7. Goodbye
Colonna sonora: Evanescence
- Hello
Guardo la
finestra.
Il cielo è
bianco, sfumato con un pallido grigio ad oriente. La terre
è bianca, ricoperta dalla neve che è scesa durante tutta la notte. Case,
macchine, strade, alberi…bianchi. Tutto è bianco, tutto è
così vuoto, privato di sostanza. Un universo bianco fatto di nulla.
Fisso il
mio riflesso, opaco, sbiadito là dove il vetro si appanna. Vedo solo una
ragazza distrutta, spenta e, per la prima volta, consapevole. Consapevole di essere unicamente un inutile essere umano, un
inutile essere umano che non è riuscito a vedere il baratro in cui stavano
cadendo due delle persone più care per il suo mondo.
Mi specchio
nei miei occhi, del tutto privi di vita, completamente differente da quelli
vivaci e luminosi che mi caratterizzavano fino a qualche settimana fa.
Prima…quando ancora la porta della conoscenza non mi si era aperta dinanzi,
affacciandomi su una realtà fatta di sangue.
Il sapere
rende liberi, si è soliti dire, ma fa soffrire incredibilmente
Scoprire
che sei il frutto di un desiderio effimero di una notte di fuoco, comprendere
che sei unicamente una formica nell’infinità dell’universo, capire di essere impotente davanti alle tempeste, alle tragedie,
alla morte. Tutto questo infrange la tua innocenza, tassello per tassello…pezzo
per pezzo…
Mi
ritornano spesso alla mente quei giorni che seguirono
la morte della mamma. Piansi continuamente in quelle notti, senza mai
arrestarmi, nemmeno quando gridavo o colpivo il muro con i pugni serrati finché
il sangue non iniziava a macchiare la tinta arancio sfuso
che ricopriva le pareti della mia camera. Quando mi svegliavo al mattino, dopo poche ed interrotte ore di sonno, i miei
occhi erano così arrossati e gonfi che non riuscivo nemmeno a leggere.
Soffrii
molto allora, eppure il dolore che ora m’attraversa supera
di mille volte quello passato! Il mio animo, allora, non era così lacerato e
non c’era questa sensazione di soffocamento a stringermi la gola e i miei
occhi…i miei occhi trasmettevano ancora qualcosa. Fosse stata rabbia,
malinconia o disperazione, essi ancora dicevano qualcosa. La mia anima ancora
diceva qualcosa.
Invece
adesso...adesso non è più così! Questi laghi di giada sono graffiati solo dal
nulla, poiché il mio ego non irradia più alcuna emozione.
Proprio come questo bianco che si è impossessato della città.
Rabbrividisco.
Il freddo inizia ad impossessarsi lentamente del mio corpo, rannicchiato
davanti a questa finestra da ore o, forse, giorni. Chissà se
è così che si sono sentiti Steve e Michael. Chissà se sentivano questo gelo mentre la
morte giungeva a prenderli.
Si è
presentata con questa veste, a voi, la Nera Signora? Oppure
sentivate unicamente il calore dei vostri corpi abbracciati, il battito dei
vostri cuori che si stavano arrestando, la follia del vostro puro amore?
Davvero
vorrei sapere che cosa è passato nelle vostre menti mentre il sangue se ne andava lontano dal vostro corpo, lasciandolo esangue.
Sento il
trillo del campanello di casa. E’ un suono talmente flebile e lontano che sembra
giungere da un sogno. La verità è che non riesco più a distinguere i momenti di
sonno da quelli di vita reale. Vivo in uno stato costante di
dormiveglia, un mondo inafferrabile e dai contorni vaghi come la nebbia.
Credo sia a
causa di questo mio prolungato digiuno, che continua da diversi giorni ormai. Sento lo stomaco contorcersi come carta straccia al solo
pensiero di ingoiare qualcosa. Per lo stesso motivo anche l’acqua stenta a
toccare le mie labbra, ultimamente. Così le mie condizioni fisiche peggiorano
di giorno in giorno senza, tuttavia, che io ne
risenta.
Mio padre
tenta di indurmi a buttar giù qualcosa preparando spuntini d’ogni genere, ma
ogni volta se li vede tornare indietro intatti e la sua preoccupazione non fa
altro che aumentare. Pur sapendolo, però, non riesco a
fare molto per placare la sua ansia nei miei confronti, anzi sembro molto più
abile nel senso inverso.
TOC TOC
E’ qualcuno
che bussa alla mia porta? O forse è ancora una parte
del sogno che vaga continuamente nella mia testa, nato tra realtà e fantasia?
- Mary-Jane -
E’ la voce
di mio padre, questa. Lo si percepisce anche solo dal
suo tono quanto questa situazione sia straziante per lui: una voce bassa e
roca, che tenta di mascherare la propria disperazione dietro note di dolcezza,
esaltate più del necessario. Mi chiedo se potrà mai perdonarmi per questo
calvario che gli sto donando in cambio dei duri anni che ha passato a
crescermi, da solo senza neanche avere il tempo di compiangere la sua defunta
moglie.
- Bambina -
riprende, nonostante io continui a dargli le spalle – E’ venuta Lora. Non vuoi
parlarle? -
Non
rispondo. A che pro farlo? Mi limito ad alzare lievemente lo sguardo sul vetro,
fermandomi là dove esso ha imprigionato l’immagine sottile e fumosa della mia
dolce amata, tanto bella ed incorporea che mi ritrovo a domandarmi se non sia la mia mente a crearla, se in verità non sia tutto parte
di un sogno.
Vedo mio padre scuotere un poco la testa, rassegnato da quel mio
continuo
silenzio, e fare a Lora cenno di entrare. Dopodiché se ne va, chiudendosi la
porta alle spalle. E lascia unicamente il silenzio. Un
silenzio mortuario che scende come un muro tra noi.
- Jany – mi chiama piano, con dolcezza – Jany,
che hai fatto ai capelli? -
Dimenticavo
che lei non ha ancora visto il mio nuovo look. Dopotutto l’ho evitata per tutto
questo tempo, dunque come potrebbe essere a conoscenza del fatto che un paio di
notti fa mi sono chiusa in bagno con un paio di
forbici e che, con esse, mi sono deturpata i miei lunghi fili dorati, di cui Steve elogiava sempre lo splendore? L’unica cosa che è
rimasta di quei morbidi boccoli sono una serie di
corte ciocche frastagliate, dal taglio violento e rabbioso.
Ancora una
volta non rispondo. Mi chiudo nel mio mutismo che nessuno riesce a penetrare,
neanche lei a cui ho donato tutta me stessa, persino
quello stesso silenzio che ora m’affligge. Lei che ora si avvicina piano a me e
mi poggia una mano sulla guancia, quasi volesse farmi
notare la sua presenza, quasi volesse farmi percepire quanto è vicina. Ed io la sento! Sento il suo calore sciogliersi sulla mia
pelle e bruciarmi come lava, il suo profumo avvolgermi ed inebriarmi
trasportandomi lontano da tutto, sogno o realtà che sia, per approdare in un
mondo che è nostro soltanto. Che era soltanto nostro.
- Sei gelida, Jany – mi fa notare –
Devi coprirti -
- A che
scopo? - ribatto, voltandomi, finalmente, per guardarla in volto - Perché
dovrei desiderare ancora la vita? – continuo, sprezzante, cercando di ignorare
il suo dolore. Sono perfettamente consapevole, infatti, che questa situazione
non fa altro che ferire il suo fragile animo con schegge di cupe di sofferenza.
Ma, ciononostante, non riesco a fermarmi, a mettere un
confine a tutto questo vuoto che si allarga in me, che prende il sopravvento.
Sono in caduta libera in un baratro senza fondo e nessuno riuscirà a fermare la
mia corsa, lo so.
E lei,
lei non può far altro che sorridere ed è amaro, tanto amaro il suo sorriso.
- Tuo padre
mi ha detto che non mangi - esordisce, cercando di mantenere un tono dedicato
alle cose di poca importanza, per non farmi sentire come un imputato al banco
dei testimoni.
- Non ho
fame -
- Non è un
buon motivo per non mangiare - ribatte, calma ed imperturbabile. E’ ferma
dinanzi a me, eretta come la colonna di un tempio romano, e mi osserva
dall’alto, scrutando attentamente ogni mia espressione, ogni mio movimento,
ogni incrinatura che ha spaccato la sfera del mio ego.
Sbuffo. Il
mio sguardo vaga su un punto indefinito, qualunque purché non si tratti dei
suoi occhi. Sono troppo intensi perché io sia in grado di reggerli su di me.
- Che ti sta succedendo, Jany? Dov’è finita quella ragazza di cui mi sono innamorata? -. La sua è una domanda malinconica, quasi come se stesse
tentando di riafferrare quell’animo allegro e
scanzonato che prima era il mio vanto. Ma quella ragazza, quella che rideva di ogni cosa, che s’infervorava per un nonnulla, che amava
la vita nonostante tutto, non esiste più.
Quella
ragazza che lei amava così tanto, ora non esiste più.
Inizio a
comprendere, allora, che la rottura è vicina: la separazione dall’ultima
persona che amo è a un passo da me, e mi si annuncia
con il suono delle Trombe del Giudizio.
Sospiro, un
singhiozzo trattenuto in un soffio d’aria.
Non voglio
rimanere sola. Non voglio perdere anche lei, perché senza di lei non ho davvero
più alcuna speranza di ritornare alla luce, di
ritornare a vivere. Eppure il mio atteggiamento non fa
nulla per trattenerla a me, ancora, finché tutto questo non guarisca grazie al
passare del tempo.
- E’ morta, Lora - rispondo, senza neanche rendermene conto - E’
morta insieme a Steve e Michael
-
- Non dire
stupidaggini! - ribatte, con una decisione tuonante - Ti stai facendo morire,
ti stai corrodendo per un peccato che non hai commesso. Jany,
tu non hai alcuna colpa, mettitelo in testa! - termina, incrociando le braccia
con fare risoluto.
E’ la prima
volta che alza la voce contro di me, che assume un comportamento tanto severo
nei miei confronti. Ed io rimango impietrita,
piacevolmente colpita da quella forza che ora la pervade. Una forza talmente
vitale da ferire la mia debolezza mortale. Ma questo
squarcio di luce non è sufficiente a risollevarmi in superficie, non è
sufficiente a farmi dimenticare le mie tenebre o a farmi redimere dalle mie
colpe. Anzi, mi spinge più in basso, sempre più in basso, nella consapevolezza
che mai più riuscirò a raggiungere quei raggi che
tanto calore mi hanno donato.
Abbasso lo
sguardo, addolorata - Avrei dovuto capire - sussurro - Avrei dovuto capire -
- Cosa avresti dovuto capire, Jany? Che desideravano la morte al posto della vita? - pone questa
domanda senza, tuttavia, aspettarsi una risposta - Io tutt’ora non riesco a capire
- ammette, e chiaramente si sente la sconfitta cupa che l’avvolge intingere
anche la sua affermazione.
Comprendo
bene il significato delle sue parole e so, altrettanto bene, che il suo dolore
è vero e concreto quanto il mio. Ma, consapevolmente, posso dire che mai può
eguagliare il mio, che la colpa che su di lei è nulla, mentre su di me è
pesante quanto lo è il mondo sulla schiena di Atlante.
Sapendo
tutto questo, non posso non scuotere il capo
- No, è
differente. Tu non lo conoscevi come me. Io avrei dovuto…-
- Erano
anche amici miei, maledizione! - m’interrompe urlando. Sbigottita, ingoio le
ultime parole che stavo per pronunciare, guardando,
con uno stupore appena accennato, colei che mi sta dinanzi: il suo corpo
sottile è attraversato dai fremiti di una rabbia inarrestabile, la quale si
riversa completamente nei suoi occhi, solitamente così dolci da ricordare quelli
di un cerbiatto.
- Non sei
l’unica a soffrire per la loro morte - mi ricorda, la voce che vibra
violentemente ad ogni sillaba.
Una fitta
mi trafigge il cuore a vederla in questo stato, proprio lei che mi ero ripromessa di non far soffrire mai. Proprio lei sul cui volto non avrei mai voluto vedere i veli, seppure leggeri,
della tristezza. Proprio lei che avevo giurato di custodire e proteggere a
costo di sacrificare la mia anima.
- Credi che
io non stia male? Credi che non siano sempre fissi nella mia testa? – la sua
voce diventa sempre più alta, finché non raggiunge il suo apice – Credi che non
m’incolpi per essere stata completamente inutile ad entrambi? – grida, e i
pugni si serrano lungo il suo corpo, tramando come se la rabbia stessa stesse
battendo contro le sue dita, sbarre di un gabbia troppo
piccola per una bestia tanto grande.
Un respiro
troncato le si ferma in gola – Credi che non mi
manchino…- e due gocce calde spuntano dai suoi occhi, scendendo lente lungo le
sue guance riempite di efelidi, cristalli che rendono ancora più struggente la
corona di sofferenza che porta sul capo.
Le sue
forti emozioni mi travolgono, come ogni volta, lasciandomi muta, incapace di
dire alcunché.
Il suo
pianto, intanto, si fa più violento ed i singhiozzi iniziano a scuoterla mentre
tenta inutilmente di asciugarsi le lacrime con i palmi delle mani, in un
ritrovato gesto infantile.
- Vorrei
tanto che fossero ancora qui. Non sai quanto lo vorrei - riesce a dire, tra un
singulto e l’altro - Ma invece ci hanno abbandonato. Hanno scelto
d’intraprendere una strada dove noi non possiamo seguirli -
- Lora…-
cerco di calmarla, ma lei solleva su di me uno sguardo così sofferente ed
intenso che le parole mi si gelano in bocca. Poi, come se tutto questo stesse
gravando su di lei con un peso eccessivo da sopportare, cade sulle ginocchia,
continuando a toccarmi l’anima con quei suoi occhi che sembrano esprimere tutto
il dolore racchiuso nell’umanità-
- Non ho
mai avuto una famiglia e adesso ho perso anche i miei amici - mormora, e si
stringe nelle sue stesse braccia, tirando lievemente su con il naso - Non
lasciarmi pure tu -
La sua è
una supplica disperata, la stessa che un malato terminale rivolgerebbe al cielo
mentre tenta speranzoso di afferrare un miracolo, pur sapendo che esso è troppo
lontano anche solo per sfiorarlo.
Attonita
rimango a fissarla, shockata dai diversi cambiamenti che lei ha effettuato davanti ai miei occhi in così breve tempo,
impressionata dal dolore che fin’ora aveva nascosto e
che adesso esplode con forza, accompagnato dalla sua più grande paura: rimanere
sola.
- Ti prego,
ti prego Jany - le parole che mi rivolge hanno ormai
composto una preghiera - Non lasciarmi, ti supplico. Non potrei sopravvivere -
Sento i
miei occhi inumidirsi. Sono così tante le emozioni che lottano dentro di me,
ora, che credo di non poterle contenere tutte. Commozione per
le frasi appena pronunciate dalla persona che più amo ed odio, odio intenso
verso me stessa per aver procurato tanto dolore a questa bambola innocente.
Amore travolgente e talmente grande che anche la più sublime
tra le poesie ne porrebbe solo soffocanti confini e sofferenza per aver perso
due persone che erano divenute, ormai, parte della mia anima. Voglia di
morire… voglia di vivere…
Senza che
me ne accorga, inizio a piangere anch’io. Le mie sono
lacrime silenziose e pacifiche solcano il mio volto pallido, il quale ha parso un po’ della sua rotondità. Un sorriso intenerito
nasce sulle sue labbra, ed è terribile vedere il contrasto di tanta dolcezza
sul suo viso così affranto dal dolore. Ancora più terribile di
quella furia che aveva sommerso i suoi occhi pochi attimi fa.
Ho bisogno
di dare un taglio a tutto questo. Non posso sopportare oltre.
A fatica,
poiché le mie forze sono sempre minori da quando ho smesso di toccare cibo, mi
spingo sulle ginocchia, in modo da riuscire ad avvicinarmi a lei. Quando le sono abbastanza vicina, la stringo tra le braccia,
facendola sprofondare nel mio petto. Per un attimo s’irrigidisce, quasi
spiazzata da quel mio gesto che prima era assolutamente naturale, ma poi si
lascia andare e scoppia in un pianto a dirotto, con le sue mani che
s’aggrappano come artigli sulla mia maglia e la sua bocca che continua a dar
voce a quell’incessante preghiera.
Io esito,
incerta se esaudire o meno quella sua richiesta
disperata, incerta su me stessa, sulla mia capacità di ritrovare vita e
passione per essa dopo tutto questa, incerta su di noi, sul nostro futuro
insieme che non riesco più a vedere come un tempo.
Alzo gli
occhi, i quali non hanno tempo di asciugarsi dalle prime lacrime che subito
vengono innondati dalle nuove, verso il soffitto, ma
il mio sguardo, in realtà, è rivolto ben oltre a quel confine bianco da cui
pende il lampadario. Uno sguardo, il mio, che arriva in un luogo che non so
nemmeno se esista, un luogo dove riesco a delineare
nuovamente le loro figure, le quali fino a pochi giorni fa erano ancora
concrete in questo mondo.
Vedo Steve sorridere con quella sua luminosità fanciulla mentre fa scivolare un braccio sulle spalle di Michael, che spariscono nella sua felpa tre volte più larga
del dovuto. Lui borbotta una soffusa protesta, ma si ammansisce subito quando
il fratello gli scompiglia i capelli scuri. I loro occhi s’incrociano e il mio
cuore salta un battito quando i loro sguardi si fondono per divenire un’unica
cosa soltanto, per tramutarsi in un silenzioso fiume a cui non di può dar nome perché proibito. E’ faticoso per loro dare un
termine a quell’intenso momento, e lo fanno con il
medesimo imbarazzo che li avrebbe colti davanti al cinema
mentre aspettano il mio arrivo. Ed è proprio questo che sembra tutto ciò: un
appuntamento a cui mi devo presentare, dove loro
aspettano come al solito che io abbia finito di agghindarmi.
I loro
occhi si posano, infine, su di me ed io incantata ammiro i loro sorrisi così
carichi di gioia, un sentimento che ultimamente vedevo raramente sulle loro
labbra. Ma ora, in quest’immagine
angelica di loro due, essa torna a regnare perfetta sui loro splendidi volti. Perché si sono lasciati alle spalle ogni sofferenza, perché nessuno
può dividerli più, perché sono finalmente insieme. Perché
proibito e sbagliato sono termini che sono stati cancellati da amore.
E, senza
saperlo, ho preso la mia decisione.
“Non posso
venire ancora” dico dispiaciuta, seppure sul mio volto si sia aperto un sorriso
“Vi amo davvero tanto ragazzi. Credo che amore sia
davvero il modo giusto per esprimere il legame che avevo con voi. Però qua ho ancora una persona con cui mi sono legata con
questo filo” i miei occhi si abbassano verso la testolina rossa che ancora
sussulta tra i miei seni “Devo aspettarla. Voglio aspettarla”. Con queste frasi
proclamo a gran voce la mia decisione che, seppur mi faccia soffrire
immensamente, so essere quella giusta “Sarò forte, non
mi piangerò addosso. E vivrò: per voi, per lei e per
me stessa. Vivrò amando la vita finché questa non mi abbandonerà. Allora ci
rivedremo ancora, ragazzi”
Serro le
labbra intanto che la loro immagine si fa sempre più sfocata, fino a sparire
del tutto.
Un addio
non pronunciato. Un arrivederci lasciato nell’aria.
Io sospiro
e con forza maggiore stringo le braccia attorno al corpo di Lora. Baci lievi si
poggiano sulle sue chiome ramate, intanto che sussurro parole per calmarla,
almeno quel poco che le permetta di riprendere un respiro regolare.
- Basta
piangere, amore. Sono qui, non vado via -
I suoi
occhi nocciola si alzano verso i miei, timidi ed
incerti se credere o meno alle mie parole, ed io posso notare quale scempio il
pianto abbia creato sul suo bel volto dalla pelle diafana, ora raschiata da
chiazze purpuree che ingoiano ogni lentiggine.
- Resterai
qui con me? - chiede, la voce che trema ancora sotto il respiro corto a cui
l’ha obbligata la sua disperazione - Non te ne andrai?
–
Io mi chino
ed sfioro le sue labbra con un bacio morbido - Non
andrò da nessuna parte senza di te - sussurro nella sua bocca, umida ed amara
per le troppe lacrime - Sei disposta a prenderti cura di me? -
Lei emette
un risolino appena udibile - Per tutta la vita se, fosse
necessario -.
Proprio la
risposta che desideravo.
Un raggio
di luce entra timido, filtrato dalle gonfie nubi che solcano il cielo in attesa che la temperatura si alzi di qualche grado per
poter buttar giù un bel po’ di neve, altra che va ad aggiungersi a quella che
già ricopre ogni angolo della città. E’ morbida, un soffice manto che ricorda
il cotone appena filato.
Proprio
come quello che mia nonna mi portava in piccoli
cestelli di vimini, per poter riempire le bambole di stoffa che lei stessa
cuciva. Adoravo quelle bambole. Mi guardavano sempre felice con quegli occhi di
bottone ed i loro vestitini, dal taglio un po’ campagnolo, erano sempre pregni
del profumo di frutta e campagna. Anche le mani della
mia nonna avevano il medesimo odore.
Lo stesso
che le mie mani cercano di ripetere, ricorrendo, però, all’ausilio di creme
che, nonostante tutto, continuano a trattenere quel retrogusto di artificiosità.
E’ un
desiderio infantile, me ne rendo conto, ma voglio che quest’odore,
a cui sono tanto affezionata, si tramandi dal mio
cuore al loro. Voglio che anche in loro ci sia un dolce ricordo legato a quest’essenza. Voglio che ogni volta che il loro naso si
tuffa in un’aria che profuma di frutta maturata al sole e di fieno raccolto in
sacchi di tela la loro mente ritrovi il mio volto, le mie carezze, le mie
parole. Voglio che covino il mio ricordo per sempre nei loro cuori, anche
quando io non ci sarò più in questo mondo.
Loro, i
miei dolci bambini. Due meravigliose stelle che il cielo mi ha bonariamente
donato.
La mano
raggrinzita di Beth mi porge una tazza di the
fumante. Un aroma di limone riaffiora dal liquido ambrato. Le sorrido grata,
mentre stringo tra le mani la ceramica bollente, la quale trasmette un po’ del
suo calore alle mie dita gelide.
- Bevilo tutto, cara - si raccomanda, un’espressione materna
che attraversa ogni ruga del suo viso anziano, sempre così dolce e gentile. Non
c’è da stupirsi se i miei due tesori si sono affezionati
a lei come se fosse la loro nonna reale, nonostante continuino a chiamarla
affettuosamente signora McGonnall. D’altro canto anche lei ha accolto i miei
due bambini quasi fossero i suoi reali nipoti, dopo
che questi le sono stati sottratti da figli troppo pretenziosi, i quali si sono
quasi dimenticati di avere ancora una madre spersa in qualche punto di questo globo.
Ma lei pare non darci più peso con il suo sorriso
sempre buono che le illumina il volto. Lei pare essersi dimenticata di quella
figlia trasferitasi a Boston per una carriera più redditizia con la sua laurea
in giurisprudenza. Lei pare essersi dimenticata di quel figlio che viaggia
continuamente a bordo di un aeroplano con i gradi dell’Esercito che brillano
luccicanti sul suo petto.
Eppure la
sua casa è un tempio dedicato al loro ricordo: foto di bambini che giocano in
una piccola piscina da giardino, di ragazzi emozionati che si risistemano i
vestiti per il ballo di fine anno, di giovani con le loro nuovissime toghe per
la laurea e con il tipico copricapo poggiato perfettamente sulle loro teste, di
due famiglie felici che non hanno una presenza anziana nel loro ritratto. Un
tempio che accoglie un passato felice e un presente pieno di lacrime di amarezza.
Perché, in realtà, nessuna madre può dimenticare i propri figli.
Perché
nessuna madre può smettere d’amare i propri figli.
Il trillo
del campanello irrompe violento in quest’atmosfera pacata e intima che è scesa dolce su tutta questa casa. La
mia buona visitatrice si affretta per il corridoio, per quanto le sue gambe
stanche glielo permettano.
- Non
alzarti, cara. Vado io - mi dice, notando un mio accenno
a svolgere il compito.
Le mando un
sorriso di ringraziamento e, annuendo, torno a sorseggiare il mio the. Dalla
finestra si vedono scendere i primi fiocchi di una nuova nevicata. I bambini
saranno davvero felici di vedere questa polvere ghiacciata e, sicuramente, non
appena anche questo soffio bianco si sarà estinto, non vedranno l’ora di
buttarsi a capofitto nella distesa bianca a battagliare con candide munizioni o
di costruire i pupazzi tipici di questa stagione. Spero solo che Eddie torni prima che il sole tramonti,
così potrà giocare un po’ con loro.
Quell’uomo
ama i suoi due bambini alla follia. Farebbe di tutto per far nascere un sorriso
sui loro volti e si dividerebbe anche in quattro purché riesca a strapparmi una
risata. Mi chiedo spesso come ho fatto a trovare un uomo tanto perfetto da
essere sia un buon padre che un marito meraviglioso.
- Vanessa -
l’anziana donna, che da questo pomeriggio mi fa compagnia, entra in salotto con
la sua camminata lievemente zoppicante. Dietro di lei si delinea
la figura delicata e di una tale giovinezza, esaltata particolarmente dalla
differenza d’età che divide le mie due ospiti, che per un attimo sento il peso
di tutti i miei anni sulle mie spalle. Di certo trent’anni
non sono tanti, ma non si può dire che io sia una ragazzina!
- Vanessa,
questa ragazza vuole parlarti -
Ed io
osservo attentamente colei che mi viene presentata e
che ora rimane in silenzio, in piedi davanti a me. Ha davvero la bellezza di un
angelo, con questi occhi sofferenti che paiono appena essersi riassopiti da un
lungo pianto, con questi corti capelli biondi tutti spettinati, con questo
corpo sottile e slanciato, accarezzato in tutta la sua lunghezza da fili dorati
dell’astro mattutino. A quella visione un sorriso si allarga spontaneo sulla mia
bocca. Un sorriso accogliente.
- Salve -
la saluto, e faccio per alzarmi in piedi, ma la giovane sconosciuta mi precede.
- No, non
ti scomodare signora Logan - mi dice e i suoi occhi
scendono sempre più in basso, con un aria tanto addolorata
che pare riempire questo salotto con la sua oscurità. Mi trovo a chiedermi cosa
mai possa togliere la gioia ad una ragazza tanto giovane, che dalla vita
dovrebbe avere solo favori e piaceri. Ma, la domanda
che più m’assilla e sapere cosa voglia questa giovane da me, cosa possa
desiderare un’anima tanto in pena da una donna realizzata in ogni suo sogno.
- Dimmi -
esordisco incerta, senza sapere come prendere questa situazione - Qual è il tuo
nome? -
I suoi
occhi si alzano subito su di me. Tutto il dolore che li aveva
caratterizzati fino ad allora, sparisce, surclassato da uno stupore
tanto profondo da sconvolgere - Come, scusa? -
Un sorriso
conciliante mi si apre sulla bocca - Puoi dirmi il tuo
nome? -
- Signora Logan - balbetta - Non mi riconosce? -.
Sembra
perduta, disorientata, incredula, come se fosse stata catapultata in un luogo
che credeva famigliare ma che si rivela essere solo un mosaico di pezzi
sconosciuti. Come un cerbiatto che ha perso la sua madre.
M’intenerisce
il cuore, questa ragazza, e nemmeno io stessa so dire bene il perché.
Probabilmente il suo volto d’angelo sofferente risveglia i sentimenti più dolci
del mio animo. O forse è il fatto che esso sia così
famigliare che mi rende più sensibile all’umore che lo tinge
- Dovrei,
forse? - chiedo cauta, timorosa di ferirla in qualche modo.
- Sono Mary-Jane - si presenta con foga, battendosi una mano sul
petto - Mary-Jane McNorris.
Come può non riconoscermi? -
- Mary-Jane? - ripeto, guardandola incredula, ma un punta di cinismo non riesce a sparire dal mio volto. Dopo
una tale presentazione comprendo perché il suo viso
era già conosciuto dai miei occhi. A guardarla bene, infatti, posso notare una
serie di particolari che riportano immediatamente alla piccola Mary-Jane: i grandi occhi verdi, ad esempio, il colore
dorato dei suoi capelli, e il naso sottile che punta sempre all’insù. Certo si assomigliano molto, e con molta probabilità sono parenti, ma
io so che lei non è colei che dice. Io so che lei non può essere Mary-Jane McNorris.
- Mi
dispiace ma non posso credere alle tue parole - le dico, cercando di preservare
un tono gentile, che non la faccia sentire troppo a disagio. Perché,
per qualche motivo, il suo sguardo triste ed inconsolabile continua a toccarmi
l’anima. - Mary-Jane ha la medesima età di mio
figlio Steve. Sono molto amici quei due bambini -
inconsciamente un sorriso albeggia sulle mie labbra, ripensando a tutte le
buffe scenette che quei due fanno insieme. Ma esso subito eclissa non appena
un’espressione sconvolta travolge quel volto tanto giovane e pare che,
nuovamente, il pianto si stia impossessando di lei.
- Signora Logan, ma cosa…? - balbetta confusa, guardandomi quasi fossi uno spettro. E io, senza
colpa, mi sento mortificata ed accusata da quei grandi occhi verdi così limpidi
da trafiggere lo spirito. Come se avesse compreso il mio stato d’animo, Beth interviene con la solita gentilezza che è intrisa in
ogni suo gesto. Si affianca, zoppicante, alla giovane ragazza, poggiandole una
mano sul braccio, in modo d’attirare la sua attenzione. Ma i suoi occhi
rimangono incollati su di me
- Mia cara,
forse è meglio che t’accompagni alla porta - suggerisce l’anziana donna,
stringendole un poco il braccio. Quasi fosse una
bambola comandata, lei annuisce meccanicamente senza, però, separare il suo
sguardo dalla mia figura possiate sulla morbida poltrona, sotto la quale vorrei
sparire per privarmi a quei laghi di smeraldi che diffondono un marcato disagio
in me.
Alla fine,
però, Beth ha la meglio e la ragazza inizia,
finalmente, a muoversi in direzione della porta. Ma
prima di uscire completamente dalla mia visuale si ferma un secondo, voltandosi
appena nella mia direzione ed io riesco a vedere perfettamente la lucente
lacrima che le bacia la guancia.
- Addio
signora Logan - è quasi un sussurro il suo ma io riesco
a percepirlo chiaramente ed è come se qualcosa dentro di me soffrisse nel
sentire tali parole pronunciate da quella bocca. Ma poi,
quando quella stravagante ragazza sparisce, lasciandosi alle spalle solo l’eco
della porta che si chiude, di tutti quei sentimenti cupi e luttuosi rimane
nient’altro che uno spettro, il quale si dissolverà veloce schiacciato
dall’allegria che i gioielli più belli che mi sono mai stati donati porteranno
in questa casa.
Sospiro e
mi abbandono mollemente sulla poltrona. Da fuori sento
già le voci ridenti dei due piccoli e quella più profonda del loro papà, del
mio amato marito. Per una volta mi sento davvero felice.
Il bianco
del cielo è quasi accecante, oggi. Più lo si osserva e
più le lacrime ti spezzano lo sguardo. Grosse lacrime di
cristallo che silenziose scendono in un pianto ormai rassegnato. In un
pianto triste, sofferto, doloroso…e sempre rassegnato. E’ una vita che mi
rassegno! All’affetto scarno dei miei genitori, alla
mia “deviazione” sessuale, al mio folle amore ed ora, infine, alla morte. Non
pensavo che potesse essere tanto vicino il tempo in cui non mi sarei più posta
domande su quella sagoma nera che sembra sempre vegliarci seduta appena pochi
passi dietro di noi. Non pensavo che essa potesse rubare la vita di Steve e Michael…non loro, non
così.
Rabbrividisco
in un singhiozzo sottile e nuovamente asciugo le mie lacrime, per la centesima
volta in questa lunga, eterna, settimana. Le mani si abbeverano del mio dolore,
nascondendolo a lei. Perché non voglio che mi veda ancora
piangere. Perché voglio essere forte per sostenerla.
Perché, se fin’ora è stata lei a
darmi l’appiglio a cui aggrapparmi, ora voglio essere io quell’appiglio
per lei.
Perché
questo è amare…
Un corvo
taglia il cielo bianco con le sue ali nere ed il suo gracchiare frammenta
l’aria in un tremito che annuncia un cattivo presagio. Soffoco una preghiera
nel mio animo, guardano con la coda dell’occhio la casa davanti al quale è parcheggiata quest’auto.
Non è mai stata tanto silenziosa. Neppure quando il silenzio era l’unica forma
di comunicazione che condivideva la padrona con i suoi due figli.
Nessuno mi
ha detto come sta la signora Logan. Nessuno sa come
si sente una donna che ha donato ai suoi figli il pugnale con il quale si sono
uccisi. Nessuno sa come si sente una madre tradita.
Quando Jany mi ha chiesto di quella povera donna
non sono riuscita a risponderle. - Non lo so -, le ho detto,
- Ma tu come credi ci si possa sentire dopo aver perso due figli? -. Si era
morsa nervosamente il labbro inferiore, quasi stesse
soppesando con cura qualche cosa di estrema importanza e poi, risoluta, mi
aveva guardato, gli occhi ancora tristi che mai sembrano rischiararsi.
- Voglio
andare a darle le mie condoglianze -
E voglio che tu venga con me. Ho
bisogno di te,
questo leggevo in quei lucenti specchi di giada.
E così
sono venuta, senza oltrepassare quella soglia, rimanendo al gelo di quest’auto che a malapena riesce a mettersi in moto. Perché non voglio entrare in quella casa, perché non voglio
ricordare, perché non voglio ancora dimenticare…
Ricordo che mia nonna mi disse una cosa, qualche giorno prima che
lasciasse questo mondo: - Una volta che accetti di aver perso qualcuno inizi a
dimenticarlo -.
Entrare in quella casa sarebbe come dimenticarli ed io ho ancora bisogno del
loro ricordo. Ne ho un bisogno così estremo che ne soffro.
Sento un
tonfo sordo riecheggiare nel silenzio. Sussulto dal fluire dei miei pensieri e
lentamente volgo il mio sguardo verso l’ingresso di quella casa: davanti ad essa c’è Jany, immersa in un
cappotto nero quanto il lutto. I suoi occhi sono fissi sulla porta che le è
stata sbattuta in faccia, con un’intensità tale che potrebbe uccidere. Ogni
pensiero, ogni ricordo, ogni sentimento…è come se gli stesse
dicendo addio.
- Jany! - la chiamo, uscendo dall’auto - Jany!
-
Di scatto
il suo viso si gira verso di me. Su di esso i medesimi
tratti di chi è appena uscito da un sogno ad occhi aperti, di chi è uscito dal
proprio sonno grazie ad una doccia gelata. Mi guarda per qualche secondo senza che
una sola parola profani la sua bocca e poi inizia a corrermi incontro. Prima
che io riesca a dire qualunque cosa, mi sento immergere nel suo petto morbido e
le sue braccia mi stringono con una forza tale che temo
voglia rompermi. Le sue labbra s’incendiano sul mio volto. Sulle
mie gote, sulla mia fronte, sulla linea del mio naso ed infine sulla mia bocca,
dove si riversa la lava bollente del suo corpo.
Sono
travolta da quell’improvviso mare di passione e mi
disperdo in esso, intontita, finché non mi risveglio
accorgendomi che siamo ancora in mezzo alla strada, davanti agli occhi di
tutti. Faccio davvero fatica per prendere respiro e con maggiore difficoltà
riesco a parlarle
- Jany, calmati. Siamo in strada -.
È un
mormorio soffocato il mio, eppure la mia ragazza si placa. Tutto il suo fuoco
si spegne lasciando solo uno sguardo triste e sperduto.
Per la
prima volta vedo la sua fragilità, la stessa che affratella tutti gli uomini.
Per la prima volta vedo il volto di quella ragazzina che è costretta a vedere
scendere la tomba di sua madre nella terra, quella ragazzina che mi era stata
descritta unicamente dalle parole di colei che è ormai vicina alla maturità. Le
accarezzo la guancia, mentre dentro di me trattengo l’impulso di stringermela
teneramente contro, di cullarla finché un dolce sonno non la porta lontano da
questa malefica realtà che rovina il suo bell’aspetto
con il pianto.
- Entriamo
in macchina - suggerisco, infilandomi già a metà nell’auto. Lei mansueta
ascolta la mia proposta, prendendo posto davanti al volante. Prendo un respiro
profondo prima di esordire
- Che cosa è successo? -
- Ha dimenticato tutto - mi risponde normalmente, anche se posso
benissimo sentire che questa scoperta l’ha sconvolta profondamente - Riesci
a crederci? E’ convinta che suo marito sia ancora in casa e che io e i suoi
figli non siamo altro che bambini. Non ha nessun
ricordo di questi ultimi anni. Ha persino dimenticato la morte dei suoi figli!
- le sue mani si stringono violentemente sul volante, intanto che prendere un
attimo di respiro - Com’è possibile obliare una cosa del genere? - chiede al
vuoto e il suo sguardo sanguina con grosse gocce di stupore misto ad un acuto
dolore.
- Il suo
shock è comprensibile. Credo che lei abbia voluto solo…-
-
Dimenticare! - esclama in tono accusatorio
- Rivedere
la felicità - la contraddico, pazientemente.
I suoi
occhi prendono una sottile velatura interrogativa - Ha solo creato un’illusione
-
- Anche se
è solo un’illusione è pur sempre in grado di renderla
felice. Puoi davvero biasimarla? -
Sento la
sua foga annegare in un fiume d’indecisione. Non può
accusarla, lo sappiamo entrambe. Non può perché sarebbe come accusare
tutto il genere umano, nessuno escluso. È nella natura umana, infatti, andare
eternamente alla ricerca della felicità, tentando d’allontanare il più
possibile il dolore.
Passano diversi secondi prima che parli, anche se non è esattamente
una risposta quella che mi da
- Ho bisogno di vederli - mi dice, ancora annebbiata dalla cascata di
pensieri che le attraversa la testa - Ho bisogno di parlargli -.
Mi allaccio
la cintura e con un flebile sorriso la incito a mettere in moto. Il rombo dell’auto che parte riempie il vuoto creato dal nostro
silenzio come un tamburo in piena notte. Nessuna delle due dice nulla,
nessuna delle due sa cosa dire, nessuna delle due, in realtà, vuole parlare.
Siamo quasi
a metà tragitto quando la voce di Jany torna ad
allietare il mio udito. E’ rotta da un fremito sottile che ha il retrogusto di
disperazione.
- Tu lo
faresti? -
Comprendo
ogni cosa senza che lei debba dargli ulteriore voce. -
Preferirei vivere un’intera vita maledicendo ogni secondo ma baciando il tuo
ricordo, piuttosto che vivere un’effimera illusione senza il tuo sorriso -
Sono qui.
Davvero non ci credo, ma ora sono qui, con le suole delle mie scarpe da
ginnastica che marchiano la terra che ancora non ha avuto il tempo di
ricoprirsi completamente d’erba. Solo due lapidi bianche spezzano il drappeggio
bruno. Su di esse s’inseguono le lettere argentate di
due nomi: Steve Logan e Michael Logan.
Ansimo, soffoco e muoio ogni volta che leggo il tuo nome. Il
tuo bel nome d’Arcangelo ora scritto su una bianca pietra, nell’incubo peggiore
che la mia mente potesse offrirmi. Perché non può
essere nient’altro che un incubo, tutto questo, perché tu non puoi essere morto.
Tu, così giovane e baciato da ogni Ninfa e Musa, non puoi essere stato rapito
dalla Morte. Tu che sei un angelo non puoi essere caduto nell’oblio a cui prima o poi ci abbandoniamo noi stolti ed insignificanti
mortali.
No, tu non
sei morto. Non puoi essere morto.
In realtà
devi essere fuggito, scappato con colui che dicono
essere sepolto al tuo fianco. Colui che ho per tutta
la vita inconsapevolmente invidiato e al quale vorrei ora strappare il suo
ultimo ed eterno letto. Perché sì, ti amo talmente tanto che non sopporto nessun’altro
al tuo fianco, neppure tuo fratello. Eppure sei stato
proprio tu a sceglierlo come tuo consorte ed è stato proprio il Nero Angelo a
benedire la vostra unione. Quest’unione che già era stata baciata da quell’Angelo
fin dal momento in cui essa nacque. O forse ancor prima, quando tu
t’accorgesti di esserti innamorato di colui che ti era
fratello.
Mi chiedo
quando, come sia nato in te il desiderio incestuoso, tu che eri il più puro,
persino tra gli angeli. E non posso non rispondermi
che dev’essere stato per forza lui, quel fratello che
ti rinnegava come suo parente, ad averti trascinato nella sua perversione.
Ma nonostante questo…nonostante questo io continuo ad invidiarlo. Lo invidio da sempre, da quando
ancora non conoscevo la sua identità, da quando potevo solo immaginare la
figura a cui i tuoi sguardi e i tuoi sospiri erano sempre rivolti. Lo invidio,
sì, e vorrei riportarlo in vita solo per ucciderlo con
le mie stesse mani! Per farlo soffrire e gemere dinanzi ai
tuoi occhi, così che egli possa comprendere il dolore che tu hai sprecato per
la sua indifferenza, per la sua insensibilità da stolto.
E vorrei
riportare in vita anche te, solo per darti una nuova esistenza, dove la
sofferenza sia completamente esclusa, dove tu possa
sorridere sempre e piangere solo perché la gioia è troppa per essere contenuta
in un sorriso. Dove tu possa essere libero di amare.
Spalanco
gli occhi, stupito del mio stesso pensiero. Senza neanche volerlo ti ho ceduto
a colui che il tuo cuore ha scelto. Colui
che io odio, odio con tutta l’anima mia, ed amo, amo con tutto il cuore,
solo perché tu l’hai amato. Solo perché tu continui ad amarlo.
Comprendo,
forse per la prima ed unica volta, che l’amore di Steve
non solo è pari al mio, ma addirittura superiore: lui e solo lui ti ha donato quell’esistenza senza dolore che io ti raccontavo soltanto,
anche se per farlo ha dovuto rinchiuderti in un carillon dove nessuno può
raggiungerti. Raggiungervi, anzi, perché lui stesso e
diventato dolcemente vittima del suo stesso Eden.
Soffoco una
risata amara tra i denti stretti. Vedi a cosa mi porta il mio amore per te?
Alla follia!
T’amo così
tanto che non solo finisco per comprendere ed accettare il tuo peccato, ma
giungo perfino ad amarlo ed ad amare il peccatore con il quale l’hai diviso. Solo perché lui ti ha reso felice.
Solo perché
questo era anche il mio desiderio.
- Ehi, ma
tu sei il ragazzo del locale -
E’ una voce
femminile quella che mi scuote dalla mia preghiera rivolta a te, Angelo caduto
per un mortale. Mestamente mi volto per accogliere i nuovi pellegrini, ma non
appena il loro aspetto si riflette sulle mie cornee, non riesco a reprimere un
respiro tronco. Sono le ragazze che erano al tuo fianco quella sera, quando
assaggiai il tuo ultimo bacio, quelle ragazze che,
sedute al tuo fianco, venivano svilite dalla tua infinita bellezza. Prepotente
il ricordo di quel lontano giorno mi si riaffaccia alla mente e mi riporta il
tuo profumo fresco e sensuale. Uno strappo al cuore ed è come se la mia anima
tentasse di liberarsi da questo corpo morto per raggiungere te, la luce, la
vita.
Esse si
avvicinano un poco di più, rendendomi il loro aspetto sempre più famigliare e
mi ritrovo a venerarle, quasi, quelle vestali del dolore che hanno ornato la
tua tomba e quella del tuo consorte con lacrime di bellezza pari alle rose. Le
venero ammirando gli abiti che tu potresti aver toccato, i volti che tu
potresti aver baciato, i capelli che tu potresti aver accarezzato…
- Sei
venuto per loro? - mi chiede timidamente la ragazza dai crini vermigli,
guardando le lapidi. Il suo volto si appanna di un pianto che tenta
disperatamente nascondere. La giovane al suo fianco, invece, pare essere stata
appena colpita da un proiettile: trattiene il respiro e stringe gli occhi, per
poi riaprirli lucidi su quelle bianche ed ultime testimonianze della vostra
esistenza.
Io
annuisco, prima di rivolgere nuovamente i miei occhi a quelle pietre nude, che
nulla riportano della tua anima se non il nome. Il vuoto scende su di noi con
una facilità impressionante. Ognuno di noi si isola in
un libro di parole e domande a cui tu e lui non potrete più rispondere o
ribattere. Il tempo stesso si ferma catturandoci in questa prigione vestita dai
veli scuri del lutto. È eterno…il dolore è eterno.
Ci
allontaniamo dal vostro capezzale quasi contemporaneamente, e non appena ci
muoviamo da quella posizione la bolla di silenzio che tra noi si era creata,
esplode in un sordo calpestio di bianca neve.
- Il mio
nome è Andrew - mi presento, senza
alcun interesse - Lavoravo con Steve -
- Ed eri
l’ex-ragazzo di Michael - aggiunge la biondina, sottolineando con forza quella mia leggera dimenticanza. Io
deglutisco, del tutto impreparato all’eventualità che qualcuno che t’era vicino
potesse conoscere la nostra storia.
- Sì, un
paio di anni fa - ammetto. Il malinconico sorriso che
tu eri solito accarezzare, ora si affaccia in
solitudine sulla mia bocca. La ragazza più giovane ricambia la mia smorfia con
un sorriso altrettanto sforzato
- Michael ci ha detto tutto -
Sento una
sorta di dolcezza riscaldarmi il petto immaginandoti a raccontare ciò che tra
noi ci fu e si dissolse come un sogno al mattino.
- Non
pensavo potesse confessare tutto un giorno - dico, soprappensiero, ricordandomi
la tua ritrosia davanti al mio desiderio di esporti al
mondo, di presentarti come mio unico e dolce amore. Ed un’amara espressione mi
disegna il volto pensando che, in realtà, il tuo amore era
già stato donato
-
D’altronde non pensavi neppure che andasse a letto con suo fratello no? - mi
rinfaccia dura l’altra, attraversandomi da parte a parte con i suoi occhi di
giada - E dimmi, ti ha fatto schifo quando l’hai saputo? Hai ringraziato il
cielo che si siano tolti la vita? Hai pregato perché
bruciassero all’inferno? -
- Jany! - con un urlo, la più minuta supera
la voce della prima, fermandola prima che possa andare oltre.
- Non
potrei mai pensare delle cose del genere - dico, attirando l’attenzione
d’entrambe - Amavo Michael, lo amo
tutt’ora e sono certo che Steve
lo rendesse davvero felice…-
- Andrew
io non ti amo – lo dici con tutta la tenerezza di cui sei capace – Mi dispiace,
davvero. Non sai quanto mi piacerebbe amarti…sarebbe
tutto così semplice – un profondo respiro e ritorni a parlare – Ma non è così.
Amo ancora lui e sarà così fino alla fine dei miei giorni, ne sono convinto -
Quel
ricordo mi spezza l’anima, eppure continuo con le mie parole, respirando ogni
boccata d’aria gelida che questo mondo mi offre - Sono certo che Michael amasse davvero Steve e che questo sentimento fosse ricambiato. Sono certo
che lui fosse davvero felice, che entrambi
condividevano una gioia a cui nessun altro era ammesso. Sono certo che entrambi
abbiano preso questa scelta per amore dell’altro, e
solo questo la rende una buona scelta. Il resto è tutta roba superflua -
Che questa sia la mia benedizione. Che questo sia il mio addio a te che hai baciato
tutti i miei sogni con la tua immagine, che prima era solo
un desiderio, poi una realtà e nuovamente desiderio. Che questo sia il mio ultimo ti
amo donato a te che probabilmente continuerò comunque ad amare per
l’eternità.
Alzo distratto lo sguardo dallo stelo bianco che s’allunga ai nostri
piedi. Lo
sguardo ostile della biondina si è sciolto in uno di sorpresa. Riesco a vedere la sua incredulità davanti alle mie parole, riesco
quasi a sentire le sue scuse per avermi aggredito a quel modo, per avermi dato
un giudizio troppo affrettato. Sorrido, dentro di me, pensando che prima di oggi mi sarei meritato i suoi insulti.
Una mano si
allunga sotto i miei occhi - Come hai detto di chiamarti? - gli occhi verdi di
quella ragazza mi sembrano inspiegabilmente più belli
- Andrew - rispondo e le stringo la mano. E’
calda, è viva…
- Io sono Mary-Jane e lei…- indica con il capo la rossa - Lei è Lora,
la mia ragazza -
Alla mente
mi ritornano le parole lontane di mia madre. Quella parole
che mi sussurrò dolcemente quando mio cugino partì per un viaggio che forse non
avrebbe mai visto ritorno: “Ogni volta che dici addio ad una persona, dirai
anche piacere ad un’altra”.
- Piacere -
THE END
FREE TALK
Ebbene
sì, sono riuscita a tornare con l’ultimo fatidico capitolo di questa seconda
parte. Davvero non ci credevo più ^^’’’’
In primo
luogo mi scuso con tutti voi (quei due o tre, insomma NdWhite)
che avete dovuto aspettare per moooolto moooolto tempo questo capitolo ^^’’’ Pensavo
che il capitolo più duro fosse stato quello riguardante la morte dei due teneri
protagonisti, ed invece mi sono dovuta ricredere: ho faticato non poco per
riuscire a ricreare le varie reazioni di coloro che sono, per così dire,
sopravvissuti, e credo di non esserci riuscita neanche molto bene ^^’’’ Spero
che comunque sia stato di vostro gradimento, nonostante lo spaventoso ritardo
^^’’’
Per quanto
riguarda la terza parte, My Hours, verrà pubblicata a breve (credo che dopo questa tutti si
faranno una grossa risata NdWhite - La finisci di
mettere il dito nella piaga?? >_< NdBlack) in
due capitoli corti corti che spero vogliate leggere ^^
E adesso
passiamo ai soliti ringraziamenti: ovviamente a Shinjino che chissà come riesce
ancora a supportarmi e non solo con i suoi commenti…spero solo di non averti
deluso ^^’’’
Alla mia nipotuccia Keyka che ha davvero poco da invidiare ma che ringrazio
molto dell’appoggio ^^
Ad akane92 e alle sue amiche,
con mille ringraziamenti per i loro complimenti
Infine a Black_pill
chiedendo scusa per il mio mostruoso ritardo ^^
Ovviamente
grazie anche a tutti quelli che continuano a leggermi e a commentarmi nel
silenzio ^^