tenendosi a distanza.

-Forte!- esclamò Draco, osservandolo più da vicino e poi scoppiando in una sadica risata.

 

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Salve! ^_^

Come promesso ho ripostato il capitolo, riveduto e corretto! Per questo, Lazyl, non hai trovato l’aggiornamento. Mi dispiace, spero non accada più^^

Dunque, in questo capitolo ho sollevato una questione che per me è molto importane, ovvero quanto l’educazione ha influenza sul futuro di una persona? Io le mie idee penso di avervele espresse abbastanza chiaramente, mi piacerebbe conoscere le vostre.

Ed ora, spazio ai ringraziamenti:

Ginny88: Ti ringrazio! Sono felice che la differenza tra le due famiglie si noti. Mi dispiace per ciò che ho detto nella recensione alla tua fic, ma volevo essere sincera. L’ipocrisia non serve a nulla. Spero tu non te la sia presa. Un bacio!

Ellie: Ciao! Anche a me Gin ha fatto tanta tenerezza, così esclusa dagli altri...ho pensato anche di aver esagerato un po’ (come in questo capitolo) ma la storia si scrive da sola, a volte perdo il controllo dei miei personaggi^^ Spero sia normale! Che ne pensi di questo capitolo? Ti ringrazio molto! Baci!

_Kristel_: Ciao! Mi fa piacere ritrovarti tra i letto, pensavo la storia non piacesse più ç_ç..Grazie per i complimenti! Mi fa piacere sapere che la mia idea di farvi conoscere direttamente Draco e Gin fin dalla nascita vi sia piaciuta! Grazie ancora!

Izumi: Non proprio nei tempi previsti, ma ce l’ho fatta! Anche se penso che faccia davvero schifo, senza la tua revisione, visto che l’influenza mi ha dato alla testa, facendomi scrivere assurdità!^^ Spero il tuo problema si risolva in fretta! Grazie mille!

Nikita: Ciao! Che sensazione scriverti qui sapendo che ci vedremo domattina, eh?^^ Comunque mi fa piacere sapere che hai apprezzato il legame tra Bill e Ginny. Spero che di questo capitolo ti piaccia il piccolo omaggio fatto al tuo boy! Ti ringrazio tanto! Baci, ci vediamo domani!

Lazyl: Davvero Bill è il maggiore?! Noo!! Era convinta che il grande fosse Charlie, purtroppo non posso più cambiarlo, peccato, ci tenevo che fosse tutto coincidente coi libri!! Me stupida!^^ Grazie, sono felice che nonostante l’attesa il capitolo ti sia piaciuto, spero altrettanto anche per questo^^ Ma a proposito, quando aggiorni? Ci hai lasciate in sospeso!! Baci!

Terry; Dunque, nello scorso capitolo Ginny aveva da pochi mesi a 6 anni, circa. Grazie mille! Un bacio!

StefyGranger: Ciao! Molti in effetti Ginny la vedono più unita a Ron, ma io vedo il legame con Bill ancora più speciale! Grazie mille! Bacino!

Ethel: Mamma mia quanti complimenti ^///^! Mi fa piacere che il mio stile di scrittura ti piaccia, così come la psicologia dei personaggi, li ho studiati parecchio, anche se spesso alcuni risultano un po’ diversi da come li avrei immaginati, prendono vita da soli^^Ti ringrazio tantissimo, e spero che anche questo capitolo sia all’altezza delle tue aspettative! Un bacio!

 

Grazie anche a tutti coloro che leggono la mia storia, grazie mille! Mi fate felice lasciandomi le vostre impressioni? ^_^

 

A presto,

Hermia

  
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