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Autore: Botan    08/06/2011    5 recensioni
“Là dove c’è luce, si annida sempre l’oscurità, nera come pece. Fin dai tempi antichi, gli esseri umani hanno conosciuto la paura dell’oscurità. Ma un giorno, grazie alla spada di un cavaliere capace di fendere le tenebre, gli esseri umani ritrovarono la luce della speranza.”
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Verità

                                           Verità

                                             #20

 

 

 

 

 

“L’oscurità inghiotte la luce, e piega l’animo impuro dell’uomo.  

Brilla nell’era, così come ordina la canzone del destino, e splende al chiaro di luna la luce di un cavaliere solitario. Una luce nell’oscurità.

 

 

 

 

 

Era agitato.

Irrequieto.

Era in attesa di risposte che doveva assolutamente avere.

Non poteva più aspettare, non poteva perdere altro tempo. Le lancette di quell’orologio si erano spinte già oltre. Troppo, per uno come lui.

Per uno come Kouga.

Già, proprio Kouga Saejima. Sentiva ormai di non farcela più ad attendere. Anzi, di non essere più disposto a farlo. 

Finché, finalmente, le sue preghiere furono esaudite.

Gonza uscì da una delle camere poste al piano terra della villa e gli si avvicinò con passo svelto.

In mezzo alla hall vide Kouga in assoluta trepidazione, tant’è che il cuore chiuso in petto parve al ragazzo schizzare fuori da un momento all’altro. Aspettava di ricevere una risposta positiva, non desiderava altro, e così fu.

- L’ho trovata! – esclamò il buon uomo, con fare eclatante – E’ da vostra cugina, da Souka! – finalmente grazie a quella rivelazione smise di trattenere il fiato e si sentì per la prima volta, dopo quella sera, tranquillo.

E la sera, la famosa sera, era proprio quella in cui Kaoru gli aveva dato del bugiardo per poi correre via, chissà dove, lontano.

Lui e Gonza avevano passato la notte intera svegli, ad aspettare che tornasse, ma quel campanello da nessuno fu sfiorato.

Così, il maggiordomo durante le prime luci dell’alba aveva iniziato un lungo giro di telefonate, rivolte per lo più alle poche persone che conosceva Kaoru, finché, quando ormai ogni speranza sembrava persa, ecco che nel chiamare presso l’altra famiglia Saejima, dove risiedeva Souka, accadde il tanto sperato miracolo.

Adesso c’era solo una cosa da fare: andare lì, e riportare la ragazza a casa.

Anche se, quasi certamente, non sarebbe stata un’impresa così facile.

 

 

 

 

  

                                                                                        ***      

 

 

 

 

 

Kaoru si era da poco svegliata. Aprì gli occhi, e con fare assonnato iniziò a stropicciarli.

Quello che era successo nella serata, le parve di averlo solo sognato. Ma quando nel guardarsi intorno si rese conto di non essere nella sua camera, capì che un incubo, quello, non lo era stato.

Si alzò e scese dal letto. Il sole splendeva già alto nel cielo riscaldando così una mattina gelida di primo inverno.

Doveva lavarsi e pettinarsi, darsi una sistemata, ma non aveva con sé nessun cambio, nessun abito pulito.

Dopotutto, era giunta a casa di Souka nel bel mezzo della sera, senza passare a prendere almeno una piccola parte dei suoi oggetti personali.

Girandosi in direzione della finestra, vide una sedia sopra la quale vi era appoggiato con cura un abito bianco e rosa con inserti in pizzo. Senza dubbio doveva appartenere a Souka, e senza dubbio ancora forse era stata lei stessa a metterlo lì per lei, affinché lo indossasse.

Lo raccolse, lo sfiorò con le dita, al tatto quella stoffa leggiadra emanava una sensazione di fresco, di molto raffinato ma semplice allo stesso tempo. Doveva costare un bel , constatò guardandolo ancora, e andò a prepararsi.

Kaoru aveva già fatto la conoscenza dei due maggiordomi che si prendevano cura della stupenda villa dove abitava Souka.

Si trattava di un posto immerso nel verde, ma a differenza del palazzo di Kouga, nel giardino attorno alla dimora c’era un enorme lago.

Inoltre il sentiero che portava fino ad esso era fatto di pietra. Tanti sassi dalla forma quadrata formavano una sorta di lungo serpente che si estendeva sul selciato.

Alberi di acero rosso contribuivano a dare un fascino misterioso ad un luogo che sembrava essere uscito da un maestoso dipinto.

Quando venne fuori della camera, uno dei maggiordomi lì presenti la salutò con un inchino, successivamente la condusse da Souka. Quest’ultima si stava allenando in giardino, ma al posto della spada reggeva tra le dita una serie di pugnali.

Lo scopo dell’allenamento consisteva nel centrare sottili strisce di carta rossa legate ai tronchi di alberi posti in lontananza. Sembrava una cosa impossibile, dato che quei nastri avevano un diametro a dir poco ridicolo.

La giovane si apprestò a scagliare l’ultimo pugnale in direzione di un albero assai distante da lei. Prese bene la mira, ed essendo dotata di un’abilità estremamente alta, riuscì nell’impresa. La striscia fu recisa dalla lama del coltello e cadde a terra, accompagnata da uno spiffero di vento. In quello stesso istante si udì un battito, uno schiocco di mani. Souka si voltò e vide una Kaoru estasiata che la guardava sorridendo.

- Sei bravissima! – le disse, complimentandosi per la perfetta esibizione.

 

- E’ solo questione di allenamento. – La dama con l’eleganza della seta finì l’allenamento e la raggiunse. – Sei pronta per fare un giro della casa? Oppure preferisci restare in giardino?

 

Kaoru non aveva avuto il tempo durante la sera di vedere la villa. Per cui non ebbe nessun dubbio su cosa rispondere: - Scelgo la prima!

 

Souka le fece visitare ogni angolo di quel sontuoso palazzo. C’erano all’incirca una cinquantina di stanze, di cui molte inutilizzate. Si vedeva insomma che quella era la dimora di un Cavaliere facoltoso.

- Mio nonno fu il primo a fondare la casata dei Cavalieri di Bronzo. Quando morì passò tutto nelle mani di mio padre, e adesso, in quanto unica erede, sono io ad occuparmene.

 

Dopo quella breve rivelazione, la pittrice reclinò un po’ la testa con fare abbattuto. – Ho saputo che è scomparso da poco. – disse, e lo sguardo le divenne subito triste. – So cosa si prova ad avere delle responsabilità quando non ti senti ancora pronta.

 

- Già – antepose Souka, sembrando avere ricordato appena qualcosa – tu hai perso entrambi i genitori quand’eri piccola.

 

- Come fai a saperlo? – Kaoru non ricordava di averglielo mai detto.

 

- Anche se può sembrarti impossibile, è stato Kouga a dirmelo.

Nell’udire il suono di quelle lettere che messe insieme formavano un nome ben preciso, l’artista provò un’intensa sensazione di occlusione al cuore. Si sentì bruciare dentro, e fu colta da un moto di sudore alle mani improvviso.

Souka intuì il suo malessere semplicemente scrutandola in volto.

La giovane Mitsuki le aveva raccontato tutto ciò che era successo la sera stessa in cui aveva bussato alla sua porta.

Souka sospirò. – Gli uomini sbagliano di continuo, ma quando credono di avere imparato dai loro stessi errori, sbagliano ancora. - Nulla di più vero, pensò per un istante Kaoru, e lo sguardo le divenne ancora triste.

 

- Lui… non doveva mentirmi. Non un’altra volta.

 

- Lo avrà fatto senza dubbio credendo di fare la cosa giusta per te.

 

- Ma io mi fidavo di… - “Kouga”, avrebbe voluto dire, tuttavia non riuscì neppure a pronunciare l'inizio di quel nome che ora la faceva sentire a disagio, la spiazzava. Abbassò lo sguardo amaramente. Soffriva, e tanto. Durante la notte non aveva chiuso occhio, un rigirarsi di continuo non solo con il corpo ma anche e soprattutto con la mente. Il cuscino aveva accolto così tante lacrime che neppure la luce di un sole cocente sarebbe riuscita ad asciugare. 

Senza contare le lenzuola torte più e più volte dalla forza delle sue mani che non sapevano contro chi accanirsi, contro chi lottare.

A quel punto Souka le pose un quesito che la portò a meditare seriamente sull’accaduto.

- Se tu adesso potessi scegliere, vorresti trovarti qui oppure nella casa in cui sei stata fino a ieri? – La domanda in realtà aveva un significato nascosto.

Se interpretata nella maniera giusta, il quesito diventava simile a questo: “Adesso, dopo quanto successo, tu provi ancora il desiderio di stare con lui? Senti, nonostante sia trascorso un solo giorno, la sua mancanza?”

 

Il palazzo di Souka era a dir poco spettacolare. Chiunque avrebbe desiderato restare lì a lungo, per godere delle meraviglie del luogo, eppure… Kaoru lì si sentiva persa. Dentro di lei si era aperta una voragine molto profonda che le dava la sensazione del vuoto. Era come se le mancasse una parte della propria anima, o un frammento di stessa.

Nonostante i maggiordomi di quella dimora fossero persone estremamente garbate, l’affabilità e la gentilezza di Gonza non avevano eguali.

E nonostante la dimora fosse accogliente e calda, continuava stranamente a sentire freddo.

E, non certo per ultimo, nonostante Souka fosse lì accanto a lei, si sentiva instabile, insicura, persa.

Sì, a Kaoru mancava veramente qualcosa.

Qualcuno. 

A Kaoru mancava Kouga.

Buffo pensarlo, dopo neppure un giorno di lontananza. Però era così.

E si chiese oltretutto se in futuro lei lo avrebbe più rivisto. Se loro due avrebbero continuato a litigare, come facevano spesso, se avrebbero passeggiato ancora insieme, se si sarebbero tenuti ancora la mano in quelle rare volte che succedeva qualcosa di speciale.

Non vedendosi dare una risposta, Souka interpretò quel silenzio nel migliore dei modi possibili, tant’è che parve averla letta dritta nel cuore.

Stavolta disse qualcosa, ma nulla a che fare con la dolente questione – Vieni, ti faccio conoscere mia madre.

 

 

Sanae Saejima.

La sorella minore di Taiga, nonché zia di Kouga.

Souka aveva ereditato il cognome della madre perché il regolamento della casata dei Cavalieri di Bronzo lo imponeva alle future nasciture.

Chissà che aspetto avrebbe avuto la donna.

Kaoru provò a chiederselo, cercò di darle una forma, se la immaginò non tanto anziana, colta e raffinata, con indosso un elegante kimono di quelli rigorosamente tradizionali.

E invece, non appena entrarono nella stanza, seduta dietro una scrivania e con la penna tra le dita, rimase sorpresa di scoprire l’esatto contrario.

Aveva i capelli corti, un viso spigliato e a prima vista sincero, indossava abiti normalissimi: una semplice camicia blu come il mare, ed un paio di pantaloni bianchi.

La ragazza d’istinto fletté la schiena in avanti, come per farle un mezzo inchino, ma la donna la fermò.

- Ma no, cara! Non serve tutta questa riverenza. – disse con semplicità, e sorrise garbatamente. – Stai pure ben ritta sulla schiena, e lascia che ti osservi bene in viso. – la guardò senza essere troppo invadente, poi sorrise ancora – L’abito di mia figlia ti sta molto bene. Viceversa, a lei non ha mai donato.

 

- Mamma! – sbottò Souka seduta stante, piuttosto stizzita da quell’affermazione.

 

- Lo sai che io dico sempre la verità. – poi guardò ancora Kaoru – Dunque, come ti chiami giovane ragazza?

 

- Kaoru, Mitsuki Kaoru!

 

Sanae sorrise. – Allora sappi che qui sei la benvenuta, Kaoru!

La giovane Mitsuki rimase sorpresa da tanta gentilezza. Mai e poi mai si sarebbe aspettata di trovarsi davanti ad una persona così aperta e socievole. Al massimo lei se l’immaginava tacita e riservata come la figlia.

Ma ovviamente si era sbagliata. E anche di molto!

 

 

Dopo il pranzo, Souka si ritirò nello studio insieme a due Cavalieri di Bronzo giunti lì in quell’istante, per discutere con loro su diverse questioni legate alla casata.

Adesso era lei, e non Shigeru, ad avere tra le mani le redini dell’intera stirpe.

Sanae aveva chiesto due tazze di tè: una per lei e l’altra per Kaoru che le faceva compagnia nel salottino della villa. Quando il maggiordomo posò il vassoio sul tavolinetto, ella gli fece cenno di andarsene, così prese la tazza di persona e la porse con gentilezza all’ospite che ringraziò subito.

 

- Mia figlia mi ha detto che sei una pittrice.

 

- Sì, o perlomeno ci provo!

 

Sanae sorrise con benevolenza a quella risposta. – Oltre ad essere carina ed educata, sei anche modesta. Quel testone di mio nipote è stato proprio fortunato ad averti incontrata. – Quando Sanae disse ciò, vide il viso dell’ospite divenire pallido. La figlia le aveva spiegato ciò che era successo, quindi quel pallore non la stupì molto. – Ascolta, Kaoru – anticipò, per far sì che ella prestasse ascolto alle sue parole – Non vedo mio nipote dal giorno in cui Taiga fu sepolto. Tuttavia, ricordo che anche a quei tempi aveva un carattere molto chiuso ed introverso, talvolta perfino incomprensibile, ma solo per coloro che lo conoscevano relativamente poco. Credo che tu, con il tempo lo abbia imparato, e penso anche che, ancor prima di rendertene conto, tu ti sia innamorata di lui per quello che è, con i suoi difetti, con un caratteraccio che farebbe tremare chiunque. Non ti chiedo di biasimarlo, non puoi, ed è giusto che lui rifletta su ciò che fa, però, almeno prova anche tu a riflettere sulle mie parole, vedrai che la risposta a ciò che cerchi di comprendere, quando dal tuo cuore si allontaneranno le nubi, arriverà all’improvviso, e tutto ti sembrerà più semplice. – Con quel lungo discorso, Sanae aveva centrato esattamente il problema. Kaoru si chiedeva se sarebbe riuscita a perdonare anche stavolta quel cocciuto ragazzo. Ma la risposta, per quanto ella si sforzasse di trovarla, proprio non ne voleva sapere di venire alla luce.

Forse, proprio come aveva detto Sanae, per giungere alla verità doveva allontanare quelle nubi dal proprio cuore, così tutto sarebbe stato più facile.

Forse.

 

 

 

 

  

                                                                                   ***      

 

 

 

 

 

Mentre sorseggiavano il tè, dalla finestra della stanza si udì il rombo di un’auto che sembrava essere appena giunta davanti allo spiazzale della casa.

Sanae si alzò, convinta che fossero i soliti scocciatori che puntualmente venivano ogni giorno a stipulare accordi con sua figlia. Si accostò al davanzale, e quando riconobbe senza esitazione la sagoma di Gonza al volante di quell’auto, ebbe un sussulto.

- Kaoru – disse in un primo momento, girandosi verso di lei senza farle capire nulla. – Potresti farmi un piacere?

 

- Ma certo, dica pure!

 

- L’altro giorno, mentre passeggiavo lungo la sponda del laghetto, ho perso uno dei miei orecchini preferiti. Penso che sia caduto in acqua, sfortunatamente non sono riuscita a vederlo. Tu hai senza dubbio una vista migliore della mia, perciò mi chiedevo se saresti così gentile da controllare? Te ne sarei estremamente grata!

 

L’artista annuì senza alcun dubbio: - Conti pure su di me! Anzi, adesso esco e ci vado subito! – fece per alzarsi e varcare la soglia della porta, ma Sanae quando la vide dirigersi verso il portone principale del palazzo, al volo la fermò.

 

- Non da quella parte, Kaoru. Usa l’uscita sul retro, arriverai prima. – le indicò una porta secondaria, così senza pensarci e facendo dietro-front, la ragazza la raggiunse ed uscì.

 

Se Sanae aveva architettato tutto ciò, c’era un perché. E, naturalmente, quel perché aveva un nome: si chiamava Kouga.

Il campanello produsse un suono, uno dei maggiordomi aprì l’uscio di quell’imponente portone e dopo anni d’assenza il figlio di Taiga rimise piede in quella che un tempo era anche la dimora del padre.

Al suo fianco c’era Gonza, che lo aveva accompagnato fin lì con l’auto di famiglia.

La zia ed il nipote si guardarono dritto negli occhi. Non si vedevano da anni, e lei in particolare nel vedere quanto fosse cresciuto, nel constatare quanto egli nello sguardo assomigliasse al fratello scomparso, provò un forte senso di nostalgia.

Ciò nonostante, si rivolse per prima al maggiordomo. Quasi di proposito. – Gonza, da quanto tempo! Ti trovo ringiovanito.

 

Il buon Kurahashi fece un doveroso inchino con il capo. – Felice di rivederla, signora Sanae! Noto con piacere che anche lei si mantiene in forma!

 

La donna sorrise educatamente, al contrario, quando la sua attenzione si spostò su Kouga, l’espressione del viso mutò improvvisamente. – Tu invece, sei cresciuto parecchio. Non ti avevo neppure riconosciuto. – La frase aveva un doppio significato. Mirava a sottolineare quel lungo lasso di tempo che li aveva inspiegabilmente tenuti distanti. Il ragazzo afferrò le parole sibilline che la frase nascondeva, ma ovviamente preferì non commentare.

Lui era venuto lì solo per un motivo: riportare Kaoru a casa.

Non poteva mettersi a discutere di cose che oramai appartenevano al passato.

 

- Sono qui per…

 

- Lo so già. – anticipò la donna, azzittendolo. Poi si incrociò le braccia al petto. – Ti dirò dov’è solo se accetterai la mia proposta.

 

Kouga emise un sospiro sommesso. Conosceva bene la zia, e sapeva anche quanto ella potesse essere ostinata e tenace in determinate situazioni. – Quale sarebbe?

 

- Nulla di così complicato. Ma forse per te lo è… Voglio parlarti.

 

- Tutto qui?

 

- Sì, tutto qui. – Sanae aveva fatto in modo che lui e Kaoru non si incontrassero perché voleva chiacchierare con il nipote affinché egli, una volta ripresosi la ragazza, non commettesse altri sbagli.

 

Kouga si sfilò il cappotto, Gonza lo raccolse subito tra le mani. – Sbrighiamoci. – disse, e in quel modo le fece capire di aver accettato la proposta.

 

Si diressero proprio nel salottino dove poco prima Sanae e Kaoru stavano prendendo il tè.

Quando il ragazzo si fu seduto, la donna rimase a lungo in silenzio, rapita dai ricordi. Lo guardava, ma stavolta lo faceva con tenerezza, affetto.

- Somigli moltissimo a tua madre. – disse in un primo momento, rivedendo in lui i dolci lineamenti del viso di Rin. Stesso colore dei capelli, stesso taglio degli occhi, stesse labbra della madre. – Anche se a tratti ho come l’impressione di rivedere Taiga.

 

- Zia – la interruppe Kouga – cosa volevi dirmi? – Proprio non ce la faceva ad aspettare.

 

- Kaoru mi sembra una gran brava ragazza.

 

- E lo è.

 

- Lo è? – ripeté la donna, lanciandogli un’occhiata come a volere sottolineare quelle parole. – A lei lo hai mai detto? - Ovviamente, la risposta a quella domanda era un “no”, ma Kouga si zittì. Quella non risposta valeva per Sanae come una conferma.  La donna con lui non usò né toni gentili né comprensione o pazienza, ma solo fermezza. – Se le vuoi veramente bene, allora cambia.

 

- Cambiare? – il figlio di Taiga si sentì preda della confusione. Doveva cambiare, ma… Cosa voleva dire con ciò? Cambiare perché? In che modo? Così all’improvviso, poi, gli sembrava una cosa totalmente assurda.

 

- Sì, cambiare. - ripetè la zia, poi proseguì - Cambia il tuo comportamento, cambia atteggiamento, cambia almeno una parte di quel carattere arido che ti ritrovi. Non ti sto chiedendo di diventare un’altra persona, ma di sforzarti affinché tu capisca di più quelli che ti stanno intorno.

 

A dire il vero Kouga non fu particolarmente ricettivo. Sembrò assumere una smorfia sempre più incerta, a tratti pareva spazientito, tant’è che neppure rispose o si prese la briga di farlo.

Fece per alzarsi, ma un’esclamazione brusca della zia lo bloccò di colpo.

 

- Kouga! – tuonò, affinchè il giovane cambiasse atteggiamento. Quel suono fu udito perfino da Gonza, seduto in cucina nella stanza affianco.

 

Stavolta il Cavaliere del Makai fu obbligato a darle una risposta. – Tu mi conosci, sai come sono fatto. – disse, tanto per portare a termine il discorso, ma finì ancora una volta per provocare le ire della zia.

 

La donna alzò gli occhi al soffitto in preda alla collera. Dio e quanto era testardo e cocciuto suo nipote! Esattamente come il padre. Lo fissò con chiarezza, quel viso ora incuteva un certo timore: - Non cambiare per gli altri, ma fallo per Kaoru! - "Per Kaoru", era questa la chiave di tutto l'intero discorso. Quella frase lo investì in pieno, in un modo così diretto che inevitabilmente lo portò a riflettere.

Fu costretto a ripensare alla sera prima, quando non era stato capace di dirle la verità, di spiegarle tutto con gentilezza, e non com’era solito fare, ovvero aggrottando la fronte e sbottando. Forse, se lui le avesse spiegato la faccenda senza lasciare l’arduo compito a Zarba, Kaoru non sarebbe mai corsa via.

E nel pensare a ciò, finalmente comprese l’enorme sbaglio. 

Non solo Kaoru era delusa perché lui le aveva mentito ancora, ma era amareggiata dal fatto che, nonostante tutto quello che era successo, aveva continuato a mantenere un comportamento freddo ed inflessibile.

Kouga si sentì per la prima volta in vita sua un perfetto immaturo, un ragazzino stupido, un… piccolo idiota innamorato, come lo chiamava simpaticamente Jabi. E pensò che l’amica avesse ragione, anche se lui si sentiva un idiota innamorato che però non sapeva amare.

 

La zia lo osservò attentamente in viso, si accorse che finalmente quel nipote così ostinato aveva compreso ed accettato lo sbaglio. Adesso però lei doveva concludere così come aveva iniziato quel discorso. Stavolta lo fece ostentando un tono più dolce. – Quella ragazza ti ama veramente. Lo si capisce quando qualcuno pronuncia il tuo nome. I suoi occhi iniziano a brillare, si rianima, spesso arrossisce, e con quella luce che le irradia il viso sembra contagiare anche colui che la osserva. E’ davvero…

 

- Bella. – concluse Kouga, e nel ricordare il volto di Kaoru, sulle labbra gli affiorò un sorriso.

 

- Tu invece sei impacciato come Taiga. – Sanae richiamò alla mente un avvenimento passato appartenuto al fratello. – Quando conobbe Rin, ricordo che il giorno del loro primo appuntamento venne da me per chiedere un consiglio. Non sapeva cosa avrebbe dovuto indossare durante quell’occasione. All’epoca era soltanto un ragazzo, proprio come te, e passammo un’ora a scegliere gli abiti giusti. Alla fine ricordo che poco prima che se ne andasse, lo costrinsi a mettere del profumo. Esagerò così tanto che quell’odore avrebbe stordito chiunque, credimi! Eppure a tua madre piacque moltissimo. – Sanae sorrise dolcemente nel pensare a quell’evento. Il nipote, al contrario, restò meravigliato da ciò. Provò ad immaginare Taiga durante quel giorno, e il buffo pensiero di vedere il padre agitato ed agghindato per l’occasione lo divertì parecchio.

Ad un tratto la porta del salottino si spalancò di botto.

 

- Se mamma ha aiutato tuo padre, io adesso aiuterò te. – era stata Souka a parlare. Stringeva qualcosa tra le mani. Degli indumenti che successivamente lanciò addosso al cugino. - Sono gli stessi che indossò tuo padre quel giorno. – disse la ragazza. E la madre aggiunse poco dopo: - Li ho conservati con molta cura, ed ho fatto bene, dato che adesso serviranno a te.

 

- Devo… indossarli? – chiese a quel punto Kouga, non sapendo come comportarsi.

 

La pronta risposta di Souka non gli lasciò la possibilità di fare una scelta. – E devi farlo anche di corsa. Detesto le persone lente.

 

E così, dopo quell’affermazione che suonò quasi come un ordine perentorio, ironia della sorte Kouga si trovò a calzare abiti che un tempo erano appartenuti al padre: una camicia bianca con un pantalone dello stesso colore. Nulla di più semplice, ma era questo il bello. Adesso poteva dire di essere un ragazzo normale, come tutti gli altri. Ora non era il solito cacciatore di Orrori, il cavaliere rigido ed inflessibile di sempre. Sembrava in un certo senso più... dolce.

 

Le due donne lo stavano aspettando fuori della camera, mentre Gonza, prima di farlo uscire gli sistemò per bene il colletto della camicia, e dopo un’occhiata generale finalmente diede l’ok. Nella hall l’entusiasmo apparve per magia sul viso di Sanae.

Le sembrò per un solo momento di rivedere l’amato fratello. Avvertì un po’ di calore agli occhi, ma cercò di essere forte, e si trattenne dal versare anche solo una lacrima.

Souka, al contrario, storse il naso. C’era qualcosa che non andava. E dopo averlo squadrato attentamente, con una meticolosità innata, intravide la nota stonata. Si avvicinò al cugino e gli slacciò i primi 3 bottoni della camicia.

- Avevo scordato che tu sei sempre così formale. - appuntò, compiaciuta nel vedere il bel risultato. E in effetti, non aveva tutti i torti!

 

- E’ in giardino, nei pressi del laghetto. - disse ad un tratto la zia. Non aveva più nessun motivo di trattenerlo ancora lì.

Ormai era pronto per rimettere a posto le cose. Sanae ne era più che convinta.

Prima che il ragazzo potesse correre via come un lampo, la donna gli posò due dita sul collo.

Si levò in aria un odore intenso ma gradevole. E Kouga capì che quello era lo stesso profumo che anni addietro lei aveva fatto indossare al padre.

La guardò semplicemente con gratitudine, ma com’era consono che fosse, le parole non gli uscirono.

- Adesso ! – disse imperterrita, e stavolta sentì gli occhi inumidirsi. Si girò per nasconderli, mentre il nipote senza pensarci neanche un istante corse finalmente via.

Per rimettere ogni cosa al suo posto.

 

 

 

 

    

                                                                                   ***      

 

 

 

 

 

Per l’esattezza, Kaoru si trovava sul bordo del lago, con i piedi nell’acqua e le ginocchia curve verso il basso per cercare un orecchino che in realtà Sanae non aveva mai perso. Ma la ragazza questo non lo poteva sapere di certo!

Era così impegnata a guardare verso terra e a tenersi su i lembi dell’abito affinché non si bagnassero, che non si accorse di non essere sola. Qualcuno era sopraggiunto silenziosamente alle sue spalle.

Si sentì ad un tratto posare due mani sugli occhi.

 

- Chi è?! – replicò, colta alla sprovvista. Poi si toccò il viso.

Quelle, non erano certamente le mani di Souka, né tantomeno quelle di Sanae. Inoltre era convinta di avere già sfiorato una simile pelle. Il calore che emanava era molto familiare.

Quando ebbe la possibilità di voltarsi, quando riaprì le palpebre, di colpo il cuore sussultò in petto e prese a battere con più forza. Chissà perché, ma le sembrò che quel battito avesse superato perfino la velocità del suono.

- Tu… - disse solo. Non riuscì ad aggiungere nient’altro. Confusione e sorpresa le impedirono di parlare.

Kouga era proprio lì davanti. Non stava sognando, eppure tutto ciò non poteva avere un senso, o forse no?

Il tempo di riprendersi e notò che aveva abiti diversi dai soliti. Nessun soprabito bianco, o completo nero di pelle. Il batticuore aumentò nel constatare quanto vestito così, fosse davvero diverso. Irradiava una luce particolare, fresca. 

Sembrava adesso un ragazzo normale, semplice.

Tuttavia, smise subito di fissarlo. Abbassò il mento, facendosi cogliere da un moto di rabbia improvvisa. – Se sei venuto per riportarmi a casa, sappi che io…

 

- Non sono qui per quello. – le anticipò.

 

- E allora perché sei qui?

 

- Per chiederti scusa.

“Scusa”? Lui, aveva detto veramente quella parola?

No, Kaoru non riusciva a credere a ciò che le sue orecchie avevano appena udito.

No, Kouga Saejima, tipo flemmatico e freddo, distaccato ed introverso, nonché fortemente orgoglioso, non avrebbe mai potuto pronunciare una simile parola.

Scosse il capo, confusa. – Tu… hai detto…

 

- Scusa. Ti sto chiedendo scusa. – Nel dirlo ancora, il ragazzo provò un forte senso di vergogna. Ad ogni modo, se lui le voleva veramente bene, allora doveva cercare di mettere da parte il disagio, e trovare la forza necessaria per andare avanti.

 

La pittrice lo fissò amaramente. Non si lasciò abbindolare da quanto appena detto. – Tu pensi che con una parola, le cose si rimettano a posto?

 

- No, ma sono qui per parlare. – nel dirlo Kouga si guardò attorno. – Saresti disposta a farlo in un luogo più asciutto? – proferì, quasi scherzando sulla cosa. In effetti, intraprendere una conversazione importante con le gambe immerse nell’acqua, non era per niente comodo.

 

Non avendo altra scelta, Kaoru fu costretta ad acconsentire.

Dopotutto, desiderava almeno quanto lui chiarire in modo definitivo quell’assurda faccenda.

Non aspettava altro.

 

Si fermarono al di sotto di un grosso arco fatto di mattoni, molto profondo, che conduceva al territorio limitrofo.

Sotto quella tettoia di pietra, la giovane Mitsuki, incrociando le braccia al petto, fu la prima ad aprire il discorso.

- Allora, sentiamo… cos’hai da dire? – il suono della voce era teso, tuttavia si sforzò di non apparire anch’ella così nei movimenti del corpo.

Più facile a dirsi che a farsi, dato che aveva iniziato a torcersi con le dita il labbro inferiore.

 

- Ho sbagliato a non dirti subito la verità.

 

- E’ la seconda volta che sbagli.

 

- Non volevo farti preoccupare.

 

- E tu pensi che io non mi debba preoccupare per te? Pensi che a me ciò che fai o ti tormenta non mi debba interessare? Cosa credevi, di potermi mentire senza che io me ne accorgessi? Senza che io notassi il tuo strano comportamento, i tuoi improvvisi cambi d’umore, o l’espressione del tuo viso sempre cupa? – Se fin ora i toni della conversazione si erano mantenuti pressoché stabili, adesso Kaoru aveva alzato un pochino la voce.

Era stufa di tenersi tutto dentro, era stanca di vivere una storia d’amore in quelle condizioni. Una volta per tutte, lo tramortì con uno sguardo, e poi esplose. – Se vuoi che io faccia parte della tua vita, non escludermi! Io voglio starti accanto quando sei felice, ma lo voglio ancor di più quando sei triste, voglio prendermi cura di te quando ti senti male, io voglio… - trattenne brevemente il fiato, e poi d’un tratto mandò fuori il resto dello sfogo – Io voglio stare con te, Kouga! Ma tu… - serrò di colpo le palpebre, scosse il capo, e ormai giunta allo stremo, non riuscendo più ad impedire alle lacrime di venire giù, le lasciò libere di fluire sopra al viso. – Io mi fidavo di te, eri il mio punto di riferimento, e credevo in te, ti volevo bene, te ne voglio ancora ora, e questo mi fa rabbia! – si coprì il volto tra le mani, adesso i singhiozzi si udivano di meno, ma le lacrime continuavano imperterrite a cadere giù come gocce di pioggia.

 

Tutto questo non lasciò Kouga impassibile. Incapace di mantenere ancora il silenzio, le afferrò le spalle con le mani affinché lei smettesse di agitarsi. Riuscì ad attirare la sua attenzione, in questo modo poté parlare liberamente. – Io… non posso cambiare il mio modo di essere, però… cercherò di diventare una persona migliore – le tolse le mani dal viso, con estrema tenerezza – tu però non piangere più. Quando lo fai sto male, perché significa che non sei felice, che c’è qualcosa che ti fa soffrire, ed inevitabilmente, insieme a te soffro anche io.

Kaoru fu preda della confusione. Scosse il capo, era agitata.

 

- Se io riuscissi ad odiarti o ad amarti un po’ meno, forse sarebbe tutto più facile. – disse, guardandolo negli occhi con dolore, rabbia, confusione. Poi afferrò le sue mani, e le volse verso il basso – Tu mi hai mentito, chi mi dice che non lo rifarai più?

 

- Non riesco a darti nessuna certezza, se lo facessi ti mentirei ancora, però… posso provarci. La parola di un Cavaliere Mistico vale molto.

 

- Ma per me non è sufficiente! – replicò la ragazza con affanno, scosse il capo – Io non voglio parole, promesse, voglio certezze! – sentì le lacrime ritornare, non riuscì ad aggiungere altro, così, presa forse dallo sconforto, si staccò da lui per andarsene via.

Kouga non commise un’altra volta lo stesso sbaglio. Fece appena in tempo ad afferrarle il polso della mano e a tirarla verso di sé. La guardò in faccia, a lungo. - Fidati, ti prego. - e dopo averle sfiorato la guancia con la mano, fu talmente improvviso che Kaoru non poté rispondere, perché un bacio sulle labbra le tolse la facoltà di parlare.

Un bacio può farti mancare letteralmente il fiato. Lei difatti ne restò senza.

Il potere di quel gesto spazzò via le nubi che avvolgevano il suo cuore, facendole capire la verità.

Inoltre, quel bacio era diverso da tutti gli altri.

In quel bacio c’era trasporto, e, per la prima volta, passione.

Come una girandola colorata mossa dal vento, si sentirono avvolgere nella più magica delle atmosfere. Quell'attimo era tutto per loro, e quando il ragazzo guardandola con estrema dolcezza le sorrise, Kaoru si sentì riempire di gioia. - Voglio potermi ricordare di questo tuo sorriso. Per sempre. - gli posò delicatamente una mano sulle labbra, non smetteva di fissarlo.

Kouga la strinse a sé con trasporto, e capì che non avrebbe mai voluto più perderla.

Senza di lei, la vita non aveva senso. Non valeva la pena di essere vissuta intensamente. Senza Kaoru si sentiva incompleto, preda del vuoto interiore. Si sentiva solo.

Le accostò il viso all’orecchio, e le parole gli uscirono spontanee. – Non farmi più preoccupare.

 

- Vedessi com’era agitato questa mattina! – commentò Zarba, e Kaoru si lasciò strappare un sorriso da quell’affermazione.

 

- Pensavi che non sarei più tornata?

 

Lui assentì, e nel farlo la giovane Mitsuki notò in quel gesto qualcosa di buffo che quasi lo fece assomigliare ad un bambino.

Gli scostò la lunga frangia dalla fronte con molta dolcezza. – Adesso sono qui, per cui vedi di non farmi scappare di nuovo! – disse scherzando, e lui finì con l’abbracciarla ancora.

Stavolta ne era certo: non l’avrebbe più lasciata andare via. 

Tra le sue braccia lei sentì improvvisamente un particolare tipo di profumo. Era intenso ma gradevole al tempo stesso. Alzandosi sulla punta dei piedi, gli avvicinò il volto al collo. – Ma… tu hai messo del profumo? – disse alquanto perplessa. Kouga non aveva mai fatto una cosa simile prima d’ora. 

 

Lui per vergogna reclinò un pochino il mento. – Ti da fastidio? – aveva paura che l’odore intenso tipico di una fragranza maschile, potesse in qualche modo disgustarla.

 

- Al contrario – premise subito, ed avvicinò ancora il naso in direzione del collo. Inspirò, voleva poter imprimere quella fragranza dritta nella mente. Così non l’avrebbe mai dimenticata. – Con questo vestito e con questo profumo mi sembri addirittura un’altra persona. Però, quando ti guardo negli occhi capisco in realtà che il ragazzo davanti a me non è uno sconosciuto, ma semplicemente sei tu. - gli adagiò una mano sul petto, con dolcezza lo guardava in viso - Ed è questo il Kouga che ho scelto di amare fin dal primo momento!

 

Quando quelle parole gli attraversarono il petto, il giovane figlio di Taiga Saejima non ebbe più nessuna esitazione. – Kaoru – disse, guardandola dritta negli occhi, e fu proprio a quel punto che, per la prima volta, accostandole il viso al suo disse una cosa che avrebbe dovuto già da tempo farle sapere, e che toccò profondamente come una saetta accecante che si staglia all’improvviso nel cielo l’animo della sua giovane amata.  

 

 

 

                                                                Fine episodio

 

 

                                                           

 

 

 

 

 

 

 

I VANEGGIAMENTI E LE RISPOSTE DI BOTAN:

 

Oggi è un giorno speciale per una persona altrettanto speciale, quindi va festeggiato in un modo speciale!

Ed è per questo motivo che dedico il capitolo numero 20 della Garo Second Season alla carissima Ire, aka Sho Ryu Ken che oggi compie gli anni!!! ^___^ BUON COMPLEANNO!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

 

 

Per DANYDHALIA: Grazie dei complimenti, sei veramente molto gentile! Lavorare alla GSS mi piace moltissimo, e se posso migliorarla in qualche modo spendo più che volentieri il mio tempo libero per fare qualcosa di decente e che soprattutto lasci qualcosa dentro a chi legge.  

 

Per Sho Ryu Ken: No, non sei ripetitiva, ma anzi! Continua pure così con le recensioni che ogni volta leggerle diventa una gioia! Semplice fatalità quella di Zarba che non percepisce Kaoru quando sta con Ikuo, ma più che altro dovuta al fatto che c'era un Orrore nelle vicinanze che "disturbava" il segnale. Adesso però voglio sapere il cambiamento non radicale che hai notato, sono troppo curiosa!

 

Per stelly89_s: Sì, il chap precedente ricordava molto l'episodio in cui Kaoru si fa togliere l'anello da Kouga e poi scappa via. E' una scena quasi impossibile da dimenticare! 

 

 

 

Parlando del prossimo capitolo... beh, leggete le anticipazioni e forse capirete qualcosa! 

Botan

 

 

 

ANTICIPAZIONI:

Una giornata tutta per loro, da trascorrere in assoluta tranquillità. Kouga e Kaoru avranno finalmente l'occasione di passare un po’ di tempo insieme, anche se l'inizio non sembrerà affatto dei migliori, complice l'atmosfera di un accogliente chalet immerso nel verde, davanti alle fiamme danzanti di un camino, quel giorno potrebbe trasformarsi in un momento indimenticabile.

Prossimo episodio: #21 Atmosfera

 

 

 

   
 
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