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Autore: Shainareth    04/03/2006    1 recensioni
Dopo One Piece, la prospettiva del Piece Main riuscirà a riunire sotto lo stesso Jolly Roger la ciurma di Monkey D. Rufy, con una consistente aggiunta! Non si tratta solo di una storia avventurosa o d'amore, è più che altro un mix di umorismo, avventura e azione... ehm... sì, l'azione c'è, per quel poco che sono stata capace di fare... ç______ç Ma in verità, "Piece Main" racchiude un po' tutti i generi (eccetto il fantasy e il porno, credo! ^^'), quindi, come si suol dire, ce n'è per tutti i gusti! ^___-
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XCVIII – Capire se stessi

 

Capitolo XCVIII – Capire se stessi

 

            Con sguardo terrorizzato, l’uomo si ritrovò la canna della pistola ancora fumante puntata al naso. Il ghigno del giovane che fino ad un attimo prima pareva profondamente addormentato, ora lo derideva non poco.

 - Sentiamo, Koob Llac… - prese parola lo spadaccino accovacciato davanti a lui, una bottiglia di whisky alla mano. - …a chi è che volevi fare la pelle, tu?

Quello sudò freddo. – A… a nessuno… i-io non avevo nessunissima cattiva intenzione, lo giuro… C-capitavo qui per caso…

 - E per caso hai trovato questa pistola in magazzino, capisco… - fece la parte Roronoa, abbassando la canna. – Le armi da fuoco non mi sono mai piaciute, sai? Può usarle chiunque… sono solo per i vigliacchi…

Si alzò in piedi e posò lo sguardo sul foro di proiettile che aveva scheggiato le tavole del ponte. Tornò a fissare il suo attentatore in modo torvo, tanto che di nuovo a quello prese un colpo.

 - Questa nave, dopo la mia vita, è una delle cose più importanti per me… - sibilò con le mascelle serrate, minaccioso più che mai. – Prova ancora una volta a farle qualche danno, anche minimo, e non ci penserò due volte a staccarti la testa dal collo a mani nude, chiaro?!

Koob, pallido più di prima, trovò a stento la forza per annuire così impercettibilmente che Zoro gli puntò nuovamente l’arma alla fronte.

 - CHIARO!! GIURO CHE NON LE CAUSERO’ PIU’ IL MINIMO DISTURBO, RORONOA-SAN!!! – implorò Llac impietosamente in lacrime.

Il samurai sogghignò soddisfatto e con un semplice gesto gettò la pistola in mare. – Ora, però, dovrai fare quello che dico io… Anzitutto, racconta: com’è che sei uscito di galera? – chiese. – E come diavolo ci sei salito qui, eh?

 - S-sono riuscito ad evadere approfittando della confusione causata da un grosso terremoto sull’isola in cui mi trovavo… - cominciò a spiegare quello incrociando le gambe e abbassando gli occhi. – Le pareti della prigione non hanno retto, e molti detenuti se la sono svignata con me…

 - E anziché aiutare la povera gente che aveva bisogno, ti sei dato da fare per procurarti una barca e prendere il largo, dico bene?

 - Avevo i giorni contanti! – protestò. – Mi avrebbero messo alla forca di lì a poco!

 - Se così fosse stato, te lo saresti meritato… - borbottò Roronoa buttando giù una lunga sorsata dalla bottiglia. – E poi? Com’è che ti sei ritrovato sulla mia nave, sentiamo?

 - E’ che… che… appena preso il mare, mi sono imbattuto in delle assurde creature anfibie!

A Zoro gelò il sangue. – Gli uomini pesce…

 - C-credo… mi hanno rubato tutto e poi mi hanno gettato a mollo con una sola cassa di cibo avariato… senza nemmeno un po’ d’acqua o altro da bere… - si lamentò l’uomo, mostrando di dire il vero dal modo in cui si era preso il capo fra le mani.

Lo spadaccino buttò la bottiglia di whisky ai suoi piedi. – Vacci piano, non fa bene bere a stomaco vuoto… - fece allontanandosi.

Koob per un attimo non credette ai propri occhi: come mai quel gesto di pietà nei suoi riguardi? Infine, non riuscendo più a trattenersi, si catapultò sulla bevanda, dissetando finalmente la gola arsa dal sale di mare.

 

            Quando si svegliò per andare a vuotare la vescica, si accorse di avere un peso sul braccio sinistro. Si portò una mano alla fronte per il forte mal di testa, si stropicciò l’occhio destro, e si volse a manca. Rabbrividì e riuscì a malapena a soffocare un urlo: una donna. Albida. Dormiva nuda accanto a lui. I loro abiti sparsi dappertutto insieme alle bottiglie vuote. Si erano rifugiati in una delle camere al piano superiore per compiere quella pazzia. Non poteva più restare. Piano fece scivolare il braccio da sotto il capo della bella pirata, e silenzioso e agile come un gatto, si rivestì alla meglio e scese di corsa le scale che portavano alla sala principale della bettola che li ospitava. Nel buio della notte non riusciva a vedere altro che un mucchio di ubriaconi ammassati dappertutto che russavano come orchi. Cercò il proprio amico per un bel pezzo, e quando riuscì a trovarlo, lo caricò in spalla e lo trasportò fuori, fino al porto poco distante dalla East Wind. Lì lo mise giù poco delicatamente, tanto da svegliarlo e farlo urlare per il dolore.

 - Ma sei matto?!

 - Shhh!!! – gli tappò la bocca Rufy, timoroso che nel silenzio della notte le sue parole potessero esser udite fino alla locanda. – Dobbiamo andarcene, e alla svelta!

Usop lo guardò stranito. – Sicuro di non esser ammattito di colpo?

 - E’ importante, Usop! – insistette l’altro. – Mi sono cacciato in un grosso, grossissimo guaio! E quel che è peggio, non so come uscirne!

L’amico lo fissò ancora per qualche istante: il viso del suo capitano lasciava da sempre trasparire ogni singola emozione; e anche stavolta, a quanto sembrava, non lasciava adito a dubbi.

 - Che hai combinato?

Ma quello si limitò a tacere abbassando gli occhi.

 - Rufy?

Ancora nessuna risposta.

 - Hai infranto il codice dei pirati?

 - No, tutt’altro!! – rispose di getto. – Ho fraternizzato anche troppo con il nemico!!

A quelle parole Usop rimase un secondo perplesso, poi ricordò di aver visto sparire contemporaneamente Rufy e Albida, quella sera.

 - …dimmi che non sei cascato nella sua trappola… - trovò la forza di bofonchiare.

Il ragazzo di gomma sudò freddo e si volse a guardare la luna coperta da striature grigiastre. – Freschetto, stasera, eh? – balbettò stringendosi nelle spalle.

 - MA SEI USCITO DI SENNO???!!! – urlò il nasone prendendolo per il colletto e sbatacchiandolo qua e là come un peso morto. – E TUTTI QUEI DISCORSI SUL “NAMI E’ NAMI”???!!!

Rufy si mise a piangere come un bambino. – Lo so! Lo so! Ma avevo bisogno di distrarmi!

 - BEL MODO DI DISTRARSI!!! – gli sputacchiò addosso l’altro.

 - Perdono, non lo faccio piùùù…

 - CI MANCHEREBBE ALTRO!!!

 - Va bene, va bene, ma ora mollami che devo far pipì da mezz’ora e ci manca poco che me la faccio sotto… - fece il capitano riuscendo a divincolarsi e avvicinandosi al molo per poi urinare in mare.

 - Sì, ma ora che si fa? – chiese l’amico.

 - Che altro vuoi fare? – replicò lui con fare ovvio. – Ce ne andiamo, no?

 - E come la mettiamo con Shanks e mio padre?

 - Ce l’hai la mappa che ti ha fatto fare Yasop? Quella dell’East Blue?

 - Sì, ce l’ho qui in tasca, perché?

 - Allora salpiamo subito su una delle scialuppe di Bagy e ce ne andiamo da quelle parti… - concluse il giovane di gomma, riallacciandosi i calzoni.

 - Bravo. – celiò stancamente il suo vice. – E lasciamo gli altri allo scuro di tutto…

 - No, no… Lasceremo a Shanks un biglietto in cui spiegheremo che abbiamo deciso di anticipare la partenza… può bastare, no?

Usop sospirò sconsolato. – E se io non fossi d’accordo?

 - Vuoi ammutinare dopo tutto quello che ho fatto per te in tutti questi anni?! – fece finta di scandalizzarsi il cappello di paglia. – Vergogna, Usop! Vergogna! Sei la vergogna del mio stimato equipaggio!

Dopo che gli ebbe assestato due o tre ceffoni per farlo calmare, l’accusato domandò: - Partiamo, partiamo… Ma per andare dove?

 - Voglio rimettere su una ciurma. – affermò Rufy con sguardo serio, incurante del sangue al naso.

 - Quindi torniamo a prendere gli altri?

 - No. – tagliò corto calandosi il cappello sugli occhi.

 - Perché? – domandò Usop non capendo.

 - Perché ho deciso così… - fischiettò l’altro prendendo a camminare lungo il molo alla ricerca della nave di Bagy, le mani in tasca.

 

            Senza neanche chiedersi il perché, dopo aver lanciato un furtivo sguardo agli alberi di mandarini che aveva curato seguendo le meticolose istruzioni che la loro proprietaria gli aveva annotato su quel foglietto di carta nascosto nella tasca dei suoi pantaloni alcuni mesi prima, si ritrovò a scendere gli ultimi scalini del boccaporto che dava nella cabina della compagna. Si fermò lì. Gli occhi silenziosi cominciarono a scorrere lungo le pareti, il soffitto, il pavimento. Il letto intatto dall’ultima volta che lo aveva riordinato lei, i libri messi in fila e catalogati per argomento sui ripiani della libreria adiacente, la scrivania vuota. Faceva uno strano effetto: di solito quello scrittoio era pieno di fogli svolazzanti, compasso, riga, penne d’oca… ora, in quella stanza deserta dove anche l’armadio dalle ante socchiuse appariva smorto e il bancone del piccolo bar che la cartografa aveva voluto far costruire lì era pieno di polvere, di lei non rimaneva che una piccola macchia d’inchiostro sul legno di quel ripiano dove soleva passare intere notti, finendo spesso con l’addormentarsi di colpo sul lavoro che tanto amava. Fra tutti, Nami era quella che gli mancava di più. E quando ci pensava, sentiva una stretta alla bocca dello stomaco. Introverso, apparentemente insensibile a tutto e a tutti, chiuso nel suo orgoglio, nella sua ostinazione, il più delle volte neanche lui riusciva a capire se stesso e le sensazioni che provava. Socchiuse gli occhi e per un attimo gli parve di sentirlo: il delizioso profumo di mandarino che emanava la sua pelle al naturale, era più efficace di qualunque filtro d’amore. Rivide i grandi occhi nocciola che tutto scrutavano con attenzione, la linea della bocca curvata all’insù ogni qual volta lo prendeva in giro, il suo corpo che pareva sfilare leggero e aggraziato da un capo all’altro della nave. Nelle orecchie risuonò nitida la sua chiassosa risata di bambina.

Rialzò le palpebre, e tutto svanì. Davanti a lui, solo il vuoto. La stretta che provò al cuore fu talmente intensa che per la prima volta gli apparve tutto più nitido. L’amava. E non poco. Ma non era quell’amore che aveva provato -o credeva di provare- fino a che l’aveva avuto sotto gli occhi. Non era come quello che anche gli altri loro compagni avevano per lei. Era diverso. Il ritornare in quella camera dopo tanto tempo e averla trovata vuota, gli aveva finalmente fatto capire che per lui, Nami, era di importanza vitale. Senza di lei, tutto appariva spento, vuoto, senza senso. Un nodo gli serrò la gola, e per un istante quello stato di debolezza in cui versava, fece affacciare nel suo animo una terribile domanda: “…e se non dovessi rivederla mai più?”.

Ma come diavolo era riuscito a starle lontano per così tanto tempo?! Come aveva potuto sopravvivere senza sentirla ridere, gridare, parlare anche solo a vanvera, senza poterla vedere? Il dolore fisico che ancora gli premeva in petto parlava chiaro: Nami era diventata come una parte del suo corpo. Non poteva più fare a meno di lei. Avvertiva limpido e imperioso il bisogno di stringerla a sé per non lasciarla andare mai più.

A due a due, risalì i gradini per tornare a respirare l’aria fresca della notte. Riempì i polmoni e trattenne il fiato per un attimo prima di lasciarlo andare. Di nuovo raggiunse il cassero a prora, e torreggiando sulla magra figura di Llac, ordinò: - Portami a Coco.

 

            - A furia di star qui, ti prenderai un malanno… - la calda voce di Nojiko la distolse per un secondo da quei nostalgici pensieri. Si volse indietro verso la sorella, avvolta nello scialle cremisi appartenuto anni prima a Bellmer, stretta nelle spalle, la brezza che le scompigliava la chioma chiara, trasportando con sé l’odore amato del mare. – Se sapevi ti sarebbe mancato al punto da non dormire più, perché l’hai lasciato andar via?

La ragazza tornò ad abbassare lo sguardo, prendendo a fissarsi senza particolare attenzione le unghie dei piedi nudi. – Non lo sapevo… invece…

 - Bugiarda. – l’accusò l’altra con un sospiro. Si accovacciò accanto a lei e scrutandone il bel profilo, domandò: - Pensi che tornerà?

Non riuscendo a pronunciar parola, Nami annuì nervosamente.

Di nuovo Nojiko sospirò. – Se hai così poca fiducia in lui, allora è meglio per entrambi che…

 - Tornerà, te l’assicuro. – l’interruppe l’altra con voce stizzita. “Perché dovrebbe tornare?!”, si chiedeva nervosamente. Era sicura che anche lui se n’era accorto, che prima o poi avrebbe scorto la caravella ormeggiata alle coste dell’isola, che lo avrebbe visto aggirarsi per tutto il villaggio chiedendo di lei… perché non poteva andare altrimenti, perché si volevano bene, perché non potevano vivere due vite separate quando ormai loro due erano diventati un unico essere… non avrebbe avuto senso…

E riflettendo su questo, lasciò finalmente sfogo alle lacrime che piano erano salite a bagnarle le iridi scure e lucenti. Nojiko le passò un braccio dietro le spalle, riparando anche lei sotto il grande scialle; e rimase lì in silenzio a sentirla piangere, mentre la loro mamma le proteggeva in quel caldo abbraccio, come se entrambe fossero tornate bambine.

 

 

 

 

  
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