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Autore: hotaru    19/06/2011    2 recensioni
«Al aveva ormai ben chiaro che le corrispondenze tra il suo mondo e quello in cui si trovava ora non sarebbero mai finite: era davvero come in uno specchio, dove destra e sinistra erano sì scambiate, ma rimanevano sempre tali. Non avrebbe mai smesso di stupirsene, anche se ormai si aspettava di trovarne una ogni volta che girava un angolo.
E quando la sua primogenita, Trisha Elric, nacque lo stesso giorno di quel mese di febbraio in cui lui e Ed avevano compiuto la trasmutazione umana, non poté fare a meno di sorridere. Di sorridere perché davvero certe ferite si curavano da sole, col tempo.»
Sequel di "Regentage- Giorni di pioggia"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Altro personaggio, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Al di là del Portale'
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1- Radici
Roots- Radici


Radici


"Chissà se anch'io, quando sono nato, ero così piccolo, caldo e morbido come quella bambina."
"Che domande, certo che sì!"

(Alphonse e Edward Elric, episodio 6)



Il tempo stava per cambiare. Un'altra volta.
Le nuvole più scure venivano da ovest, quindi si trattava dell'ennesima perturbazione proveniente dall'oceano. Al guardò la piccola quercia che aveva piantato alcuni anni prima: quelle piogge così frequenti la rendevano di un verde eternamente smagliante, appena lavato e sempre nuovo. Stava crescendo bene anche lei, come Trisha e gli altri.

*     *     *

Quel posto gli piaceva immensamente: era così diverso dalla Germania, anche se altrettanto povero, e all'inizio non aveva potuto fare a meno di pensare che sarebbe piaciuto anche a Ed. Anche se, forse, tutta quell'umidità non avrebbe fatto bene ai suoi automail.
La bambina che lui e Tiarnan aspettavano era la prima radice che vi metteva, e pensò che poteva essere una bella idea rendere concreto quel senso di appartenenza. Poteva essere davvero quella, la nuova casa.
- E se piantassi un albero? - aveva detto all'improvviso alcuni mesi prima, guardando il paesaggio un po' brullo fuori dalla finestra.
- Un albero? - aveva chiesto Tiarnan, alzando gli occhi.
- Sì, un albero. In fondo stiamo finalmente mettendo radici -.
Delle radici che sarebbero affondate nel terreno, per non lasciarlo andare mai più. E forse, finalmente, quella era la volta buona.

Al aveva ormai ben chiaro che le corrispondenze tra il suo mondo e quello in cui si trovava ora non sarebbero mai finite: era davvero come in uno specchio, dove destra e sinistra erano sì scambiate, ma rimanevano sempre tali. Non avrebbe mai smesso di stupirsene, anche se ormai si aspettava di trovarne una ogni volta che girava un angolo.
E quando la sua primogenita, Trisha Elric, nacque lo stesso giorno di quel mese di febbraio in cui lui e Ed avevano compiuto la trasmutazione umana, non poté fare a meno di sorridere. Di sorridere perché davvero certe ferite si curavano da sole, col tempo.
Aveva visto la sua prima figlia l'anniversario del giorno in cui aveva perduto il proprio corpo, e ogni volta che ci pensava si rendeva conto che qualunque cosa poteva guarire, in fondo.
E aveva giurato a se stesso che ci sarebbe sempre stato, per tutte e due: la madre e la figlia. Ed era stato a lungo arrabbiato con suo padre; lui non ricordava la stessa rabbia, ma forse l'assenza di Hohenheim durante la sua infanzia era proprio ciò che ora lo rendeva così deciso.
L'anno successivo ripeté di nuovo lo stesso giuramento, ma per tre persone.

Alcuni mesi più tardi Edward Elric, a Berlino, ricevette una lettera dall'Irlanda. Aveva già saputo di Trisha, e sperava di leggere qualche notizia sulla sua crescita. Rimase invece a bocca aperta quando scoprì che Al e Tiarnan avevano raddoppiato.
“Edwin è nato il tre ottobre, Ed. Ti dice niente questa data?”.
Più che dirgli qualcosa, Ed la rivide incisa all'interno di un certo orologio da alchimista di stato, circondata dalle fiamme di quando avevano bruciato la loro casa.
Ma Al le programmava al secondo, quelle nascite?
Già quando suo fratello gli aveva scritto della sua prima nipote, nel sorriso di Ed si erano mescolati gioia e un certo sarcasmo: e così, la Trisha Elric che avevano voluto far tornare con una trasmutazione umana non l'avevano più rivista, ma lo stesso giorno dello stesso mese di tanti anni dopo, ecco che arrivava un'altra Trisha Elric. Quanto tempo avevano aspettato?
Ed sbuffò, suo malgrado, scostandosi un ciuffo di capelli dalla fronte: a volte c'era di che essere davvero stufi, di quella storia dello scambio equivalente.

Quando nacque la bambina, Al non si comportò né come Hughes né come Rod. Semplicemente non poteva; non poteva dire, come aveva fatto Rod: “Guardate! Ha i miei occhi!”, perché non era così. Perché quella bambina aveva gli occhi di Ed. Gli occhi di Hohenheim. Gli occhi di chi, prima o poi, finiva inesorabilmente per perdersi nell'alchimia.
C'era quasi da tirare un sospiro di sollievo, al pensiero che in quel mondo non esistesse.
Per quanto riguardava Edwin, invece, era stato subito lampante quanto somigliasse a sua madre- a sua nonna. Gli stessi dolci occhi azzurri, gli stessi capelli castani. Era come un gioco di specchi nel quale Al rischiava di perdersi quando a volte, la sera, tentava di fare il punto della situazione. Disteso a letto, col respiro tranquillo di Tiarnan a fianco, gli sembrava quasi che qualcuno si stesse divertendo un mondo a confonderlo sempre di più. O forse erano solo i suoi pensieri, che si mescolavano fin troppo quando si trovava in posizione orizzontale, anche se ormai non facevano più la spola da un angolo all'altro di un'armatura di ferro.
Ma poi Edwin si metteva a piangere, perché in quel periodo aveva una leggera otite. Al non faceva in tempo a prenderlo in braccio dal suo lettino che Trisha gli era subito accanto, sveglissima, ad osservarlo con lo stesso sguardo attento di Ed e a chiedergli perché Edwin continuasse a frignare.
- Piange troppo – sentenziava, dall'alto del suo anno e mezzo, i capelli biondi sparati in tutte le direzioni che portavano ancora il marchio del cuscino.
- È perché non sta bene – le spiegava pazientemente Al – E dato che è troppo piccolo per capire il perché, si sfoga piangendo -.
Ogni volta che le rispondeva così si ritrovava a chiedersi se non la stesse trattando troppo da adulta, solo perché somigliava tanto a Ed. Ma ogni volta Trisha annuiva, con l'aria di chi ha capito perfettamente, pur non condividendo certi comportamenti pusillanimi.
- Però piange troppo -.


Quando Trisha compì quattro anni, le responsabilità di una sorella maggiore non l'avevano ancora minimamente sfiorata. Anzi, non capiva perché suo fratello Edwin si ostinasse a non obbedirle in tutto e per tutto, dato che era più grande e più alta di lui. A dire il vero aveva ormai anche un'altra sorella, ma Cecelia non aveva ancora imparato a camminare, e comunque non disturbava mai troppo.
Il problema era Edwin.
Edwin che insistette fino all'ultimo per spegnere le candeline della sua torta, anche se erano quattro- una di troppo, per lui. Edwin che le rimase appiccicato, seduto sulla sua stessa sedia, per tutto il tempo. Edwin che, quando lei lo fece scendere a forza, andò a fare la spia alla mamma, rivelandole che il latte di quella mattina aveva dovuto berlo tutto lui, come sempre, perché Trisha non l'aveva voluto. Edwin che con quella rivelazione quasi uccise suo padre, visto come gli andò di traverso l'acqua che stava bevendo.
- Credevo avessi ricominciato a berlo – disse poi Al, faticando a restare serio.
- Ogni tanto ne bevo un po' – mentì spudoratamente Trisha, evitando di guardarlo negli occhi.
- Trisha... -.
- Ma non mi piace! Perché devo berlo, se non mi piace? -.
- Perché fa bene -.
- A cosa? -.
- Alle ossa. Contro le malattie. Ti aiuta a crescere – le spiegò pazientemente Al, pur sapendo che non sarebbe servito a molto. Con qualcun altro, almeno, tutte quelle ragioni non avevano sortito l'effetto sperato.
- Cresco lo stesso. Sono più alta di Edwin – ribatté lei, per niente preoccupata.
Touché, pensò Al. Scambiò un'occhiata con Tiarnan, che aveva smesso da un pezzo di insistere pur sapendo che Trisha, di latte, non ne toccava nemmeno una goccia. All'inizio le era sembrato incredibile che una bambina così piccola potesse essere tanto ostinata, ma Al era del parere che la cocciutaggine degli Elric- di certi Elric- fosse evidentemente ereditaria. E c'era poco da fare, al riguardo: Ed ne era un esempio lampante.
Al la osservò, mentre lei lanciava occhiate minacciose a Edwin, che tuttavia non lo dissuasero dall'avvicinarsi di nuovo alla sua sedia. Anzi, ci si mise anche Cecelia ad imitarlo: da un po' la piccola cercava di ampliare il proprio territorio, aggrappandosi ad ogni appiglio disponibile e tirandosi in piedi. Più in alto riusciva ad arrivare, meglio era.
L'istante prima che Trisha iniziasse a protestare contro suo fratello, Al ebbe il flash improvviso di una bambina della stessa età, con lunghe trecce castane e gli occhi azzurri, la cui immagine si sovrappose a quella di sua figlia. E represse un brivido di orrore quando ripensò a quel Tucker che aveva fatto della sua bambina una chimera. Quanti mostri, avevano incontrato.
Il grido di disappunto di Cecelia lo distolse dalle sue riflessioni: la piccola apriva bocca così raramente che quando succedeva zittiva tutti i presenti, persino i suoi chiassosi fratelli maggiori. In effetti Trisha e Edwin smisero all'istante di litigare, costretti a lasciare la sedia perché Al potesse issarvi Cecelia.
Edwin guardò le sue sorelle e poi si rivolse alla madre, seduta lì vicino. Le poggiò la testa sulle gambe, facendosi accarezzare piano i capelli dello stesso colore dei suoi, e guardandole il pancione sospirò:
- Non c'è un'altra femmina lì dentro, vero? -.
Il tono era quello supplichevole di qualcuno che è già stanco della vita, così serio che Tiarnan si morse l'interno di una guancia quasi a sangue per non ridere.
- A dire il vero non lo so – ammise – Ma sono sicura che andrete d'accordo -.
Lo sguardo di Edwin era così poco convinto da farle quasi pena, e stava per dirgli qualcos’altro quando Trisha intervenne.
- Andiamo a giocare – ordinò, più che proporre qualcosa per consolare suo fratello.
E quando lui alzò la testa e annuì, seguendola, Tiarnan fu sicura che avrebbe avuto sufficiente spirito di adattamento da sopravvivere anche ad un'altra sorella- cosa di cui aveva un certo presentimento.
- È strano – osservò Al, prendendo in braccio Cecelia e arruffandole affettuosamente i capelli. Lei sembrava non somigliare a nessuno, con quei folti capelli castano scuro e gli occhi verdi, eppure era da un po' che gli dava lo stesso una sensazione... familiare. Una sensazione che andava pian piano definendosi, come quando si ha qualcosa sulla punta della lingua.
- Cosa è strano? - chiese Tiarnan, stiracchiandosi un po' la schiena. Bambino o bambina che fosse, quel quarto figlio sembrava più pesante degli altri. O forse era lei che iniziava ad essere più stanca.
- Non ricordo molto bene com'eravamo io e mio fratello alla loro età, ma non mi sembra che litigassimo spesso come loro – spiegò Al – E dire che hanno solo un anno di differenza, come me e Ed -.
- Beh, dipende anche dal carattere, non solo dalla differenza d'età – rispose Tiarnan – Non c'è una regola fissa: magari il rapporto tra loro due sarà ancora più diverso -.
Nel dire ciò aveva accennato a Cecelia, ignara di essere la più piccola di casa ancora per poco.
- A proposito – fece Al – Hai pensato ad un nome? -.
- A dire il vero sì – rispose lei, che sembrava però leggermente dubbiosa – Se è una femmina... che ne dici di Alice? -.
- Alice Elric – ripeté piano Al, come ad assaporarne il suono – Lo trovo un bel nome -.
Tiarnan annuì, ma con l'aria di chi deve dire ancora qualcosa.
- Ad una condizione, però – replicò, seria – che dopo nessuno la chiami "Al" -.
L'Al interpellato sorrise, ricordando che sua moglie doveva aver sentito parecchie volte Ed chiamare così Alba, quando ancora abitavano a Berlino.
- Beh, l'unico che rischierebbe di farlo si trova a centinaia di chilometri da qui. Finché Ed non si decide a venire a trovarci, non credo ci sia questo pericolo -.
- A proposito, dopo quell'incidente l'hai più sentito? -.
L' "incidente" era quello di Alba, nel quale la ragazzina aveva perso un occhio l'anno prima. Anche se gli era stato chiaro fin da quando aveva attraversato il portale, che in Germania le cose sarebbero andate sempre peggio, quando aveva letto la lettera di Ed aveva faticato a crederci. Cosa ci sarebbe stata, un'altra Ishval?
Aveva scritto subito al fratello che i Mühlstein avrebbero potuto trasferirsi almeno in Inghilterra- aveva già sentito di ebrei che iniziavano a lasciare la Germania, c'era chi si imbarcava addirittura per l'America- e sapere del rifiuto del signor Rod l'aveva reso inquieto come non mai. Sperava con tutto il cuore che si sarebbero decisi a fare qualcosa prima che fosse troppo tardi.
- Sì, e quello che ha scritto non mi piace per niente – Al avrebbe scosso la testa se non avesse avuto Cecelia addormentata su una spalla, col suo peso caldo e confortante – Spero davvero che Ed riesca a convincerli -.
Tiarnan annuì, raddrizzandosi poi a fatica sulla sedia.
- Senti, credi di riuscire a portarmi delle altre pastiglie? Le ho quasi finite -.
- Ancora mal di schiena? - Al le massaggiò piano una spalla con l'unica mano libera, visto che l'altro braccio era occupato dalla bambina, e Tiarnan rilassò i muscoli stanchi del collo.
- Un po'. Soprattutto la sera – rispose, godendosi quelle attenzioni.
- Domani ti porto qualcosa – le promise Al, che era riuscito ad avere in gestione la farmacia del paese in cui erano venuti ad abitare. Non era altro che una piccola stanza polverosa gestita da un vecchio signore ancora più polveroso dei suoi scaffali, ma Al era riuscito a risistemarla, sbarazzandosi dei farmaci più improbabili e antiquati e procurandosi, poco alla volta, le medicine e le sostanze ormai utilizzate in città – Ho giusto... -.
Un improvviso crescendo di voci sempre più acute li avvisò che il momento di pace tra Trisha e Edwin era appena finito; erano entrambi sul piede di guerra, e vista l'ora forse era anche colpa della stanchezza.
- Vado a metterli a letto – disse Al, passando Cecelia a Tiarnan perché le urla dei fratelli non la svegliassero e andando nell'altra stanza – Su, voi due, buoni -.
- È stato... - stava per dire Trisha, un dito accusatore già puntato su Edwin, ma la voce di Al bloccò sul nascere ogni discussione.
- È ora di andare a letto, avanti -.
Nessuno dei due fece storie, il che voleva dire che dovevano essere davvero distrutti. Edwin fece uno sbadiglio così enorme che Al temette si sarebbe addormentato direttamente sul pavimento.
Ma quando si trovarono tutti e due sotto le coperte, fu chiaro che la giornata non era ancora finita.
- Papà – fece infatti Trisha – È ancora il mio compleanno? -.
- Ancora per tre ore, sì – confermò Al.
- Allora voglio la storia dell'armatura magica – disse Trisha, aggiungendo in un soffio: – Per favore -.
- Anch'io, anch'io! - Edwin trovò la forza di alzarsi a sedere, tanto era il timore di essere escluso dal racconto – La voglio sentire anch'io! -.
- Va bene – Trisha era troppo stanca persino per fare un dispetto a suo fratello, quindi concesse: - Va bene, raccontala a tutti e due -.
Al sorrise, chiedendosi quante volte ancora avrebbe dovuto raccontare quella storia, inventata attingendo all'enorme miniera dei suoi ricordi. Ma visto da lì, quello al di là del portale poteva davvero sembrare un mondo magico. Un mondo che i suoi figli non avrebbero mai visto.
- Allora, cominciò tutto in un piccolo villaggio di nome Resembool, a est di Central City. Questo villaggio si trovava in campagna e di notte si potevano vedere le stelle, come qui. Un giorno, in una casa come questa, un bambino a cui non piaceva il latte e suo fratello... -.
E poi avanti, con opportune omissioni sui particolari più macabri e sanguinari- meglio evitare incubi notturni- raccontando una scienza come l'alchimia alla stregua di un'arte magica. Ed sarebbe inorridito.
Era una storia che ricominciava ogni volta daccapo, giungendo ogni volta ad un punto diverso, finché non si addormentavano. Non era mai arrivato a narrare che i due fratelli attraversavano il portale, giungendo nel "mondo di qua".
Ma ci sarebbe stato tempo per raccontare anche questo.


"E tu ricerchi là le tue radici,
se vuoi capire l'anima che hai..."

(F. Guccini)





Forse mi sto spingendo un po' troppo in là con questa serie "Al di là del Portale"... tuttavia sono fedele al principio primo di EFP: io scrivo, e chi vuole legga! ^^
Questa storia trae ispirazione da un contest di qualche tempo fa, "Come in un CD" di _KeR_: prompt del contest era scrivere una long i cui capitoli avessero come titoli le tracce di un determinato CD.
Questa long non ha partecipato al contest- anche perché, arrivati a questo punto, dubito che si capirebbe qualcosa senza aver letto il resto- ma mi sembra giusto ricordare chi mi ha dato l'idea.
Comunque sia, il disco a cui faccio riferimento è "Radici" di Francesco Guccini (1972), che dà il titolo all'intera storia. I capitoli non saranno song-fic, l'unico legame con le canzoni sarà il semplice titolo. È un disco che comunque vi consiglio, e chi lo conosce ha già in mano una traccia di questa storia...
Ringrazio i miei quattro cugini tra l'uno e i quattro anni per la continua ispirazione: se i fratelli Elric- di seconda generazione- vi sono sembrati un minimo realistici, è tutto merito loro.

L'altra storia, "Hausmärchen- Fiabe del focolare", essendo una raccolta continuerà in modo più saltuario. Fatemi sapere cosa pensate di questa! ^^
   
 
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