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Autore: SasuSakuForever    09/06/2011    1 recensioni
Melanie e' la classica ragazza che non sa descriversi. Non ha un aspetto fisico, non lei. E' dannatamente insignificante come l'ultimo satellite situato nel punto di confine tra un'orbita e l'altra. Si lascia trascinare, la piccola Mel. Così minuta e insignificante non è in grado di prendere una decisione, non da sola.
Non è nemmeno in grado di amare, non lei. O meglio, sa amare, ma non come vorrebbero gli altri.
Ama per convenienza, ama come è capace, ama.
E intanto gli altri si allontanano da lei, scappano. Perché si sentono straniti, si sentono in pericolo di fianco a quella ragazza che è capace di farti dubitare anche di te stesso.
Tu hai una convinzione e lei te la porta via, ti fa credere a tutt'altro. Mel è così.
Però intanto su ciò che sente lei sa sempre tutto. Lei pensa che in una cosa ci devi credere, per essere convinto. Perché se non ne sei convinto non puoi amarla. E se non puoi amarla non puoi credere in lei, semplice.
Inoltre lei ama Nat. Forse.
Genere: Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si mise lì, nel solito posto, ad aspettare. Mentre fumava la classica Lucky Strike, pensava: lo sapeva che era un coglione, lo sapeva benissimo. Si era comportato malissimo, aveva deciso di lasciarla così, per delle voci che non aveva nemmeno verificato. Credeva lei lo tradisse, davanti ai suoi occhi, tra l'altro. Però lui non sapeva cosa fosse vero e cosa no, lui credeva ai suoi amici. E aveva deciso di lasciarla. Non sapeva neanche lui perché stava ancora lì, a fumare quella stramaledettissima Lucky Strike. Pensò di andarsene, buttò il filtro a terra e si incamminò. Poi però la vide arrivare, -bella come sempre- pensò. Decise di fermarsi lì, per sentire cosa aveva da dire, come si sarebbe scusata. Lei cominciò a parlare, parlare, cercava di scusarsi. Poi si fermò. Zitta e immobile lo fissava, aspettava qualcosa, qualunque cosa. Anche un 'Vaffanculo' andava più che bene. Voleva vederlo parlare, voleva muovesse quelle dannatissime labbra mentre la guardava negli occhi. Niente. Muto, fermo davanti a lei pensava, pensava che non era vero, che era tutta una palla. E quel 'Vaffanculo' voleva sputarlo fuori dai denti, voleva lanciarglielo addosso come acido. Ma non lo fece. Rimase zitto, assolutamente in silenzio, aspettando di sentire l'ennesimo monologo che l'avrebbe indotto a crederle, forse. E poi le parole vennero fuori da sole, senza pensarci. "Puoi credere quello che vuoi, io non sono qui a dirti cosa devi pensare o meno. Io sono qui a dirti la verità, che tu ci creda o meno. E ti assicuro che tra me e lui non c'è mai stato niente. Perché lui è solo un amico. E te lo giuro su di te, se vuoi. Su te che sei la cosa più cara che ho." vomitò quelle parole con un'agitazione incontrollata, quasi come se le stessero puntando una pistola. E la pistola c'era veramente, era la paura di perderlo che le aveva fatto dire tutto. E lui si fidava. Improvvisamente si fidava, e lo disse chiaro e tondo. Lei allora chiese semplicemente cosa avrebbero fatto, cosa sarebbe successo. Lui non rispose, rimase zitto. Poi, cacciò fuori quelle quattro parole che lei voleva tanto sentire. "Avvicinati. Ho bisogno di abbracciarti." Lei non se lo fece ripetere, ovviamente. Si sedette di fianco a lui, mentre il loro fiato si scontrava prepotentemente. Menta e sigaretta. Un incontro alquanto insolito, nonostante tutti e due fumassero. Lui allargò le braccia e lei si scontrò con il suo petto mentre lo cingeva nel suo debole abbraccio. Lui la stringeva forte in vita, mentre continuava a ripetere quelle quattro parole 'Sono un coglione, sono solo un fottutissimo coglione' e lei debolmente alzava la testa e gli diceva che no, non era vero. Non era un coglione. Poi riaffondava le labbra sul suo collo dandogli flebili baci. "Io non ti voglio perdere." disse lui e lei piano gli bisbigliò che non l'avrebbe persa. "Io sono qui." gli disse e lui non immaginava nemmeno quanta vita ci fosse in quelle tre parole. E lei avrebbe voluto dirgli che lo amava, che nemmeno lei voleva perderlo. Ma le parole non uscivano dalla bocca. Si impigliavano nelle corde vocali incastrandole tutte insieme. E il tempo stringeva. Non gli calzava addosso a pennello, non a tutti e due. Era stretto, troppo stretto, come un laccio attorno al posto. Troppo stretto per impedire al sangue di passare, di scorrere. La campanella suonò, raccolsero gli zaini e si avviarono verso la scuola, quasi come due perfetti estranei. Melanie si mise ad annusare l'odore che la circondava: nei capelli era rimasto impigliato l'odore delle sigarette, l'odore di Lui.
  
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