Il würstel ambulante e gli amici
svedesi: Berlin, DE
Dopo
circa 2 ore dalla partenza, alle 14.00, ci venne fame e, aggiungendola al sonno
accumulato il giorno prima, costrinse me e Matt a fare una pausa. Scegliemmo un punto lungo la strada in cui ci
fosse un bel prato, parcheggiammo sulla corsia d’emergenza e ci sdraiammo a una
ventina di metri dalla nostra bella Twingo, addentando gli strani frutti che ci
avevano regalato Laila e Fede.
Dopo
esserci riposati un po’ ci rimettemmo in viaggio, e sei ore più tardi a
Berlino, nella radura del campeggio. Alle 18.30 scendevamo dal treno alla
stazione centrale, posto veramente agghiacciante. Devo dire però che tutta
l’inquietudine che mi avevano indotto le sue strutture rigide, illuminate dalla
luce fredda dei neon, si dissolse non appena misi piede in strada: Berlino era
davvero quella splendida città che tutti dicevano. Stili architettonici diversi
coesistevano in una continua evoluzione, mentre alti palazzi luminosi si
alternavano armoniosamente agli antichi palazzi storici; il fiume che scorreva
in mezzo rendeva il tutto ancora più magico.
Ci
avviammo camminando lungo l’Unter Den Linden, la grande strada pedonale che
attraversa il centro, un po’ come gli Chemps Élysée a Parigi, mentre io
leggiucchiavo la mini-guida che avevo stampato: due paginette per ogni tappa
del nostro viaggio in giro per l’Europa.
-Berlino
è suddiviso in 12 distretti, che sono a loro volta suddivisi in quartieri. Il
“Mitte” è il quartiere del centro storico, se vi trovate qui dovete
assolutamente vedere… Ei! Achtung mit diese heisse… Kosen!*- urlai, rivolta a
un ometto alto e magro che avanzava tra la folla con una specie di griglia
portatile allacciata al collo, su cui arrostivano allegramente dei Brätwurst.
E così, ecco uno dei famosi venditori di Würstel ambulanti! Se solo non mi
avesse appena scottato una mano…
-Entschuldigung,
señeorita!**- disse lui, con un accento molto spagnolo. Mentre tentavo di
fargli capire che non mi ero fatta davvero male, intravidi gli occhi di Matt
che luccicavano alla vista delle salsicce, così approfittai della situazione e
dissi all’omino della griglia, nel mio tedesco zoppicante: -So, machen wir das.
Du gibst mir ein Würstel mit Ketchup und ich gehe ohne
dir töten weg. - ***
Mi
sforzai di fare una faccia cattiva senza ridere (sforzo vano, naturalmente), e
incredibilmente il ragazzo accettò questo “equo compromesso”. Mi consegnò il
panino con un gran sorriso e poi se ne andò per la sua strada, urlando: -
Würstel! Hot Dog! –
Appena
si fu allontanato abbastanza scoppiai in un fragorosa risata, e consegnai il
panino a Matthew, che dopo avermi abbracciato ridendo azzannò il panino. Aveva
da tempo capito che era per lui: nonostante io avessi già da tempo all’epoca
rinunciato a essere vegetariana, salsicce e affini non riuscivo ancora a
sopportarle.
Camminammo
per un po’ “sotto i tigli” , ma a un certo punto vedemmo sopra di noi una torre
immensa: la torre dell’antenna TV! Con le sue luci sovrastava tutta Berlino, e
sembrava avere una vista spettacolare: visto che mancava ancora un po’ all’ora
di cena decidemmo di salirci a ammirare la città dall’alto. Dopo qualche minuto
ci ritrovammo lassù, a godere della vista strepitosa su tutta la città che si
srotolava ai nostri piedi, e rimanemmo lì per più di un’ora senza accorgercene,
a scattare fotografie e a osservare meravigliati le bellezze di Berlino
dall’alto, mentre la luce del giorno pieno piano sbiadiva e le luci della città
si accendevano.
-
Guarda! Quello lì di fianco al fiume, deve essere il duomo!
- E
quell’edificio orribile? Davvero orrendo. Secondo te cos’è?-
-
Mmm, qui sulla cartina dice che dovrebbe essere il Rotes Rathaus. ****-
- Ah,
ecco! Ora si spiega tutto… è la casa dei ratti!- esclamò scoppiando a ridere.
-
Hahah! Ma che scemo che sei. Quant’è che non fai tedesco tu? - Gli risposi,
facendo la finta seria.
- Ahahahahah! Vieni qui bella topolina!- disse,
abbracciandomi. Rimanemmo così ancora per un po’, a spiare la città dall’alto
mentre potevo sentire il suo cuore battere attraverso la stoffa leggera della
sua inseparabile camicia a quadretti.
Quando
scendemmo erano le nove meno un quarto: ora di mettere qualcosa sotto i denti!
Camminammo
per un po’ senza una meta, poi mi giunse un’improvvisa ispirazione: mi venne in
mente il sorriso caldo del ragazzo dei Würstel e il suo accento…
- Ei
Matt! Potremmo mangiare spagnolo stasera, ti va?-
-
Ottima idea! -
-
Dobbiamo ricordare l’uomo salsiccia bollente di oggi, per avermelo fatto venire
in mente! - gli risposi ridacchiando.
Così
tra una battuta e l’altra ci trovammo davanti a un bel ristorantino, che come
diceva l’insegna di legno sulla porta era: “Atame, cucina spagnola” , e ancora
ridendo ci infilammo insieme nel locale.
A
giudicare dalla quantità di gente già riunita all’interno era un posto alla
moda, e le piastrellino colorate alle pareti davano un tocco allegro e
familiare all’atmosfera. Ci accolse un cameriere dal volto solare che
profondendo sorrisi a destra e a manca ci fece accomodare a un tavolino
nell’angolo, vicino alle vetrate.
-Ah, Svizzera, eh señeorita? Yo ha amigos lì. - mi disse il
cameriere, mentre prendeva le ordinazioni.
-Tu
mi è sympa. Yo prepara por tigo boquerones fritos.- concluse, dopo un po’ di
chiacchiere in una lingua inventata tra spagnolo, tedesco e italiano. Io mi
fidai e accettai quello che mi consigliava Juan, il buffo cameriere con i
baffetti che si occupava di noi, anche se non avevo idea di cosa fosse; Matt si
decise invece per una zuppa di pesce con fagioli che aveva sbirciato dai
vicini.
Mentre
aspettavamo di mangiare attaccammo un po’ bottone con loro, una coppia svedese
che come noi era lì in gita per un paio di giorni. Chiacchierando un po’
insieme li trovammo simpatici, e così dovettero aver fatto anche loro, perché
quando finimmo di mangiare ci invitarono a passare con loro la serata, e visto
il programma non potemmo proprio rifiutare: tappa in una birreria di culto nel
centro di Berlino e poi grande concerto all’aperto!
Non
avendo nessun impegno per la serata accettammo volentieri e poco dopo ce ne
andammo insieme dall’Atame, alla volta della notte berlinese.
Eravamo
un bel gruppetto, noi 4.
Steven,
lo svedese (che in realtà aveva un nome lungo e impronunciabile che nessuno
ricordava mai) aveva una mole da body guard, lunghi capelli neri in contrasto
con la fisionomia nordica e occhi verde mare; in testa portava uno splendido
cappello a cilindro. La sua compagna Anthönia invece esibiva degli splendidi
capelli pieni di treccine, a stento contenuti da una fascia coloratissima
simile alla mia; il sorriso simpatico le illuminava il viso. Erano davvero una
bella coppia: mai quanto me e Matthew chiaramente, ma era piacevole girare con
loro. Quanto a noi, avevamo scelto entrambi una camicia a quadretti e facevamo
pendant.
Ridendo
allegri per la strada arrivammo al “cinema café” una buia birreria che, come
giustamente dice il nome, era arredata a tema cinema. Quando aprimmo la porta
una nuvola di fumo ci investì, ed entrammo nel buio ambiente del bar. Era
davvero bellissimo, anche stracolmo di gente com’era: le vecchie foto in bianco
e nero delle passate stelle del cinema sembravano osservarti benevolenti dai
tavoli, dalle pareti, dal bancone, persino dal soffitto.
Marylin
Monroe ammiccava da dietro il robusto barista, che ci servì immediatamente 4
birre scure, mentre Audrey Hepburn sbirciava attraverso i suoi occhialetti da
un immenso poster sulla parete. Gli avventori del pub erano per lo più giovani,
come noi, ma negli angoli c’erano alcuni personaggi che sembravano usciti dai
poster alle pareti, con la loro aria malinconica alla James Dean. Quel locale
mi piacque proprio, ma dopo una mezz’oretta passata a mettere in pratica le
nostre conoscenze di inglese ci dovemmo comunque avviare verso Gendarmenmarkt,
dove il Classic Open Air stava per avere inizio. Mentre camminavamo verso la
Konzerthaus, di fronte alla quale si sarebbe svolto il concerto, estrassi dalla
borsa la mia miniguida e cercai l’evento verso cui eravamo diretti.
“Non
avete il biglietto?” lessi ad alta voce quando lo trovai, “nessun problema!
Basta prendersi una birra e sistemarsi a portata d’orecchio appena fuori dal
recinto!” -Fantastisch!-
esclamò Anthönia, che un po’ di italiano lo capiva, traducendo poi per Steven.
Così,
dieci minuti dopo eravamo accomodati sull’erba, e il concerto iniziava.
*Ei! Attenzione con questa
calda… Kosen!
**
Scusa, señeorita!
***
Allora, facciamo così. Tu mi dai una salsiccia al Ketchup e io vado via senza
ucciderti.
****
Municipio rosso: così si chiama quello di Berlino.
Come
al solito mi devo scusare per l’attesa, stavolta tra la scuola e il resto ne è
passato dal mio ultimo aggiornamento! In parte spero però di scusarmi dicendovi che per questo capitolo ho dovuto documentarmi massicciamente, non essendo mai stata a Berlino.
Grazie
di cuore comunque a tutti quelli che leggono la mia storia, con uno speciale
ringraziamento a un’amica che mi ha incoraggiato nel riprendere in mano la
penna. J alla prossima!