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Autore: aki_penn    11/06/2011    3 recensioni
Soul Eater in versione meraviglie.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Black Star, Blair, Crona, Maka Albarn, Soul Eater Evans
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Sono davvero felice che il primo capitolo sia stato apprezzato, avevo una gran paura che qualcuno gridasse al sacrilegio. Il fatto che non sia successo mi ha davvero sollevata.

D’ora in poi ho intenzione d’introdurre tutti i personaggi possibili, a parte quelli che non sono ancora apparsi nel manga edito in Italia, perché ovviamente non li conosco abbastanza da potermi permettere di scrivere di loro mantenendoli IC. Lettori di scansioni perdonatemi! Comunque sia spero davvero di non annoiarvi!

 

 

 

Capitolo Secondo

Il tavolino a tre gambe

 

 

Il water-tana doveva essere molto profondo, oppure la caduta di Maka molto lenta, perché ebbe tutto il tempo di rendersi conto di ciò che accadeva e pure di pensare che era piuttosto improbabile che una fogna si estendesse così tanto verso il centro della terra. Per un secondo temette di rispuntare in Cina, ma ben presto la caduta divenne quasi noiosa nonostante non riuscisse a capacitarsi di come quello stretto pozzo infrangesse varie leggi dello stato e della fisica.

Fu così che, continuando a cedere, incrociò le braccia e gonfiò le guance seccata, ma fu proprio quando allungò le gambe per sgranchirsele che si accorse di non indossare più la sua fedelissima gonna scozzese, ma un abitino vittoriano azzurro.

Sgranò gli occhi, assalita da un dubbio atroce. Alzò lentamente la gonna, preoccupata per quello che avrebbe potuto trovarci sotto. Appena si rese conto che le sue paure erano tristemente confermate lasciò andare il lembo di stoffa e si mise una mano sugli occhi.

Mutande a zucca. Le temibili mutande a zucca! Finite le elementari credeva di essersene liberata, e invece rispuntavano proprio nel momento in cui meno se l’aspettava.

Non ebbe però tempo per rammaricarsi oltre perché la sua attenzione fu presto accaparrata da quello che, si accorse, era appeso alle pareti.

Il pozzo era arredato con molte mensole sulle quali erano appoggiati vari barattoli in un ordine maniacale.

Maka ne prese uno per guardare di cosa si trattasse. Fu esattamente nel momento in cui l’afferrò che per tutta la tana rimbombò un urlo di disperazione disumano. Spaventata lo appoggiò sul primo ripiano che le capitò vicino rovinandone così l’ordine. Come se fosse una conseguenza ci fu un altro urlo disperato.

Maka si tappò le orecchie con le mani per non sentire, e chiuse gli occhi, quelle mensole tutte maledettamente uguali e ripetitive le facevano venire il mal di testa. Le ricordavano tanto quella volta che era stata male e in ospedale qualcuno aveva passato ore a sistemare i medicinali in modo che fossero simmetrici.

Stava quasi per addormentarsi quando atterrò con un tonfo sopra un mucchio di foglie. Si rialzò in un attimo, scrollandosi lo sporco dal vestito azzurro e con la coda dell’occhio vide il coniglio rosa correre via per il cunicolo in cui si era ritrovata.

“Signor coniglio, aspetti! Come si fa a uscire di qui?” urlò mettendosi a corrergli dietro. Adesso che era sicura che fosse al sicuro dalle perversioni di Stein voleva tornarsene a casa. Però era buffo come, quell’animaletto atipico che si faceva malmenare da un orologio, le ricordasse qualcuno, anche se non avrebbe saputo dire chi.

Fu costretta a fermarsi quando il coniglietto s’infilò in una porticina troppo piccola per lei. Si chinò appoggiando le ginocchia a terra per vedere dove stesse andando e lo vide continuare a correre come un pazzo sotto i colpi impietosi del suo orologio da taschino.

La destinazione sembrava un giardino verde che le parve bellissimo. Ma che ci faceva un giardino del genere sotto la Shibusen?

Si rialzò scocciata, si era fatta prendere dalla foga e non si era nemmeno guardata in giro, e invece un Maister come si deve avrebbe dovuto tenere tutto sotto controllo.

Si trovava in un vestibolo lungo e basso, illuminato da una fila di lampade che pendevano dal soffitto. Incrociò le braccia e sbuffò. Come poteva fare per tornare indietro? Forse poteva arrampicarsi per il buco, dal quale era caduta, aggrappandosi alle mensole, ma se ci aveva messo così tanto per scendere precipitando, quanto ci avrebbe messo per risalire arrampicandosi?

Si grattò la testa e sospirò, non era da lei lasciarsi trascinare in una situazione del genere senza neanche pensarci, cosa le era venuto in mente quando si era buttata nel buco del water?

Stava ancora rimuginando sulla sua scarsa furbizia quando l’occhio le cadde su un tavolinetto a tre gambe che si trovava in mezzo all’ingresso. Sbarrò gli occhi, era passata poco prima da quel punto, mentre rincorreva il coniglio rosa, ma non l’aveva visto.

Si avvicinò curiosa e solo quando notò una bottiglietta di succo di frutta appoggiata sopra si rese conto di quanta sete avesse effettivamente in quel momento. La guardò con incredibile interesse prima di prenderla in mano, incerta.

Non poteva mettersi a bere da una boccetta trovata per strada. Era abbastanza certa che non fosse pericoloso, se Medusa avesse voluto attentare alla vita di qualcuno di certo non avrebbe iniziato da lei. Ciononostante non era sicura di poterla bere, magari apparteneva al coniglio rosa o al suo temibile compagno d’ottone e di certo non sarebbe stato contento di vedersela finita.

La fissò ancora un po’, prima di decidere che se ne avesse bevuto solo un goccino non se ne sarebbe accorto nessuno.

Se lo portò alla bocca assaggiandola, fece una smorfia, era buono ma… strano. Sapeva di more, crema, pollo, lampone e curry. Si fermò a guardare la bizzarra boccetta e si accorse che sembrava stesse ingrandendo sempre più velocemente. Rimase con la stessa espressione perplessa finché non si rese conto che non era la boccetta a ingrandirsi, ma lei a rimpicciolirsi. Esalò un urletto di stupore, mentre la bottiglia, ormai troppo grande per starle in mano, cadeva a terra rovesciando sul pavimento tutto il liquido che conteneva.

Non ci volle molto perché le sue dimensioni diventassero così ridotte da farla annaspare nel contenuto della boccetta come se si trovasse in un fiume in piena.

Tossicchiò e spuntò acqua ringraziando di saper nuotare. Affaticata fece qualche bracciata fino a rendersi conto di essere attorniata da strane creature alate che dopo un’occhiata più approfondita risultarono essere fate.

Maka si aggrappò a una bottiglia, grande più o meno come lei, che galleggiava lungo il fiume.

Guardò oltre l’etichetta, che citava il nome di qualche liquore che conosceva solo perché aveva sbirciato nella dispensa di suo padre, e vi scorse una fatina che sembrava dormire. Si chiese se per caso non si fosse scolata l’intero contenuto della bottiglia e non fosse stata male per questo.

Non ci volle molto perché il fiume si asciugasse, e ben presto Maka si trovò arenata in groppa alla bottiglia su una spiaggetta, insieme a un nugolo di fatine fradice.

Scese con un salto dalla sua improvvisata imbarcazione  per andare ad affacciarsi al collo della bottiglia.

“Signora fata? Signora fata? Si sente bene?” chiese a voce non troppo alta.

“Stai tranquilla, sta dormendo” la tranquillizzò una voce alle sue spalle. Maka si voltò a guardare chi le aveva parlato e scorse una fatina dai capelli celesti che si strizzava le ali “Più che altro sarebbe meglio asciugarsi il prima possibile se no saremo noi a non stare più tanto bene” fece notare, subito prima di starnutire.

Un’altra fatina sospirò tristemente indicando una tuba verde pastello abbandonata sulla spiaggia.

“Eh, no, quello no! Piuttosto mi prendo il raffreddore!”  ribatté la prima fatina. Maka rimase a guardare il dialogo tra le due con un filo di perplessità. Non capiva di cosa stessero parlando.

“E’ la cosa più seccante che conosca” ribatté la fata che aveva indicato per prima il cappello. Quella che aveva parlato con Maka emise un lungo sospiro, prima di annuire consenziente “Se non c’è altra scelta

Maka diede un’occhiata alle espressioni di tutte le altre fatine presenti e vi lesse un tremendo disgusto. Si voltò quando sentì che la creatura dentro la bottiglia di liquore si era svegliata e ne lesse la stessa espressione di chi sta aspettando la morte “Sta per succedere qualche cosa di orribile. Sarà meglio riaffondare i dispiaceri nell’alcol” concluse cercando qualche goccia infondo alla bottiglia.

“Ehi, no, non è il giusto modo di affrontare le cose! Mio padre…” cominciò Maka, ma quella non l’ascoltava più.

Indignata e fradicia sbatté il piede sulla sabbia e tornò a guardare la fatina che si apprestava ad alzare la tuba per rivelare al mondo cosa ci stesse sotto.

Con sua grande sorpresa  si dimostrò una specie di girino con una gorgiera e un bastone. Aveva un aria familiare, come se lo avesse già visto da qualche parte.

 

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In questo capitolo Maka si ritrova tra le mani la boccetta con su scritto Drink me, credo che lei come personaggio sia piuttosto stoico, ma credo anche che la mia visione di Maka sia un po’ distorta, mi sembra tanto una viziosa che si trattiene (ma perché poi?) quindi le ho fatto bere dalla bottiglia liquidandola con un po’ di litigio interiore, spero mi perdonerete!

In realtà l’Alice di Carrol rischia di annegare nelle sue lacrime e mangia i pasticcini che trova sotto al tavolo, ma fare piangere Maka solo perché è diventata troppo grande lo trovavo improponibile, così ho tagliato la scena.

In più, nel fiume, in teoria Maka avrebbe dovuto incontrare un topo, all’inizio avevo pensato di infilarci una delle Mizune, ma poi ho cambiato idea e l’ho fatta naufragare insieme alle fatine della grotta di Excalibur.

Fate caso al doppio senso della parola seccante. Non lo dico perché penso siate stupide, ma perché io quando l’ho letta nel libro originale l’ho capita a scoppio ritardato (eheh)

Le mutande a zucca sono un omaggio al Signor Spirit  e alla sua conversazione idiota con Sua Eccellenza in dio della morte XD

Bene non vi tedierò oltre, spero davvero che questo capitolo possa esservi piaciuto, grazie per essere arrivati fin qui! :3

Aki_Penn

 

   
 
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