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Autore: Shainareth    02/03/2006    1 recensioni
Dopo One Piece, la prospettiva del Piece Main riuscirà a riunire sotto lo stesso Jolly Roger la ciurma di Monkey D. Rufy, con una consistente aggiunta! Non si tratta solo di una storia avventurosa o d'amore, è più che altro un mix di umorismo, avventura e azione... ehm... sì, l'azione c'è, per quel poco che sono stata capace di fare... ç______ç Ma in verità, "Piece Main" racchiude un po' tutti i generi (eccetto il fantasy e il porno, credo! ^^'), quindi, come si suol dire, ce n'è per tutti i gusti! ^___-
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Piece Main' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo XCVII – Lontananza

Piccola nota: lo scorso capitolo era stato postato con un piccolo errore da parte del server, e quindi non presentava il pezzo finale. Ho provveduto a correggerlo, quindi, se volete, potete tornare indietro a leggere quel che vi siete persi. Per favore, la prossima volta, avvertitemi… ç_ç

 

 

 

 

 

Capitolo XCVII – Lontananza

 

            - Ehi, Rufy… cos’hai? – chiese Usop camminandogli accanto e notando la sua aria assente.

Ormai erano passati diversi mesi da quando avevano lasciato la Going Merry e salutato chissà per quanto Sanji, Nami e Zoro. La nostalgia dei compagni aveva pesato sin dall’inizio. Ciononostante lì dov’erano ora avevano la possibilità di rallegrarsi della presenza amica e rincuorante di persone che entrambi avevano sempre stimato, pilastri che avevano confortato i loro cuori sin dall’infanzia. Shanks era una figura paterna a tutti gli effetti per Rufy, e Yasop era riuscito a riconquistare appieno la fiducia del proprio ragazzo che per fortuna non gli aveva mai portato rancore per l’essere stato abbandonato assieme alla madre.

In quei mesi di lontananza dai loro amici, i due giovani avevano avuto il sorriso stampato in volto anche nelle situazioni più difficili, quando si erano imbattuti nella Marina o in qualche equipaggio nemico che aspirava alla testa del Rosso; e in tutto quel tempo, proprio per la foga dimostrata in battaglia o per il semplice fatto di essersi unito alla ciurma di Shanks, la fama di Monkey D. Rufy aveva continuato a salire ancora.

Adesso, però, pensava il giovane pirata, non era più il caso di nascondersi dietro l’ombra degli altri: gli era costato non poco pronunciare quel discorso solenne ai suoi quattro amici, qualche tempo dopo aver lasciato Raftel Island con l’amaro in bocca per la delusione. Ricordava ancora le loro facce sorprese, il sorriso di Sanji nel credere quelle parole solo uno scherzo, la rabbia di Usop, lo sguardo indagatore di Zoro, lo smarrimento di Nami, terrorizzata all’idea di perdere quella sua matta famiglia che amava disperatamente con tutte le sue forze. Ma Rufy si era reso contro che, per quanto tutti si fossero abituati a quella vita e sembravano più che felici, nessuno di loro, eccetto Usop, si era realmente offerto di accompagnarlo nel suo lungo viaggio, conclusosi infine con un buco nell’acqua. Non aveva più il diritto di tenerli lontano dalle loro terre, dai loro cari.

“Io resto con te!” gli aveva detto Usop subito dopo, quando neanche fosse stato un segno divino, si erano imbattuti in Shanks e la sua ciurma. “Qui c’è anche mio padre!”

E Kaya?”

“Tornerò da lei, un giorno… ma ora è giusto che rimanga qui. Erano anni che aspettavo questo momento…”

Più in là, in disparte alla calca di pirati che faceva baldoria attorno ad un grosso falò acceso sulla riva di una grossa isola verdeggiante, credendosi non vista dai suoi compagni, Nami si era accovacciata ai piedi di un grosso banano, lo sguardo malinconico rivolto all’amata caravella che le aveva fatto da casa per tanto tempo, ben tre anni della sua vita. Capiva perfettamente il punto di vista di Rufy che si sentiva responsabile della loro amarezza, per quel tesoro mai trovato… Ma Sanji, l’All Blue l’aveva visto, e Zoro era appena riuscito a guadagnarsi il titolo cui agognava dall’infanzia dopo una massacrante sfida con Mihawk. Persino Usop, per quanto pareva mostrarsi il solito fifone, sapeva cacciare fuori gli artigli tutte le volte che occorreva. Però… con quella sua decisione, Rufy rinunciava al proprio sogno… e anche lei, costretta a tornare nell’assolata terra dov’era cresciuta fra lacrime e sorrisi, non avrebbe visto quel suo grande desiderio prender forma. Eppure… eppure dinanzi agli ultimi avvenimenti, poco le importava di completare la cartina di tutti i mari. Quello che le spezzava il cuore, in quel momento, era il doversi separare da Rufy e dagli altri suoi compagni, cari a lei come veri e propri fratelli.

Avrebbe pianto se Sanji non le si fosse seduto accanto, porgendole silenziosamente un boccale colmo fino all’orlo di birra chiara, la schiuma che quasi traboccava. Il giovane aveva dato un ultimo tiro alla sigaretta, e buttandone via il mozzicone, aveva gettato il fumo fuori dai polmoni, lontano da lei, con un sospiro. Quindi aveva preso a sorseggiare il suo bicchiere senza dire una parola, gettando soltanto uno sguardo lontano, dove, su uno spuntone roccioso scendeva a strapiombo, più a est rispetto a dove avevano ormeggiato le due navi, solitario se ne stava Roronoa, i pensieri persi chissà dove.

            Era questa la panoramica dell’ultimo ricordo che Rufy aveva dei suoi amici, e ora cominciava a provare un insopportabile rimpianto per il modo in cui erano andate a finire le cose. Incolpava la sua debolezza, avrebbe dovuto ritrovare uno stimolo per tornare quello che era: che fine avevano fatto i suoi sogni?!

 - La sai una cosa, Usop? – cominciò con un sospiro, potandosi una mano al cappello di paglia che ancora portava tristemente sul capo. – Ho voglia di rincorrere di nuovo lo One Piece.

Il suo compagno lo guardò perplesso. – Vuoi riprendere il mare da solo?

 - Esattamente! – rispose quello con un sorriso.

 - E la nave? – gli fece notare Usop. – Vorrei ricordarti che sei stato tu a regalarla a Nami

 - Beh… era il mio regalo d’addio… - bofonchiò Rufy mettendo il broncio come un moccioso e le mani in tasca.

 - “Era il mio regalo d’addio”… - gli fece il verso l’altro con voce femminea. – Perché allora non l’hai fatto anche a Sanji e a Zoro, un  regalo?

 - Che c’entra?! – si stizzì il giovane di gomma per la presa in giro dell’amico. – Nami è Nami!

 - E certo…! – sbuffò Usop scuotendo il capo e restando indietro di qualche passo. – Se “Nami è Nami”, allora perché non gliel’hai detto prima che ci separassimo da lei e dagli altri?!

 - Toh! Guarda, Usop! Un gabbiano! – esclamò felice come un bimbo il suo capitano, additando lo squarcio di cielo che si intravedeva tra i tetti delle case adiacenti al porto, poco distante dal punto in cui dovevano raggiungere il Rosso e la sua ciurma.

Il nasone lo guardò in malo modo. – Bravo, bravo… sempre a sviare i discorsi, tu… - borbottò stancamente, riprendendo a seguirlo.

            Quando varcarono la soglia del grande pub in cui avevano appuntamento con gli altri, entrambi rimasero senza parole: possibile?! Shanks glielo aveva detto e ridetto, ma nessuno dei due aveva voluto prendere per vera quella storia: “…esiste un posto in cui si radunano solo i pirati… Non è segnato su alcuna mappa, la Marina ne ignora la posizione. E’ un luogo di passaggio per moltissimi di noi, dove vige un Codice da rispettare: chiunque faccia scalo lì, non deve nella maniera più assoluta attaccar briga con gli altri pirati. Se anche uno solo ci prova, tutti gli altri si daranno man forte per tenerlo al posto suo, perciò non conviene trasgredire il Codice… ne va del proprio onore…”

Ora riuscivano a vederlo con i propri occhi: quel posto pullulava di piratacci di ogni specie, ma ovunque pareva regnare l’allegria più completa; tanto che il Rosso… se ne stava a far baldoria col proprio rivale di una vita come se nulla fosse: Bagy il Clown!

Le mascelle di Rufy e di Usop toccarono il pavimento, mentre le due ciurme bevevano e scherzavano insieme come fossero un tutt’uno. Quanto Lou li vide lì imbambolati sulla soglia, li chiamò dentro, e fu allora che il Clown si accorse di loro. Urlò battendo le mani sul tavolo a cui era seduto, e alzandosi in piedi, lanciò un’occhiataccia minacciosa in direzione di Rufy che ancora guardava la scena allibito. L’intero pub si ammutolì in attesa dell’evolversi della situazione. Shanks scoppiò a ridere, e nel tentativo di rabbonire il vecchio compagno di gioventù, gli battè la mano sulla schiena.

 - Dai, amico! Siamo qui per divertirci! Siamo nel regno dei pirati!

 - Ha ragione lui. – convenne qualcuno dal fondo del locale. – Non è il caso di mandare al diavolo il Codice per così poco…

Una figura aggraziata e di gran bellezza, i lunghi capelli corvini, le forme invitanti e perfette, si fece largo tra la folla fino a giungere sotto la vista del ragazzo di gomma che rimaneva ancora senza parole.

 - In questo posto si fa l’amore, non la guerra… Dico bene, Monkey D. Rufy?

A quelle parole, Rufy rabbrividì: c’era anche Albida.

Quest’ultima gli rivolse un sorriso sornione, accompagnato da uno sguardo che non lasciava adito a dubbi: avrebbe fatto di tutto per ottenere quello per cui bramava da quattro lunghi anni…

 

            Lontano dalla Grand Line, nell’ormai pacifico East Blue, una nave dalla strana polena a forma ovina scivolava leggera sulle acque azzurre. A bordo sembrava non esserci nessuno, e la caravella veleggiava tranquilla, incurante della direzione da prendere. Pareva non esserci alcun pericolo in vista, o almeno così pensava quel farabutto di Koob Llac, naufragato da poco più di ventiquattro ore. Era un’occasione che non poteva lasciarsi scappare!

Non appena fu abbastanza vicino allo scafo della caravella, balzò in piedi sulla cassa alla quale si era appoggiato con tutte le sue forze per non colare a picco con la sua nave, e con le energie rimastegli nelle gambe e nelle braccia, stremate dal troppo nuotare, l’uomo si aggrappò all’ancora della Going Merry e, rischiando di precipitare nuovamente in mare, si arrampicò su per i fasciami dell’imbarcazione. Presto fu a bordo. Riprese fiato e guardandosi prudentemente attorno, notò che tutto era pressocchè in ordine, come se qualcuno avesse lucidato da poco il ponte che pareva brillare sotto ai suoi piedi.

Doveva stare attento: a bordo c’era almeno una persona. Cercando di fare il meno rumore possibile, si avviò verso poppa per esser sicuro che almeno in coperta non ci fosse nessuno. Fu lì che lo trovò: un uomo steso in terra, fra secchio e spazzolone, che se la dormiva alla grande.

Piano gli si avvicinò, incuriosito da quel volto familiare; ma quanto più si sforzava di ricordare, tanto più non riusciva a capacitarsi di dove l’avesse già incontrato. Sovrappensiero, alzò lo sguardo al cielo cercando di dare un nome a quel giovane solitario. Infine, tutto gli tornò alla mente. Si voltò di scatto verso l’albero maestro e sbiancò davanti al teschio dipinto sulla vela. Alzò gli occhi più in su, dove un ridente jolly roger pareva occhieggiare malignamente su di lui.

Deglutì. Era capitato dalla padella alla brace!

Già anni prima aveva avuto a che fare con Roronoa, quando questi era un semplice cacciatore di pirati, ne portava ancora le cicatrici; ma ora che su quella testa pendeva una taglia tanto alta…!

Occorreva un piano per svignarsela, ma non sapeva come, dato che a bordo di quella caravella non c’era l’ombra di una scialuppa. Sentendosi nella tana del leone, decise allora di tentare il tutto e per tutto. Piano si diresse sotto coperta alla ricerca di una qualche arma, e trovata finalmente una vecchia pistola in magazzino, tornò cautamente sul cassero a poppa, puntando la canna contro il viso dell’uomo appisolato…

Si udì uno sparo.

 

            Erano ormai diversi giorni che si trovavano nel “regno dei pirati”, come lo chiamavano tutti, e anche Usop e Rufy si erano infine ambientati a meraviglia nell’allegra e spensierata combriccola di piratacci che fino a qualche tempo prima erano loro nemici giurati. Il ragazzo di gomma, la cui unica vera preoccupazione al momento era quella di non cadere nei continui tentativi di adescamento da parte di Albida, tra una bevuta e l’altra, era riuscito a far cenno al Rosso del suo desiderio di riprendere il mare da solo per tornare alla ricerca del grande tesoro che lo avrebbe incoronato Re dei Pirati, e mantenere così la promessa fatta anni prima. E Shanks ne fu persino entusiasta: “Stavolta, però, datti da fare sul serio, eh? Rivoglio il mio cappello, ragazzino!”, l’aveva bonariamente preso in giro. E furioso come non mai, Rufy non badò nemmeno a cosa gli veniva servito nell’ennesimo bicchiere, e soprattutto a chi riuscì finalmente ad arpionarlo a sé, complici i fiumi d’alcol ed una piccola boccetta magica…

Quella stessa notte, quando ormai tutti russavano in piedi, sui tavoli, sul pavimento o sulle sedie, due sole figure, nell’ombra, si muovevano armoniosamente l’una contro l’altra, lontano da tutto e da tutti, lanciando piccoli gemiti e affannosi sospiri nel silenzio solenne che era piombato dopo l’ennesima sbornia collettiva. Baci furiosi, carezze tutt’altro che gentili, si susseguivano violentemente senza tregua con l’unico intento di ricevere piacere senza darne, o semplicemente un qualche sfogo a lungo cercato e mai trovato nel calore dell’abbraccio di quell’unica donna da sempre desiderata… troppo lontana, ormai.

 

            Un sospiro, e lasciò scivolare il capo sulle ginocchia tirate su al petto. Dove diavolo era finito?! Perché non tornava da lei?! Perché sentiva crescere dentro di sé quell’opprimente paura di non esser riuscita a trasmettergli quello di cui entrambi avevano più bisogno?!

Insonne, la bella cartografa se ne stava rannicchiata ai piedi della vecchia croce di legno che da troppo tempo sostituiva il volto della cara Bellmer, quel volto tanto amato che ancora le due ragazze, ormai donne, conservavano gelosamente nel proprio cuore, il loro ricordo più importante. Ma a questo, Nami, ne aveva ora affiancato un altro, quello dei suoi amici, quei quattro matti che amava con tutta l’anima.

Quella notte la nostalgia si era impadronita di lei, trascinandola in uno stato di apatia che le impediva persino di dar libero sfogo alle lacrime. E lui? Perché ancora non si faceva vivo? Si era perso come al solito? Erano passati diversi mesi, ormai… Sapeva che sarebbe tornato a prenderla, prima o poi, era solo questione di tempo. Solo… le mancava. Le mancavano come l’aria quelle braccia che l’avevano stretta quel pomeriggio, quando aveva pianto a dirotto sul suo petto, quando aveva sentito il calore delle sue labbra fra i capelli fini, il suo respiro sul collo… Era consapevole che quel sentimento tanto forte si era ormai distaccato molto dall’amicizia, e non aveva neanche più paura di ammetterlo. Non con se stessa, almeno. Lo amava, se ne era resa realmente conto solo quando l’aveva visto andar via, ma non lo aveva fermato perché voleva che anche lui, come lei, se ne rendesse conto da solo. E sarebbe stato in quel momento che l’avrebbe visto tornare. Lo amava, e ne era felice.

 

 

 

  
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