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Autore: Malvagiuo    11/06/2011    3 recensioni
Riprendo un fanfiction scritta da Clive Danbrough, di cui - diciamo - mi ha ceduto tutti i diritti.
Questa è la storia di Altair prima dell'inizio del videogioco. Il suo passato, la sua vita prima di diventare l'eroe della leggenda.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stava per abbandonare per sempre quel luogo di morte, quando qualcosa lo trattenne.
Un sospiro.
Una serie di flebili singhiozzi.
Ayman si voltò di scatto, orientandosi nel buio seguendo il proprio udito. Vide una cosa che prima non aveva notato. O meglio, aveva notato quell’oggetto, ma senza intuirne la reale natura.
Una culla.
Non ebbe bisogno della luce per capire che dentro c’era un bambino.
Immediatamente, uno spettro – più grande e terribile di qualunque altro si fosse mai presentato per tormentarlo – aleggiò alle sue spalle, gelandogli il sangue nelle vene.
Non ce l’avrebbe fatta a ucciderlo. Non tentò neppure di estrarre la lama nascosta. Il cuore gli si fermò al solo pensiero di dover compiere un atto così nefando.
Sollevò una mano e lasciò che il piccolo gli afferrasse l’indice. Bastò quel gesto a calmarlo. Il contatto di un altro essere umano fu sufficiente a precipitare il piccino nel sonno.
Che cosa ne sarebbe stato di lui, senza il padre a proteggerlo?
Ora, senza famiglia, il piccolo sarebbe stato un peso per chiunque. Il mattino dopo, quando i carovanieri si fossero accorti dello sterminio, difficilmente avrebbero portato con sé quel fardello tanto bisognoso di cure. Nessuno sarebbe stato disposto a occuparsene, già lo sapeva.
Sarebbe stato abbandonato, magari proprio là, a poche miglia dal deserto. Offerto in sacrificio agli avvoltoi o al sole spietato. Si rese conto che, pur non avendo intenzione di ucciderlo, la vita di quel marmocchio era nelle sue mani.
Ayman aveva sulla coscienza uomini, donne, anziani e anche bambini. Una buona azione non sarebbe bastata a redimerlo da una vita abominevole. Naturalmente, tutti rispettavano Ayman. Nessuno vedeva in lui un carnefice, ma solo un fedele esecutore della volontà dei padri della setta. Poco importava come si sentisse in verità.
Era solo un bambino.
Ne aveva già uccisi tanti, direttamente o indirettamente.
Uno in più non avrebbe fatto differenza.
Si voltò per andarsene.
 
No! Questa volta no!
Il pensiero si affacciò con tale prepotenza nella mente di Ayman da costringerlo ad arrestarsi sulla soglia della tenda, per la seconda volta.
Stava lasciando trascorrere troppo tempo. Gli altri Assassini dovevano essere preoccupati. Perché il loro capo indugiava così a lungo?
Ogni secondo che rimaneva lì aumentava il rischio di venire scoperti.
Ayman, infine, prese la sua decisione.
Per la seconda volta tornò sui propri passi e afferrò con cura il fagottino che dormiva nella culla. La sua delicatezza fu tale che il piccolo non si svegliò nemmeno. Anni e anni di addestramento nelle arti mortali avevano acuito la destrezza delle sue mani, così come una vita di feroci battaglie rendeva le mascelle del lupo tanto perfette da poter ghermire i propri cuccioli senza ferirli.
Finalmente, Ayman uscì dalla tenda.
Quando gli Assassini lo videro, lo seguirono senza vedere ciò che l’uomo reggeva tra le braccia.
Nessuno fece domande finché non furono al sicuro, lontano dalla carovana.
La missione era compiuta. Ma la notte non era finita.
Quando Ekmel, ormai disinteressato alla retroguardia perché sufficientemente lontani da qualunque minaccia, vide il bambino, non poté trattenersi dall’esclamare:
«Che cos’è quello, maestro?»
Ayman non si voltò.
«Il frutto dell’ultimo residuo della mia umanità».
Alla risposta, gli Assassini tacquero. Nessuno osò ribattere. Sapevano chi era il loro capo, sapevano che non avrebbe mai osato infrangere una regola senza un’ottima ragione. Rapire quel bambino non era esattamente contro le leggi della confraternita, ma poteva trattarsi di un’azione estremamente sconsiderata.
 
Quella notte, Ayman non dormì.
Il giorno successivo avrebbero raggiunto Masyaf, dove al piccolo sarebbero state fornite le cure necessarie.
Il piccolo dormiva, e Ayman non riuscì a trattenere un sorriso nell’udire il suo flebile e delicato respiro.
In quel preciso istante, si rese conto che doveva trovargli un nome.
Sentì la necessità di trovargliene uno, anche se in realtà già doveva averlo. Ma quel nome era destinato all’oblio, sarebbe rimasto ignoto per sempre.
Ayman era perplesso. Di fronte a una scelta del genere, che per la prima volta si trovava ad affrontare, non sapeva come comportarsi.
Rimase lunghe ore in silenzio, a riflettere. Ma nessun nome, tra quelli che conosceva, pareva adatto.
Ma ecco che uno stridio acuto giunse a squarciare il silenzio della notte. Un suono potente, intimidatorio, di un predatore notturno in caccia.
Disteso sulla schiena, Ayman la vide volteggiare in cielo nonostante il buio. Vide la sua sagoma maestosa stagliarsi sulla volta celeste, più cupa della tenebra stessa, oscurando il lume delle stelle. Un’aquila.
Pensò ancora qualche istante, e poi sorrise.
Perché no?
Il Priore si girò su un lato, verso il fagotto che dormiva accanto a lui.
«È un bel nome» sussurrò. «Inoltre, da questo momento non sei più figlio di nessuno».
Sollevò ancora lo sguardo, e ciò aumentò la sua convinzione.
«Verrai nella nostra casa e diventerai uno di noi. Benvenuto tra gli Assassini, Altaïr Ibn-La’Ahad». 



NOTA DI POLIPOZZO
Per chi non lo sapesse, Altair significa 'Aquila' e Ibn-La'Ahad è un'espressione araba che, coniugata al nome, dà il significato di 'Aquila Volante' oppure 'Figlio di Nessuno'. Ho ritenuto doverosa questa nota per far capire la scelta del nome da parte di Ayman.
   
 
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