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Autore: Aliens    16/06/2011    5 recensioni
Perché stai perdendo la testa
E dormi nel cuore delle bugie

[Where Is The Edge – Within Temptation]
Il cuore delle bugie di Emily e' la sua stessa vita. Ma oltre la sua prigione dorata esiste la vita reala che si schianta su di lei con una forza inauduta, improvvisamente. Capirà veramente come essere reale anche lei? Toccherà al suo giovane tutore farle capire cosa significa "vivere davvero",
Tom voltò lo sguardo verso di lei, le sorrise sornione e poi inclinò la testa «Benvenuta nel mondo reale Principessina».
Genere: Commedia, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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2° Capitolo

 

 

 

 

Per Emily, tutta quella storia, era stata un incubo.

Da un giorno all’altro tutta la sua vita era crollata, sgretolandosi tra le sue mani.

Il giorno prima era la ragazza più popolare di Los Angels e il giorno dopo i suoi amici la trattavano come un “intoccabile”, come se non l’avessero mai conosciuta.

Cosa diceva sempre sua madre prima di morire? “Stai attenta a chi ti sta intorno, alle volte i veri amici sono quelli che hai disprezzato o che ti hanno disprezzato”.

Lei non l’aveva mai ascoltata, pensava davvero che Paris, Emma e Marissa fossero vere amiche.

In fondo aveva passato tanto tempo insieme, fatto cazzate, riso, confidato sempre insieme, si aspettava un po’ di comprensione.

Los Angels non le era mai sembrata così stretta e opprimente come in quel periodo ed era stata quasi contenta quando Irma le disse che sarebbe andata a vivere per un po’ in Germania.

Sperava con lei, Irma le stava simpatica, ma la bionda domestica era riuscita, in un modo a lei oscuro, a farla affidare, legalmente, al nipote Tom.

Come avesse fatto a convincerlo a lei era del tutto oscuro. Ricordava appena Tom ma quello che gli era rimasto impresso del ragazzo era il totale, irrefrenabile odio che provava per lei oltre la sua straordinaria bellezza.

Aveva avuto una cotta per quel ragazzo, quello se lo ricordava bene, ma non aveva saputo gestire bene la situazione.

Con lui si era comportata come faceva con gli altri ma, in lui, aveva scorto la differenza.

Tom era, ed Irma glielo ripeteva sempre, un tipo semplice, uno di quelli che riusciva ad arrangiarsi bene, che non si lamentava mai, che viveva alla giornata sperando di arrivare al domani, uno che disprezzava griffe e firme considerandole solo dei pretesti per fregare soldi.

Odiava quello che era stato il suo mondo.

Era anche curiosa di rivederlo. Erano quattro anni che non si vedevano e in quattro anni le persone cambiavano radicalmente. Lei era rimasta la stessa, glielo dicevano tutti, forse per via della sua situazione.

Tom, a quanto diceva la zia, aveva dovuto rimboccarsi le maniche, viveva da solo, lavorava e lottava con i coinquilini per pagare tutte le bollette.

Come avrebbe fatto ad ambientarsi in un mondo tanto diverso dal suo.

Irma le stava a fianco e dormiva placidamente contro la sua spalla mentre il treno procedeva veloce verso Amburgo.

Erano parecchie ore ma a Emily non dispiaceva farle, era solo immersa nel panorama che la Germania offriva.

Aveva avuto immediatamente freddo e più passava il tempo più sentiva di congelarsi e mai come in quel freddo si era sentita vera e vulnerabile.

Con i capelli mossi castani, senza colpi di sole e cose del genere, gli occhi poco truccati e i vestiti che Irma le aveva comprato a Berlino.

Non era firmati, per la prima volta nella sua vita era entrata in un “Mercatone dell’abbigliamento” e aveva trovato una t-shirt nera con delle stampe bianche e rosse, un cardigan lungo a strisce grigie e blu che si abbinavano al jeans attillato blu scuro e alle All Star nere. Non aveva mai messo roba del genere.

Si sentiva sfinita, prosciugata e non pensava che con Tom e i suoi coinquilini avrebbe trovato pace: avrebbe dovuto lavorare anche lei per aiutare con le spese di casa?

Cosa avrebbe potuto fare una come lei?

Una lacrima le rigò il viso.

Dannata emotività: a Los Angels non aveva mai pianto e in quel periodo non faceva altro.

Si asciugò le lacrime con violenza e guardò fuori vedendosi avvicinare la stazione di Amburgo. Diede una leggera botta alla sua compagna di viaggio che si sveglio di colpo guardandosi spaesata intorno.

«Cosa c’è?» domandò con la voce impastata dal sonno.

«Siamo arrivate» la informò la ragazza.

Irma annuì strofinandosi gli occhi e sorridendole «Vedrai che ti troverai bene, forse Tom non sarà simpatico all’inizio ma scoprirai che è un bravissimo ragazzo, mentre penso che con Bill farai subito amicizia»

«Bill? Chi è Bill?»

«Tom ha un gemello ma è il suo contrario, per come sono conciati adesso non si somigliano nemmeno, ma sono identici».

Emily annuì, poco interessata.

Non le importava di niente in quel momento, voleva solo arrivare nella sua nuova casa, chiudersi nella sua nuova camera e piangere.

Chissà se il suo nuovo tutore glielo avrebbe permesso.

Finirò come cenerentola, ad essere sfruttata pensò irrazionalmente.

Irma tirò giù i suoi tre trolley e ne passò uno a lei sorridendole. Capiva perfettamente il suo disagio ma qualcosa le diceva che affidarla a Tom, per Emily, sarebbe stata la salvezza.

Anche se non sembrava Tom sarebbe potuto essere un buon genitore e una testa calda viziata come Emily non lo avrebbe demolito.

Il suo polso duro era quello che ci voleva per Emily Trumann, lei gliene avrebbe concesse troppe e in banca rotta ci sarebbe finita anche lei.

Scesero dal treno ed Emily si guardò intorno spaesata.

La stazione era stracolma di gente che correva assolta da ogni lato, verso la metro, verso i taxi, verso i mezzi pubblici, c’erano mendicanti per terra che chiedevano l’elemosina, uomini d’affari con l’auricolare nelle orecchie e il palmare tra le mani, ragazzine che tornavano dallo shopping pomeridiano, donne che correvano a casa.

Quello era un universo parallelo, Emily non era mai stata in una stazione centrale.

«Come faremo a trovare Tom?» chiese Emily preoccupata, guardandosi intorno.

Irma le sorrise rassicurante, indicandogli le scale mobili della metropolitana «Li vedi quei due ragazzi appoggiati alla ringhiera lucida? Quello più alto e Bill e quello con le treccine Tom».

Emily spostò lo sguardo verso i due esaminandoli.

Uno era in piedi con le braccia conserte, un maglione dallo stile rovinato a righe rosse e nere scendeva largo per il suo addome magro infilandosi sopra un paio di jeans chiari strappati sulle ginocchia e sbiaditi, con alcune macchie di pittura, delle scarpette nere completavano il suo look punk-glam. Quello che la fece incantare fu il suo viso, i lineamenti femminei gli regalavano un’aria elegante, mentre il trucco intorno agli occhioni nocciola gli conferivano un’aria misteriosa, i capelli neri erano tirati indietro quasi a formare un ciuffo alla Elvis, un sorriso si aprì sulle sue labbra perfette quando vide avvicinarsi la coppia.

Il ragazzo accanto era appoggiato con le gambe incrociate alla ringhiera. Una tuta nera hip hop copriva il suo corpo magro ma allenato, la felpa nera era aperta mostrando una t-shirt più lunga bianca semplice che si abbinava alla bandana che aveva sulla fronte, piegata quasi fosse una fascia.

Il suo viso era identico a quello del ragazzo che aveva accanto e i suoi occhi leggermente a mandorla, di ambra liquida, si posarono su di lei gelandola.

Eccolo Tom, quattro anni dopo, più bello di prima.

Emily sentì il cuore fermarmi.

Il suo tutore era così giovane ma le incuteva più timore e rispetto del padre.

Irma li salutò sventolando la mano e i due si avvicinarono in una sincronia perfetta.

«Ziaaaa» trillò quello punk saltando poi tra le braccia della donna che sorrise alla sua maglietta visto i parecchi centimetri di differenza.

«Macky, tesoro, non c’è bisogno di fare queste sceneggiate» ridacchiò la sua domestica abbracciandolo «Non sei più un bambino alto un metro e un puffo»

«Eh hai visto!» trillò gioviale alzandosi retto «Ho raggiunto il metro e novanta»

«Ecco, adesso smettila di crescere» convenne la donna girandosi verso il secondo nipote «Anche tu ti sei alzato»

Tom sorrise annuendo «Ma al metro e novanta non ci sono ancora arrivato!» scherzò avvicinandosi e abbracciando la donna «Non sai quanto è bello rivederti zia»

«Non potete nemmeno immaginare quanto mi siete mancati» confessò la donna stringendo il nipotino.

Emily li osservò sentendosi a disagio.

I suoi famigliari non si salutavano in quel modo, a nessuno di loro era mai passato in mente di toccarla.

Incrociò le braccia cercando di soffocare quella sensazione di disagio che saliva incontrollata per ogni cellula del suo corpo.

Alzò lo sguardo solo quando sentì una mano sulla sua spalla.

Era quello strano tizio punk che le sorrideva, accennò un sorriso timido mentre quello la squadrava dalla testa ai piedi «Tu devi essere Emily presumo»

«Sì» la sua voce andò in stereofonia con quella di un ragazzo, captò essere quella di Tom.

Non capì perché arrossì così furiosamente da voler essere sotterrata.

Perché la prima volta che vi siete visti l’hai trattato come uno gigolò e ora tu dipendi dalle sue decisioni le disse una vocina nella sua testa.

«Piacere di conoscerti, sono Bill» allungò una mano che Emily guardò.

Non era abituata a stringere la mano alle persone, non era un usanza che le era stata insegnata.

Tuttavia qualcosa nella sua testa le disse di accettare quella mano.

Farsi amico uno dei Kaulitz (doveva essere il cognome dei due, non lo ricordava perfettamente) doveva, in un certo modo, aiutarla.

Strinse la mano calda del ragazzo bardata di anelli e sorrise «Piacere mio Bill»

Sentiva gli occhi di Tom su di sé e dovette alzare lo sguardo per forza. Incontrare quelle stille di petrolio ambrato le fece venire un tuffo al cuore.

Quegli occhi, nonostante il suo viso fosse maturato e a tratti cambiato prendendo le sembianze di quello di un uomo, era identici a quel ragazzo di diciotto anni che l’aveva odiata.

Persino l’espressione era quella di una volta.

Forse doveva costargli una vera fatica prendersi cura di lei.

Per un istante, Emily, contro ogni previsione, gli fu tremendamente grata.

«Ciao Tom» mormorò piano, gli occhi puntati al pavimento.

Lui sospirò, puntando gli occhi contro di lei, sogghignò appena prima di fare spallucce «Almeno ricordi il nome di qualche comune mortale, è un buon inizio» disse sarcastico «Comunque ciao Emily».

Si sentì sprofondare mentre Bill ridacchiava.

 

Durante il viaggio Emily si era spesso fermata a pensare a quanto fosse differente Amburgo da Los Angeles.

Le palme avevano fatto spazio a alberi di cui non sapeva il nome, non era una città affollata… era stracolma di persone.

Forse lo era stata anche Los Angeles ma il borgo di milionari in cui lei abitava era un posto tranquillo ed esclusivo.

Invece, quel posto, era caotico, chiassoso, frenetico.

E i gemelli abitavano proprio nel centro nevralgico della città.

Non c’erano villette a schiera o villoni da fiaba, solo tanti palazzoni affiancati da cui sporgevano mille finestrelle e balconi.

«Sono condomini» aveva sorriso Bill al suo smarrimento mentre Tom svoltava l’angolo verso un grande parcheggio «Forse a Los Angeles non sono così ma questo è un quartiere molto popolato e la gente vive insieme, in piccoli appartamenti con lavanderia, giardino e atrio comuni»

Emily annuì ammirata notando, subito dopo, che la macchina, una vecchia Golf grigia, si era fermata.

Alzò lo sguardo per ammirare l’enorme parcheggio brulicante d’auto contornato da tanti palazzoni.

Il parcheggio era a forma quadrangolare e su ogni lato erano disposti sei palazzoni marroni e bianchi di almeno diciassette piani ognuno che si alternavano a creare un effetto ottico non indifferente.

Bill e Tom scesero dall’auto e Emily si affrettò a seguirli.

Tom, senza proferire parola, si avviò verso il bagagliaio.

«Questa l’abbiamo soprannominata “L’Isola Condominiale”, questo è un unico complesso di condomini ed è formato da ventiquattro palazzi, qui abitano più di seimila persone» la guardò con aria furba «Non puoi immaginare le riunioni condominiali!»

Emily mostrò un viso decisamente confuso da quelle parole e Bill ridacchiò «Ti abituerai»

«Prendi una valigia tu o hai paura che l’unghia si spezzi principessa?» la richiamò Tom quando ebbe scaricato anche la terza valigia.

«Io… la prendo io…» balbettò.

Si affrettò a correre da lui, Tom la squadrò con un sorriso canzonatorio e le mollò una delle valigie.

Nonostante pensasse che quel moro gliele avrebbe fatte portare tutte e tre, Tom la stupì.

Afferrò il manico di uno dei suoi trolley, quello leopardato, e ne lasciò uno in custodia a Bill.

Con una mano le fece segno di seguirlo e incamminarono verso il palazzo centrale del lato nord.

Quando si fermarono davanti al portone Emily si impresse nella testa il numero del palazzo: 10, scala B, era sicura che avrebbe sbagliato palazzo una volta rimasta sola.

Tom suonò al citofono, Emily si sporse per leggere il nome: Kaulitz , Listing, Schäfer, appartamento 38.

Quindi, constatò facendosi un breve calcolo mentale, si trovavano al decimo piano di quel palazzone enorme.

Sperò vivamente che i poveri avessero un ascensore, ma ne dubitava fortemente.

«Sì?» rispose una voce metallica al citofono.

«Gus, sono Tom, stiamo salendo e ci servirebbe una mano con la spesa e le cazzate varie, tu e Georg siete presentabili?»

«Io lo sono sempre Tom!» protestò la voce al citofono «Georg è uscito dieci minuti fa, doveva accompagnare Rachel al dottore».

«Perfetto, almeno torna vestito, scendi ok?»

«Ok!»

La comunicazione si interruppe con un suono che Emily non riuscì a identificare, sicuramente era il suono della cornetta che veniva sbattuta.

Un suono metallico le fece intuire che il portone si era aperto.

Era enorme, di legno scuro e dall’aria pesante.

Bill le diede una leggera gomitata invogliandola ad entrare mentre Tom, una mano stretta al suo trolley, l’altra nella tasca, spingeva con la spalla per aprire una fessura in quel portone enorme.

«Christophe si è dimenticato ancora dell’olio, che cazzo di tutto fare è? Aveva detto che alla manutenzione ci avrebbe pensato lui… sì, col cazzo!» brontolò Tom mentre Bill gli faceva pat pat sulla testa.

Emily capì che Tom era solito lamentarsi in quel condominio o, forse, non sopportava semplicemente le bugie.

«Calmo Tomi» lo richiamò dolcemente il fratello «Se ne sarà dimenticato»

«Quando lo vedo uso quella melma che ha apposto del cervello come olio per i cardini, quanto è vero che mi chiamo Tom Kaulitz…» inveì con foga guardando fulmineo il portone «Vuoi che ti porti in spalla fino all’atrio principessa?»

Emily scosse la testa e sgattaiolò all’interno del condominio sentendo, subito dopo, la porta sbattere alle sue spalle.

Si trovò in uno spazio discretamente illuminato da alcune finestre su cui si apriva una scala di finto marmo e cemento che andava ad attorcigliarsi in rampe intorno alla struttura di ferro di un ascensore. Emily ne fu tremendamente sollevata.

In un angolo dell’atrio vi era un gabbiotto di plastica trasparente, in sostituzione del vetro, in cui interno spiccavano una bacheca degli avvisi, delle foto, un tavolinetto e una sedia su cui sedeva un uomo stempiato con due occhiali tondi, aveva l’aria simpatica e pacifica.

Indossava una specie di divisa, quasi fosse un sorvegliante.

Appena li vide si aprì in un sorriso e sventolò una mano in loro direzione, saluto che i gemelli ricambiarono affettuosamente.

«Lui è Herman, il portinaio» le spiegò Bill «Se c’è qualche problema si va da lui o dalla moglie, meglio lui che la signora Woodstock è una pettegola di primo ordine».

Scoppiò a ridere ripensando a quanto Paris le sussurrava in un orecchio i pettegolezzi più gustosi di Los Angeles.

Se la ridevano insieme loro due.

Quel ricordo le provocò una fitta di dolore e dovette fare appello alla sua forza per non piangere in presenza dei gemelli.

Era un’impresa ardua, ma doveva riuscirci.

Quanto sarò nella mia camera potrò piangere quanto mi pare pensò e quel pensiero riuscì ad alleviarla almeno un po’.

Trascinò il suo trolley dietro i gemelli mentre Bill chiamava l’ascensore.

 

Eccola lì davanti a lei, la sua nuova casa.

La targhetta che mostrava quei due numeri le si conficcarono nella mente.

38.

Tremò d’eccitazione.

Tom aprì la porta con una manata.

A differenza dell’atrio, il corridoio era molto luminoso, merito anche delle pareti di un vivace giallo pesca.

Il moro spinse la sua valigia dentro mentre un’altra voce («La spesa l’avete portata voi allora?») si infondeva nell’aria.

Bill le diede una leggera spintarella e, finalmente, Emily vide la sua nuova casa.

Dovette reggersi alla parete alla vista del piccolo appartamento.

Caotico e dall’aspetto vissuto.

Sul divano dormiva placidamente un  bassotto marroncino che sospirava ogni tanto mentre alcuni strumenti erano poggiati alla bene meglio contro un amplificatore alla fine della sua vita.

La cucina, posizionata alla sua sinistra, era una caotica accozzagli di stoviglie sporche e cartoni di pizza mezza finita.

Il pavimento di moquette verde era a tratti appesantito da vestiti sparsi e Emily potè giurare di aver visto qualche boxer in giro.

Vi erano solo tre porte contro la parete, una costeggiava la parete della cucina, costruita in una nicchia, altre due erano poste alla sua destra.

Una televisione dall’aspetto ultra usato era posto al centro di quello che doveva essere un salotto.

Era molto luminoso, dalle tende bianche filtrava la luce del pomeriggio che andava a colpire i vetri che proteggevano le innumerevoli foto dei quattro insieme.

Non era certo un buco, ma quell’ambiente era grande quanto la camera nella villa in campagna.

Un ragazzo uscì velocemente da una delle tre porte sistemandosi la maglietta.

Era un ragazzo biondo con due occhioni castani contornati da un paio di occhialoni dalla montatura nera, aveva l’aria pacifica, il viso dall’espressione bonaria.

Era abbastanza piazzato ma non troppo, i suoi muscoli si intravedevano attraverso la t-shirt nera bardata di stampe rosse, le sue gambe robuste rivestite da jeans scuri dall’aria usata.

Sorrise in sua direzione venendo loro incontro.

«Grazie per l’aiuto Gus, davvero!» borbottò sarcastico Tom, posando le valigie vicino al divano.

«Ero in bagno» si giustificò «Ora vado a prendere le buste se questo ti rende meno scassa palle».

Tom incrociò le braccia sarcastico.

«Lui è Gustav» lo presentò Bill, l’unico che sembrava davvero interessato a farle capire cosa succedesse intorno a lei.

Il biondo sembrò ridestarsi solo in quel momento. Si schiaffò una mano sul viso e allungò una mano «Che maleducato che sono!» squittì sorridendole «Piacere di conoscerti Emily»

La mora strinse la sua mano e subito fu colpita dal suo sorriso bonario e rassicurante, di sicuro si sarebbe trovata benissimo con lui.

«Piacere mio» mormorò restituendo il sorriso.

«Perfetto, ora che vi siete presentati…» intervenne Tom «Inizio con le brutte notizie».

Emily trasalì.

«La prima, principessina, è che lunedì inizierai ad andare a scuola, per i primi giorni ti ci accompagnerò io solo per farti ricordare la strada, dopo dovrai arrangiarti da sola con i mezzi pubblici»

Sbiancò e quel dettaglio non sfuggì al suo tutore che sogghignò malefico.

«Non preoccuparti l’Università è solo a due fermate prima della tua scuola, verrai con noi!» la rassicurò Bill mentre Gustav annuiva.

«La seconda è» la guardò malizioso «Il pranzo, Bill, Georg e Gustav rimangono all’Università per il pranzo, te lo preparò io prima di andare a lavoro ma, alle volte, non riesco a tornare e dovrai fartelo da sola»

Emily annuì poco convinta, avrebbe sicuramente ordinato qualcosa.

«Scordati di ordinare in qualche ristorante da riccastri, non navighiamo nell’oro Principessina, i vizietti da ricchi non sono alla nostra portata» la informò serafico «Se proprio devi ordinare ti consiglio una pizza o il Mc Donald qui sotto, con cinque euro mangi di tutto».

Rabbrividì pensando alla sua dieta, nonostante tutto, però, annuì.

«Terza e ultima cattiva notizia» quello sguardo le fece capire che quella doveva essere la notizia più brutta della serie «Quando abbiamo comprato quest’appartamento non contavamo di dover ospitarti, ci sono solo due camere da letto e noi eravamo già in quattro così sono state divise e una è la mia camere e di Bill, l’altra è di Georg e Gustav, non c’è stato tempo materiale per poter cacciare qualcuno dal proprio spazio»

«Quindi…» Emily lo guardò supplicante «Quale sarebbe la mia stanza?»

Le espressioni che trapassarono il viso perfetto di Tom non le piacquero affatto.

Qualsiasi fosse stata la sua scelta sapeva che non le sarebbe piaciuta affatto e nemmeno i visi dispiaciuti dei due dietro le spalle del suo tutore la rassicurarono del tutto.

Tom schioccò la lingua e voltò lo sguardo verso il divano occupato, ancora, dalla cagnolina. Emily seguì il suo sguardo e si strinse una spalla.

«Per adesso, il salotto» annunciò «Apriremo il divano letto»

«Che cosa?» esclamò in prede al panico.

Tom voltò lo sguardo verso di lei, le sorrise sornione e poi inclinò la testa «Benvenuta nel mondo reale Principessina».

 

 

 

 

 

   
 
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