5.
Quando
Joseph
Anderson varcò la soglia della porta era mezzogiorno, lo
stesso orario di ogni
mese.
Sara era andata ad aprirgli, i due ex-coniugi si erano salutati con un
ampio
sorriso sulle labbra e con un abbraccio amichevole.
“Ma ciao Sara! Stai benissimo!”
“Anche tu, lascia che ti aiuti con i bagagli.”
“Non ci pensare neanche, faccio io. Oh, questo posto non
cambia proprio mai eh?”
I soliti
convenevoli che permisero a Joe Anderson di ritornare nelle loro vite.
-
Blaine
era
tornato a scuola, la Dalton aveva continuato a marciare senza di lui
riuscendo
a non farsi sfuggire la questione della sua breve scomparsa. Lui,
d’altra
parte, era riuscito a spacciare la causa delle sue assenze per una
banale
influenza, perché non avrebbero dovuto credergli?
Blaine
sembrava
essere tornato alla vita di tutti i giorni. Sorrideva come sempre.
Sembrava
molto lontano da quel Blaine sull’orlo di una crisi, che Kurt
aveva visto pochi
giorni prima. Ma Blaine andava a scuola, si comportava normalmente,
studiava,
non c’erano state più scene alle riunioni dei
Warblers come quella della
settimana prima –che sembrava esser stata totalmente
dimenticata dagli altri
membri- tutte cose
che per Kurt erano
sufficienti ad affermare che, sì, forse Blaine stava bene.
-
Blaine
ebbe un
groppo alla gola quando si accorse che, mentre percorreva il sentiero
che
portava a casa sua, le luci erano tutte spente.
Varcò la soglia della porta e il rumore delle chiavi,
buttate nel piattino di
ceramica posto all’ingresso, rieccheggiò per tutto
l’ingresso. Accese la luce e
fece un giro della stanza per vedere se effetivamente era solo.
“Mamma?” disse a voce alta. “Mamma? Sei
qui?”
Salì le scale per controllare camera sua, ma Nelly non
c’era e neanche la sua
borsa. Doveva essersi trattenuta a scuola o probabilmente era andata a
bighellonare in giro.
Scese di nuovo le scale, per vedere se sua madre aveva lasciato
qualcosa da
mangiare.
A metà strada, però, un rumore metallico
proveniente dalla cantina gli fece
perdere un battito al cuore. Non era solo. Sentì
l’adrenalina montare e con un
respiro forte scese le scale che portavano allo scantinato. Allora lo
vide,
vide chi si aspettava di vedere. Era un po’ più
magro e i capelli erano più
grigi, se lo ricordava con i capelli neri e più lunghi,
ricci come i suoi e
come quelli di sua sorella. Spaventosamente simile a lui, odiava
somigliarli
così tanto di aspetto e inorridiva ogni mattina nel
guardarsi allo specchio, così
tentava di nascondere quel tratto che li accomunava con pettine e una
discreta
quantità di gel, in modo da eliminarlo completamente dalla
sua persona.
Ora però se lo ritrovava davanti, ancora una volta.
Stava controllando il motore della macchina, un lavoro da uomini, si
sa.
Grazie a lui ora conosceva tutte le parti di un auto, motore, telaio,
sospensioni, trasmissione, impianto frenante, ruote, frizione, cambio,
carrozzeria,…
“Ciao” disse l’uomo vedendolo da lontano.
“Cosa ci fai qui?” la sola vista di
quell’uomo gli scatenava una rabbia
incontrollata dentro di sé.
“Come cosa ci faccio qui?” fece calmo e accennando
una mezza risata. “Tua madre
mi ha ospitato qui, non ti ricordi?” e riprese a lavorare.
Blaine spinto da un istinto di cui non conosceva bene
l’identità, si fece più
vicino a lui.
“Si ma soltanto perchè non ti conosce
bene.”
L’uomo posò la chiave inglese in un tavolo e
guardo il figlio con espressione
incredula. “Ma come? Pretendi di conoscermi meglio di come mi
conosce lei?”
“Di gran lunga” fece a denti stretti.
“Provamelo.” Abbassò
la voce in segno di
sfida.
“Puzzi d’alcol da far schifo.” Fece
ancora un passo verso di lui, oramai si trovava quasi sotto il suo
mento ma
riusciva ancora a trovare la forza di guardarlo negli occhi.
“Tu fai schifo!”
“Non sono certo io quello che lo va a prendere dietro dagli
amici” si fece
grosso sul ragazzo per provocarlo. “Si sente da un chilometro
lo sai?”
“Che cosa?”
L’uomo
si
abbassò, in modo da poter guardare il figlio negli occhi. Il
ragazzo era nauseato
dall’alito pesante e forte che sentiva mentre
l’altro respirava. L’uomo misurò
il tono della voce, cercando di scandire ogni singola parola.
“Puzzi
di sborro
da far schifo.”
In quell’attimo tutta la rabbia che Blaine aveva montato
dentro di sé esplose,
arrivando fino alle sue mani. Con una forza che non sapeva di avere
tirò un
pugno dritto in faccia al suo vecchio, che essendosi abbassato, cadde a
terra
in un secondo.
Appena
l'uomo si rialzò,
Blaine si ritrovò sospeso in aria, sollevato dalle braccia
del vecchio che lo
sbatteva al muro del garage con forza inaudita. Una volta, ancora
un’altra,
sempre più forte. Sentiva la sua schiena bruciare sotto
tutti quegli impatti,
che diventavano sempre più veloci e dolorosi.
Non era la prima volta che quei due ricorrevano alla violenza, anzi,
Blaine non
ricordava neanche un momento recente passato con suo padre in cui non
se le
fossero date di santa ragione.
Dopo essere stato sbattuto a terra Blaine trovò la forza di
rialzarsi e tirare
un altro pugno in faccia a suo padre, questa volta però fu
meno potente e
sbagliò la mira, infatti prese lo stomaco.
Dopo
quell’attimo
non sentì davvero più niente, solo un flash, un
attimo, e poi, come uno scontro
momentaneo che gli procurò un dolore indescrivibile al viso.
Poi qualche luce
soffusa, e poi il nulla.
Buio.
-
Per Nelly
lo
sciopero dei mezzi era davvero una maledizione inviata dalla dea
Fortuna.
Tornare a casa a piedi e raggiungere la campagna per
quell’ora e quaranta
minuti che distava dalla città era davvero troppo. Almeno
avesse avuto un amico
con cui chiaccherare durante il tragitto.
Finalmente giunse a casa, era in ritardo massimo, ma sua madre
l’avrebbe
perdonata.
Scaraventò la borsa all’ingresso e si diresse in
cucina in cerca di qualcosa da
mangiare. Vide un biglietto sul frigo.
Ragazzi
sono a un pranzo di lavoro, tornerò stasera.
In frigo c’è il pranzo
Un bacio
Mamma
Nelly
rabbrividì.
Sua madre non c’era questo voleva dire che aveva lasciato
Blaine da solo.
“Blaine” chiamò a squarciagola
“Blaaaineee! Dove sei?” fece il giro della casa
e delle camere da letto. Nessuno.
Esaminò
l’ipotesi
che si trovasse in giro per il centro commerciale con i suoi amici ma
avrebbe
senza dubbio lasciato anche lui un biglietto. Ma allora
perché tutte le luci
erano spente?
Mossa da
un’ultima
speranza prima di cercarlo al cellulare scese le scale verso lo
scantinato.
“Oh…Merda!”
Corse
verso il
corpo del suo fratello minore ancora privo di sensi. Spinta dal primo
dei suoi
istinti lo prese di peso –non era poi questa gran fatica- salì i due
piani che la separavano dalla loro
stanza e lo gettò sul letto.
“Merda,…merda…merda
merda merda!”
-
Kurt era
come
sempre alle prese con la pulizia della sua camera. Vivere con Finn
aveva reso
quell’operazione più lunga e faticosa. Mentre era
alle prese con il pavimento,
sentì l’aspirapolvere toccare qualcosa per terra
in un angolo della stanza.
Kurt si chinò e raccolse quello che pareva essere un
orologio da polso, un
bellissimo orologio da polso, che a giudicare dall’aspetto
doveva essere costato
un po’.
Se lo
rigirò fra
le mani, non era di certo suo, e neanche di Finn, date le sue
difficoltà a
leggere l’orario cardinale.
Fece una rapida analisi delle condizioni della sua stanza nei giorni
scorsi; il
numero di persone che avrebbero potuto possedere un così
bell’orologio e allo
stesso tempo essere stati nella sua camera si riduceva a... uno: Blaine.
Volle
cogliere
quell’occasione.
Sarebbe stato uno spreco ridarglielo a scuola, no, quello era un
qualcosa di
speciale, speciale come l’occasione di poter rivedere Blaine
a casa sua e
vedere lui ringraziarlo di cuore.
Un po’ come la storia di Cenerentola ma tutta al maschile.
Non fece in tempo a
finire di elaborare quel pensiero che aveva già afferrato la
sua giacca ed era
montato in macchina.
Rimase
deluso
quando invece, una volta arrivato, vide che la casa sembrava vuota. Le
tapparelle erano abbassate e le luci spente. Non doveva esserci
nessuno. Provò
comunque a suonare il campanello, ma niente.
Sconfitto
e
amareggiato mise l’orologio dentro la cassetta della posta.
-
Kurt
tornò di
nuovo sui suoi passi, il flusso di pensieri dentro la sua testa fu
interrotto
da un ‘pss’
proveniente da dietro la
sua macchina. Kurt andò a controllare e vide Nelly
acovacciata per terra.
“Abbassati. Veloce!”
Kurt obbedì confuso malgrado temesse di sporcare i suoi
pantaloni sul terreno
bagnato del cortile.
La ragazza prese fiato, si avvicinò al ragazzo e
pronunciò quelle parole con la
voce più flebile e bassa che potesse fare.
“Ascolta… so che è probabilmente la
cosa più sfacciata che possa chiederti e
che noi due ci conosciamo poco, ma… E’ ancora
valida la tua offerta di ospitare
mio fratello per qualche tempo?” era strano sentire quella
ragazza, malgrado la
conoscesse da poco, pronunciare quelle parole in un tono
così umile e
supplichevole.
Kurt la guardò proccupato. “E’ successo
qualcosa?”
“Credo sia troppo lungo da spiegare” fece
accennando un sorriso. “Ma davvero,
credo che sia meglio che non stia qui”
Sentì il rumore, per un attimo fece uno scatto guardandosi
alle spalle, ma vide
soltanto un gatto farsi strada fra i cespugli.
“Ti prego Kurt.” Disse ancora più
umilmente.
Kurt la guardava confuso, non aveva la minima idea di che cosa dire.
“E… che cosa diresti a tua madre?”
chiese.
“Una bugia, no?”
“Non lo so Nelly, non dipende da me.”
“Devo andare adesso.” Disse mettendosi a carponi
“Pensaci, ok?” e corse via.
-
Kurt non riusciva a smettere di pensare alle parole che Nelly gli aveva
detto
il giorno prima.
Davvero non riusciva a capire che pericolo incombente ci fosse a casa
sua.
Provò a cercare quella risposta negli occhi di Blaine mentre
lo vedeva passare
nei corridoi, salutarlo e sfoggiare il suo sorriso di sempre. A lui
sembrava
che la solita routine fosse tornata. Possibile che Nelly fosse matta?
“Caffetteria?
Oggi
pago io.” Disse Blaine una volta uscito da scuola.
“Come mai paghi tu? E’ il mio turno oggi.”
“Così.” Disse con un sorriso. In
realtà non voleva dire che voleva in qualche
modo ‘sdebitarsi’ per averlo ospitato a casa sua,
ovviamente uno stupido caffè
non era sufficiente ma non poteva pensare di lasciar pagare il suo
amico.
Si
sedettero al
solito tavolo, oramai erano clienti abituali.
“Non hai preso neanche un biscotto.”
“Blaine, guarda che non sono un bambino” disse Kurt
con la sua faccia da finto
arrabbiato “Non volevo farti spendere troppo, e poi
è meglio che la smetta con
tutti questi biscotti, non mi fanno bene.”
Blaine sorrise. Kurt sorrise di rimando, perché Blaine era
così bello quando
sorrideva, l’avrebbe guardato per ore. Spostò
l’attenzione sulle sue guance, e
si accorse che quel giorno il suo viso aveva qualcosa di diverso.
“Blaine…Ma
hai
messo il fondotinta?”
“Co-come?” fece l’altro con
un’espressione da finto incredulo.
“Si, hai messo il fondotinta, e hai anche usato il tono
sbagliato. Sembri un
fantasma.”
“Ehm…”
“Oh andiamo non ti devi vergognare! Però sei un
disastro, vieni in bagno con me
che te lo tolgo.”
Kurt lo prese per un braccio e lo trascinò nella toilette
degli uomini. Blaine
si accorse dopo un attimo di spaesamento di quello che stava per
succederere.
“NO! No… perfavore…”
“Guarda che non ti faccio niente!”
Senza poter fare più nulla, Blaine si arrese. Kurt
tirò fuori dalla sua
cartella una salvietta struccante e la passò delicatamente
sul viso dell’altro.
“Ma quanto ne hai messo?” fece mentre lo puliva.
Finì in poco meno di un minuto
metà del viso, poi tirò fuori un’altra
salvietta e si mise a struccare l’altra
metà. Mentre passava la salvietta sullo zigomo sinistro
agrottò le sopracciglia
e rallentò il ritmo.
“Ma che…”
Sotto quella gran quantità di prodotto Blaine aveva un gran
segno più scuro che
si protendeva su tutta la guancia. Un livido enorme.
“Blaine…”
L’altro gli prese la mano che teneva la salvietta e la tenne
stretta alla sua.
“Ti prego…non…”
“Blaine, chi è stato?”
“Un incidente.”
Kurt scosse la testa. “Non è vero.”
“Si invece, te lo giuro.”
In quell’attimo Kurt capì tre cose: che Blaine era
un pessimo bugiardo, che
Nelly non era matta e che lui doveva fare qualcosa.
-
“Ha
davvero detto
così?”
“Si, mio caro. Kurt e suo fratello ci hanno invitati a cena
da loro.”
“E perché lo ha detto a te e non a me
direttamente?”
“Ha chiamato ieri sera e tu stavi facendo la doccia.
Preparati su, non vorrai
mica andarci in pigiama.” disse Nelly lanciando al fratello
una manciata di
vestiti che stavano sparsi per terra. La loro stanza era davvero una
discarica
alle volte.
“Vado
bene così?”
chiese Blaine dopo un po’ mentre si guardava nello specchio.
Indossava dei jeans
scoloriti con una maglia marrone semplice. “Troppo
casual?”
“Perché ti preoccupi tanto?”
“Beh, Kurt è una specie di super esperto della
moda e dell’eleganza. Non voglio
sfigurare.”
Nelly rispose con una sonora risata. “Allora non so proprio
come aiutarti.”
Disse mentre posava la spazzola dopo un vano tentativo di pettinarsi i
ricciolini. “Non riuscirò mai ad
allisciarli.”
“Guido
io.” Fece
Nelly entrando nella macchina di sua madre.
“Sono un po’ ansioso. Avrò scelto bene
cosa mettermi?”
“Tesoro, credimi, non è tanto importante
adesso.”
“Perché dici così?”
“Oh… nulla.”
La
macchina
parcheggiò nel vialetto di casa Hummel-Hudson. I due
fratelli scesero
dall’auto, Nelly si portò più avanti
del fratello e suonò alla porta.
Fu Kurt ad aprire.
“Ciao ragazzi, prego entrate pure.” fece sorridente
dalla soglia.
Era impeccabile come sempre. Indossava una camicia grigia sotto un
gilet scuro
e dei semplici pantaloni neri, semplice, ma allo stesso tempo
quell’immagine
fece pentire amaramente Blaine di non aver speso qualche minuto in
più per
curare il suo abbigliamento quella sera.
I due
fratelli
entrarono in quella casa che avevano già conosciuto qualche
giorno prima. Il
profumo di caffè era stato sostituito, e ora al suo posto
c’era…
“Ma cos’è
quest’odore?” chiese Blaine.
“Una lasagna.” Rispose pronto Kurt.
“Ah, l’hai comprata?”
“No, non mi fido di quello che potrebbero metterci.
L’ho fatta io.”
“Oh… waw” disse sorpreso
“Cioè… hai preparato tutti gli
ingredienti tu e
l’hai…fatta?”
“Certo.” Disse come se fosse la cosa più
naturale del mondo. In verità gli
piaceva ricevere complimenti per la cucina, anche se il suo piatto non
era
stato ancora assaggiato. Non importava: Blaine lo stava ammirando.
“Spero che mi esca bene, ho passato anni vivendo di cibo
da asporto e di ciambelle. Per fortuna ora abbiamo Carole ma non posso
lasciarla da sola, no?”
Blaine annuì e si sentì il re degli inetti a
pensare che lui e sua sorella,
senza la loro mamma in casa, non erano capaci di cucinare neanche un
misero
toast.
“Ah, a proposito.” Chiese Blaine “Dove
sono i tuoi?”
“Fuori.” Si intromise prontamente Nelly
“Siamo soli.”
Blaine guardò stranito sua sorella, che a sua volta
lanciò un’occhiata complice
al padrone di casa.
“Blaine, il motivo per cui siamo qui oggi è un
altro.”
Il moro guardò Kurt dal basso del divano, chiedendo una
possibile spiegazione
con lo sguardo.
“Blaine, tu, da oggi, rimani qua.” Disse la ragazza.
“Che vuoi dire?”
“Hai capito bene.”
“Cos’è questa storia? Credevo che tutto
si fosse chiarito.”
“No Blaine, qui nulla è chiaro.” fece
più autoritaria.
“Ma com-“
“No.”
Il ragazzo prese fiato con un sospiro.
“Perché?”
Nelly guardò un attimo in basso e guardò Kurt con
uno sguardo umile.
“Puoi lasciarci un minuto soli per favore?” Il suo
tono di voce cambiò in un
secondo, come se stesse davvero facendo fatica nel pronunciare quelle
parole.
“Certo” fece Kurt allontanandosi verso la cucina.
Quando
Nelly
sentì la porta chiudersi ebbe la certezza di poter parlare
senza che l’altro
ragazzo potesse sentirli. Si avvicinò all’orecchio
del fratello e bisbigliò:
“Ho
visto cosa ti
ha fatto l’altro giorno.”
Blaine
capì
tutto. Deglutì e chiuse gli occhi. “Succede ogni
volta. Non ti devi
preoccupare.”
“Credevo l’avreste smessa.”
“Ho cominciato io. E’ colpa mia.”
“Non provare a prenderti la colpa.”
“Posso cavarmela.”
“Eri privo di sensi Blaine!”
“Mamma si preoccuperebbe se andassi via di nuovo.”
“Non se sa che sei qui.”
“Nelly lo capisci che non posso approfittarmi di queste
persone?”
La
ragazza perse
la pazienza e si mise in piedi, imperiosa guardò
dall’alto in basso suo
fratello, seccata per così tanta resistenza.
“Ok! Mettiamola così. Mettiamo che ricapita
un’altra rissa come quella. Tu
svieni, io non ci sono per coprirti e la mamma ti vede. Come la vedi?
Io la
vedo molto brutta.”
Blaine non seppe cosa dire per contrastare quella risposta e Nelly,
convinta di
averlo messo a tacere, bussò alla porta della cucina, segno
per Kurt di
rientrare nel soggiorno.
“Io
ora vado
via.” Disse ai due ragazzi. “Non voglio essere di
troppo. Ah… e Blaine, semmai
te lo stessi chiedendo, sì, ho chiesto il permesso a questa
famiglia perché tu
possa rimanere e.. sì, la tua roba è nel
portabagagli e.. sì, te la devi
portare da solo.”
Uscì dalla porta d’ingresso facendo cenno agli
altri due di seguirla. Aprì
l’auto e montò al posto di guida mentre guardava
suo fratello dallo specchietto
retrovisore prendere tre grosse sacche dal portabagagli che lei si era
preoccupata di preparare e riempire.
“E
poi hanno
anche il coraggio di venirmi a dire che non mi so organizzare.
Pfui!”
-
Kurt e Blaine erano rimasti soli.
Guardarono la macchina allontanarsi e farsi piccola man mano che
procedeva
sulla strada per uscire da Lima e, silenziosamente, rientrarono in casa.
Kurt riusciva a percepire la tensione dell’altro accrescersi sempre più ad ogni passo che facevano fianco a fianco. Davvero, non avrebbe mai detto che sarebbe riuscito a scorgere, così da vicino, un lato timoroso e insicuro di Blaine, che non aveva mai visto prima di quella settimana.
Timoroso e insicuro, proprio come lo era stato lui, come il primo giorno che si erano incontrati, o come il suo primo giorno alla Dalton, oppure quando avevano provato ad affrontare l’argomento ‘sesso’, e Blaine era sempre stato in grado di confortarlo, di dargli sicurezza e fargli coraggio, con il suo sorriso, con le sue parole.
In un primo momento, non era stato in grado di classificare con un nome la sensazione che provava ogni volta parlava con quel ragazzo, conosciuto relativamente da poco. Era totalmente diverso da tutto quello che avesse mai provato prima.
Era come se Blaine si fosse presentato come un libro aperto. Era spontaneo, gentile e tutto questo pareva non costargli la minima fatica. Era come se lo conoscesse da sempre.
L’aria che respirava
intorno a lui, era diversa. Era nuova,
magica.
E lui l’aveva lasciata entrare dentro di sé.
L’aveva respirata, inalata e in un
secondo ne era diventato completamente dipendente.
Il resto, davvero, non contava più, perché,
appena ebbe il tempo di chiudere
gli occhi, lasciare che il resto di quello che era, con il suo passato
e le sue
speranze, rimanesse oscurato per un attimo, lo vide: il suo presente.
E sentì di nuovo quell’aria pizzicargli le narici
e infiltrarsi nel suo petto,
sprigionando un vortice di calore che non aveva mai provato prima, e
che
sembrava non volersi spegnere per nessun motivo al mondo.
Quando ebbe aperto gli occhi lo capì. Ne era innamorato.
-
Ma ora,
poteva
dire di essere al fianco di quello stesso ragazzo?
“Ha…davvero…”
tentò di dire Blaine impacciato. “Ha davvero
chiesto il tuo
consenso per questa cosa?”
Era vero,
si
conoscevano relativamente da poco.
“Personalmente”
rispose pronto.
Forse non
aveva
mai veramente conosciuto Blaine.
“E
i tuoi? Cosa
diranno? Sono d’accordo?”
Era
chiaro che
quella volta, era lui a fare la parte del
‘benefattore’ e questa situazione
metteva chiaramente Blaine a disagio. Era meglio forse non farglielo
pesare.
“Carole
sì. Mio
padre a dire il vero non lo sa, ma Carole troverà il modo di
convincerlo. Stai
tranquillo.”
Ma Kurt
ancora
non sapeva che mai, come in quel momento, era in grado di poter
conoscere a
fondo il suo amico come non aveva mai fatto.
“Grazie
Kurt.”