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Autore: Iryael    09/06/2011    3 recensioni
Aprile 5402-PF, pianeta Veldin.
Lilith Hardeyns, diciottenne di Kyzil Plateau, trascorre la sua vita tra una famiglia inesistente, un coetaneo che la mette in difficoltà ad ogni occasione e un maestro di spada che per la giovane è anche un padre e un amico.
Sono passati sei anni da quando la ragazza ha incontrato Sikşaka, il suo maestro di spada, e Lilith ha acquisito un’esperienza sufficiente per poter maneggiare tutte le armi presenti nella palestra. Tutte tranne una: Rakta, una scimitarra che perde il filo molto raramente.
Lilith sa che quell’arma, il cui nome stesso significa “sangue”, richiede un’esperienza che ancora non ha.
Non sa che quella scimitarra ha origini molto più antiche di quel che sembra, né conosce il potere di cui è intrisa.
Ignora che qualcuno vuole averla ad ogni costo.
E nemmeno immagina che Rakta sta per diventare parte integrante della sua vita.
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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Lilith Hardeyns, Queen, Sikşaka Talavara)]
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 02 ]
Guaio da poco
Sempre 11 Aprile 5402-PF, ore 18:45
Kyzil Plateau, settore est
 
La vettura li scaricò nel piazzale della centrale di polizia, e solo in quel momento Lilith riacquisì un po’ di vigore.
Il viaggio non era stato particolarmente lungo, ma all’interno della vettura si era sentita stanca di colpo, come se l’aria non bastasse mai. Sikşaka, seduto di fianco a lei, aveva notato quell’affaticamento improvviso ma non aveva potuto fare niente, non avendo idea di cosa stesse succedendo. Cole, Evrard e Lucky erano stati trasportati alla centrale con un’altra volante, che veniva subito dietro la loro.
Il giovane scommettitore incrociò lo sguardo della ragazza e, prima di essere accompagnato all’ingresso per i civili, le mostrò un timido sorriso rassicurante, uno stai tranquilla che Lilith nel suo stordimento recepì solo come un grazie.
Poi Lucky svanì dal suo campo visivo, sostituito dalla divisa blu e azzurra del poliziotto che la trascinò assieme agli altri verso un piccolo ingresso che sapeva di entrata sul retro. L’ingresso riservato ai malviventi.
Una volta dentro, Lilith venne nuovamente oppressa da quello strano senso di fiacchezza. Si guardò intorno, e si accorse con stupore che era l’unica a versare in quello stato.
Cosa succede? Cos’ho che non va?
Presa da queste due domande e assorta dal vano tentativo di mostrarsi in condizioni normali, non si accorse di essere strattonata sotto un metal detector. Sul piazzale del belvedere, prima di essere portati via alla stregua di pericolosi criminali, i poliziotti li avevano perquisiti privandoli dei documenti e delle armi, stivali di Lilith compresi. Evidentemente quel secondo controllo doveva sopperire alle eventuali sviste degli agenti.
Il metal detector suonò al suo passaggio, e quello la riportò con la mente nella stanza. Il “suo” poliziotto la perquisì minuziosamente, privandola delle piastrine che aveva al collo e di uno scarno mazzo di chiavi. Lo sguardo si fece irritato quando l’agente le strappò dal collo le piastrine per gettarle in uno scatolone assieme ai beni degli altri. La giovane vide al suo interno un paio di cinture – tra cui quella di Cole, riconoscibile per la fibbia impreziosita da tre piccoli rubini – assieme a tre mazzi di chiavi e le scarpe di Sikşaka, gettate nello scatolone per via della punta fasciata in carbonox.
Una volta passato quel controllo, i poliziotti che li scortavano li fecero passare alla stanza successiva. La targa sulla porta era ferocemente chiara riguardo alla funzione della stanza: impossibilitazione esper.
L’ambiente non era grandissimo e si presentava con le pareti rivestite di gomma scura. Non aveva nemmeno una finestra e nella penombra appariva simile a un bunker, ma ciò non impedì a Lilith di provare un moto di sollievo: come quando aveva messo piede fuori dalla volante, quel senso di affaticamento che l’aveva attanagliata nella stanza precedente si era come volatilizzato.
All’interno di quella stanza bizzarra c’erano quattro robot, uno per ogni angolo, davanti ai quali furono portati i prigionieri. Ciascun robot passò l’ammanettato davanti a sé con i propri scanner, alla ricerca delle onde emesse da qualunque esper, e quando l’occhio lungo e sottile dell’automa davanti alla ragazza si tinse di verde dopo averla scansionata, la presa del poliziotto sulle sue braccia si fece più stretta e il robot materializzò quello che sembrava un collare rigido. Non appena lo chiuse al collo di Lilith il piccolo generatore simile a una pastiglia si attivò, andando ad accendere gradualmente le serpentine al neon che correvano nei tratti tra il generatore e la chiusura.
«Che diavolo è quest’affare?!» sibilò Lilith, attirando lo sguardo di tutti su di sé. Di nuovo la fiacchezza cercò di impossessarsi della ragazza, mentre l’agente le rivolse a malapena uno sguardo di sufficienza. Intuendo che fosse tutto legato alla sua abilità, la giovane cercò di attivarla, ma non appena provò a modificare la temperatura dell’ambiente due fastidiosi aghi le penetrarono nel collo, pericolosamente vicini alla spina dorsale.
«Ehi!»
«Smetta di richiamare la sua abilità o sarà neutralizzata, signorina.» scandì il robot in tono chiaro, conciso e asettico. Di fronte a tutta quella sicurezza la lombax si bloccò sul posto.
Neutralizzata...morta? fu l’unico pensiero che riuscì a concepire, in preda al gelo più totale. Quasi istantaneamente richiamò la sua abilità e quella debolezza nauseante la avvolse di nuovo come un guanto. L’automa le parve sogghignare, anche se non aveva una bocca, e continuò con una certa soddisfazione.
«Il collare si smagnetizzerà al momento della sua uscita dalla centrale. Se tale uscita sarà fraudolenta, o se tenterà di togliere il congegno con la forza, o se tenterà di usare la sua abilità, il suo sistema nervoso centrale sarà immediatamente neutralizzato.»
Cole, poco distante da Lilith, sghignazzò per l’espressione sempre più spaventata della coetanea, seguito a ruota dal suo scagnozzo. Di fronte a quell’impertinenza Sikşaka lanciò loro un’occhiata ammonitrice, che ricordò a Cole con quanta facilità lo aveva sollevato di peso e mandato a rotolare lontano da Lucky. Il giovane si azzittì, e di conseguenza anche Evrard tacque.
«Tutto chiaro signorina?» domandò il robot.
«Sì...» biascicò la ragazza, quasi con aria assente, di nuovo stordita dal senso di fiacchezza indotto – stavolta lo sapeva – dal collare.
Dopodiché, sotto lo sguardo più vigile del “suo” poliziotto, fu scortata con tutti gli altri direttamente nel ramo delle celle della centrale, dove ciascuno fu lasciato in un cubicolo.
 
«Ehi, Lilly! Ma che collana carina!» schernì Cole non appena furono lasciati soli.
«Fottiti.» rispose seccamente Lilith, seduta sulla brandina, rivolgendogli un’occhiata di fuoco.
«Come ti senti?» domandò Sikşaka, dalla cella a fianco a quella dell’allieva.
«Come una vecchia di ottant’anni.» brontolò lei. «Sfinita, stordita, vuota dentro. Ma è successo solo a me? Anche nella vettura e nella sala del metal detector sembravo l’unica con la vitalità di un bradipo.»
Il maestro di spada rifletté un momento. Era stata l’unica a subire quegli effetti, e tra tutti era l’unica esper presente. C’era una sola cosa in grado di annichilire i poteri esper, dopo la morte e la perdita della coscienza, ed erano le onde tachys. Sapeva che fossero il nemico naturale delle abilità esper, ma non sapeva che dessero quegli effetti collaterali.
«Credo che siano le misure anti-esper.» asserì. «Cerca di resistere, dai. Prima ce la caviamo, prima lo smagnetizzeranno.»
«Già...ma con la velocità che dimostrano ci vorrà una vita! E dire che oggi si doveva festeggiare...»
«Guarda che se non vi foste messi in mezzo ora non saremmo qui.» ammonì Evrard.
«Non ci saremmo messi in mezzo se non aveste deciso di derubare Lucky.» lo rimbeccò la ragazza.
«Eravamo d’accordo.» intervenne Cole.
«Come no! E all’ultimo ti ha fregato, scommetto. Ce l’aveva scritto in faccia...»
«Sai, se quel collare avesse anche una museruola sarebbe perfetto per te: ti ci vorrebbe ventiquattr’ore al giorno. Ora sai che cazziatone mi fanno i miei a causa vostra?!»
«E che vuoi che me ne freghi?» domandò di rimando lei. «Ti serve una lezione, almeno la pianti di andare in giro a fare cazzate.»
«Giuro, hai finito di vivere...» disse Evrard, cupo.
«Basta, tutti e tre!» ordinò Sikşaka. «La cosa più importante è chiudere la questione. Non ci serve scannarci a vicenda, per quanto trovi miserevole il vostro comportamento.»
«Oh, e piantala vecchio!»
«Guarda che il vecchio ti ha fatto decollare, Peter Pan.» pungolò la ragazza.
«Lilith, sei compresa anche tu nei tre.» la zittì il maestro. Lilith bofonchiò tra i denti quella che, a tutti gli effetti, era una rispostaccia, ma non aprì più bocca.
 
Il poliziotto rubicondo che li aveva raggiunti per primo al belvedere si fece vedere dopo quasi due ore. Camminò a passi lenti e pesanti fino alla cella di Sikşaka, prima di fermarsi e guardare il prigioniero come fosse un mucchio di sterco.
«Sikşaka Talavara?» domandò, già stufo di quel discorso.
«Sono io.» rispose pacatamente il lombax.
«Vieni, abbiamo da scambiare quattro chiacchiere.»
Sikşaka non si fece chiamare una seconda volta: si alzò e si lasciò scortare fuori dalla cella, attraverso gradinate e corridoi polverosi fino ad una piccola sala completamente scarlatta. Pavimento, pareti, soffitto, arredi. Tutto era rosso.
Dopo aver chiuso la porta, il poliziotto buttò fuori la risata gioviale che aveva trattenuto fino a quel momento e batté una pacca tra le spalle di Sikşaka.
«Beh, Sik, spero che il rosso non ti faccia sempre così schifo.» commentò, mostrando un sorriso sincero.
«Potere, rabbia, negazione, fallimento, vita, forza...rosso è il colore che scatena più istinti in assoluto; l’ideale per intimorire qualcuno. Secondo te perché il drappo di Rakta è rosso?» rispose il maestro di spada, allargando un sorriso in volto.
«Bah, quello è rosso perché piaceva al vecchio Gazda.» asserì con giovialità l’agente. «Qua le mani, ti tolgo i ferri.» aggiunse, armeggiando con la serratura delle manette di Sikşaka fino a farle scattare.
«E così ti hanno promosso, eh, Matej?» domandò il maestro di spada, massaggiandosi i polsi.
«Eh già. Ma di tanto in tanto parto lo stesso per rompere la monotonia della centrale. Non sia mai che un vecchio amico spunti fuori in una noiosa giornata d’aprile!» rispose l’agente, prima di assestare due colpi amichevoli sulla spalla dell’altro. «Oh, accomodati. Non saranno i pouff del grand hotel, ma è sempre meglio che parlare d’in piedi.»
Sikşaka accettò e si sedette su una delle due sedie presenti, che emise uno scricchiolio inquietante.
«Ma...sei sicuro di poterti prendere tutte queste libertà?» domandò, osservando l’altro sedersi. «Non ti diranno niente se riguarderanno le registrazioni?»
«Oh, per favore!» ribatté Matej con convinzione. «Il caso è mio e me la giro come voglio io. E poi, se non fossi certo che non sei una minaccia non ti avrei tolto le manette.» aggiunse. «Piuttosto, mi spieghi che ci faceva il prudente Sik, orgoglio del maestro Gazda per la sua calma perenne, in una rissa tra ragazzini?»
«Diciamo che ho visto dei comportamenti ingiusti e ho pensato di intervenire. Ma in ogni caso mi sono limitato a sbatacchiare un po’ il capobanda. Quel ragazzino che vi ha chiamati dovrebbe avertelo detto: non ho estratto alcuna arma e i miei colpi sono stati tutti a palmo aperto.»
«Sì, beh, il giovane Joule mi ha raccontato a grandi linee come sono andate le cose, e che tu non hai estratto nessuna arma l’ho visto dalle riprese dell’ufficio postale del belvedere.» replicò il poliziotto. «Quello che vorrei sapere è il perché.»
«Eeehh...forse per senso civico. Probabilmente per impedire a Lilith di commettere un errore più grande di lei, non lo so di preciso.» ammise Sikşaka facendo spallucce. Matej rovistò tra i documenti dei prigionieri e mise sotto il naso dell’amico il porto d’armi e la carta d’identità della giovane lombax.
«Parli di lei?» domandò indicando la fototessera attaccata alla carta d’identità. Non ancora abituato alla diversa luminosità della stanza, il maestro di spada avvicinò il viso al documento.
«Già, lei.» confermò dopo qualche secondo passato a decifrare i lineamenti della foto.
«In che senso “volevi impedirle di commettere un errore”?»
«È mia allieva e potrei dire con orgoglio che ha del potenziale; però non ha pazienza, e Cole Shinagan ha la capacità di farle salire la bile in tre nanosecondi. Metti insieme la capacità di usare una lama con la bile alta e..–»
«E ottieni un bel guaio, sì.» convenne il poliziotto, annuendo a sua volta.
«Non mi stupirei affatto se in questo momento si stessero scannando a parole.»
«Alquanto difficile, dal momento che il signor Shinagan è sotto interrogatorio proprio ora.» replicò l’agente indicando il muro alla sua destra. «Un interrogatorio un tantino diverso dal tuo, a dirla tutta, con tutte le formalità del caso. Sai, ci fanno fare il muso più duro se ci capitano dei ragazzetti, perché sperano di intimorirli e spingerli a non fare cazzate.»
«Cole è un piantagrane per natura, dubito che basterà una stanza rossa a fargli entrare in testa le regole del vivere civile.» asserì Sikşaka, schietto. «Anche oggi...voleva derubare quell’altro ragazzino e si è portato dietro i suoi tirapiedi per essere sicuro di farcela. Per cosa, poi? Duecento bolt. Ma ti pare?»
Matej si concesse una risata davanti alla faccia di assoluta incomprensione dell’amico.
«Sacra luna!» esclamò alla fine. «Ancora non sai che funziona così? Non è per il valore in sé dei bolt; è per dimostrare il proprio dominio. È come marchiare il proprio territorio, come dire “qui comando io e non hai diritto di opporti”; e chi si ribella si ritrova tormentato.»
«Perché, funziona ancora alla vecchia maniera? Se il dominante, per così dire, cede una volta allora non ha più diritto di comandare?»
«Sì, è ancora così.» rispose l’agente. «Ricordi?» aggiunse sorridendo. «Vent’anni fa ero moccioso esattamente come quello là. Poi il vecchio Gazda mi ha preso in palestra e mi ha insegnato un po’ di sani princìpi. Dovresti fare lo stesso con lui.»
«Guarda che questo non è come vent’anni fa. Non c’è più il maestro Gazda e non ci sono più io come allievo, che quantomeno ti sopportavo e cercavo di capirti.» ammonì Sikşaka. «Se anche accettassi Cole in palestra, Lilith sicuramente approfitterebbe della situazione per rivalersi dei suoi dispetti.»
«E tu metti anche lei a pulire i pavimenti. Dov’è il problema?» obiettò Matej. «Tutt’al più finiranno per darsi delle bastonate con gli spazzoloni, come facemmo noi due.»
«Loro non sono noi due, che alla fine ci siamo fermati. Si picchierebbero fino a rompere i bastoni; e se Cole dovesse tornare a casa tumefatto cosa spiegherei ai suoi genitori? Che è stata legittima difesa? Che non sono intervenuto perché ero a prendermi un tè?»
«Gli dici esattamente quello che il vecchio Gazda disse ai miei: era tutto parte di un allenamento.» rispose seraficamente il poliziotto, facendo spallucce. «Cosa vuoi che ti ribattano? Il loro cucciolo era in una palestra di arte delle lame: le bastonate e i lividi sono all’ordine del giorno durante gli allenamenti. Oppure hai trovato un modo soft di lavorare?»
«Non esiste un modo soft per prendere delle bastonate, dovresti saperlo meglio di me. Anzi, possiamo concordare che quelle sono il modo soft per avvicinarsi a una lama.» replicò Sikşaka, serio. «Quello che mi frena dall’accettare Cole in palestra non è la possibile denuncia dei signori Shinagan, ma un colpo di testa di Lilith.» ammise infine.
«Paura che lo affetti?»
«Già. Per errore, per rabbia o semplicemente perché le va. Cole, con quegli altri due, ci va sempre giù pesante con lei, ma finora col fatto che perderebbe la possibilità di portare con sé un’arma ha sempre evitato di fare sul serio con loro.» spiegò il maestro di spada.
«Girare con un coltello è così importante, per lei?»
«Già, la fa sentire sicura. Non invincibile, ma le dà la consapevolezza di potersi difendere. Sai anche tu che genere di posto sono i bassifondi.»
Dopo quella risposta Matej si chiuse a pensare. Sbatacchiò la matita sul tavolino al ritmo del’ultima canzone di Courtney Gears e soppesò tutte le informazioni raccolte da quello scambio di frasi.
«Però...» obiettò, incerto, al termine delle sue elucubrazioni. «Cosa dicono i suoi genitori?»
«Ha solo il padre, ed è sempre in giro per le galassie. Faccio io da referente per la famiglia.» rispose Sikşaka.
«E sei sicuro che metterle una lama in mano sia la soluzione migliore?» incalzò Matej. «Deve acquisire anche il controllo, ma non per la paura di qualche conseguenza. Deve acquisire il freno che hai tu e che aveva il vecchio Gazda...lasciarla andare avanti con una semplice paura mi sembra sbagliato. Cosa farai quando supererà la paura di perdere un pezzo di carta?» aggiunse.
«Non so se quello che sto facendo è giusto o sbagliato, ma credi davvero che mettergli davanti il suo peggior rivale possa insegnargli dov’è il limite tra difesa e violenza gratuita?»
I due amici si guardarono dritti negli occhi, mogano contro rosso. Non dissero nulla per qualche istante, e quando Sikşaka sospirò Matej allungò un angolo della bocca verso l’esterno, assumendo un’espressione pensierosa.
«La legge prevede che i mocciosi come loro scontino dei lavori utili presso degli esercizi pubblici.» annunciò, serio e quasi incolore. «E la tua palestra è un esercizio pubblico: potresti sfruttare l’occasione e usare il suo rivale per farle imparare dove sta il limite da non superare.»
Sikşaka alzò gli occhi al cielo con aria sconsolata. Vedendo Matej scendere dalla volante aveva presagito un finale imprevedibile, ma quello sforava da ogni sua immaginazione.
«Quindi non ho proprio scampo.» concluse il maestro di spada. «Quanto vorrei che il maestro fosse qui a darmi un consiglio...»
«Tranquillo, di sicuro è Lassù che sta masticando una foglia di thork e ghigna di noi...»
* * * * * *
Fu solo l’indomani mattina che li rilasciarono, dopo l’arrivo delle ordinanze disciplinari. Come previsto da Matej, gli aggressori di Evenezer “Lucky” Joule sarebbero stati assegnati a lavori utili per tutto il mese seguente, con il capobanda assegnato proprio alla palestra di Sikşaka.
A tale proposito, i genitori di Cole ed Evrard portarono via i loro figli strepitando di accuse oltraggiose e di perdite di tempo, di pene assolutamente ingiuste e di ricorsi. Il padre di Naukara, invece, continuò a sbraitare di come fosse possibile che una pazza delinquente avesse mandato all’ospedale il suo adoratissimo figliolo e fosse rimessa in libertà tanto alla svelta. Gli fu fatto notare, anche davanti ai filmati dell’ufficio postale, di come in realtà le azioni di Lilith fossero attribuibili alla legittima difesa, in quanto aveva estratto l’arma per seconda e per semplice scopo difensivo. Quanto alla lama dello stivale, era stata sfoderata e usata nel momento in cui il povero Naukara le puntava addosso un coltello. E mentre il genitore continuava a cercare di ribaltare le immagini a favore di suo figlio, Lilith entrò nella stanza dopo essersi fatta togliere il collare. Non impiegò molto a comprendere su cosa vertesse il discorso strepitato dal genitore, ma fece finta di nulla e si avvicinò alla reception per riprendere i suoi affetti personali.
Recuperò tutto e si sedette vicino a Sikşaka, intento a rimettersi le scarpe.
«Che colpa ne ho io se suo figlio è un coglione ipertrofico?» borbottò.
«Come ti senti ora? Va un po’ meglio?» volle sapere il maestro, ignorando la polemica.
«Non del tutto, però va meglio.» rispose la ragazza, chiudendosi al collo le sue preziose piastrine e massaggiandosi poi l’articolazione liberata. Matej si avvicinò con una cartellina olografica in mano. Quando fu abbastanza vicino, la porse loro.
«L’ultima bega e siete liberi di andarvene.» disse. Poi vedendo la faccia stanca di Lilith, con gli occhi rossi come se avesse appena finito di piangere, aggiunse: «Prima esperienza con le tachys, signorina?»
La ragazza andò a incontrare lo sguardo del poliziotto.
«Come, scusa?»
«Il collare. È la prima volta che hai un’esperienza del genere?»
«Sì, mai provata certa roba.» rispose, riprendendo ad armeggiare attorno agli stivali.
«Fuori da qui ti sentirai meglio, ma se accetti il consiglio di un esper, quando arrivi a casa mangia qualcosa di dolce. Aiuta a smaltire prima gli effetti delle radiazioni.»
Dopo aver finito di chiudere gli stivali ed aver infilato il suo navaja in tasca, Lilith firmò sulla cartelletta.
«Grazie delle informazioni.» disse. «Vedrò di fare come dici.»
«E cerca di stare lontana da quei tre...»
«Non sono io a cercare quei deficienti.» rispose schiettamente lei. «E quello che vorrei mi girasse alla larga farà coppia fissa con me tutto il mese prossimo. Come faccio a starci lontano?»
Matej le sorrise, e quel sorriso le parve inquietante.
«Alla fine del mese? Parola mia che ti guarderanno con tutt’altra luce negli occhi, Lilith Hardeyns.»

 

   
 
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