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Autore: Oscar_    10/06/2011    4 recensioni
Solo la paura di perderti mi blocca prima di fare azioni sconsiderate, insomma, più di quante già io non ne faccia. Solo la paura di perderti mi riporta alla realtà quando ti proibisco di guardarmi con quei tuoi grandi occhi, quando ti vieto di gioire nel ricevere un giusto e meritato pasto dopo le ore che ti faccio passare nel buio, a pensare a non so nemmeno io cosa.
(dedicata ad una persona molto speciale ♥)
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Last words before lose you

 
 
 
 
 



I love you
 
 
 
 
 
 
 
 





Solo la paura di perderti mi blocca prima di fare azioni sconsiderate, insomma, più di quante già io non ne faccia. Solo la paura di perderti mi riporta alla realtà quando ti proibisco di guardarmi con quei tuoi grandi occhi, quando ti vieto di gioire nel ricevere un giusto e meritato pasto dopo le ore che ti faccio passare nel buio, a pensare a non so nemmeno io cosa.
Sono pazzo, pazzo nel credere che tutto questo potrà continuare. Ti sfianco, ti impedisco tutto, non ti offro i diritti che meriti. Eppure, benché io lo sappia e sia consapevole delle mie azioni, non smetto. Sarà crudeltà, quel rancore mai sfogato che porto sin dalla nascita; non lo so. Non domandarmelo te ne prego.  È già per me incomprensibile star scrivendo queste cose a qualcuno che nulla meriterebbe! Ma io… Sono pazzo. Tu devi scusarmi se non sono in grado di donarti gioia e una casa decente. Di farti ridere spontaneamente e non tirare i muscoli labbiali giusto per routine quando ti passo accanto. Quel tuo sorriso che infonde solo tristezza a chi l’osserva, quel sorriso che sembra determinato a prima vista ma che ad un’accurata e dettagliata esaminazione dona soltanto rimorso, rimpianto e tutti quei sentimenti che dentro ti danno gelo e niente di più.
Mi domando molto spesso se potessi rimediare a ciò che ogni giorno ti faccio da oramai anni. Potrei? Rispondi. Rispondi!

Cosa pretendo? Troppo. Non preoccuparti, non rispondere, mi dispiace.
Mi dispiace?! Cosa sto blaterando??
Vedi? Mi porti al più elevato grado di esasperazione mentale! Non ti sopporto!
In questo istante mi raffiora la tua frase più frequente:
- Domando perdono, non riaccadrà. – Con quella voce ogni giorno più debole, ogni giorno più spenta, ogni giorno più lontana a quella gioia che tanti anni fa sprizzava alla prima sillaba pronunciata dalle tue morbide labbra, adesso screpolate e gelide.
Sono stato io vero? Io ti ho rovinato. Costringendoti a rimanere vicino a me nelle condizioni più spietate, nelle condizioni più terribili ma che alla mia mente, nei peggiori momenti, parono le migliori.
Tu, così felice e chiacchierone un tempo, adesso sembri stato preso d’assalto da una di quelle malattie che lentamente divorano dall’interno per lasciare ultimo solo il lato corporeo. Magari è così, vero? Ma io non mi rendo conto più di nulla tranne dei creditori che di continuo passano a suonare il campanello del mio maniero che cade a pezzi, di quella che doveva essere la nostra dimora d’amore eterno, di quella che avrebbe dovuto trasformarsi in un rifugio sicuro per noi, ma che alla fine è solo una casupola sfasciata e priva di qualsiasi sicurezza, come me.
Anch’io cado a pezzi, anch’ io sono sfasciato oramai. Lo noti vero? Come noti la mia tristezza, il mio rimpianto ogni volta che fisso il tuo corpo straripante di cicatrici, come d’altronde la tua mente, la tua povera fragile mente.
Ti avevo sempre visto come una persona forte, come una persona determinata a raggiungere i propri scopi, come me. Eppure adesso, dopo quelle botte, quelle percussioni e quegli insulti, sembri solo una piccola bambola rotta, rotta in partenza, difettosa, nelle mani inesperte di un bambino capriccioso e che pretende tutto da una vita che ha deciso di non donargli niente.
Eravamo uguali un tempo. Ora siamo servo e padrone. Come muta le cose il tempo eh? Rammento bene quando fummo insieme, pacificamente, in un letto, ad amarci senza costrizioni né obblighi, ad amarci solo perché lo desideravamo; quanto mi dicesti quel giorno mi rimarrà impresso nella memoria in eterno:
- Il tempo è solo un gran burlone. Basta trovare il modo di burlarlo prima che lo faccia lui ed il gioco è vinto dalla nostra fazione. -
Lo dissi con quella voce ancora certa e speranzosa d’un futuro migliore, quello che non riuscirò mai a donarti.
Io ho sbagliato. Continuo a sbagliare. Andrò avanti fino alla morte. Che avverto vicina ogni secondo che il pendolo del salone scandisce, di più.
Avrei voluto amarti, avrei voluto vedere il tuo sorriso appena sveglio ogni giorno. Ma non è accaduto.
Sono sempre stato pazzo forse; sì, è decisamente così, io sono pazzo. Pazzo per trattarti peggio dello straccio che ogni ora utilizzi per pulire una polvere inesistente dalle mie scarpe splendenti, le uniche cose pulite in questo maniero schifoso, schifoso almeno quanto me.
Spessissimo mi chiedo cosa pensi ora di me.
Proverai pena? Compassione? Odio?
Io proverei tutt’e tre le cose. Tu no. Sicuramente ne pensi solo una. E magari nemmeno presente in quest’elenco.
Sei imprevedibile.
Imprevedibile è il tuo pensare, il tuo fare, il tuo comprendere. Ti amo per questo.
Nonostante continui a farti del male, in quei pochi momenti lucidi che il mio essere malato mi concede… Io continuo a pensare a quanto ti amo. A quanto continuerò ad amarti. E a quanto sono stato egoista a non regalarti le mille promesse fatte in quel passato che prospettava un futuro pieno di meraviglie.
Potrei perdere tutto in questo momento. Ma non te.
Non potrei mai accettare di perderti. Se dovessi morire e qualcuno ti trovasse in quelle condizioni, probabile che mi seppellirebbe in una fossa comune, non è vero?
Tu glielo lasceresti fare, piccolo mio?
Ancora brucia il ricordo di quelle telefonate infinite, di quelle parole dette e pensate a fondo prima d’esser pronunciate. Di quei sogni sempre sfiorati dal mio infantile tocco ma mai afferrati saldamente, a cui mai il mio tocco aveva impedito l’allontanamento.
Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace sul serio.
Non so che cos’altro dirti, un tempo sapevo scrivere, ora non più.
Da adolescente ricordi come credevo in qualcosa di sempre migliore, sempre più bello di ciò che possedevo? Certo che lo ricordi, so che lo ricordi.
Ti chiedo solo di perdonarmi.
Mi spiace amore mio.
 
 
 
                                                            

Per non farti ancora del male, ho scelto la via del suicidio. Ti amo.

 
 
 
 
 
 
Trovò quelle parole scarabocchiate nella sua disordinata e pazza calligrafia all’ora di cena, su fogli sparsi nella sua camera che di normale più nulla aveva da parecchio tempo. Prima di mettersi a frugare in ciò che aveva scritto, le sue ultime parole benché lui ancora non lo sapesse, si accertò che attorno non vi fosse lui, magari con quel viso un tempo splendido ma nei giorni precedenti a quello, solcato da lacrime e ghigni della peggior specie spesso allo stesso tempo.
Non udendo alcun rumore dalle stanze adiacenti né dagli angoli bui della stanza, si mise a leggere; ed appena lesse la frase conclusiva, fu lui a piangere. Si alzò di scatto, anche se quel tipo di movimenti gli provocava un dolore estremo a tutte le giunture corporee, e corse in ogni stanza, in ogni nascondiglio che di solito utilizzava per gridare in solitudine, quella sorella eterna che non aveva mai smesso di inseguirlo senza tregua. Chiamò il suo nome, anche se ben sapeva che lui odiava sentirsi chiamare in quel modo. Gridò finché la voce non svanì del tutto. Pianse finché gli occhi gli serbarono lacrime. Corse e cercò in ogni dove finché le gambe non l’abbandonarono a terra. E a quel punto non gli rimase altro che maledirsi.
D’improvviso, quando ormai aveva perduto qualsiasi speranza, quelle poche che ancora in segreto serbava, alzò lo sguardo davanti a sé e lo vide. Lo vide sorridente. Lo vide sano. Lo vide proprio com’era un tempo. Pieno di bontà ed allegria, pieno di sarcasmo e buone parole di consolazione, pronto ad utilizzarle nelle più differenti situazioni che sempre e comunque osavano metterlo alla prova. Ed allora anche lui sorrise. Si alzò trovando la forza nel suo cuore. Aveva compreso che quello era una burla del tempo, e sapeva che avrebbe dovuto ribattere con uno scherzo peggiore, ma decise di credere in quella bugia, di scivolare di sua spontanea volontà nell’oscuro baratro che il tempo gli offriva senza pretendere alcun pegno.
Avanzò lentamente, un passo dopo l’altro, sorridendo perso nella bellezza del suo amato quando ancora non aveva dato i primi segni di quella pazzia spintasi a livelli impensabili col passare degli anni; ed allungò una mano verso di lui. Notò che si stava sempre maggiormente avvicinando alla finestra spalancata nel vuoto, ma non gliene importò. In fondo aveva promesso di seguirlo ovunque.
 
 
 

   
 
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