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Autore: Melanto    20/06/2011    7 recensioni
«Noi non ci troveremmo mai, nemmeno se ci cercassimo per cent’anni. Anche quando siamo l’uno di fronte all’altro: ci guardiamo, ma non ci riconosciamo.»
E Yuzo e suo padre hanno smesso di cercarsi.
Si sono persi negli anni, negli obiettivi opposti, nelle spalle girate e nelle porte chiuse. Nelle strade dritte e concrete della famiglia Morisaki, mentre quelle di Yuzo inseguono le linee curve di un pallone; una scelta che suo padre non è disposto ad accettare.
Ma la guerra è fatta di vittime, e mentre si tenta di rimettere insieme i cocci delle certezze in frantumi, ognuno cercherà anche quello che ha perso.
...perché anche le cose perdute si trovano, basta solo saperle cercare.
[lo Shonen-ai è un elemento marginale]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il lungo sonno della Lucciola
- Part VII: Curveball(1) -

 

“I’ve been sitting in the darkness /
Sono stato seduto nell’oscurità,
but the sunlight’s creeping in /
ma la luce del sole sta iniziando ad entrare.
Now the ice is slowly melting /
Ora il ghiaccio si sta sciogliendo lentamente,
in my soul and in my skin /
nella mia anima e sulla mia pelle.
All the good times my friend /
E tutti i bei tempi, amico mio,
are coming around again /
stanno tornando di nuovo.

 

Le ruote macinavano l’asfalto quasi stessero volando e le gambe pedalavano come non avessero mai smesso di farlo per tutti quegli anni. Dopo si sarebbe sentito a pezzi, poco ma sicuro, ma in quel momento non gliene importava niente.
Baiko aveva l’aria d’Agosto che gli correva lungo il viso e si sentiva rinato.
Filtrava tra i capelli, faceva svolazzare il collo della t-shirt, e il paesaggio circostante fluiva nell’irraggiungibile punto di fuga.
Quando era arrivato con la macchina non ci aveva fatto caso, troppo concentrato a riprendersi per presentarsi davanti sua madre, ma ora gli occhi godevano del panorama.
Le case lungo la strada alberata che portavano alla villa di famiglia si erano modificate. Alcune erano state abbattute e costruite da capo, avevano colori brillanti nel verde e marrone di foglie e tronchi, altre erano sempre le stesse e altre totalmente nuove, postume.
La bottega di stoffe del vecchio Kikuchi-san era ancora al suo posto, con l’insegna scritta a mano, ma l’uomo non era più sulla soglia. C’era una donna di mezz’età, però, in cui riconobbe la figlia, Momoka, un tempo Momo-chan. L’immagine della bambina con le treccine si sovrappose al presente.
Sorrise e tirò dritto.
I ricordi presero il sopravvento sull’attuale, e ogni cosa sembrò trasfigurare in ciò che era stato.
I ciliegi, ora pieni di foglie, tornarono a essere in fiore. I signori lungo la strada tornarono bambini con le divise scolastiche. Le auto divennero più rare e dai modelli fuori commercio. Verso la sommità del monte, si intravvedevano le strutture del Tempio Toshogu, tra le fronde di nikko(2) e mizunara(3) che frusciavano immutate. E l’aria aveva l’odore inconfondibile della campagna.
Baiko raddrizzò la schiena, tolse le mani dal manubrio e lasciò la bici libera di andare da sola lungo la strada sgombra. Era bello vedere che l’urbanizzazione non era arrivata fin lassù in maniera invadente. Era bello riuscire a riconoscere alla perfezione ogni singolo angolo, magari un po’ modificato, e riuscire a sovrapporci l’immagine di ciò che era stato. Era bello non vedere grattacieli e cemento, non vedere colletti bianchi che riempivano le strade e si muovevano a sciami. Era bello non sentire il telefono squillare a ogni piè sospinto. Era bello non doversi preoccupare dei bilanci di fine mese, delle azioni in borsa, dei prodotti per la nuova stagione, delle vendite. Era bello non sentire il ratatatà della pistola mitragliatrice 2G9-UziStyle, il kaboom del mortaio 2G60-Sugihara&Kreeck, il pam-pam-pam della 2G9-Star.
Lì, gli unici rumori erano lo ssssshhhhh delle foglie, il cip-cip acuto degli uccelli e il clank della catena a ogni pedalata; suoni così sommessi e in coro perfetto che sembravano essere una ventata d’ossigeno per il suo cervello.
Il sorriso si distese ancora di più; chiuse gli occhi e sollevò il viso, smettendo addirittura di pedalare. La bicicletta continuava a vivere di vita propria. Anche lei sembrava felice d’esser tornata in pista, come i vecchi tempi, e pareva avesse voluto condurlo fino all’infinito.
Baiko ridacchiò, ripensando alle gare a chi arrivava primo a scuola, alle salite sollevato dal sellino e tirate fino allo stremo. E alle scapicollanti discese.
Aprì lentamente gli occhi.
«Oh, merda!»
Baiko si ritrovò proprio una ‘scapicollante discesa’ davanti; era quella che portava giù, in direzione del mare. La famosa Scavezzacollo. E l’aveva dimenticata.
Si gettò con entrambe le mani per afferrare il manubrio e anche se tentava in tutti i modi di frenare, la bici non ne voleva affatto sapere.
«Ora mi sfracelloooo!» ululò, perdendo il controllo del suo piccolo mezzo e finendo nella cunetta, al lato della strada. La ruota posteriore della bicicletta impennò e tutto quello che Baiko vide fu il mondo che si capovolgeva e poi il giallo e verde in un miscuglio inscindibile. Per fortuna, l’impatto fu quanto di più morbido avesse mai osato sperare. Oltre la strada, c’erano alcuni campi coltivati e lui, per miracolo, era finito in una montagnola di erba e fieno.
Baiko si trovò, con gambe e braccia spalancate, a fissare il cielo azzurro sopra la sua testa, mentre nel petto il cuore batteva tachicardico. Fece respiri brevi e veloci, realizzando che, no, per grazia di qualche Dio non si era sfracellato, ma aveva fatto un tuffo che gli sarebbe valso un applauso da parte di tutti i suoi amici: quante volte si erano cappottati, quante. Impossibili da contare, non sarebbero bastate le dita dei piedi e delle mani messe insieme.
«Goro, questo sarebbe stato almeno da otto pieno» mormorò, rivolgendosi a quello che un tempo era stato il suo migliore amico, dall’elementari fino a tutta l’adolescenza; il ricevitore della Suruga Gakuen.
Uno strano verso gli uscì dalle labbra, strozzato e incerto, e poi si fece più concreto e forte, fino a che non si ritrovò a ridere a piena bocca e con tanto di lacrime agli occhi, mentre tentava di emergere da quel cuscino improvvisato. Sembrava uno scarafaggio finito a zampe all’aria. A fatica, tra le risate, si rotolò su di un fianco, sputacchiando fili di fieno e togliendo erba dai capelli.
«Ommamma» borbottò, sedendosi sui talloni e poggiando le mani sulle gambe. Adagio si guardò attorno, dove le cicale continuavano a frinire e le fronde a frusciare, quiete. «Per fortuna non mi ha visto nessuno. Che figura di merda.»
Lentamente si rimise in piedi, uscendo con un po’ di fatica, data la sua mancanza di allenamento, dal groviglio d’erba per tornare di nuovo sulla strada. Si ripulì alla meglio e poi andò a recuperare la bicicletta, coricata di lato e abbandonata un po’ più avanti.
Baiko l’alzò, per verificare i danni, e s’accorse che la ruota anteriore aveva preso una bella ammaccatura, con tanto di raggi piegati.
«Accidenti» cincischiò con le parole. Quella sarebbe dovuta passare a suo figlio, Shuzo aveva fatto tanto per tenerla in ordine e lui non poteva essere da meno. «Vorrà dire che sarò io a sistemarti, che ne dici?» La bici non rispose, se non con un cigolio quando provò a far girare la ruota. «Torniamocene a casa, campionessa, ne abbiamo combinate abbastanza per oggi.»
Come quando era giovane, e gli capitava di forare, si caricò il mezzo sulla spalla e si volse. Guardando la strada dalla quale era venuto, spalancò la bocca e poi si spalmò una mano sulla faccia.
«E chi se la ricordava così in pendenza, questa salita?!»
Anni fa, non sarebbe stato un problema, ma ormai non era più un ragazzino: altri due e avrebbe compiuto mezzo secolo. Mezzo secolo era tanto, soprattutto se si aveva smesso di fare attività sportiva da venti-trent’anni.
Passandosi una mano sulla fronte e preparandosi ad affrontare la calura di quel pomeriggio, Baiko iniziò a incamminarsi. Piano piano, avrebbe risalito la china.

 

“I’ve been thinking reminiscing /
Ho pensato alle riminescenze
of better nights and better days /
di notti migliori e migliori giorni,
hiding in a refuge /
nascondendomi in un rifugio
of memories I’ve made /
di memorie che ho costruito.
I got a feeling within /
C’è un sentimento in me.
It’s coming around again /
Sta tornando di nuovo.

 

Dopo mezz’ora che stava camminando, Baiko si fermò, appoggiando la bicicletta al suolo.
Ma quanti diavolo di chilometri aveva percorso?!
A piedi erano tutt’altra cosa e non aveva portato nemmeno una borraccia. Con quel caldo, poi.
Si guardò attorno, appoggiato al sellino. In lontananza, dove gli alberi non arrivavano a coprire, l’asfalto tremolava sotto il sole. E lui era madido di sudore. La salita lo aveva sfiancato del tutto e nemmeno voleva pensare come si sarebbe sentito il giorno dopo.
Tirando un ultimo, profondo respiro, si caricò nuovamente la bicicletta per riprendere la marcia.
In lontananza sentì il rumore d’un motore e il bussare di un clacson. Ecco qui, adesso poteva dirsi al completo, con la fortuna che aveva, minimo minimo si sarebbe trovato il cretino di turno a prenderlo per i fondelli.
«Ehi, amico. Abbiamo forato?»
Come volevasi.
Baiko scosse il capo, accennando un sorriso. Fino a pochi giorni prima si sarebbe girato sprezzante, dicendone quattro a chi si permetteva di prenderlo in giro. Fino a pochi giorni prima non avrebbe accettato l’aiuto di nessuno, perché non ne aveva affatto bisogno. Ma quei giorni erano finiti.
«Peggio. Molto peggio» disse, mettendo giù la bici per girarsi verso lo sconosciuto.
Affacciato al finestrino del Land Cruiser nero, c’era un uomo dalla faccia tonda e piena, con calvizie incipiente e il sorriso simpatico.
Si fissarono per un attimo, preda ambedue di un fortissimo senso di déjà-vu. Baiko vide sovrapporsi, su quello stesso viso, una maschera da baseball. Strabuzzò gli occhi.
«Goro?!»
«Baiko?!»
L’uomo, che si rivelò essere una sorta di armadio a muro, scese in fretta dal fuoristrada, gridando come un forsennato.
«Ommioddio! Baiko! Baiko Morisaki! Per tutte le brache di mio nonno! Fatti abbracciare!» Lo afferrò di forza, stringendolo in una morsa da anaconda. Gliel’avevano sempre detto tutti che aveva sbagliato sport: avrebbe dovuto dedicarsi alla lotta libera, invece che al baseball.
Baiko si trovò quasi sollevato da terra, ma non ci fece nemmeno caso.
«Goro Nishiguchi! Non ci posso credere!» e non ci credeva ancora, nonostante ne stesse stringendo la mole mastodontica. Era felice come un bambino. E rideva. «Dio, Goro! Vecchia Montagna
«Porca Prugna! Non mi chiamavano così dai tempi del liceo!» L’uomo sciolse la presa dandogli vigorose manate sulle spalle. «Ma fatti vedere! Che mi prendano dieci colpi tutti insieme! Sei proprio tu! E quanti anni sono che non ci vediamo?! Mi sembra passata un’eternità!» continuò  a sciorinare l’energumeno, rigirandolo nemmeno fosse stato un fuscello. «Guarda qui! Quasi cinquant’anni e sembri sempre un ragazzino! Fanculo quanto ti invidio! Io ho perso quasi tutti i capelli!»
«Beh, quello che hai perso l’hai messo in chili.» Baiko inarcò un sopracciglio, usando la sua pancia prominente come un punching-ball.
«Naaaa! Ma quali chili?! Questi sono ‘muscoli rilassati’, vecchio mio, ‘muscoli rilassati’
«Certo, come no!» lo prese in giro Baiko «Magari sotto la ciccia ci sono anche quelli.»
Goro gli circondò il collo con il braccio possente e gli spettinò i capelli.
Lui continuava a ridere pensando a quanto fortuito fosse stato quell’incontro, inaspettato e proprio nel momento del maggiore bisogno. Il destino agiva sempre a modo suo, proprio come la famosa linea curva: girava, saliva, scendeva, si ripiegava su sé stesso e poi si apriva in maniera inattesa, ma ogni cosa sembrava sempre avere un suo perché, anche in quel caso.
«Ma fammi vedere, che hai combinato? Non è il tuo scassone di bici, quello?!»
Goro aveva adocchiato il povero mezzo ammaccato, rimanendo di sasso nel vedere che fosse ancora in grado di camminare.
«Proprio lei.» Baiko si inorgoglì mostrando il cimelio, ma subito si sgonfiò. «Anche se mi ci sono cappottato.»
Nishiguchi sbottò a ridere sonoramente dandosi una manata. «Non mi dire! Ti sei arrotolato sulla Scavezzacollo
«Quella salita è sempre stata la nostra più grande sfida.» Baiko scosse il capo, grattandosi la nuca. «Le cadute che ci abbiamo preso…»
«…le bici distrutte…»
«…le ossa rotte…»
«…e le cazziate dei nostri genitori.»
Entrambi agitarono lentamente una mano, aggrottando le sopracciglia e stringendo le labbra.
Baiko ricordò sua madre e suo padre che gliene urlavano di ogni affinché non facesse lo spericolato lungo quella discesa, ma tanto era giovane e le parole, a quell’età, entravano e uscivano più facilmente di quanto restavano.
«Ma mai come quelle del coach Kitakami!» Goro sollevò le mani, mentre lui rivedeva per un attimo il volto sempre ingrugnato del mister. Così come allora, gli venne naturale fargli il verso.
«‘E allora?! Non sperate di battere la fiacca! Doveste rompervi le ossa, vi farò battere le palle con le stampelle!’»
Scoppiarono a ridere tutte e due, ripensando al buon vecchio allenatore; un tipo burbero, ma in gamba. Li aveva sempre allenati con passione e dedizione, nonostante l’avessero fatto dannare più di una volta.
D’un tratto la grande e tozza mano di Goro si poggiò sulla sua spalla. Sorrideva felice.
«E’ bello rivederti. Davvero. Credevo che il tuo vecchio t’avesse seppellito nell’azienda. Non ti si vedeva mai da queste parti.»
Lui sbuffò un sorriso, annuendo adagio e spostando al suolo lo sguardo. «Diciamo che sono risorto da poco.»
«Ah, ma allora ti ha incastrato davvero nella dirigenza della ‘Golden Gun’. Pensavo fossi riuscito a diventare architetto…»
Baiko si strinse nelle spalle, levando nuovamente lo sguardo su di lui. L’espressione un po’ rassegnata. «E invece.»
L’altro annuì, ma non perse tempo a pungolarlo col gomito e sollevare furbescamente le sopracciglia. Sul viso un sorriso a trentadue denti. «E dimmi, te la sei poi sposata la graziosa Sagara?!»
Lui non rispose, ma si limitò a sollevare la mano, affinché l’amico vedesse la fede. Goro sbottò a ridere di nuovo.
«Oddio! Che romantico del cazzo!»
«Ma senti chi parla! Non eri tu quello che in terza liceo fece recapitare il fascio di rose rosse a tale Miyuki Soshino, del club di pallavolo?!»
Nishiguchi sospirò. «Eh, sì. Ma non è andata un granché, mi ha mollato che ero all’università. In compenso, ho trovato una mogliettina che è una cuoca formidabile!»
Stavolta fu il turno di Baiko di ridere forte, dandogli una manata sulla pancia. «Lo vedo!»
«Ah, ah. Molto spiritoso, vecchietto.»
Lui si poggiò contro la portiera del fuoristrada, sghignazzando ancora un po’ prima di chiedere: «Tu, invece? Cosa fai di bello?»
Goro gli si fece di fianco, sedendosi sul seggiolino del guidatore. «L’armatore. Il mio vecchio m’ha lasciato un po’ di navi di cui mi sto prendendo cura. ‘Trasporti Marittimi Nishiguchi, sempre sulla cresta dell’onda’!» declamò, dandosi un tono. «Alcune sono attraccate al porto di Shimizu-ku, in attesa di caricare. Per questo ne ho approfittato per fare un salto a Suruga-ku. Ci vengo praticamente tutte le estati, a mia moglie piace e anche a me.»
Baiko sollevò lo sguardo alle fronde, tirando un profondo sospiro. In fondo, era sempre piaciuto anche a lui, nonostante non ci tornasse mai, ma i motivi che l’avevano tenuto lontano erano stati diversi e avevano prevaricato ogni altra cosa. L’odio e il rancore a volte erano impossibili da battere senza la giusta motivazione. «Fai bene. E’ bello qui, e l’aria è buona.»
«Già. Pensa che mia figlia ha voluto che le comprassi una casetta, per venirci quando nascerà la mia prima nipotina.»
Baiko si girò di scatto, con tanto d’occhi. «Stai già per diventare nonno?!»
«Oh, sì!» Goro si dondolò in avanti, sembrava al settimo cielo. Lo guardò con occhi adoranti che lo fecero sorridere. «Mi sono sposato presto, io. A ventisei anni avevo già una figlia!» Ne parlava carico di orgoglio e felicità. Amava la sua famiglia, i suoi figli e la sua futura nipote. Probabilmente più di quanto lui avesse dimostrato di amare la propria, di famiglia. Eppure la amava con ogni fibra del suo essere. Amava Haruko esattamente come il primo giorno e amava Yuzo, perché era suo figlio, era una parte di sé, una creatura che lui aveva contribuito a creare. Era il suo futuro. Ma aveva sempre dato per scontato la loro presenza, il loro rispetto e il loro affetto, senza dare nulla in cambio, senza dimostrare davvero quanto contassero per lui. Anzi, ferendoli.
«Mentre il mio secondo figlio» continuava Goro e lui invidiò quella sua felicità, quel suo equilibrio. «Fa la prima liceo e vuole diventare a tutti i costi allenatore di una squadra di calcio!»
A quella frase, Baiko si fece più attento. Il calcio. Anche il figlio di Goro.
«Sai, lui non è molto portato a giocare, ma ha un intuito che, porca miseria!, vede cose che io non mi sogno nemmeno! Che poi, capirai quanto ne capisco, io, di calcio. Lo sai che per me c’è e ci sarà sempre e solo il baseball» rise l’omone, dandogli una sonora pacca sulla spalla. «Ma, a proposito! Congratulazioni!»
«Eh? Di cosa?»
«Ma come ‘di cosa’?! Per il World Youth! Ho visto tuo figlio! Porca Prugna! Lui sì che è bravo, cazzo! Devi esserne davvero orgoglioso!»
Baiko incassò il colpo cercando in tutti i modi possibili di non sembrare a disagio. La cosa che più riuscì a ferirlo, però, fu pensare che, in definitiva, tutti avessero visto giocare suo figlio, tranne lui. Era il solo a ignorare le sue capacità e se ne vergognò.
«Già…» stentò un sorriso, passandosi una mano dietro la nuca. «Molto orgoglioso.»
«Ci credo!» l’ennesima pacca divertita. «Non ti dico le risate quando l’ho visto! Eravamo io e mio figlio. Mi aveva convinto a vedere insieme qualche partita, e un tratto dicono la formazione. Ti giuro che non avevo minimamente pensato a te, quando ho letto ‘Morisaki’. Ero convinto che almeno il tuo ragazzo avesse seguito le sane orme paterne e si fosse dedicato al baseball! E invece, appena lo hanno inquadrato, sono saltato su a urlare: ‘Cazzo! Che Zeus mi fulmini se quello non è Baiko!’. Per un attimo ho creduto davvero t’avessero mummificato e tirato fuori all’occorrenza!»
Baiko rise, trovando una sorta di consolazione nella somiglianza, almeno fisica, che c’era tra lui e Yuzo. Una magra, magra consolazione di qualcosa che potesse tenerli uniti.
«Quando mio figlio ha scoperto che conoscevo il padre di uno di quei ragazzi voleva mangiarmi per non averglielo detto prima! E vallo a sapere, dico io!» agitò una mano. «Ma, ehi! Non mi hai ancora detto come mai sei da queste parti. Azienda chiusa per ferie?» scherzò.
Lui scosse il capo cercando di trovare una scusa qualunque. «Ah, no, ecco… sono qui per caso… ero passato a trovare mia madre.»
«Beh, sappi che allora è proprio destino.»
Baiko apparve perplesso. «In che senso?»
«Oh, sì sì. E’ stato puro destino se noi ci siamo incontrati proprio adesso e sai perché? Perché tu verrai con me per andare a giocare a baseball!» esclamò, sfregandosi allegramente le mani.
«Cosa?! Ma… ma sono anni che non gioco… i-io non-»
«Ah! Niente lamentele! D’estate mi vedo sempre con alcuni della vecchia squadra, era proprio da loro che stavo andando: al vecchio campetto dietro la scuola.»
Questo gli sembrò ancora più assurdo. «Il vecchio campetto esiste ancora?!»
«Certo che sì! E finché dura me lo voglio godere. Sembra quasi di tornare indietro nel tempo.»
E Baiko quella sensazione che tutto scorresse al contrario stava proprio adesso imparando a conoscerla, continuava a formicolargli sotto la pelle delle braccia, delle gambe; nel petto, dentro al cuore.
«Ma non ricordo nemmeno più come si lancia una palla!»
«Non dire cazzate, è come andare in bicicletta! Una volta imparato, puoi cappottarti quanto vuoi, ma lo saprai sempre fare!»
Baiko inarcò un sopracciglio con ironia. «Lo ricordavo diverso, il detto.»
«Oh, quante storie! Vedrai che appena ti rimetterai il guantone, saprai esattamente cosa fare!» concluse Goro senza nemmeno dargli il tempo di replicare, non avrebbe mai voluto un ‘no’ come risposta. Afferrò la bici e la caricò con facilità nel capiente portabagagli del Land Cruiser, che tanto aveva spazio sufficiente per mettercene tre.
Baiko si rassegnò e salì al lato passeggero. In un attimo, erano già sulla strada che conduceva al campetto.

 

“(It’s coming around again) /
(Sta tornando di nuovo)
We’ve been so long waiting /
Abbiamo aspettato così a lungo
for the all time high /
per i bei tempi.
We got a damn good reason /
Avevamo una dannata buona ragione
to put your troubles aside /
per mettere da parte i tuoi problemi.
And all your winter sorrows /
E tutti i rimpianti dell’inverno
hang ‘em out to dry /
mettili ad asciugare.
Throw it away /
Buttali via,
gotta throw it away /
devi buttarli via
All the colourful days my friend /
Tutti i giorni luminosi, amico mio,
are coming around again /
stanno tornando di nuovo.

 

«Non è una buona idea. Non sono più bravo come una volta.»
Baiko cercava di giustificarsi in tutti i modi sperando che Goro cambiasse idea, ma Vecchia Montagna continuava a mantenere fede al suo soprannome, sembrando inamovibile.
«Ma chissene frega, Baiko! Siamo tutti invecchiati e schiappe! Il bello è stare insieme. Una volta provato non vorrai smettere.»
Lui sorrise, decidendo di arrendersi tanto sapeva che non l’avrebbe mai spuntata. Appoggiò il viso nella mano, il gomito sul finestrino aperto.
«E allora, sentiamo, chi sono i temerari?»
«Buona parte della vecchia combriccola, e qualcuno delle scuole vicine. C’è anche il capitano.»
Baiko raddrizzò la testa, mostrando un sorriso entusiasta.
«Davvero?! Lui sì che era bravo! Se non sbaglio si era iscritto alla Waseda University che aveva una fortissima squadra di baseball.»
Goro fece una smorfia mesta. «Vedo che non lo sai. Matsuda non gioca più. Ha avuto una grave lesione al ginocchio che lo ha lasciato zoppo.»
Per lui quella fu una specie di doccia fredda. Aveva sempre visto nel capitano il vero prototipo del campione. Era un battitore eccezionale, di quelli nati per fare solo ed esclusivamente sport. Un giorno, era stato sicuro, il suo nome sarebbe apparso nella Hall of Fame del Baseball. E invece Goro aveva stroncato quelle che erano sempre state le sue convinzioni, con un colpo netto e preciso.
Il destino non solo era strano, ma anche terribilmente infame.
«E adesso? Cosa fa?»
Nishiguchi esibì un sorriso sereno. «Non si è arreso, non l’avrebbe mai fatto. Ti ricordi, no, che tipo era.»
«Testardo e tenace. Un vero leader.»
«Proprio così. E’ diventato allenatore di una squadra di bambini.»
Baiko sgranò gli occhi. «Bambini?! Non una squadra di serie?»
«Proprio bambini. Piccoli marmocchietti urlanti, con guantoni e maschere più grandi di loro, che corrono per tutto il campo. Ti ricordano nulla?»
«Naaa, non saprei. Non sono mai stato un marmocchio, io.» Poi scoppiò a ridere ripensando a quando aveva per la prima volta indossato un guantone. Si era ritrovato con quella mano enorme ed era rimasto a fissarlo affascinato. Faceva le elementari.
Goro lo pungolò col gomito mentre la vettura continuava a filare tra il verde e le case. «Ma ti ricordi dei nomignoli assurdi che ci eravamo dati al liceo?!»
Baiko si portò una mano al viso. «Oh, per carità! Erano così ridicoli che non so come diavolo ci siano venuti in mente!»
«Veramente fu tutta un’idea del capitano!»
«Che fu quello cui andò meglio, perché tanto lo chiamavamo ‘Il Capitano’!» ci tenne a sottolineare puntandogli contro il dito. «E anche tu! Vecchia Montagna te lo portavi dietro dalle medie!»
«Beh, se è per quello anche a te andò bene! Braccio di Ferro non era affatto male! Che doveva dire, allora, Mezzacanna?!»
«Oddio! Mezzacanna! Ma c’è anche lui al campetto?!»
«Certo che sì… ed è rimasto una mezza canna!»
Stavolta risero sonoramente entrambi nel ricordare il loro piccolo catcher: era sempre stato il più basso della squadra, ma come saltava lui, per prendere anche le palle impossibili, nessuno mai. In quel momento, l’edificio scolastico comparve davanti a loro, circondato dal cancello.
Baiko lo vide assumere un colore seppia e modificarsi a mano a mano che si avvicinavano. Era tornato identico a come lo ricordava. I ragazzi in divisa e cappello si muovevano veloci, le ragazze parlottavano ridendo compite e nascondendo i sorrisi dietro le mani. Poi arrivavano loro. Lui, Vecchia Montagna, Mezzacanna, Slider, Flip Flap, Cicogna, Bento, V90. Smontavano al volo dalle bici ed entravano giusto in tempo nel cortile, prima che il vecchio custode chiudesse i cancelli che, no, non erano affatto automatici come quelli di adesso.
Era tutto un altro mondo.
Goro posteggiò il fuoristrada nel parcheggio esterno. Aprì il portabagagli e tirò fuori la borsa con dentro tutta la sua attrezzatura tra maschera, pettorina e schinieri. Sulla testa si calcò un consunto cappellino con il simbolo dei Giants.
«Andiamo, vecchiaccio!» esclamò, passandogli rudemente un braccio attorno al collo. «Non ti sembra già di ritornare bambino? Non la senti l’adrenalina? Cazzo! La prima volta me la stavo facendo nei pantaloni per l’emozione!»
Baiko rise, lasciandosi trascinare – che tanto non aveva scelta – all’interno del cortile. Le cose erano decisamente cambiate, modernizzate. E anche l’edificio era stato ristrutturato e migliorato. Visto che erano nel pieno delle vacanze estive non c’erano studenti, ma vari inservienti. Quest’ultimi salutarono Goro comunicandogli che i soliti erano già arrivati e si trovavano al vecchio campo.
«Alla fine della fiera» spiegò il colosso «hanno costruito un diamante molto più bello per i ragazzi. Così, in estate, che tanto non ci viene nessuno, ci lasciano usare quello piccolo in cui giocavamo noi. In fondo, per la maggior parte siamo ex-allievi e i ragazzi ci vedono come delle celebrità.» Si grattò dietro la nuca. «Ti confesso che a volte mi imbarazzo un po’: quelli ci conoscono tutti per nome.»
«Ma scherzi? Non eravamo poi tutto questo granché…»
«Ehi, ehi! Ti ricordo che i campioni di Suruga eravamo noi!»
«Sì, ma non siamo mai andati al Campionato Nazionale.»
Goro gli arruffò i capelli, indispettito. «E con questo?! Non essere sempre così fiscale, ferraccio arrugginito! Lo eri da moccioso e lo sei ancora, ma fatti dire che sei peggiorato, Baiko Morisaki!»
Lui ridacchiò, senza smentire. Anche se molto più entusiasta di quanto fosse adesso, fin da bambino aveva sempre teso a restare con i piedi per terra, quando si trattava del baseball. Nella sua testa, era un modo per spronarsi, ma con l’andare del tempo si era trasformato in cinismo acuto. Per fortuna che non era infettivo né trasmissibile attraverso i geni.
«Ehi, Goro!» quella voce un po’ nasale e acuta si attirò la loro attenzione, nemmeno si erano accorti di essere arrivati nel famoso e tanto amato vecchio campo. «Era ora che muovessi il tuo culone flaccido, che cavolo! Nemmeno ti fossi fatto a piedi la… fottuta miseria
Baiko si vide arrivare, a tutta velocità, un omino sul metro e sessanta. Gli vide spiccare un salto da grillo e se lo ritrovò addosso, preso al volo.
«Braccio di ferro! Braccio di ferro Baiko! Non ci credo! Non ci credo!» sciorinò, preda di una euforia così genuina e al limite della commozione.
«Mezzacanna! Hai ancora le molle nelle gambe!» rise lui, dandogli affettuose pacche sulla schiena.
«Mamma mia quanto tempo è passato! Quasi non ci speravo che un giorno ci saremmo ritrovati proprio tutti insieme!» Wataru Yasunaga, detto Mezzacanna, sciolse la presa mostrandogli un sorriso che la vecchiaia aveva un po’ sdentato. I fondi di bottiglia ancora sul naso e la cordicella per tener ben fermi gli occhiali attorno alla testa.
Goro tornò a passargli un braccio attorno al collo, rivolgendosi anche agli altri che avevano interrotto il riscaldamento e li fissavano chi già col sorriso stampato sulle labbra e chi che stava ancora realizzando.
«Indovinate un po’ chi ho raccolto dopo una ruzzolata dalla Scavezzacollo
Baiko li riconobbe tutti, erano proprio il suo vecchio gruppetto, quello che arrivava sempre insieme a scuola, rumorosi sulle loro biciclette un po’ ammaccate dalle troppe cadute. Chi era ingrassato, chi aveva perso i capelli, adesso erano un allegro gruppo di cinquantenni con tanta di quella energia da far vergognare un adolescente. E anche lui, dentro di sé, aveva ripreso a sentire quella carica, quella giovinezza che aveva soffocato con le sue stesse mani. Goro aveva avuto ragione: il tempo era davvero tornato indietro, ed era una sensazione fantastica.
«Ma guarda guarda chi è tornato all’ovile.»
Quel tono pungente, sempre sarcastico, ma con una nota divertita gli arrivò alle spalle, facendolo girare. L’aveva riconosciuto subito e anche se non era stato della Suruga Gakuen, ma della sua avversaria storica, si trovava lì, con loro e gli faceva davvero piacere rivederlo.
«Nakamoto!»
Tra lui e Aki Nakamoto vi era sempre stata una sana rivalità, fatta di battutine, occhiate di sfida e profondo rispetto. Era il battitore della Ago Academy.
Baiko allungò la mano verso di lui che venne stretta prontamente, in una presa salda.
«Sei tornato tra i comuni mortali, Mr. President?» scherzò Aki con un sopracciglio inarcato.
«E’ stato un caso. Così come è stato un caso che io abbia incontrato Goro» sorrise Baiko. «E tu come stai?»
«Se tralasciamo qualche reumatismo e la cervicale, direi bene. Sappi che le tue 9-Star sono veramente notevoli.» Vedendolo perplesso, Aki continuò. «Ho un’agenzia di sicurezza e vigilanza. I nostri fornitori di armi trattano le 2G. Complimenti.»
«Oh, davvero? Qualora dovessero esserci problemi, fammi sapere, mi raccomando.» La sua professionalità si inseriva in automatico appena si parlava dell’azienda. Era un meccanismo che gli si era aggrappato addosso negli anni, divenendo quasi una seconda pelle. Poi, tra le teste che gli erano attorno, scorse un uomo appoggiato a un bastone, che restava più lontano, nei pressi di una panchina in legno un po’ rudimentale. Lo sguardo di Baiko assunse una sfumatura agrodolce nell’accenno di sorriso. Diede una pacca sulla spalla al suo vecchio avversario e si defilò, avvicinandosi alla figura alta, dalla schiena dritta e il capellino sulla testa. Gli sorrideva di rimando, entrambe le mani poggiate sulla testa del sostegno.
«Capitano» salutò abbracciandolo con affetto.
Matsuda era più grande di loro di un anno, eppure sembrava molto più vecchio dei suoi quarantanove. Baiko si sentì stringere con vigore.
«Morisaki. Ancora ti cappotti sulla Scavezzacollo?» Lo prese in giro il suo ex-capitano.
«Lasciamo perdere. Mi ero dimenticato di quella discesa e me ne sono ricordato solo quando era troppo tardi» ammise lui con sincerità, sciogliendo l’abbraccio. «In questi giorni non ci sto molto con la testa.» Però non ne voleva parlare e Matsuda sembrò comprenderlo, mantenendo il discorso sul vago.
«Quando i problemi sono grandi, anche camminare diventa difficile.» Con fatica si accomodò sulla panchina. Baiko colse il riferimento alla sua condizione e si sedette accanto a lui.
«Goro me l’ha detto. Mi dispiace Matsuda, deve essere stato difficile per te, che amavi così tanto questo sport.»
Il Capitano si strinse nelle spalle facendo una smorfia. La gamba zoppa distesa, perché tenerla piegata era stancante e doloroso.
«Abbastanza. Quando è il tuo corpo a tirarti il bidone, ti rimane l’amaro di non avere nessuno con cui prendersela.»
«Quando è successo?»
«Ero ancora all’università.» Ed era tanto, tanto tempo prima. Quasi una vita intera vissuta con la consapevolezza dei propri sogni spezzati. Eppure, sul viso di Matsuda, Baiko non lesse nessuna emozione negativa; né sofferenza né dolore o amarezza, rancore. Era incredibilmente sereno, anche quando gli rivolse quell’espressione sorridente. «Ma sono stato fortunato ad aver avuto il coach vicino. Aveva sempre le parole giuste per ogni cosa.»
«Il coach? Parli del nostro coach? Kitakami?»
«Proprio lui. Non avrebbe mai abbandonato nessuno dei suoi ragazzi. Mi disse che: ‘non importa quanto lunga e tortuosa possa essere la strada del Destino, l’importante è avere delle buone scarpe’
Che era un po’ come dire ‘resisti’, ‘se hai la passione, non mollare’, ‘non arrenderti’. E Matsuda non si era arreso.
Le parole del coach rimbalzarono nella testa di Baiko come un’eco. Anche lui avrebbe dovuto continuare a lottare e sperare. Avrebbe dovuto fare l’impossibile per avvicinarsi a suo figlio, infilare le buone scarpe e andare avanti per poterlo ritrovare lungo quella dannatissima strada.
«Adesso alleno dei bambini e… questo gruppo strampalato di vecchietti incartapecoriti!» riprese il Capitano, indicando come gli altri corressero per il diamante, ben più scoordinati di quando erano stati ragazzi, ma ugualmente attivi e vivaci. A Baiko parvero un insieme di scimmie scappate dallo zoo, dove Goro era il gorilla.
«Uno come te avrebbe potuto puntare alle categorie superiori, come mai proprio dei bambini?» domandò, ridacchiando e tornando a guardare il suo interlocutore. Quest’ultimo tirò un profondo sospiro soddisfatto.
«Perché non avevo voglia di occuparmi di giocatori già formati. Volevo essere io a formarli, volevo che apprendessero bene cosa significhi dedicarsi a uno sport, la passione che lo anima ed esalta ognuno di noi.»
Quella stessa passione di cui Matsuda parlava, di sicuro doveva essere quella che ardeva anche in Yuzo, verso il calcio. E lui aveva fatto di tutto per spegnerla senza vedere la nobiltà e la forza che portava con sé. Sentendo parlare il Capitano, Baiko si rese conto d’esser stato meschino con suo figlio, e cieco, perché non aveva riconosciuto quello spirito vivo, nonostante l’avesse provato egli stesso in prima persona.
«Magari un giorno, uno dei miei allievi diventerà un campione e voglio essere io colui che gli avrà indicato la giusta via da percorrere.»
Baiko sorrise con ammirazione alla sua forza interiore, alla sua integrità e fedeltà alla propria passione che continuava a bruciare più forte che mai.
Avrebbe voluto parlare con lui ancora un po’, ma la loro conversazione venne interrotta da un oggetto che gli piombò addosso: Goro gli aveva appena tirato un guantone.
«E allora? Vuoi stare ancora lì a battere la fiacca? Non ti ho mica portato per fare salotto, eh!» sghignazzò Vecchia Montagna. «Diglielo pure tu, Capitano
Baiko rigirò il guantone alzando gli occhi al cielo. «Ma credo che il mio braccio si sia arrugginito, ormai!»
Matsuda gli diede un colpetto sulla schiena, spronandolo. «Forza Morisaki, non puoi saperlo mica se non provi. Fammi un po’ vedere.» Gli tastò bicipite e tricipite esibendo una smorfia positivamente sorpresa. «Ah, ma allora ti sei dato da fare. Stai a vedere che non ti sei rammollito del tutto.»
Baiko scosse il capo, alzandosi in piedi e calzando il guantone. «Quella non è palestra, ma rinculo: provo la buona parte delle armi leggere che produco.»
Goro sbottò a ridere dandosi una manata sulla pancia. «Bel modo di farsi i muscoli! Dai sparatutto, andiamo a goderci un po’ dei vecchi tempi.» Gli lanciò la palla e lui non riuscì a trattenerla; era difficile doversi riabituare dopo tutti quegli anni.
Lui sospirò, chinandosi a raccoglierla. «Appunto, come volevasi dimostrare.»
«Ehi, Morisaki, abbiamo perso il braccio di ferro?» pungolò Nakamoto con sarcasmo e lui non era mai stato il tipo da lasciar cadere una sfida, anche se così velata. Diversamente da suo figlio, che nella calma aveva preso da Haruko, lui era un fottutissimo guerrafondaio.
Strinse con forza la pallina, passandola con un gesto secco e deciso alla mano che indossava il guantone. Adagio si diresse verso il monte di lancio, rivolgendo un’occhiata sbilenca e un mezzo sorriso al suo avversario. Nakamoto lo seguì con lo sguardo, battendo appena la testa della mazza al suolo.
Una volta in postazione, Baiko attese che Goro raggiungesse la casa base per chiamare il lancio.
Su tutti i colori calò ancora la patina seppiata: lui indossava la divisa bianca e arancione della Suruga Gakuen mentre Nakamoto aveva quella rossa e bianca della Ago Academy. Tutt’intorno, il vociare concitato degli spettatori. Da qualche parte, doveva esserci anche una ragazzina con i capelli sulle spalle che faceva il tifo solamente per lui.
Da sotto al guantone, Vecchia Montagna mise giù due dita.
Palla curva.
Il sorriso gli si accentuò.
«Preparati Nakamoto, questi sono tre strike.»

 

“I got someone waiting for me /
So che c’è qualcuno che mi sta aspettando;
it’s been so long time since we met /
è passato così tanto tempo da quando ci siamo conosciuti,
and I may not be your salvation but I’ll offer nonetheless /
e posso non essere la tua salvezza, ma te l’offrirò comunque.
And if like me you wonna take that chance /
E se tu, come me, vuoi prendere questa opportunità,
it’s coming around again /
sta tornando di nuovo.

 

Era uscito già da alcune ore e di Baiko ancora nessuna traccia.
Per quanto Chiyo cercasse di concentrarsi sulla composizione di ikebana che stava portando avanti con la sua allieva, non riusciva a non lanciare occhiate rapide all’orologio appeso alla parete della stanza. Era un po’ preoccupata. Al suo arrivo, suo figlio gli era sembrato così smarrito da non avere più una direzione, era arrabbiato e frustrato. Poi qualcosa le era parso essersi risvegliato in lui ed era uscito di corsa, per andare in bicicletta.
Sospirò, ma perché non aveva avuto una graziosa femminuccia?
Il campanello trillò all’improvviso, facendole finalmente tirare un respiro più rilassato. Tornando padrona di una calma e un equilibrio perfetti per completare la sua composizione, diede disposizioni alla domestica. Quest’ultima aprì la porta nel momento stesso in cui la sua padrona parlò.
«Mina, se è quello scellerato di mio figlio, pieno di terra e Dio sa cos’altro, digli che è pregato di scomparire nel bagno per farsi una doccia prima di presentarsi da me. Grazie.»
Fermo sulla soglia, pieno di terra e Dio sapeva cos’altro, i capelli spettinati e una mano dietro la nuca, Baiko esibì un sorriso stentato alla giovane che, invece, nascose una risatina nella manica dello yukata.
Nel frattempo, sul piccolo tavolino davanti agli occhi divertiti della signora Chiyo e di una affascinata Sakuya, i rengyou oscillavano al vento d’estate.

 

“I can feel a change of fortune /
Riesco a sentire un cambiamento nel destino
no more riding on my love /
non ci saranno più difficoltà, amore mio.
Feel the weight is off my shoulders /
Sento che il peso viene sollevato dalle mie spalle,
as my feet become unstuck /
così come i miei piedi non sono più imprigionati.
And all the good times on which we do depend /
E tutti i bei tempi dai quali dipendiamo
are coming around again /
stanno tornando di nuovo.

Simon WebbeComing around again

 


[1]CURVEBALL: la ‘palla curva’ è un tipo di lancio che si effettua nel baseball.

[2]NIKKO, [3]MIZUNARA: sono due tipi di alberi che crescono sul monte Kuno, rispettivamente l’Abies homolepis e il Quercus crispula Blume (XD un abete e una quercia, in termini spicci).


Le auto de “Il lungo sonno della Lucciola”:

- Land Cruiser: per un omone come Goro, ci voleva un macchinone a misura sua! X3 (*clicca qui*)

Come 'capire' il nome delle armi (XD):

Sì, può sembrare una cosa banale, per me, perché la storia l'ho scritta io, però i nomi delle armi citate non sono stati inventati a caso XD.
Prendiamo come esempio la 2G9-Star: "2G" = Golden Gun = G. G. = 2G; "9" = il numero, subito dopo "2G", rappresenta il calibro dei proiettili (9 = nove millimetri); "Star" = è il 'nome proprio' dell'arma, alcune portano il nome dell'invetore (2G60 - Sugihara&Kreeck).
E' una scemenza, in fin dei conti, però mi sembrava giusto farvi capire come funzionavano XD.


Le canzoni del capitolo:

- Coming around again (Simon Webbe): sì, una sola canzone, sì, di un ex-Blue.
XD fatevi la croce, perché a me Simon Webbe piace un sacco e quindi ci farà compagnia almeno un altro paio di volte!
Sinceramente, a me i Blue non sono mai piaciuti (XD ero per i BSB, io!), però devo ammettere che quando si sono sciolti e Webbe è venuto fuori da solista, è stata una graditissima e piacevole sorpresa. Già era piacevole lui perché… insomma… è un gran bel pezzo di gnocco! XD E poi io e i moretti andiamo d’accordo *sghignazza tantissimo*.
Trovo che le sue canzoni siano così rilassanti e che riescano a dare una carica energetica, una voglia di sorridere alla vita davvero molto forti. Questa canzone in particolare, ogni volta che mi capita di sentirla mentre cammino per Napoli, mi fa sempre sorridere e mi mette di buon umore.
Sia musicalmente che a livello di testo riesce a trasmettere proprio tutto quello che volevo per questo capitolo! :3
Dategli una possibilità, a questo Bluette (XD), perché credo che la meriti! :3 (da parte mia, vi consiglio tutto l’album “Grace”, perché è davvero bello!)

Note Finali:
Sì, ammetto che mi sono molto dedicata esclusivamente a Baiko e al suo mondo, in questi ultimi due capitoli. Mi serviva per rendere il personaggio il più possibile a 360° e per permettergli di iniziare un nuovo capitolo della sua vita e del suo rapporto con Yuzo. Insomma, non volevo che le cose andassero troppo di fretta, questa è una storia lenta (XD me lo dico da me), e anche i personaggi lentamente evolvono. E comunque, fuori dal seminato non ci vado mai per caso! X3
Dal prossimo capitolo si ritorna nuovamente a Nankatsu! **
Ringrazio di cuore tutti coloro che continuano a seguire questa storia. :D

   
 
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