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Autore: Flaqui    20/06/2011    4 recensioni
Mery ha sempre voluto vivere in una favola, come quelle che amava tanto leggere da piccola, ma quando la sua favola personale si trasformerà in un gioco pericoloso che coinvolgerà tutte le persone a cui tiene, inizierà a rimpiangere la sua normalità.
Una nuova generazione di angeli dovrà fare i conti con il passato e risolvere la missione che i loro genitori non sono riusciti a compiere.
"Perchè il passato, prima o poi, ritorna. E ti chiede di pagare i conti che hai lasciato in sospeso..."
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I'm just right here...'
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"Dedicato a tutti quelli che leggono, recensiscono e sopratutto mi sopportano...
Grazie ragazze!

Fra"
 


Capitolo 1
L’amico immaginario di Cenerentola


 
Il sole splendeva alto nel cielo, illuminando con i suoi raggi luminosi il piccolo parco giochi, fulcro della vita sociale di molti bambini che si dilettavano in un brodo di giuggiole, lanciandosi dallo scivolo all’altalena, fra piccoli urletti isterici e tante risate.
Era quella che si poteva dunque definire una bella giornata. Una di quelle in cui tutto sembra essere più facile. Ma non era così per tutti.
La piccola Mery, sette anni appena compiuti, una massa di riccioli biondi che le ricadevano sulla fronte, inutilmente contenuti da un cerchietto color del cielo, piangeva disperata sull’altalena che posta nel bel mezzo del giardino segnava il confine fra casa sua e quella dei suoi zii. Bhe, non proprio zii, ecco erano come zii, perché la giovane coppia che abitava nella casa accanto erano due grandi amici di suo padre, di famiglia.
Piangeva perché tutto andava male.
Suo padre stava per risposarsi, infischiandosi delle sue proteste, e lei non poteva farci nulla. Ora per una bambina cresciuta ascoltando le storie di Cenerentola e Biancaneve, in cui la bella fanciulla protagonista vive sotto il terrore della matrigna cattiva, il fatto aveva preso dimensioni catastrofiche e in un certo senso terrificanti.
Ovviamente l’ipotesi che la nuova moglie di suo padre potesse anche piacerle non le era nemmeno passata per la testa, ed era questo il motivo che la aveva portata lì, a piangere sconsolata.
Se promettete di non farvi una brutta idea di Mery per tutta la durata della nostra storia, potrei anche raccontarvi che in quel momento non pensava altro che a ideare un buon modo di sbarazzarsi dell’incomoda presenza che già incombeva su di lei.
La cosa che più le pesava era il fatto di non essersene accorta prima. Certo, pur essendo molto piccola, era dotata di una grande intelligenza e sensibilità, o almeno era questo quello che dicevano i suoi nonni ogni qual volta che venivano a trovare lei e suo padre nelle vacanze estive. Mery aveva l’impressione che suo padre non andasse molto d’accordo con i nonni, e che continuasse a frequentarli solo per poterle dare l’opportunità di vivere normalmente, e senza privarla di un elemento importante per la crescita.
Bhe, comunque era stata davvero stupida, a non capirlo subito. Suo padre era un tipo molto timido, ma quando lei era in giro diventava molto loquace. Ogni volta che veniva a trovarli, portando con lei il suo fastidioso figlioletto, la obbligava a indossare il suo vestito buono, quello che aveva messo al compleanno della zia.
Poi le visite erano aumentate ed era passato un anno, e i “vestiti buoni” non bastavano più. Così lei si era offerta di portarla a fare shopping.
Papà prima di “consegnarla” le aveva raccomandata di essere molto gentile, perché lei era una vecchia amica di papà, si era appena trasferita e non conosceva nessuno.
E Mery era stata gentile, si era fatta vestire e svestire come un manichino, una bambola di pezza, aveva provato una trentina di vestitini, migliaia di scarpe, un biliardo di gonnelline. E si era divertita.
Le aveva raccontato di papà, della sua mamma, che era partita per lavoro quando lei aveva quattro anni, e non era ancora tornata, della sua migliore amica, della sua cotta segreta.
Era bellalei.
Con i suoi lunghi capelli biondi, e gli occhi dorati. Con il profumo alla vaniglia che si avvertiva anche a chilometri di distanza, e che ti dava una sensazione strana, di dolcezza.
E poi aveva una bella voce, le piaceva quando rideva.
E quando poi era ritornata a casa, carica di buste, e suo padre le aveva chiesto che cosa ne pensasse, lei aveva risposto entusiasta che lei era davvero fantastica.
Ma dal fatto che le piacesse all’essere contenta che diventasse la sua nuova mamma ce ne voleva.
Mery scalciò via un piccolo sassolino facendoli percorrere una traiettoria ad arco, fino allo scontro con il muretto lì di fronte.
Stupida.
Si sentiva una stupida.
Ovviamente tutta quella gentilezza, quell’interesse per la sua vita, tutte quelle domande, tutti i complimenti chelei le aveva fatto erano falsi. Falsi come lei.
Un altro calcio.
-Ciao Mery- esclamò una voce.
La bambina si girò spaventata, guardandosi intorno alla ricerca dell’origine del suono.
Una signora dai capelli d’argento era in piedi davanti a lei, sorridendo dolcemente. Dietro di lei c’era un bambino che doveva avere più meno la sua età.
Mery provò l’irrefrenabile voglia di abbracciare la signora, ma aveva letto troppe favole e visto troppi film e non voleva essere ingannata.
-Io non parlo con gli sconosciuti- esclamò mentre con il dorso della mano si asciugava le lacrime, che cadevano ancora copiose.
-Si, ma io e te ci conosciamo, se no non saprei il tuo nome, o no?- chiese la donna continuando a sorridere.
Mery si morse il labbro, pensando.
In effetti poteva essere un’amica di suo padre…
-E cosa vuoi da me?-
La signora rise dolcemente, mentre con una mano spingeva con delicatezza il bambino verso Mery.
-Niente Mery, niente- poi si rivolse al bimbo, e gli sussurrò nell’orecchio –Perché non giochi con questa bella bambina?-
Il piccolo non sembrava molto convinto, e forse per timidezza, si nascose dietro quella che doveva essere sua nonna o almeno sua zia.
-Dai piccolo- la donna lo spinse verso Mery e sorrise.
Poi dopo aver salutato i due, si girò andandosene.
-Ehi! Aspetta!- esclamò la piccola, preoccupata, come avrebbe fatto poi lui a tornarsene a casa? O forse ora lui doveva rimanere con lei? Era davvero confusa e assalita da troppi pensieri, così, decise di chiudere la mente e senza fare nessuna domanda su come avessero fatto ad arrivare nel suo giardino e su come avesse fatto quella donna a scomparire quasi nel nulla, si limitò a chiedere, avvicinandosi a lui -Come ti chiami?-
Il bambino la guardò per un secondo, poi si affrettò a rispondere.
-Bruno, e tu?-
-Mery-
 
Bruno e la signora passavano a trovarla ogni giorno. E così continuò per un mese o più. Aveva raccontato a suo padre del nuovo amico, ma egli aveva ingenuamente pensato che esso fosse del tutto immaginario, una sorta di spalla, appoggio su cui contare in quel momento così difficile. Si era perciò mostrato entusiasta della presenza di questo strano bambino che a detta di sua figlia viveva con gli zii ed era accompagnato da una signora dai capelli bianchi e aveva continuato i preparativi per il matrimonio.
E così Mery aveva recuperato la felicità, in parte.
Finchè un giorno, il trentunesimo dopo il loro primo incontro Bruno le aveva chiesto –Mery tu sei felice?-
La piccola ci aveva pensato su.
-Credo di si. Ho il mio papà. E Pal e i miei amici. E lei non è così male. E poi ho te-
-Si, ma saresti felice anche senza di me?-
-In che senso?- aveva chiesto Mery, aggrottando la fronte.
-No, niente. Ti ho fatto un regalo. Vuoi vederlo?-
Mery batté le mani. Nessuno dei suoi amici le aveva mai fatto un regalo, se non era il suo compleanno, ed ecco che Bruno, il suo migliore amico, tirava fuori dalla tasca posteriore della sua giacchetta color mattone, un piccolo ciondolo.
Una seconda occhiata rivelò il fatto che il regalo non era un ciondolo, ma una chiave. Era piccola, le stava nel palmo della mano, dorata e inciso sopra essa c’era la scritto “Chiave per incontrare la tua chiave”.
Mery si ritrovò a guardare incantata l’oggetto, rigirandoselo fra le dita, mentre Bruno le chiedeva –Allora ti piace?-
-È... È stupenda, Bruno grazie!- esclamò abbracciandolo e schioccandogli un bel bacio sulla fronte.
-Tienilo sempre con te, è un portafortuna. Sarà come se stessi con me anche quando non ci sono-
 
Quella sera, dopo che Bruno e la signora se ne furono andati, Mery andò nello studio di suo padre con l’intenzione di fargli vedere il regalo.
Anche lei era lì. Fortunatamente non si stavano baciando né nulla di simile. Erano semplicemente seduti sul divano, a guardarsi negli occhi, comunicando fra loro senza l’aiuto di parole.
-Papà!- esclamò Mery, ignorando bellamente la donna e dandole le spalle –Papà, papà guarda qui!-
L’uomo le scoccò un occhiata di rimprovera.
-Saluta Mery- esclamò facendo cenno a lei che sorrise.
-Ciao- disse lei, svogliatamente –Papà guarda, guarda che cosa mi ha regalato Bruno!-
-Chi è Bruno?-
Mery sbuffò che cosa le importava?
-Bruno è “l’amico” di Mery- spiegò suo padre calcando la voce sulla parola amico.
-Papà guarda!- urlò la bambina mettendogli la chiave in mano.
L’uomo la guadò per un secondo, poi aggrottò la fronte, e la sollevò verso la luce, come fa un intenditore di vini quando ne deve valutare uno. Lei emise un gemito soffocato a metà fra un singhiozzo e uno squittio.
-Dove l’hai presa?- urlò suo padre, afferrandola per le spalle –Chi te l’ha data?-
-Calmati!- l’ammonii la donna, cercando di tranquillizzarlo.
-Me l’ha data Bruno!-
-No!- l’uomo prese a scuoterla forte –Perché Mery? Perché? Quante volte ti ho detto di non parlare con gli sconosciuti?-
-Ma Bruno…-
-Bruno non esiste Mery! Non esiste!-
L’uomo prese a scuoterla con forza, quasi cercasse di farle dimenticare tutto –Bruno è tutto una tua invenzione! Non esiste!-
-Simon, basta. Controllati- esclamò lei mentre la sua voce saliva di un ottava, liberò Mery dalla sua stretta, e la fece girare verso di lei –Mery, tesoro, ecco vedi, Bruno è vero. È un tuo amico, solo che… insomma, tesoro… vedrai che con il tempo ti scorderai di lui-
-Ma io non voglio scordarmi di lui! e tu non dirmi cosa fare! Non sei mia madre! E non lo sarai mai!-
La donna si morse il labbro, e le lasciò le spalle.
-Mery- la voce di suo padre ora era più calma ma sempre nervosa –Non devi vederlo mai più, promettimelo!-
-NO!-
Mery scoppiò in un pianto disperato e corse via.
Quella notte non riuscì a dormire, mentre ascoltava le voci di suo padre e di lei che discutevano al piano di sotto.
-Simon non è stata colpa sua, lei non sapeva nulla!-
-Avrei dovuto pensarci! Capirlo, sospettarlo! Ma invece no! sono stato uno stupido-
-No amore, non è colpa tua-
-Cosa faremo ora? Io.. non può toccare a lei! Non voglio! Pensavo ci fossimo liberati di queste cose anni e anni fa! Io non voglio che Mery entri in questa storia..-
-E non ci entrerà. Ora sarà meglio chiamare gli altri. Forse loro sapranno..-
-È inutile. Non possiamo farci niente. Se deve succedere, succederà..-
 
Il giorno dopo Mery aspettò pazientemente in giardino l’arrivo di Bruno e della signora.
Suo padre non aveva aperto il discorso, e non le aveva restituito la chiave. Faceva finta che non fosse successo niente, e Mery anche.
Ma lei era preoccupata, lo capiva dalle lunghe occhiate terrorizzate che riservava alla sua schiena.
Erano le cinque quando Mery si sedette sull’altalena.
Erano le nove quando suo padre la chiamò per la cena.
Bruno non era venuto.
E non venne neanche il giorno dopo, e neanche quello dopo ancora. Mery lo aspettò pazientemente tutta la settimana, poi la settimana dopo, la settimana dopo ancora guardava il giardino dalla finestra, la quarta settimana iniziava la scuola e in breve il vortice di compiti, amicizie, impegni, a cui si aggiunsero anche la caccia al vestito perfetto per il matrimonio, l’iscrizione in piscina e il trasloco nell’appartamento nel centro di Buenos Aires, le fecero dimenticare Bruno e la sua chiave.
Con il passare del tempo Mery si convinse che quell’episodio fosse stato solo un sogno e che il suo miglior amico non fosse mai esistito.


 

   
 
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