Sono
davvero felice che il primo capitolo sia stato apprezzato, avevo una gran paura
che qualcuno gridasse al sacrilegio. Il fatto che non sia successo mi ha
davvero sollevata.
D’ora
in poi ho intenzione d’introdurre tutti i personaggi possibili, a parte quelli
che non sono ancora apparsi nel manga edito in Italia, perché ovviamente
non li conosco abbastanza da potermi permettere di scrivere di loro
mantenendoli IC. Lettori di scansioni perdonatemi! Comunque sia spero davvero
di non annoiarvi!
Capitolo
Secondo
Il
tavolino a tre gambe
Il water-tana doveva essere molto profondo, oppure
la caduta di Maka molto lenta, perché ebbe
tutto il tempo di rendersi conto di ciò che accadeva e pure di pensare
che era piuttosto improbabile che una fogna si
estendesse così tanto verso il centro della terra. Per un secondo
temette di rispuntare in Cina, ma ben presto la caduta divenne quasi noiosa
nonostante non riuscisse a capacitarsi di come quello stretto pozzo infrangesse
varie leggi dello stato e della fisica.
Fu
così che, continuando a cedere, incrociò le braccia e
gonfiò le guance seccata, ma fu proprio quando
allungò le gambe per sgranchirsele che si accorse di non indossare
più la sua fedelissima gonna scozzese, ma un abitino vittoriano azzurro.
Sgranò
gli occhi, assalita da un dubbio atroce. Alzò lentamente la gonna,
preoccupata per quello che avrebbe potuto trovarci sotto. Appena si rese conto
che le sue paure erano tristemente confermate lasciò andare il lembo di
stoffa e si mise una mano sugli occhi.
Mutande
a zucca. Le temibili mutande a zucca! Finite le elementari credeva di essersene
liberata, e invece rispuntavano proprio nel momento in cui meno se
l’aspettava.
Non
ebbe però tempo per rammaricarsi oltre perché la sua attenzione
fu presto accaparrata da quello che, si accorse, era appeso alle pareti.
Il
pozzo era arredato con molte mensole sulle quali erano appoggiati vari
barattoli in un ordine maniacale.
Maka
ne prese uno per guardare di cosa si trattasse. Fu esattamente nel momento in
cui l’afferrò che per tutta la tana rimbombò un urlo di
disperazione disumano. Spaventata lo appoggiò sul primo ripiano che le
capitò vicino rovinandone così l’ordine. Come se fosse una
conseguenza ci fu un altro urlo disperato.
Maka
si tappò le orecchie con le mani per non sentire, e chiuse gli occhi,
quelle mensole tutte maledettamente uguali e ripetitive le facevano venire il
mal di testa. Le ricordavano tanto quella volta che era stata male e in
ospedale qualcuno aveva passato ore a sistemare i medicinali in modo che fossero
simmetrici.
Stava
quasi per addormentarsi quando atterrò con un tonfo sopra un mucchio di
foglie. Si rialzò in un attimo, scrollandosi lo sporco dal vestito
azzurro e con la coda dell’occhio vide il coniglio rosa correre via per
il cunicolo in cui si era ritrovata.
“Signor coniglio, aspetti! Come si fa a uscire di
qui?” urlò mettendosi a corrergli dietro. Adesso che era
sicura che fosse al sicuro dalle perversioni di Stein voleva tornarsene a casa.
Però era buffo come, quell’animaletto atipico che si faceva
malmenare da un orologio, le ricordasse qualcuno, anche se non avrebbe saputo
dire chi.
Fu
costretta a fermarsi quando il coniglietto s’infilò in una
porticina troppo piccola per lei. Si chinò appoggiando le ginocchia a
terra per vedere dove stesse andando e lo vide continuare a correre come un
pazzo sotto i colpi impietosi del suo orologio da taschino.
La
destinazione sembrava un giardino verde che le parve bellissimo. Ma che ci
faceva un giardino del genere sotto
Si
rialzò scocciata, si era fatta prendere dalla foga e non si era nemmeno
guardata in giro, e invece un Maister come si deve
avrebbe dovuto tenere tutto sotto controllo.
Si
trovava in un vestibolo lungo e basso, illuminato da una fila di lampade che
pendevano dal soffitto. Incrociò le braccia e sbuffò. Come poteva
fare per tornare indietro? Forse poteva arrampicarsi per il buco, dal quale era
caduta, aggrappandosi alle mensole, ma se ci aveva messo così tanto per
scendere precipitando, quanto ci avrebbe messo per risalire arrampicandosi?
Si
grattò la testa e sospirò, non era da lei lasciarsi trascinare in
una situazione del genere senza neanche pensarci, cosa le era
venuto in mente quando si era buttata nel buco del water?
Stava
ancora rimuginando sulla sua scarsa furbizia quando l’occhio le cadde su
un tavolinetto a tre gambe che si trovava in mezzo all’ingresso. Sbarrò
gli occhi, era passata poco prima da quel punto, mentre rincorreva il coniglio
rosa, ma non l’aveva visto.
Si
avvicinò curiosa e solo quando notò una bottiglietta di succo di
frutta appoggiata sopra si rese conto di quanta sete avesse effettivamente in
quel momento. La guardò con incredibile interesse prima di prenderla in
mano, incerta.
Non
poteva mettersi a bere da una boccetta trovata per strada. Era abbastanza certa
che non fosse pericoloso, se Medusa avesse voluto attentare alla vita di
qualcuno di certo non avrebbe iniziato da lei. Ciononostante non era sicura di
poterla bere, magari apparteneva al coniglio rosa o al suo temibile compagno
d’ottone e di certo non sarebbe stato contento di vedersela finita.
La
fissò ancora un po’, prima di decidere che se ne avesse bevuto
solo un goccino non se ne sarebbe accorto nessuno.
Se
lo portò alla bocca assaggiandola, fece una smorfia, era buono ma…
strano. Sapeva di more, crema, pollo, lampone e curry. Si fermò a
guardare la bizzarra boccetta e si accorse che sembrava stesse ingrandendo
sempre più velocemente. Rimase con la stessa espressione perplessa
finché non si rese conto che non era la boccetta a ingrandirsi, ma lei a
rimpicciolirsi. Esalò un urletto di stupore,
mentre la bottiglia, ormai troppo grande per starle in mano, cadeva a terra
rovesciando sul pavimento tutto il liquido che conteneva.
Non
ci volle molto perché le sue dimensioni diventassero così ridotte
da farla annaspare nel contenuto della boccetta come se si trovasse in un fiume
in piena.
Tossicchiò
e spuntò acqua ringraziando di saper nuotare. Affaticata fece qualche
bracciata fino a rendersi conto di essere attorniata da strane creature alate
che dopo un’occhiata più approfondita risultarono essere fate.
Maka
si aggrappò a una bottiglia, grande più o meno come lei, che
galleggiava lungo il fiume.
Guardò
oltre l’etichetta, che citava il nome di qualche liquore che conosceva
solo perché aveva sbirciato nella dispensa di suo padre, e vi scorse una
fatina che sembrava dormire. Si chiese se per caso non si fosse scolata
l’intero contenuto della bottiglia e non fosse stata male per questo.
Non
ci volle molto perché il fiume si asciugasse, e ben presto Maka si trovò arenata in groppa alla bottiglia su
una spiaggetta, insieme a un nugolo di fatine
fradice.
Scese
con un salto dalla sua improvvisata imbarcazione per andare ad affacciarsi al
collo della bottiglia.
“Signora fata? Signora fata? Si sente
bene?” chiese a voce non troppo alta.
“Stai
tranquilla, sta dormendo” la tranquillizzò una voce alle sue
spalle. Maka si voltò a guardare chi le aveva
parlato e scorse una fatina dai capelli celesti che si strizzava le ali
“Più che altro sarebbe meglio asciugarsi il prima possibile se no
saremo noi a non stare più tanto bene” fece notare, subito prima
di starnutire.
Un’altra
fatina sospirò tristemente indicando una tuba verde pastello abbandonata
sulla spiaggia.
“Eh, no, quello no! Piuttosto mi prendo il raffreddore!” ribatté
la prima fatina. Maka rimase a guardare il dialogo
tra le due con un filo di perplessità. Non capiva di cosa stessero
parlando.
“E’
la cosa più seccante che
conosca” ribatté la fata che aveva indicato per prima il cappello.
Quella che aveva parlato con Maka emise un lungo
sospiro, prima di annuire consenziente “Se non c’è altra
scelta”
Maka
diede un’occhiata alle espressioni di tutte le altre fatine presenti e vi
lesse un tremendo disgusto. Si voltò quando
sentì che la creatura dentro la bottiglia di liquore si era svegliata e
ne lesse la stessa espressione di chi sta aspettando la morte “Sta per
succedere qualche cosa di orribile. Sarà meglio
riaffondare i dispiaceri nell’alcol”
concluse cercando qualche goccia infondo alla bottiglia.
“Ehi, no, non è il giusto modo di
affrontare le cose! Mio padre…” cominciò Maka,
ma quella non l’ascoltava più.
Indignata
e fradicia sbatté il piede sulla sabbia e tornò a guardare la
fatina che si apprestava ad alzare la tuba per rivelare al
mondo cosa ci stesse sotto.
Con
sua grande sorpresa
si dimostrò una specie di girino con una gorgiera e un
bastone. Aveva un aria familiare, come se lo avesse
già visto da qualche parte.
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In
questo capitolo Maka si ritrova tra le mani la
boccetta con su scritto Drink me, credo che lei come personaggio sia piuttosto stoico, ma
credo anche che la mia visione di Maka sia un
po’ distorta, mi sembra tanto una viziosa che si trattiene (ma
perché poi?) quindi le ho fatto bere dalla bottiglia liquidandola con un
po’ di litigio interiore, spero mi perdonerete!
In
realtà l’Alice di Carrol rischia di
annegare nelle sue lacrime e mangia i pasticcini che trova sotto al tavolo, ma
fare piangere Maka solo perché è
diventata troppo grande lo trovavo improponibile, così ho tagliato la
scena.
In
più, nel fiume, in teoria Maka avrebbe dovuto
incontrare un topo, all’inizio avevo pensato di infilarci una delle Mizune, ma poi ho cambiato idea e l’ho fatta
naufragare insieme alle fatine della grotta di Excalibur.
Fate
caso al doppio senso della parola seccante.
Non lo dico perché penso siate stupide, ma perché io quando
l’ho letta nel libro originale l’ho capita a scoppio ritardato (eheh)
Le
mutande a zucca sono un omaggio al Signor Spirit e alla sua
conversazione idiota con Sua Eccellenza in dio della morte XD
Bene
non vi tedierò oltre, spero davvero che questo capitolo possa esservi
piaciuto, grazie per essere arrivati fin qui! :3
Aki_Penn