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Autore: nicksmuffin    14/06/2011    1 recensioni
Ultimo anno di liceo. Cassie deve scegliere il suo futuro. E di conseguenza con chi vivere, il suo futuro. Ma siamo sicuri che non ci sarà nessun'ostacolo?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cassie.
 
Mattina presto. Il sole che entra dalla tua finestra e ti sveglia.
Sono sempre stata una ragazza scontrosa, con un caratterino per niente facile, già. Ma giornate come quelle, hanno sempre avuto la forza di moderare il mio umore, di farmi svegliare con un sorriso sulle labbra.
Ho detto mattinate come quelle, infatti.
Lampi, tuoni e pioggia che batte furiosa contro la finestra, non è proprio il tipo di giornata che mi fa essere una ragazzina dolce e spensierata, direi. Avevo sentito un rumore provenire dalla cucina, così scesi le scale, trascinando i piedi come se avessi avuto una palla di piombo legata alla caviglia.
Sbirciai nella camera di mia madre aprendo piano la vecchia porta in legno, cercando di non farla cigolare: dormiva beatamente abbracciata al cuscino.
Perché avrei dovuto svegliarla infondo?
Entrai in cucina sbadigliando abbondantemente, e quando guardai di fronte a me, non potei trattenere un urlo.
 
Nicholas.
 
Non sapevo che reazione avrebbero potuto avere quelle persone vedendomi entrare in boxer, e completamente bagnato dentro il loro palazzo, ma di certo non avevo scelta. Avevo vagato tutta la notte cercando un posto dove ripararmi. Mi avevano cacciato anche dall’ultimo bar in cui avevo trovato lavoro: uno squallidissimo ritrovo per fattoni e mezzi psicopatici. Buttato letteralmente fuori, senza nemmeno ridarmi la mia valigia. Inoltre un cane, un randagio più che altro, probabilmente turbato dalla mia presenza di fronte ad un cassonetto della spazzatura del quale non avevo notato il certificato di appartenenza, mi aveva rincorso per l’intera strada buia, per poi raggiungermi e strapparmi i pantaloni con rabbia, e senza risparmiare nemmeno la cintura.  
Ma chi cazzo me l’aveva suggerito, quel giorno di fronte ai miei genitori, di dire: “lascio tutto, vado a vivere da solo. Autonomo e indipendente.”? Chi?
Non avevo neanche finito il liceo, cosa pensavo di fare?
I miei mi avevano anche mandato i soldi per l’iscrizione all’ultimo anno di liceo. Li tenevo conservati, ma non l’idea di iscrivermi, non mi era nemmeno passata per la mente.
Avevo una piccola topaia in una traversa dimenticata da Dio, in cui tenevo tutto ciò di cui avevo strettamente bisogno. Ma da quando avevano iniziato i lavori in quella zona, era impossibile viverci, più di quanto non lo fosse già.
Comunque, ritornando al vecchio discorso, arrivai di fronte ad un palazzo messo maluccio, davvero messo maluccio.
Salii tutte le scale con la massima cautela e arrivai all’ultimo piano. Casa di un certo “R. Evans.” La porta era chiusa. Guardai istintivamente la finestra mezza aperta sulla destra, e la tempesta che c’era fuori. Dovevo tentare. Era una pazzia assurda, ma dovevo provare. Feci una piccola preghiera, e mi avvicinai. Aprii completamente la finestra, abbastanza sia larga che alta da essere alla mia portata. Misi un piede sul bordo, e mi appoggiai ai lati della finestra. Feci capolino fuori, e le gocce iniziarono a cadere sul viso; cercai di non guardare in basso, ma era più forte di me: era alto. Parecchio alto. Mi feci coraggio e uscii completamente, guardando di profilo se c’erano finestre: e si! Per mia grazia ce n’era una, anche aperta che combaciava con la casa di questo certo Evans. Iniziai a strisciare sul bordo del palazzo, appoggiandomi alla grondaia scivolosa. Ero quasi arrivato, quando mi voltai un minuto e vidi la faccia allibita di una donna che ritirava i panni affacciata alla finestra del palazzo di fronte. Iniziò ad urlare, dato che non solo stavo tranquillamente camminando in bilico con la morte, ma ero anche in mutande. La reazione della donna mi sbilanciò e per poco non persi l’equilibrio, sprofondando nel vuoto. Ma mi aggrappai a quella fottuta finestra e mi ci infilai cadendo faccia per terra. Purtroppo non ebbi la leggiadra entrata che avrei desiderato, e feci anche parecchio rumore. Quando alzai gli occhi vidi una ragazza con i capelli scuri, alta e in pigiama, che prima, mi guardò con faccia ovviamente sconvolta, poi lanciò un urlo talmente forte, che il pavimento tremò.
Di certo non potevo aspettarmi un abbraccio, in quel momento.
 
 
Cassie.
 
Cosa. Ci. Faceva. Quel ragazzo nella mia cucina?
Lo guardai spaventata. Come cazzo aveva fatto ad entrare?
Erano parecchie le domande che mi frullavano in testa, così gliele feci direttamente.
«POTRESTI GENTILMENTE DIRE DA DOVE CAZZO SEI SBUCATO FUORI TU, DATO CHE TI TROVO IN MUTANDE NELLA MIA CUCINA?»«Eeehi, logorroica la ragazza? Comunque io st…» dato che mia madre ci avrebbe di sicuro sentito, e non mi andava di farla svegliare lo interruppi, e gli dissi a bassa voce « Okay, senti facciamo così: non è che mi interessi poi così tanto, quindi ora ti do dei pantaloni e tu scompari. Capito? SCOM-PA-RI. Non ho voglia di fare le “presentazioni ufficiali” con mia madre, se permetti. » il tipo in questione si alzò, e si mise una mano tra i riccioli. Okay, non era niente male: castano, occhi scuri, alto, muscoloso… insomma. Niente male. Ma comunque, non poteva rimanere qui. « Senti, io vado a prenderti dei pantaloni, tu…non so, stai fermo lì e non muoverti. » salii velocemente, guardai tra la mia roba e trovai dei pantaloni marroni, larghi e da tuta. Non penso li avrei mai messi, privarmene non sarebbe stato un grande sacrificio. Ritornai in cucina, e lo trovai seduto su una sedia a guardarsi intorno con aria piuttosto smarrita. Sbuffai e gli tirai i pantaloni.  Mentre prendevo il cibo per la colazione lo vidi guardare il mio didietro. « Scusami tanto se mi permetto, ma potresti staccare gli occhi di dosso il mio fondoschiena? Grazie eh. » gli feci una smorfia. Lui fece un sorrisino, e iniziò a guardarmi negli occhi. « Ehi, non ci siamo ancora presentati, vero? Io sono Nicholas. Nick, se non hai voglia di sprecare due secondi in più per dire il mio nome per intero. » Ero sempre più irritata da questo ricciolino abbastanza inopportuno. « Senti Nicholas, gradirei tanto che tu adesso muovessi le tue gambine verso la porta, quella lì, la vedi? » feci un cerchio con le dita indicandola. Mi avvicinai lo alzai per una manica, aprii la porta e lo spinsi fuori. Stavo per chiudergli la porta in faccia, quando tornai indietro, mi misi alla soglia e poi gli dissi: « Comunque sono Cassie. Cassie e basta. Adieu. »
Sbam.
Chiusi la porta con forza.
   
 
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