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Autore: Setsuka    06/06/2011    3 recensioni
- Scritta e dedicata a WindGoddess con affetto -
A notizia calda, appena appresa ricordi che frignavi nello stesso modo, piangevi e davanti agli occhi pieni di compassione di quell'ebreo di Kyle, quel hippie di Stan e quel morto di fame di Kenny e... non hai saputo dire di meglio che il problema di Jack Tenorman era l'essere un pel di carota, non sai perché l'orgoglio ha reagito in quel modo, perché l'hai detto, eri convinto che era quello il problema, ciò che ti stava uccidendo dentro e terrorizzava. Ora non c'è nessuno però, c'è il buio e c'è Dio che sa tutto, soprattutto quel che non sai, perciò il tuo pianto diventa ancora più disperato; non te ne frega niente se Jack Tenorman era un pel di carota e... non ti importa nemmeno se era un Denver Broncos.
C'era -c'è- un'unica cosa che davvero conta, per il quale hai pianto e ancora stai piangendo."
"Papà... il mio... papà..."
[ Partecipante al concorso "La Sombra del Vento" ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eric Cartman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Papa, can you hear me ( EFP ) La seguente fanfiction è ambientata esattamente dopo gli avvenimenti degli episodi 200 e 201 mai andati in onda in Italia ma che potete trovare qui ( 200 & 201 ).
La storia è narrata in seconda persona ma è comunque un racconto introspettivo che vede Eric Cartman protagonista, per questo ha un linguaggio per certi versi cartmaniano, conforme alla sua visione della realtà e molti passaggi possono sembrare appunto stupidi, infantili e bizzarri, ma appunto perchè ho voluto mantenere il suo punto di vista; non credo che Eric sia OOC, nonostante mostri una certa fragilità, ma credo sia più che giustificabile in una situazione tanto critica e ho inserito quel po' di fluff e -se vogliamo chiamarlo così- pre-slash alla fine perchè credo ne necessitasse.
La tematica religiosa e della fede è evidente, soprattutto necessaria vista la canzone adottata per sviluppare la song-fiction, non è comunque il tema fondamentale della storia ed è di sfondo, lo dico nel caso siate atei. Il tema principale rimane comunque la citazione che ha ispirato questo racconto; ho pensato a come Eric poteva sentirsi alla scoperta della scioccante verità su suo padre che tuttà la città gli ha nascosto per futilissimi motivi, se l'avesse saputo prima la tragedia dei Tenorman non sarebbe mai successa, perciò... come poteva sentirsi? E son stata sicura che qualcuno -nel passato e nel presente- potesse comprenderlo, nonostante Eric è sempre incompreso perchè contorto e psicologicamente insano.
La canzone Papa, can you hear me è di Barbra Streisand, dal film ( e omonimo album ) Yelt! Consiglio comunque di ascoltare la versione di Lea Michele da Glee qui.
La storia è dedicata alla mia stupenda persona di WindGoddess -era per il suo compleanno- perchè come me ama tanto Eric e ha sofferto per quegli episodi.    




Papa, can you hear me?





Acoltandolo, mi venne in mente che in quel momento l'unica cosa in grado di darmi qualche soddisfazione sarebbe stata dare fuoco al mondo intero e bruciarci dentro anch'io.
(...) come se mi avesse letto nel pensiero, sorrise mostrando i denti e annuì.

< Io posso aiutarla, amico mio. >





Il vento ti accarezza, subito dopo un brivido sale lungo la tua schiena, ma non per il freddo. C'è un ombra senza volto davanti a te, ti sorride, è un ghigno, ti gela il sangue nelle vene e ti fa trattenere il respiro, mentre un altro brivido sale e si ferma alle spalle.
Te la stai per fare sotto dalla paura ma spinto da chissà cosa ti avvicini all'ombra, essa si dissolve con nuova ventata e ora un lampione che sembrava fulminato si accende come d'incanto. Noti qualcosa sotto di esso, nell'esatto punto in cui stava quell'ombra dalle sembianze antropomorfe.
Gli occhi si dilatano, le gambe diventano rigide come due tronchi: davanti a te c'è una ciotola di Chili.

"Kyle, Stan, non è affatto divertente!" urli e tutto scompare, apri gli occhi in una realtà che non è di certo migliore dell'incubo. Rimani a contemplare la tua stanza nel buio, cercando di calmare l'affanno e aspettando che tua madre arrivi come ogni volta che hai degli incubi. Ti ricordi presto però che le hai detto di non avvicinarsi a te e sono tre giorni che va avanti così, che non le rivolgi la parola: è una puttana.
'Puttana, puttana, puttana'
ripeti nella tua testa, non avresti mai immaginato che ti saresti ritrovato a insultarla così, ma se lo merita, non può capire come ti senti ora, come ti ha spezzato il cuore, metafora per modo di dire, visto che a te fa male davvero lì, all'altezza del petto, come se qualcuno gli avesse usato violenza.
Col dorso della mano scacci via le lacrime, prima che possano scivolarti sulle paffute guance.
Rimani seduto per un tempo indefinito sul letto, guardi fuori dalla finestra, la luna è quasi piena. Sarebbe bello se con la luna nuova ogni brutto ricordo sparisse e con esso ogni dolore, ma anche se hai nove anni sai che nella realtà non funziona così, la coscienza può ignorare il dolore ma la memoria non dimentica, può fingere d'aver dimenticato, ma mostra di ricordare in altri modi.
Lo sguardo ti cade sul poster di Mel Gibson e poi su quello di Brian Boitano, cerchi in loro risposte, ma poi ti rendi conto che i pensieri che hai formulato sono sciocchi: non puoi agire e cambiare le cose, non puoi ritornare indietro nel tempo, forse un giorno il tuo geniale cervello troverà un modo per organizzare viaggi nel tempo e cancellare o modificare l'evento, ma ora sai che non puoi far nulla. Proprio nulla.
Però... -guardi fuori il cielo stellato- ...non ce la fai a stare fermo lì, buono e tranquillo e con uno scatto sei fuori dal letto, a indossare la tua giacca rossa e il cappellino celeste, calzi le scarpe da ginnastica e con passo veloce, cercando di esser silenzioso, esci fuori, lì, dove c'è il buio. Devi controllare che sotto il lampione davanti casa non ci sia nessuna ciotola di chili, che sia tutto a posto, ma una volta che non trovi nessuna ciotola non ti senti certo meglio.
Non c'è. Non c'è nessuno.
Prendi fiato, cerchi di regolare il respiro, inspirare ed espirare, in modo regolare, mentre gli occhi si abituano al buio lontano dalla luce del lampione. Chiudi gli occhi e li riapri, per confermare -in modo puramente irrazionale- che non compaia quella maledetta ciotola di cui senti ancora l'odore, come se non ti fossi lavato bene il volto e fosse ancora impregnato di quell'odore che non ha più nulla di gustoso, è diventato nauseante.

E' l'odore del senso di colpa, la paranoia, l'incubo, il suo peso.

Alzi lo sguardo, il cielo è stupendo, oscuro, ma stupendo; le poche luci di South Park lo rendono ancor più meraviglioso, una tela nera in cui son stati gettati con distrazione granelli di oro e argento. Ti chiedi se tutte le cose preziose possano essere lì ad osservare, a giudicare, a guidare... ricordi ancora il sogno che per tanto tempo ha battuto nel tuo petto: volare. Ti piacerebbe raggiungerlo; 'Lo incontrerò di nuovo?' Padre Maxi dice che al momento della morte si va all'Inferno o in Paradiso e tu sei convinto che non puoi che meritare il Paradiso, insomma hai un buon dialogo con Dio, vai a messa, hai fatto la tua prima confessione e la comunione e non sei come quell'ebreo, non hai mica crocefisso Gesù e sei abbastanza convinto che se un giorno Dio volesse andare in pensione lascerebbe tutto in mano tua, però... però... lui come reagirebbe nel vederti?
Lo sguardo si scosta dal cielo e poi incontra una croce, la grande croce e il campanile della chiesa di South Park. Tremi, e non perché la temperatura è sotto zero. Non capisci razionalmente cosa sta succedendo ma le tue grosse gambe si stanno muovendo velocemente, il fiato è corto, e non sai perché; ti sembra di impazzire e per questo hai paura. 
Non credi nemmeno te al fatto che sei davanti alla chiesa solo una decina di minuti dopo, non puoi davvero credere che le tue gambe ti abbiano portato lì, anche se una parte di te sa che ogni risposta è chiusa in un angolo buio e ignoto della tua mente.      



Oh God-our heavenly Father.
Oh, God-and my father
Who is also in heaven.



Inizi a fare i gradini, quegli stupidi quattro gradini. Ti sembrano altissimi, ti sembra proprio di star scalando una montagna. Hai il fiato corto e la tachicardia, non è fatica, ma ansia.
Ansia per la paura dietro l'angolo, un'invisibile e inesistente angolo che può essere ovunque, anche lì 'Oh Dio Padre' parlare con Dio sai che ti fa bene, ti rilassa, lui sa tutto e può tutto, sai che che lui può ascoltare e aiutare il piccolo Eric, ma c'è il dubbio questa volta, un massiccio, oscuro e terrificante dubbio, la vera essenza della tua paura che cerchi di nascondere, di ignorare, ma sai benissimo che è presente, che è lì, perché essa è ovunque, soprattutto dentro di te.
"Dio... Padre..." batti i denti mormorando quelle parole, mentre tutto si offusca, diventa liquido e poi una goccia scende lungo la tua guancia. Un brivido ti percorre la spina dorsale, è freddo, soprattutto dietro le tue spalle, in un passato che non può più tornare.

Ricordi l'ultima volta che hai visto il volto di Jack Tenorman, senza vita, freddo, prima che prendessi la mannaretta e con forza facessi a fette ogni parte del suo corpo, prima a fette, poi a cubi, mentre il sangue zampillava e le ossa si frantumavano sotto i colpi decisivi e carichi di forza che gli hai inferto. Ricordi il tuo sorrisetto soddisfatto, mentre immaginavi con sadico piacere Scott in lacrime, deriso anche dai Radiohead.
Ora davanti a quel luogo, la casa del Signore, per la prima volta pensi che ci sia qualcosa di sbagliato in te -e tremi-, non sei poi così tanto sicuro che il Paradiso ti accolga a braccia aperte, ma non lo trovi così importante ora, piuttosto dai ascolto a una vocina e flebile e recondita che sembra voler consolare il tuo ego, sussurrandoti che non sapevi chi era Jack Tenorman.
Come se quella giustificazione possa realmente consolarti, farti star meglio.

Decidi di entrare, con la speranza di un miracolo, un surrogato di una scala per il Paradiso, qualcosa tipo un Fax; perché senti il fottuto bisogno di parlare con lui.     



May the light of this
Flickering candle
Illuminate the night the way
Your spirit illuminates my soul.


Entrando la temperatura senti che non è di certo più calda e un altro brivido serpeggia lungo le tue braccia. La luce così flebile delle candele rende quel posto inquietante, per il tuo senso di colpa quel luogo è infernale. La Madonna, i Santi, i Crocefissi sembrano tutti guardarti, tenere gli occhi fissi su di te, giudici. 
Decidi di fermarti sull'ala sinistra, in prossimità dell'altare, in una rientranza poco profonda dove c'è un crocefisso in legno povero e proprio sotto di esso delle candele -poche- che bruciano, testimoni di preghiere chissà quando fatte.
Ti avvicini e lasci che le tremolanti fiamme ti illumino il volto che alzi subito verso il Cristo sofferente, fino a qualche anno fa ti impressionava molto quella scultura, immaginavi quanto nella realtà quell'espressione potesse esser sofferente e la colpa era di ebrei come Kyle, la colpa è anche di Kyle!
Per la prima volta però questo pensiero ti mortifica davanti a una candela, come se quella piccola fiammella potesse aver fatto luce dentro di te.

Tu sei peggiore di Kyle.
Serri la gola.
Tu hai mandato quell'uomo e sua moglie a morire.
Deglutisci dolorosamente.
L'hai fatto hai pezzi con minuziosa e indifferente cura.
Tutto si offusca di nuovo.
Hai fatto a pezzi anche sua moglie, una mamma come la tua.
Cadi sulle ginocchia, fa male ma non esce un solo lamento dalle tue labbra.
Li hai cucinati, li hai fatti diventare Chili.

Sbatti la testa contro il banco di preghiera e in quel momento il pianto diventa reale, convulso.

Tremi -e non perché è un luogo freddo- ma perché per la prima volta hai sbattuto la faccia contro la realtà, contro l'immagine reale e apparente di te stesso e senti il bisogno di vomitare dal disgusto, perché nessuna scusa può reggere, inutile puntare l'indice verso Kyle che in questa storia non centra proprio nulla.

Non sei un assassino -sei peggiore- sei un mostro.

Ora che conosci l'identità di quell'uomo, Jack, capisci il senso e il peso del tuo gesto, come un'incudine legata attorno al tuo collo, che ti soffoca, fa male, sembra ucciderti ma... non cade, non precipita, non può realmente farti morire. E forse questo è un miracolo, anche se non hai inserito nessuna monetina e acceso alcuna candela, quello che ti sta succedendo sembra proprio essere un miracolo; Eric Cartman ha un cuore, marcio ma umano, che ha finalmente realizzato che quello che il crimine commesso è terribile a chiunque succeda, perché per chi rimane in vita la scomparsa di una persona è dolorosa come per te lo è quella di Jack, perché chiunque può essere importante quanto lui per te.
A notizia calda, appena appresa ricordi che frignavi nello stesso modo, piangevi e davanti agli occhi pieni di compassione di quell'ebreo di Kyle, quel hippie di Stan e quel morto di fame di Kenny e... non hai saputo dire di meglio che il problema di Jack Tenorman era l'essere un pel di carota, non sai perché l'orgoglio ha reagito in quel modo, perché l'hai detto, eri convinto che era quello il problema, ciò che ti stava uccidendo dentro e terrorizzava. Ora non c'è nessuno però, c'è il buio e c'è Dio che sa tutto, soprattutto quel che non sai, perciò il tuo pianto diventa ancora più disperato; non te ne frega niente se Jack Tenorman era un pel di carota e... non ti importa nemmeno se era un Denver Broncos.
C'era -c'è- un'unica cosa che davvero conta, per il quale hai pianto e ancora stai piangendo.

"Papà... il mio... papà..."  


Papa, can you hear me?



Lo chiami. Bisbigli, sussurri, mormori e poi stanco urli quella parola, Papà. Sei sfinito, sai che non ti risponderà come mai ha fatto, come mai ha potuto fare.
Non è tanto diverso questo tuo pianto, dai pianti e dagli incubi di tante, troppe, forse tutte le notti prima di questa. L'hai sempre cercato, aspettato, invocato, esasperatamente, senza mai arrenderti, nel sonno, dentro i tuoi sogni distorti e terribili, tra realtà di nuvole rosate di zucchero filato e distorte e sporche immagini di realtà; l'hai chiamato, e chiamato, e richiamato, producendo come ora un'eco doloroso e senza risposta.
E ora sai di per certo che questa risposta non arriverà mai e poi mai.
Però tu hai fede, sai che Dio ti ama, ti ha sempre aiutato anche nella peggiore delle situazioni, no? E ora non gli chiedi molto, cosa puoi chiedergli d'altronde?
Se mai il tuo papà potrà risponderti, allora deve ascoltarti, perché lui non può che essere lì vicino al Padre dell'umanità, insomma... dove altri potrebbe essere un Denver Broncos, se non al fianco di Dio?

"Papà..." ti fai il segno della croce, attento ad utilizzare la mano destra come ti hanno insegnato a catechismo, e poi congiungi le mani, tremano, come le fiamme delle candele.
"Papà, puoi sentirmi?".
 


Papa, can you see me?
Papa can you find me in the night?
Papa are you near me?
Papa, can you hear me?
Papa, can you help me not be frightened?



La tua voce non è che un tremolante mormorio, la schiarisci, perché non vuoi fare brutta figura con lui, perché vuoi che almeno una volta ti ascolti, forte e chiaro.

"Papà... sono Eric."

Non aggiungi altro, sai che non ce n'è bisogno.
Cerchi di sistemare meglio le ginocchia sul banchetto di legno, perché ti fanno male, con la tua robusta massa è normale. 

"Papà, io non so se tu puoi vedermi... non saresti di certo orgoglioso di me... non sono un bel figurino" col dorso della mano ti asciughi quella che speri sia un'ultima lacrima. Tua madre aveva ragione con la dieta, per un incontro tanto importante ci sarebbe proprio voluta, ma d'altronde tu fai sempre come vuoi, ti piace mangiare, ti piacciono i dolci, il pollo fritto con le patatine, tutta quella roba ricca di grassi saturi.

"Papà, ti ho cercato a lungo, ovunque, ma tu... non c'eri" no, quella di prima non era l'ultima lacrima. Non riesci proprio a fermarle.
"Io, ho sempre sperato di incontrarti e... e abbracciarti" ti sembrano tanto parole degne di quella strachecca di Butters, ma non te ne curi, per una volta vuoi essere onesto, anche con te stesso.
"E volevo anche che tu... tu sapessi che io... " sono tanto difficili da dire quelle parole "...non ti giudico, non importa se non mi hai voluto con te" hai fatto bene. Quella fastidiosa voce che è tanto simile a quella di Kyle, sai che non è altro che la tua coscienza "Io posso... posso provare a capire le tue ragioni. Ma non è questo comunque che volevo dirti, io... " guardi emozionato al tuo fianco, come ci fosse qualcuno, aspettandoti che possa esserci, hai fede, dunque sei certo che ci sia.

"Io ti voglio bene, papà."

E rabbrividisci, ancora. Perché temi la sua risposta che comunque non ti arriverà.
L'hai ucciso, come potrebbe avere solo delle briciole d'affetto per te? L'odio, è la sola risposta ragionevole, la cosa che temi più di ogni altra.
Il tuo pianto non può che ritornare ad essere disperato, della stessa intensità del senso di colpa che ti sta avvelenando, la paura che ti accompagnerà -ormai lo sai- fino alla tomba e tra un singhiozzo e un rantolio, con la voce spezzata dall'emozione e dalla sofferenza ti perdi in una litania, che ripeti fino a quando non chiudi gli occhi sfinito.

"Papà ti voglio bene, perdonami, ti voglio bene." 



Looking at the skies I seem to see
A million eyes which ones are yours?
Where are you now that yesterday
Has waved goodbye
And closed its doors?
The night is so much darker;
The wind is so much colder;
The world I see is so much bigger
Now that I'm alone.
Papa, please forgive me.
Try to understand me;
Papa, don't you know I had no choice?



Sobbalzi al rumore di un auto passata di corsa davanti alla chiesa; ti accorgi di esserti addormentato esausto dal pianto. Non sai che ore sono, ma non hai più voglia di stare in quella in chiesa, ma tornare al caldo, nel tuo letto. Mediti anche la possibilità di abbracciare la tua mamma al mattino, non hai più voglia di essere arrabbiato con lei, dopotutto è l'unica persona che ti ama incondizionatamente, sempre pronta a coccolarti, viziarti e a farti ascoltare le parole che desideri sentirti dire.

"La mamma è grande" sussurri mentre le labbra si increspano in un sorriso malinconico, che prova nostalgia dei giorni precedenti alla grande verità. Provi nostalgia anche per colui che eri fino a qualche giorno prima: eri terribile, ma almeno non sentivi davvero niente, non avevi una coscienza con la voce maledettamente simile a quella di Kyle.
Tiri su col naso e provi a metterti in piedi, non senti le gambe, sono anchilosate, hai bisogno di qualche minuto per reggerti correttamente in piedi, sentirle e poter camminare. Senti la stessa difficoltà che può avere un bambino di un anno che ha bisogno dei genitori per esser sicuro di non cadere e poter imparare a camminare correttamente. L'analogia ti scalda un po' all'altezza del petto: forse sei difettoso proprio per questo, eppure non riesci a dare la colpa né a tuo padre, né a tua madre, perché sei al primo a sapere che tanti sbagli si fanno con le più buone intenzioni. 

Aperta la porta della chiesa, il vento ti schiaffeggia le guance paffute, sembra averti frustato e scosso ti metti le mani in tasca, maledicendoti per non aver preso i guanti; non hai pensato molto quando ti sei fiondato fuori, volevi solo controllare che sotto quel lampione non ci fosse nessuna ciotola di chili, non immaginavi saresti arrivato tanto lontano.
Il vento ti fa alzare lo sguardo, è lo stesso cielo di sempre, di prima, eppure provi una grande emozione, ti lasci incantare da quella sensazione di stupore, dalla meraviglia: è l'immensità che stai guardando, una squarcio di essa e ti chiedi dove esattamente sia Dio, dove tuo padre: su qualche nuvola? Oppure...  sono quello che vedi? Che quelle costellazioni siano in realtà siano migliaia di occhi che osservano i mortali come te? Forse ci sono anche i suoi occhi tra quelli, per qualche minuto cedi al gioco, tentando di immaginare quali possano essere ma se guardano te, che razza di espressione possono avere?
Sono tutte magnifiche quelle stelle, se lì ci fossero gli occhi di tuo padre supponi che in essi non ci sia che sprezzo, uno sguardo di certo non degno di quello splendore che regna nel cielo. Se quelli sono occhi, sono tutti stupendi, fieri, fieri probabilmente di ciò che vedono, probabilmente lo sguardo di Jack veglierebbe su colui che considera il suo unico e vero figlio, veglierebbe su Scott e sarebbe fiero di lui, anche se per te non è altro che un bullo, uno stronzo che se non ti avesse offeso a quel modo, non avresti mai fatto quel che hai fatto: volevi dargli una lezione, fargliela pagare per essersi preso gioco dei sentimenti di un bambino, volevi farlo in modo doloroso e... ci sei riuscito. Ma l'unico che alla fine sembra averci perso sei stato proprio tu.
Stringendoti il maglione alle spalle riprendi i tuoi passi per la via verso casa; tutto sembra più buio, più grande, tu solo un piccolo punto che potrebbe venir ricoperto di neve e dimenticato da tutti, solo il cielo sarebbe testimone della tua scomparsa e non pensi proprio che sarebbe un fatto degno di nota per alcuno, se non per tua madre.
E' una paranoia stupida quella che sta crescendo dentro di te e non sai se è colpa dell'ora, di quella visita in chiesa o della coscienza, quello che sai però è che dal giorno in cui hai fatto quella scoperta -con Scott che ti teneva la testa dentro una ciotola di chili- non sei più lo stesso, sei come come un bambino sperduto in una giungla metropolitana di menzogne e ipocrisia, e la parte più divertente di tutto questo, la crudele ironia del destino, è che tu non sei meglio di loro, ma peggiore.

Forse Kyle nelle sue parole cattive contro di te aveva ragione.
E questo ti fa rodere il culo in maniera inimmaginabile.

Calci violentemente la neve, la calci con tutta la rabbia che hai dentro, con tutto l'odio che scorre nel tuo sangue, l'odio che che di solito sfoghi contro hippies, ebrei, pel di carota, fan dei Griffin, High School Musical, Jonas Brothers... e sì, anche contro Barbra Streisand che ti ha preso per il culo, contro tutti loro prendi a calci quella cazzo di neve ogni presente ad ogni tragedia, sicuramente anche il giorno stesso in cui sei stato concepito; inciampi, ma non per questo la tua foga si paca, a mani nude, in ginocchio, prendi a pugni quell'odiosa massa bianca. 
Odi South Park, odi tutta quella fottuta gente col sorriso sempre in bocca, le loro casette colorate e felici, piene di bambini ridenti, mamme puritane e papà che pensano a portare lo stipendio in casa, che non lasciano che la loro adorata moglie si prostituisca per per regalare un po' di felicità alla loro famiglia, per nutrirli e dargli 20,0 $ per divertirsi. Scott era come tutti loro, quell'odioso testa di cazzo viveva in quell'utopia, quando ti ha offerto la pubertà per 20,0 $ credevi che la tua vita fosse risolta, se maturavi prima  potevi essere l'uomo di casa, lavorare, essere indipendente, non permettere a tua madre di vendersi per farti mangiare... eri più piccolo a quel tempo, più ingenuo, più sognatore e con quei preziosi 20,0 $ -che chissà come aveva preso la tua adorata mamma- credevi di risolvere tutto, invece oltre ad essersi preso gioco di te, ti ha fregato quei soldi. Avevi provato in ogni modo a farteli ridare, in modo diretto e gentile, anche, ma non aveva sentito ragioni e aveva continuato a prenderti per il culo, a ridere di te... quello stronzo.
L'umiliante ricordo ancora ti fa versare lacrime.

Prendere a pugni la neve, con le mani ormai gelate e sanguinanti le nocche, ancora non ti soddisfa.

"Odiosa città di merda. Dovresti bruciare, bruciare!"

Per la prima volta vorresti vederla rasa al suolo, tutta, con tutti i suoi abitanti, te compreso.
Stringendo i pugni, ignorando il dolore alle nocche immagini lì la brutta faccia di Scott, il primo che avrebbe dovuto crepare, avresti dovuto avvelenarlo quel chili, almeno saresti col cuore in pace e Jack sarebbe vivo 'sarebbe solo il mio papà'.
Volevi ferirlo -ripensi ossesionatamente a queste due parole- volevi ferirlo.

"Che avrei dovuto fare? Avevo scelta?" non comprendi essenzialmente dov'è stato il tuo errore, nella tua infantile convinzione di avere la ragione in mano.

"Papà, a quanto pare... i tuoi figli sono degli stronzi. Ognuno a modo suo."              



Can you hear me praying,
Anything I'm saying
Even though the night is filled with voices?



"Tu non meritavi né me, né Scott."

Dopo un colpo più debole a terra ti fermi, rimanendo sempre sulle ginocchia. Attraverso i jeans la neve si scioglie, bagnata penetra.

Congelare sarebbe una giusta punizione? Il giusto prezzo per quello che hai fatto?

"Vorrei davvero sapere qual'è la cosa giusta."

Tuo padre sicuramente sapeva qual'era la cosa giusta, sempre. Era uno dei Broncos che vinse il SuperBowl, ergo un mito vivente -come tutti i Denver Broncos, del resto- e i miti, gli idoli, non sono forse quelli che sanno sempre tutto? Se no, come potrebbero vincere?
E' davvero frustrante non aver potuto conoscere quel mito di padre e al pensiero un'ultima lacrima ti cade, quella che giuri è l'ultima. Un'ultima amarissima lacrima, perché sei stanco di esser tanto debole, invece, lui... "Tu sì che eri forte, papà" lo dici senza sapere, solo da tifoso.

"Avrei davvero voluto che tu mi avessi insegnato ad esser forte e a fare la cosa giusta."

Lo dici col cuore in mano, come una preghiera. Sai che non sarà mai realizzata, ma ti hanno insegnato a catechismo che parlare con il cuore mette in contatto con Dio, che le preghiere raggiungono il cielo, per questo stanotte, da quando hai fatto quel segno della croce, stai parlando col cuore.
E sei certo che Jack ti stia ascoltando, magari, non vorrebbe, ma ti sta ascoltando. E speri che capisca quanto amore c'era riservato per lui, quante preghiere, quante speranze, anche se ormai non rimangono che rimpianti, per ciò che sarebbe potuto essere, per ciò che avreste potuto fare. 

"Fa male non conservare neanche un ricordo."

Mormori, prima che una voce familiare nel buio chiami distintamente il tuo nome. Ne seguono altre di familiari, confuse, unite e stai per alzare la testa quando un fiocco di neve cade sulla tua fronte.
Dilati gli occhi, è un tocco che ti ricorda qualcosa, di parecchi anni prima, un buffetto. 

Si scioglie come si slega un ricordo prima prigioniero del tuo inconscio.
Quelle voci non hanno più tanta importanza.



I remember everything you taught me
Every book I've ever read...
Can all the words in all the books
Help me to face what lies ahead?



"Vaffanculo a Stan, vaffanculo a Kyle e vaffanculo a Kenny."

Avevi sei anni e avevi appena detto le tue prime parolacce, per rabbia. Quei tre ti hanno sempre fatto rabbia.
Avevate giocato un'importante partita di football, ma non era colpa tua se avevate perso, non eri un bravo difensore, ma non capivi il perchè di tutti quelli gli insulti, esagerati e crudeli, sulla tua stazza, sul tuo sedere 'non sono grasso, ho le ossa grosse, lo dice anche la mamma' pensavi mentre tiravi su col naso, seduto dopo la partita tra gli spalti  sporchi di coca-cola, buste di carta e briciole di patatine e pop-corn.
Non eri come non sei tutt'ora brillante negli sport, è vero, ma non è colpa tua; quando corri hai subito l'affanno e ti stanchi in pochi minuti, e quando avevi sei anni ti sembrava ancor più faticoso, ricordavi quel giorno quanto ti eri sentito umiliato: avevi cercato di difendere la palla con tutta la tua forza, mettendoci anche un po' di coraggio e poi ti eri ritrovato con risa ed insulti, la maggior parte di Kyle, che si credeva tanto figo quando era quarterback a quel tempo.
E proprio su quei gradini, mentre cercavi di non ascoltare quelle parole che la memoria rendeva eco, desiderasti che tutto bruciasse, che tutti fossero risucchiati da qualche buco in terra o che una tempesta portasse via ogni cosa, senza lasciare traccia, neanche di te.
In fondo -pensavi- a cosa serviva nascere come un perdente? Se non c'era nulla di buono nella realtà in cui vivevi, te compreso, che senso aveva che tutto continuasse, che la vita continuasse?

"Tutto ok, figliolo?"

Alzasti lo sguardo verso un tipo in tenuta sportiva e un berretto blu con rifiniture arancioni, con al centro un cavallo rampante bianco con criniera arancio, lo ricordi ancora, i tuoi occhi erano fissi su quel cappello con visiera, era... figo, davvero. Per un attimo avevi scordato tutto, ma quando l'uomo ripeté la domanda ritornasti alla realtà.

"No. Ma se può aiutarmi a spazzar via questo buco di culo di paese allora sarebbe ok."

L'uomo rise alle tue parole e si sedette al tuo fianco. Non avevi idea di chi foste, ma il fatto che tifasse Broncos lo rendeva simpatico ai tuoi occhi.

"Anch'io tifo Broncos. Loro sì che sono dei gran fighi, non noi Cows" con una nota dolente ammettesti che voi facevate davvero pena, che un giocatore professionista avrebbe vomitato se avesse assistito a quella partita, ammetti anche che te stesso in campo sei stato pessimo, ma di certo quel quarterback ebreo non era migliore di te, non sapeva neanche reggere la palla e tirarla oltre i suoi piedi, senza contare quel kicker biondino tremolante di Stotch che è riuscito a inciampare sui suoi piedi prima d'aver sfiorato la palla.
Il tuo racconto sui tuoi compagni divertì alquanto quell'uomo, si fece serio però quando iniziasti a parlare di tutti gli insulti rivolti a te, sulla tua stazza e la tua goffaggine, detti da chi poi? Da Kyle che non aveva la stoffa del leader, da Stan che come Runningback era più lento di un asino e da Kenny che nel ruolo di guardia era riuscito a farsi mettere letteralmente i piedi in testa ed era stato sostituito perché aveva riportato ferite serie. 

"Capisce? Son dei buoni a nulla, però se la prendono con me per i loro fallimenti, perché io sono grasso per loro..." ti vergognasti come un ladro nel dirlo "...ma io ho solo le ossa grosse."
L'uomo ti accarezzò i capelli, come nessuno, tranne tua madre, aveva mai fatto.

"Sarebbe bello se ogni cosa scomparisse. Se questo cavolo di posto scomparisse, me compreso. Io non ci voglio vivere in una merda di posto come questo."

"Anch'io l'ho pensato tante volte, sai? Quando ero ragazzo. E sono felice di non averlo fatto altrimenti non sarei chi sono adesso, non avrei potuto trovare persone da amare e... non sarei felice."

Si tolse il berretto mettendolo sulla tua testa e rivelando alla luce del sole una chioma rossa e dei baffi che avevi notato.
Non avresti mai dovuto scordare quella faccia, mai.
Perché solo ora la ricordi chiaramente?

"Ciò che non ti uccide ti rende più forte, diceva un filosofo. E questo berretto è tuo ragazzo: i Broncos oggi sono fortissimi, ma hanno subito durissime e umilianti sconfitte, lo sai?"

L'avevi guardato senza capire pienamente quelle parole, ma pensavi suonassero bene, fighe in un certo senso. 

"E poi ti ho notato mentre giocavi, alcune azioni erano davvero da campione."

"Dice davvero?"

Non eri certo che dicesse il vero, anche se lo speravi, ma quell'uomo sorrideva in quel momento e ti guardava negli occhi.

"Dico davvero. Hai delle buona potenzialità, devi... lavoraci, ecco tutto."

Non ti perdonerai mai di aver dimenticato quello sguardo, eppure -ironicamente- il tuo inconscio non aveva mai scordato quell'uomo e quelle parole, perché ricordi di aver cercato il filosofo di cui ti aveva parlato, Nietzsche, di aver letto -nonostante la tua giovane età- quei libri, cercando di far tue quelle idee che suonavano così fighe, soprattutto da citare.

Un buffetto poi concluse quella conversazione.


Ti hanno ferito, in tanti, nel profondo, ma aveva ragione: non sei morto, sei stato forte, tanto da... aver cose terribili e aver dimenticato -quando hai fatto a pezzi Jack- che lui ti aveva quel cappello così figo.



The trees are so much taller
And I feel so much smaller;
The moon is twice as lonely
And the stars are half as bright...




"Cartman!"

Ritorni bruscamente alla realtà. Ti senti così misero, insignificante... pensi di odiare ardentemente Kyle, Stan e Kenny, te lo ripeti, anche se provi un profondo desiderio di abbracciarli, abbracciarli forte.
Non ti volti verso la provenienza di quelle voci -chiare e distinte- preferisci sederti a terra, cingerti le gambe e gelarti il sedere dando le spalle a chi ti chiama.
Ti eri ripromesso niente lacrime, ma dopotutto sei ancora un bambino, e -sì- sotto tutta quella ciccia c'è un cuoricino che batte, che ha dei sentimenti, oltre a tante ferite.
Ti vergogni a mostrarti così  ad altri.

"Eric! Stai bene, sei ferito? Hai... mal di pancia?" una testolina bionda è la prima a precipitarsi da te, a inginocchiarsi davanti alla tua figura e a rivolgerti parole particolarmente premurose. Dannata Strachecca, perché cavolo non è a dormire con il suo peluche di Hello Kitty?

"Ehi, Cartman, amico, stai bene. Tua madre ha chiamato i nostri genitori e siamo tutti usciti a cercarti. Che ti è successo?" quando senti la luce della torcia sulla tua faccia, vorresti darla in testa a Stan, ma le sue parole ti fanno comunque piacere, invece che quelle del tuo formale Migliore Amico che mormora dentro il suo parka 'Possiamo andare a casa, ora che l'abbiamo trovato? Sto morendo di sonno', certe volte vorresti proprio ucciderlo con le tue mani Kenny, ma in fondo -lo sai- è stato solo onesto.

"Odio South Park." soprattutto ora che convivi con la più dura realtà.

"Dovrebbe sprofondare all'Inferno."

La testa ritorna volta verso il basso, con la fronte premuta contro le ginocchia, ma le tue parole son state sentite distintamente dai presenti. Una mano si poggia sulla tua testa, coperta dal berretto celeste ormai zuppo, ricorda una di quelle carezze che riservi a Kitty quanto fa la brava gattina. Non sai chi ti abbia riservato quel gesto, ma quando senti la voce dell'ebreo così vicina, rabbrividisci: cos'è? Compassione? O, peggio, pena?

"Lo penso spesso, anch'io. E' tutto così fottutamente assurdo qui, la gente è folle e forse lo diventeremo anche noi, o semplicemente lo siamo ma non lo sappiamo ancora. Ti darei volentieri una mano per una volta, sai Culone? Radere al suolo South Park sarebbe davvero uno spasso e -sarò sincero- vorrei tanto andassi al diavolo anche tu tante volte." Che diamine ti accarezza la testa allora?
 "Eppure che senso avrebbe? Questa è sempre e comunque la mia città, ci sono nato, ci vivo e ci sei anche tu che fai parte di essa e della mia vita, della nostra vita che... non avrebbe assolutamente senso senza tutto questo, senza te."
Alzi il volto, con gli occhioni umidi, stupiti dalle parole di Kahl, che è lì, con una specie di sorriso e sguardo apprensivo. Una volta avevi pensato una cosa molto simile, era tanto tempo fa e... te l'aveva messa in testa proprio quell'hippie di Stan.
Vuoi dire qualcosa ma Kyle non te ne dà modo.
"Sarò forse uno stupido per te, ma io credo che le cose, sempre, possano cambiare in meglio ma dobbiamo prima di tutto volerlo noi, agire noi, allora se cambiano desideri simili non ne avremo più. Tu stesso Cartman non credi di essere cambiato un po'?"

Sei un po' imbarazzato dalla situazione, perciò rispondi nel tuo solito modo arrogante, da cazzone "No, io sono sempre lo stesso figo di sempre." Kenny ti sfotte, ride dentro il suo cappuccio mentre Stan si stringe con le dita la base del naso e Butters fa scontrare nervoso gli indici.
Kyle però ti conosce fin troppo bene per prendersela anche in quel momento "All'inizio pensavo davvero che piangessi perché tuo padre era rosso, ma ora, il semplice fatto che sei qui con questo stato d'animo, dimostra sei cambiato, stai crescendo e... sta nascendo qualcosa di buono in te."

"Ho ucciso mio padre Kahl, che cosa vuoi ci sia di buono?!" Sbotti, quasi ringhi, nervoso e frustrato.

La reazione di Kyle è l'ultima che ti aspetteresti.
Ti abbraccia.
Senza pensare, senza vergogna, come se tu fossi quella checca del suo Super-Migliore-Amico o Ike.

"Lo dimostra questo. Lo dimostra che sei pentito e... che hai imparato qualcosa da un tuo gesto" e subito dopo senti l'abbraccio di Butters sovrapporsi e singhiozzare il tuo nome. Si aggiunge anche Stan, mentre Kenny rimane in disparte "Che bello spettacolo gay" commenta, ma basta un rimprovero di Stan per farlo unire a quell'abbraccio.Per una volta ha ragione Kenny: questo è davvero gay.  
Non ti senti più così minuscolo ora, né il freddo è tanto pungente; Scott avrà avuto pure un padre e una madre sempre vicini, ma di sicuro non ha avuto quel tipo di famiglia non sanguinea che c'è sempre, vi odiavate davvero, loro sono la causa di tanti pianti da bambino, ma cosa possono fare dei ragazzini tanto piccoli se non giocare a prendersi in giro? Se solo l'avessi capito prima... è bastato tra l'altro poco per diventare loro amico, indossare quel cappello facendo il fighetto e chiamare stupido francesino Pip.
Ti chiedi se tuo padre -magari con silenziose preghiere- non sia stato proprio lui a desiderare per te una famiglia speciale come questa. Domani sai già che li prenderai per il culo tutti quanti, come nulla fosse successo, e loro faranno lo stesso, così funzionano le cose alle elementari, così funzionano tra maschi, per ora vi godete però quello speciale momento, che non sapresti descriverlo a parole, perché -come hai sempre ammesso- non sei bravo ad esprimere i tuoi sentimenti con le parole ma ti viene una canzone alla mente.
Non c'è più freddo, solo un piacevole torpore.
Heat of the moment.



Pensi irritato, mentre hai solo il desiderio di rimanere solo.
Papa, how I love you...
Papa, how I need you.
Papa, how I miss you
Kissing me good night...
  


E' un dondolio piacevole, senti un brusio di sottofondo. Non hai la forza di riaprire gli occhi, ti crogioli nella confortevole e calda morbidezza dei sedili, oltre a lasciarti a peso morto alle leggi della gravità che ti fanno cadere su qualcosa di morbido, ti ci strusci, sembra una felpa, forse i giocatori di football la indossano spesso per andare agli allenamenti, perché è così, no? La tua mamma sta guidando verso casa da Denver, dalla sede dei Broncos, ti senti sciocco ad esserti addormentato con tuo padre presente, ma sei stanco ed è una bella sensazione dormire vicino al proprio papà, senti il suo odore, odore di sigaretta, della sigaretta post partita; lo chiami, un mormorio leggero nel sonno e qualcosa di morbido ti sfiora la fronte, è il bacio della buonanotte.
"Ti voglio bene" è un mormorio che si conclude con un sorriso il tuo, il sorriso di un bambino che sa di essere amato.



*



"Non toccargli i capelli Kyle, lo sveglierai. E... papà, spegni quella sigaretta, mi dà fastidio"

"Shhh... Stan, così lo svegli tu" il sussurro di Kyle è gentile, come il suo sguardo posato sul paffuto bambino che si è accomodato sulla sua spalla, che inizia a dolergli. Non lo caccia via però, né ha la minima intenzione di farlo.
Stan dall'altro lato del sedile guarda preoccupato il suo migliore amico, poi rilassa la sua espressione e parla col tono più adatto e discreto al momento.
"Suonava molto gay il discorso che gli hai fatto, Kyle."

"Credo ne avesse bisogno. Sarà sempre Cartman, ma ha avuto delle giornate pesanti."

"Come facevi ad esser certo che il problema fosse suo padre?"

Kyle guarda per un attimo Stan, sta per aprir bocca quando Eric si struscia e chiama suo padre, l'ha scambiato per lui? Non lo sa il piccolo ebreo, ma abbozza un sorriso "Intuito forse."

"Lo stesso che ce l'ha fatto trovare."

"Già."

"Sai che ti prenderà in giro per quello che hai detto e fatto, vero? Ti sfotterà con tutti a scuola."

"Forse no" Kyle è ottimista, lui crede che ci sia sempre qualcosa di buono, in tutti "il nostro piccolo uomo sta davvero crescendo." 

Stan soffoca una risata sentendo quella frase da paparino amorevole, mentre Kyle sistema attento ad Eric la frangia, poi sospira, vuole ignorare che il suo migliore amico lo stia deridendo e alza gli occhi al cielo, dove c'è una stella brilla più delle altre, attira la sua attenzione questo, ma dura solo un secondo... "Ti voglio bene" è il sussurro di Eric che sorride felice.
Kyle, spera possa essere un sogno davvero felice mentre la stella schizza via, illudendo gli occhi che cada in terra.

"Che cosa inquietante: coccolalo ancora un po' e si innamorerà di te, Kyle."

"Fanculo, Stan."

"Il nostro piccolo uomo sta crescendo, no? Parole tue Kyle."

 








Da molto tempo desideravo scrivere una fanfiction in reazione agli episodi 200 & 201 e alla fine -grazie all'ispirazione data dal concorso La Sombra del Viento- ce l'ho fatta.
La storia è sviluppata intorno alla canzone ironicamente di Barbra Streisand, perchè l'ho trovata perfetta per Eric, per esprimere il suo stato d'animo.
Per il momento non ho molto altro da dire, mi sono impegnata però a realizzare nel modo più delicato possibile un tema difficile e -sì- alla fine ho messo del Fluff pre-Slash perchè voglio tanto bene a Eric, e mi sembrava giusto dargli l'affetto che merita.

Questa fanfiction è stata scritta per il contest "La Sombra del Viento" contest che è sopravvissuto solo grazie a NonnaPapera che si è occupata di giudicare le storie anche se non era stata lei a indire il concorso e la ringrazio personalmente per aver accettato di giudicare le nostre storie e per i giudizi espressi di cui sono più che felice e che riporto qui sotto.

Grammatica e lessico: 9
Ci sono alcune ripetizioni e ho notato anche un errore grammaticale giusto nella primissima riga. Per il resto il lessico è molto scorrevole e la scelta di scrivere l’intero racconto in seconda persona l’ho apprezzata moltissimo
Originalità: 15
Questa storia si che è originale. Insomma non avrei mai immaginato di leggere una fic sull’introspezione di Cartman e del suo “rapporto” con il padre. Lo sviluppo è lineare ma comunque la storia lascia il lettore incollato allo schermo fino a che non ha finito.
Caratterizzazione dei personaggi: 13,5
Ecco qui secondo me sei andata leggermente OOC per quanto riguarda il personaggio di Eric. Insomma per chi lo conosce un pochino pare difficile immaginarlo sommerso dai sensi di colpa che non lo fanno dormire la notte. Soprattutto quando pensa di essere un mostro, quel passaggio mi è parso poco aderente al suo carattere folle ed assolutamente dissoluto.
Consequenzialità causa effetto: 10
Nulla da segnalare, la storia è piacevole da leggere ed ogni passaggio e chiaro e ben delineato.
Apprezzamento personale: 15
Fic davvero particolare. L’ho amata alla follia fin dalle prime battute. A parer mio sei riuscita a ricostruire molto bene tutta l’atmosfera cinica e disincantata che permea questa scorretta serie televisiva.




Note per capire meglio la lettura.


Scott Tenorman Must Die & 200/201
: Eric nella quinta stagione della serie di South Park ha teso una trappola ai genitori del bullo Scott Tenorman che disse loro di andare a prendere un cavallo che credeva volesse morderlo ai genitali. I signori Tenorman andarono dal cavallo, convinti avesse bisogno d'aiuto, che fosse solo e maltrattato ma il contadino -come Eric aveva previsto- gli sparò. Quella era solo la prima parte del suo piano di vendetta, sapeva che Scott avrebbe mandato -senza saperlo- a morire i suoi genitori. In seguito Eric ha preso i cadaveri dei due Tenorman, li ha fatti a pezzi e con la loro carne ha preparato del Chili che poi ha fatto mangiare a Scott.
Nella quattordicesima stagione si scopre che il Padre di Scott Tenorman era anche il padre di Eric, il padre che aveva sempre cercato disperatamente.   

Brian Boitano: campione olimionico di pattinaggio artistico americano. Nel primo film di South Park, i ragazzi in difficoltà si chiedono cosa avrebbe fatto Brian Boitano al loro posto e cantano l'omonima canzone.

Viaggi nel tempo: citazione al fatto che l'Eric Cartman del futuro è il presidente dei viaggi spazio-temporali.

Radiohead: idoli di Scott Tenorman che l'hanno deriso vedendo l'adolescente in lacrime, ma senza sapere il vero motivo. Era la ciliegina sulla torta della vendetta di Eric.

The Passion: quando Eric rimane impressionato dal crocefisso è perchè ha il ricordo ancora vivo del film di Mel Gibson, The Passion e per questo è osessionato dall'idea che gli ebrei siano dei crudeli assasini che meritano l'inferno; ciò non rispecchia minimamente comunque il mio pensiero, né quello di Mel Gibson in tutta onestà, Eric si è solo concentrato su questo particolare.

Denver Broncos: squadra di fottbal di punta di Denver, del Colorado, squadra per cui tifa tutta South Park, visto che Jack Tenorman -di South Park- era nella squadra. E' mitizzata all'interno della serie vist che gli autori ne sono accaniti tifosi e per questo i bambini protagonisti trovano mitica questaa squadra e la idolatrano.
I colori della squadra sono il blu e l'arancio e un cavallo bianco lo stemma/mascotte.

La fede di Eric: Eric è cattolico e nonostante bestemmi e non sia affatto un buon cristiano, lui prega -quando gli fa comodo- e tenta di manipolare Dio con le sue richieste. Comunque crede in lui e ha un rapporto stretto con Dio.

Strachecca: nome che Eric ha affibiato a Butters.

SuperBowl: campionato di Footbal più importante.

Eric Bambino: da quello che disse Pip nell'episodio Damien, Eric era un bambino preso in giro da tutti come lui, ma quando Eric ha avuto il coraggio di prendere in giro Pip, Kyle e Stan l'hanno considerato figo e l'hanno voluto come amico, anche se nelle prime serie si approfittano di lui, come fece Scott Tenorman e solo da quell'episodio Eric inizia a diventare un bambino terribile e temuto. 

Heat of the moment: canzone cantata da Eric nell'episodio Kenny Muore, per esprimere il sentimento che prova in quel momento.



   
 
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