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Autore: nainai    13/06/2011    4 recensioni
“You Belong to Me I Believe”
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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This is how I disappear

That without you is how I disappear,
And live my life alone forever now.
And without you is how I disappear,
And live my life alone forever now.

Can you hear me cry out to you?
Words I thought I'd choke on figure out.
I'm really not so with you anymore.
I'm just a ghost,
So I can't hurt you anymore,
So I can't hurt you anymore.

And now, you wanna see how far down I can sink?
Let me go, fuck!
So, you can, well now so, you can
I'm so far away from you.
Well now so, you can.

And without you is how I disappear,
And without you is how I disappear.
Forever, forever now!
 
“This is how I disappear”
My Chemical Romance
“The Black Parade”

Pioveva. Una domenica nefasta come quella Frank non se la ricordava da mesi. Forse quell’inverno…il funerale di Lindsay…ma non era domenica ed il cimitero sotto la pioggia era sicuramente uno spettacolo meno deprimente della città sotto tutto quel grigio e quell’acqua.
Lui aveva dimenticato a casa l’ombrello, ma questo era ordinario, Jamia gli aveva urlato di prenderlo giusto un momento prima che lui si mettesse a fare qualcosa di più interessante che starla a sentire. Per quando era uscito, l’avvertimento di lei era già scomparso da un pezzo, così come Jamia stessa dopo aver annunciato che andava con Alicia a fare shopping. Di girare in macchina per New York in pieno giorno non se ne parlava nemmeno a spararsi, Frank aveva tirato su il cappuccio della felpa appena aveva sentito le prime gocce che gli urtavano il naso e la fronte ed aveva sperato di arrivare a destinazione prima di bagnarsi del tutto.
Speranza vana. Quando era riuscito ad attaccarsi al campanello della palazzina di Gerard, era zuppo come un pulcino e grondava acqua sul tappetino d’ingresso fuori dal portone, quello che recitava “welcome” in blu su sfondo panna sporco…sì…del fango delle sue scarpe.
-…cazzo.
-Frank?- gracchiò il citofono, e lui si affrettò a tirare su la faccia per rispondere.
-Sì, Gee,- confermò.- sono io. Aprimi che mi sto prendendo un accidente.
-…
-‘Fanculo! Apri, stronzo!
Una scarica elettrica, un “click”. Frank si voltò, allungando una mano a spingere il portone, e lo vide - …sotto la pioggia, dall’altra parte della strada, aveva anche lui il cappuccio della felpa tirato fin quasi agli occhi e come lui scolava acqua ed aveva i vestiti appiccicati addosso - però lo riconobbe lo stesso…
Quando mise piede dentro l’androne sentì la risata di Gerard risuonare per tutta la tromba delle scale, grugnì e si affacciò in su, da sopra il corrimano, sbirciando la faccia del cantante appesa in cima all’ultima rampa, le braccia incrociate sul legno ed un sorriso beffardo.
-Non penserai che ti lasci entrare in casa mia ridotto a quel modo!- esclamò Gerard.
-Non solo lo penso, ne sono anche certo.- affermò lui impudente, e prese a salire a due a due i gradini.
Gerard lo accolse accigliato, ma Frank lo spinse dentro casa e finse di non accorgersene. Qualcosa di pesante e morbido gli finì in testa, strappandogli un accenno di protesta, almeno finché a tatto non capì che si trattava di un asciugamano e se lo levò dalla faccia.
-Vatti a fare una doccia ed asciugati.- gli disse secco il bruno, camminando per primo in direzione della scala che portava di sopra – Ti cerco dei vestiti asciutti.
Frank venne fuori dal bagno - vestito e profumato e con i capelli ancora umidi - mezz’ora dopo, vagando per casa alla ricerca del proprio ospite. Alla fine lo trovò nello studio, seduto a terra davanti ad una tela già sbozzata, una lattina di redbull di fianco e lo sguardo assorto di chi sta pensando a qualcosa di non troppo piacevole. Il chitarrista gli andò vicino senza chiedergli permesso e si lasciò cadere con un tonfo di fianco a lui, dall’altro lato della lattina, incrociando le gambe sotto il sedere e fissando il quadro con una caricatura malfatta dell’espressione concentrata del bruno. Gerard afferrò in fretta la presa per il culo e gli tirò un ceffone pesante sul braccio, ma Frank rise e si voltò.
-Andiamo al cinema?- indagò.
-…posso farti una domanda?- se ne uscì l’altro senza rispondere. Frank scrollò le spalle per dire che andava bene.- Perché torni qui?- Il sorriso sulla faccia del più piccolo si congelò come una maschera; Gerard finse di non vederlo, continuò a parlare con la stessa sfrontatezza insensibile, quella di chi stia chiacchierando di circostanze prive di interesse.- Insomma…io e te a stento ci parlavamo fino a meno di cinque giorni fa, Frank, e non è cambiato niente da allora. Non sono cambiato io, non lo sei tu…ma ti ostini a tornare qui ogni santo giorno ed io davvero non capisco cosa diavolo ti aspetti da me. Perché torni qui?
-Perché nei hai bisogno.- confessò freddamente Frank.
-Non ho bisogno di te.
-No, forse no. Ma hai bisogno di qualcuno ed io non conosco nessuno che possa andar bene.
Gerard si fece scappare un sorriso cattivo, spostando la faccia in basso per fissarsi la punta delle scarpe.
-Beh, non prenderti troppo disturbo, Frank. Sicuramente quella persona non sei tu.- gli sputò addosso con indifferenza.
Frank incassò il colpo - per assurdo, faceva anche un po’ male - gli venne la tentazione di chiudere gli occhi per resistere al dolore sordo alla bocca dello stomaco, ma incassò e sorrise, le mani che tremavano insistentemente.
-…sei veramente un figlio di puttana.- notificò amaro.
***
Non si erano parlati per tutto il pomeriggio. Frank si era alzato ed era andato fuori dallo studio in un silenzio carico di tensione, gli era sembrato per un momento di rivivere quell’unica scazzottata agli Studi di registrazione: nell’aria c’era la stessa corrente di risentimento, rabbia e frustrazione. Ma soprattutto la stessa voglia di riprendersi qualcosa che era sparito da un pezzo.
Frank se n’era andato dalla stanza proprio per quello, poteva resistere a tutto – lo aveva fatto – ma non poteva resistere alla tentazione di annullare la distanza che li teneva lontani. Gerard, invece, sembrava tutto teso nel mantenerla, quella distanza, nel metterci spazio, ancora ed ancora, fino a non vederlo proprio più, tanto erano distanti; lui era tutto teso nel tentativo di scavarsi da solo una fossa da cui fosse impossibile riemergere.
E aveva un bel dire Frank nel ripetersi che il proprio scopo era solo quello di non permettergli di ammazzarsi da solo. L’altruismo non era mai stata davvero una sua qualità, alla fine la vicinanza che s’imponeva con Gerard – così come era stato tutte le altre volte – aveva un suo risvolto ben poco altruistico nel non voler permettere a qualcosa che considerava ancora suo - …ed era ridicolo farlo, allo stato – di buttarsi via senza permesso.
Così, mentre già aveva un piede sulla porta e mezza felpa, ancora umida, infilata, si era voltato di scatto, aveva mandato il battente a chiudersi con un botto sonoro e, per essere certo che Gerard non fraintendesse credendo che fosse fuggito sul serio, aveva pestato i piedi a terra rumorosamente mentre si riappropriava con prepotenza del salotto ed accendeva la TV buttandosi sul divano. Dallo studio era venuta in risposta la musica, il gruppo Frank non lo aveva riconosciuto ma faceva un gran casino, aveva sorriso mentre Gerard sollevava il volume fino a riempire tutta la casa, lui aveva alzato il volume della televisione ed era iniziata una guerra tra adolescenti arrabbiati.
Ad arrendersi per primo fu Gerard.
Frank stava in piedi vicino alla finestra: di sotto, accostata ad un portone che offriva un accenno di riparo, c’era ancora la stessa figura incappucciata ed il chitarrista si lasciò scappare una smorfia. Quella storia gli piaceva poco, pochissimo.
L’arrivo di Gerard lo scosse ma lui fece di tutto per non richiamare l’attenzione dell’altro sul tizio in strada e si allontanò dalla vetrata con calma studiata.
-Usciamo?- chiese Gerard brusco, non dando segno di aver badato affatto ai movimenti di Frank. Lui lo fissò perplesso ed il bruno continuò senza quasi prendere fiato.- E’ praticamente una settimana che sono chiuso qui dentro, mi sembra di impazzire. Dovunque mi giro c’è qualcosa che mi fa sentire come se dovessi soffocare da un momento all’altro e non ne posso più. Sono quasi certo che se non rimetto il naso fuori prima di domani – e per fuori intendo un’uscita seria! – quando saremo con quelli della Reprise dirò qualche stronzata talmente grossa che sarà tutto irrecuperabile e sarà stata colpa mia davvero. Non mi sentivo….così da secoli! Non mi sono mai sentito così! Mi sfugge tutto da sotto le mani e non so davvero che pesci prendere e mi sento come se da un momento all’altro dovesse crollarmi il mondo addosso! Ed è assurdo, sai, perché il mondo addosso mi ci è già crollato da un pezzo e…
Si fermò esattamente come aveva cominciato. Nel nulla.
Frank lo fissava senza aprire bocca, Gerard gli ricambiava lo sguardo perché sembrava semplicemente incapace di aggiungere un’altra sillaba. Era il discorso più lungo che gli facesse da mesi – se Frank lo avesse frequentato un po’ di più, anche al di fuori del lavoro, avrebbe saputo che era il discorso più lungo che Gerard faceva da anni. Era anche il più “pieno” di cose che gli sentisse pronunciare da una vita…dal tourbus…dal Project, da quando erano ancora amici. Ed anche se Gerard in tutto quel parlare non lo aveva guardato neppure una volta, ma aveva continuato a spostare gli occhi ovunque con un movimento isterico che gli aveva fatto pensare fosse impazzito, Frank sapeva che stava parlando proprio a lui.
Ma non sapeva come reagire.
-…quindi, usciamo?- si sforzò di completare il bruno, spostando il peso da un piede all’altro con l’imbarazzo di un ragazzino che chieda un appuntamento galante.
Frank arricciò le labbra e tirò su le mani, scuotendo leggerissimamente la testa come in cerca di un’idea che gli fornisse una risposta adeguata. Alla fine disse l’ovvio.
-Dove sono gli ombrelli in questa casa?- con una normalità che non sentiva affatto di provare.
Per tornare a sentirsi a proprio agio ci vollero ore – quattro fottute ore della sua nottata – ed un numero di birre sufficienti da perdere il conto e farlo sbronzare.
Perché cazzo aveva scelto di andare a sbronzarsi portandosi dietro Gerard proprio non lo capiva! Gee non beveva. Gee non beveva più davvero: aveva sorriso alle sue ordinazioni, aveva fatto un paio di giri anche lui per tenergli compagnia e poi aveva proseguito ingurgitando un quantitativo decisamente più modesto di coca o redbull o altre cazzate simili. Frank si era sentito stupidamente orgoglioso. Ma probabilmente erano gli effetti dell’alcool che cominciavano a farsi sentire.
Di sicuro erano stati gli effetti dell’alcool a dissipare quel rimasuglio di gelo che strisciava tra loro; non era la prima volta che si trovava a pensarlo, ma Frank credeva che ci fosse qualcosa di “mistico” nel modo in cui certi posti influiscono sull’umore della gente e certe situazioni ti portino a credere possibili le favole. C’erano confessioni, discorsi, risate che potevano essere fatte solo così, davanti ad una birra, ai due lati di un tavolo di legno o plastica ma ugualmente unticcio ed appiccicoso, nel profondo di un posto talmente squallido che non ti sogneresti di entrarci da sobrio superati i diciassette anni di età e la voglia di ribellarti al sistema.
Gerard e Frank si erano ritrovati a parlare tra loro come se tutto si fosse svolto tre anni prima, in un altro posto in cui loro erano amici per la pelle ed avevano degli amici che avrebbero dato la propria vita per loro. Era un bel posto, Frank ci stava caldo e comodo, per questo non si decideva ad uscirne ed ordinava un’altra birra.
Non avevano fatto grandi discorsi – allora li facevano, in mezzo a tutti gli altri, di discorsi, ed a volte senza nemmeno soluzione di continuità – avevano parlato di film, fumetti, videogiochi, cani e gatti…Avevano parlato di musica e del disco. Avevano parlato perfino del tour, di come Mikey avrebbe rotto le palle con la propria pedanteria, di come Bob avrebbe trovato il modo di fare qualche scherzo del cazzo a tutti, di come loro avrebbero cercato di coinvolgere Ray nel ripagare il batterista con la stessa moneta.
In un angolo del cervello di Frank una vocina sottile sottile – flebile sotto gli occhi di Gerard che sorridevano di nuovo – gli diceva che quella cosa non sarebbe mai successa, perché domattina, passata la sbronza, Frank sarebbe stato Frank e Gerard sarebbe saltato di nuovo dentro la propria trincea. Ci aveva bevuto su – alla tua, Vocina! – e l’aveva messa a tacere.
A notte fonda rientravano abbracciati cantando a squarciagola lungo le strade di New York…O era solo lui che cantava? Però Gee stava ridendo!
-Frank, piantala.- lo rimproverò il bruno, ma non sembrava davvero infastidito e Frank continuò imperterrito a rumoreggiare versi strascicati di canzoni a caso, mischiandole fra di loro con un’inventiva notevole.- Sveglierai tutto il vicinato e sarò costretto a trasferirmi.
-Poco male!- esclamò Frank abbattendoglisi pesantemente sulla spalla ed aggrappandosi al suo braccio.- Ti ospito da me!- gli promise.
-Sì, certo. Io, te e Jamia.- sogghignò l’altro.
-Mi piace!- affermò Frank soddisfatto, fermandosi di colpo e trattenendo così l’altro che si bloccò con una protesta smorzata.- Saremmo una bellissima famiglia!- ragionò.
-Il mio concetto di famiglia ed il tuo non coincidono, Iero.- ci scherzò su Gerard liberandosi per riprendere a camminare.
-Ah, questo proprio sì!- convenne il chitarrista raggiungendolo in due balzelli per tornare ad avvinghiarsi al suo braccio.- Se avessero coinciso, adesso saremmo io e te e niente Jamia!- trillò allegramente.
-…sei ubriaco.- constatò Gerard senza dare peso alle parole dell’altro. Erano arrivati al portone, il padrone di casa cercò le chiavi in tasca e le inserì nella serratura.- A casa non ci arrivi, vero?
Frank si rimise dritto, valutando tra sé e sé quella richiesta - con un’aria così concentrata che Gerard si fece scappare un altro sorriso - poi scosse la testa e la cosa gli diede un capogiro che lo costrinse ad afferrare la mano dell’altro per non cadere davvero stavolta.
-Merda, no!- rispose spiccio ed anche un po’ dispiaciuto.
Gerard respirò profondamente, annuendo appena.
-Vieni su.- gli concesse aprendo il portoncino e trascinandoselo dietro.
***
Sarah non era mai uscita con un ragazzo prima. Figuriamoci con un ragazzo più grande! Sorrideva tra sé e sé pensando che, forse, quella non era nemmeno un’uscita di “quel” tipo lì. Ethan non l’aveva invitata fuori dicendole “passo a prenderti sotto casa tua alle otto, metti qualcosa di carino!”, ed anche se magari quello era un po’ da film, Sarah si ritrovava a chiedersi comunque se bastasse incontrarsi…per caso? fuori dal cancelletto della palazzina dove lavorava suo padre, lui che ti sorride e tu che arrossisci.
-Ciao. Speravo proprio di vederti. Ti va di fare un giro?
“Ti va di fare un giro” non è “passo a prenderti ecc.”.
…no?!
-A che stai pensando?
Sarah si voltò ad incrociare gli occhi enormi di Ethan, erano bellissimi, di un colore tanto brillante che anche alla luce della strada parevano illuminarsi da dentro piuttosto che riflettere i lampioni!
-Che come “giro” si è allungato parecchio.- ci scherzò su lei in risposta, accennando all’orologio che lui portava al polso per fargli vedere che ora si fosse fatta.
Ethan la guardò davvero, l’ora, e sembrò improvvisamente a disagio.
-Pensi che i tuoi ti faranno storie?- le chiese dispiaciuto.
-Nah!- scosse la testa lei.- Vivo con papà, mamma è morta due anni fa. Lui alla domenica va fuori con gli amici e secondo me non è ancora tornato.- gli spiegò.- Comunque siamo arrivati.- aggiunse indicando un portone davanti a loro, dall’altra parte della strada.- Vivo lì.
-Ah…- borbottò lui.- Allora…ti chiamo?- indagò incerto grattandosi i capelli mentre lei si sistemava il giubbotto di jeans addosso e la borsa a tracolla.
Sarah lo fissò con un’espressione entusiasta.
-Sì!- esclamò vivacemente.- Mi farebbe molto piacere! Ti do il numero…- si affrettò scavando nella borsa per cercare il cellulare. Lui tirò fuori il proprio dalla tasca dei pantaloni e prese nota del numero che lei dettò velocemente.- Fammi uno squillo.- chiese lei per memorizzare il suo.
Ethan eseguì e Sarah, impacciata, quasi si dimenticò come fare per registrare il chiamante e pasticciò con i tasti per un paio di minuti sotto lo sguardo divertito dell’altro.
Quando rialzò lo sguardo, lui la baciò.
Non era un gran bacio, aveva solo appiccicato le labbra alle sue, in modo infantile e giocoso, approfittando del momento in cui lei era distratta per rubarle quel tocco leggero. Sarah però pensò che era il suo primo bacio e si portò le dita alle labbra premendoci su come a voler trattenere quella sensazione leggera di qualcosa di caldo e morbido.
Ethan la osservava ancora, silenzioso e sorridente. Lei ci mise un po’ a ricambiare i suoi occhi e lo fece con un’aria da bambina smarrita che lo deliziò. Lui si abbassò molto più lentamente, per darle il tempo di tirarsi indietro stavolta, e ripeté quel gesto, posando di nuovo la bocca su quella di lei.
-Sei morbida.- le disse sulle labbra.
E quando le accarezzò con la lingua per chiederle di aprirle, lei sospirò e schiuse la bocca per rispondere timidamente a quel gioco.
Ethan si tirò indietro tenendola abbracciata, il viso affondato nei capelli di lei la cullò dolcemente e Sarah singhiozzò un sospiro di felicità autentica.
-Mi piaci.- le disse lui.
-…anche tu.- ammise lei in un sussurro bassissimo.
-Ci vediamo domani?
Sarah annuì perché non era sicura di poter parlare, teneva la faccia contro il petto di lui solo perché non sapeva bene di che colore fosse diventata e non voleva proprio fare la figura della bambina inesperta. Anche se lo era.
Quando lui la lasciò andare, scappò via di corsa, agitando solo una mano in segno di saluto ma senza fidarsi di dire una sillaba di più. Ethan rimase ad aspettare che entrasse nel portone e, quando lei si voltò a chiuderselo alle spalle, lo vide che la salutava ancora da dietro il vetro.
***
Mal di testa e senso di nausea erano o.k. Effetti naturali della sbornia. Bene. Il mal di schiena a cosa era dovuto?
Frank si rotolò su quello che credeva essere il proprio letto, ancora ad occhi chiusi e mugugnando di dolore ad ogni singolo movimento, tutto ciò che ne ottenne fu di ruzzolare giù dal divano che lo ospitava e schiantarsi su un pavimento incredibilmente più duro di quanto avrebbe dovuto essere. Almeno per lui ed almeno in quelle circostanze.
-…porc…!- esordì il chitarrista massaggiandosi la nuca nel punto in cui aveva impattato contro il terreno. Peccato che gli facessero male anche le chiappe! …ad essere onesti non aveva idea di quale parte del corpo non urlasse dolore in quel momento.- Ma che cazzo è successo?- borbottò con voce impastata, rotolando ancora per aggrapparsi al divano ed aprire gli occhi con qualche difficoltà.
La luce del giorno entrava in tutto il proprio splendore dalla finestra spalancata, ferendogli fastidiosamente gli occhi e costringendolo ad una semicecità che stava esaurendo quel po’ di pazienza che gli restava. Odiava sbronzarsi. No, odiava il post-sbronza. Meglio, ecco.
E non ricordava dove fosse.
Sentì dei passi in quello che immaginò essere il corridoio, una porta che veniva chiusa ed un rumore di qualcosa che veniva posato su un mobile – chiavi, riconobbe – poi altri passi ed infine una figura entrò nella stanza, lasciando cadere davanti a lui un borsone nero con un tonfo sordo che rimbombò nella sua testa. Frank si lasciò andare nuovamente pancia all’aria sul pavimento, gemendo per il dolore alla testa e per il senso di spossatezza, e la figura rimase lì, insensibile, incombendogli addosso ma almeno coprendogli in parte la luce del sole.
-Sei un disastro.- notificò una voce apatica che Frank riconobbe anche ad occhi chiusi. Nella sua testa due o tre tasselli si rimisero a posto da sé: aveva dormito da Gerard perché era troppo ubriaco per tornare a casa da solo e l’altro non aveva intenzione di riportarcelo.
-Avresti dovuto restituirmi a Jamia.- biascicò, mordendosi la lingua subito dopo. Cazzo diceva?!
-Sì, certo.- liquidò il cantante fingendo di non cogliere la battutaccia dell’altro.- Sono stato a casa tua a prenderti dei vestiti puliti, non c’è tempo per passare da lì prima della riunione.
-Merda, la riunione!- sbottò Frank senza fiato. E per la fretta fece il grosso errore di tirarsi in piedi di scatto, salvo rimanere boccheggiante a mezz’aria, una mano premuta contro la bocca ed una nausea feroce a tormentargli lo stomaco.
-…non azzardarti a vomitarmi sul parquet.- gli intimò Gerard prima di dargli le spalle ed uscire.- Vuoi fare colazione?- chiese ironicamente dal corridoio.
Frank mandò giù la saliva ed il fiato in un colpo solo e, lentamente, finì di mettersi dritto. Uhm…se non si muoveva andava tutto bene.
-Vaffanculo!- notificò all’indirizzo dell’altro.
Si mise a sedere con calma, tirandosi vicino il borsone ed iniziando a scavarci dentro con metodo. Dalla cucina arrivavano rumori assolutamente familiari – Gerard si faceva il caffè, Frank sorrise – lui li ascoltava distrattamente e non fu particolarmente stupito quando, sollevando gli occhi, vide che l’altro era già di ritorno e lo scrutava in silenzio, appoggiato contro lo stipite della porta e con una tazza in mano.
-Spero ce ne sia anche per me.- pretese il chitarrista.
-Sai dove sono le tazze.- lo liquidò Gerard spiccio.
Frank non raccolse, dal fondo del borsone tirò fuori una maglietta rossa che riconobbe e che gli strappò un sorriso talmente soddisfatto che le provocazioni del cantante gli rimbalzarono addosso.
-La mia maglia!- esclamò felice come un bambino.
-Ah, sì.- sbottò Gerard.- Jamia mi ha detto di prenderti quella perché dice che tu sei convinto porti fortuna e voleva che la indossassi oggi. Così quando ci licenzieranno capirai che non porta affatto fortuna.- spiegò.
Frank lo guardò malissimo.
No, non per la battuta in sé. Era la sua indifferenza, l’idea che potesse “non importargli” se davvero la band fosse scomparsa quel giorno. Dove diavolo era finito il Gerard Way che conosceva?
…dove diavolo era finita la persona di cui si era innamorato?

  
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