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Autore: bababortola    20/06/2011    4 recensioni
Fanfiction ambientata fra la 2x15 e la 2x16
(Klaine)
Era come se Blaine si fosse presentato come un libro aperto. Era spontaneo, gentile e tutto questo pareva non costargli la minima fatica. Era come se lo conoscesse da sempre.
Ma ora, poteva dire di essere al fianco di quello stesso ragazzo?
Era vero, si conoscevano relativamente da poco.
Forse non aveva mai veramente conosciuto Blaine. Ma Kurt ancora non sapeva che mai, come in quel momento, era in grado di poter conoscere a fondo il suo amico come non aveva mai fatto.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaine Anderson, Finn Hudson, Kurt Hummel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6.

 

Nelly continuava a rileggere quella frase dal libro di chimica posto sulle sue ginocchia. Non riusciva a memorizzarla e neanche a figurarsi in testa quel concetto che era solo la prima riga del capitolo. Aveva sempre creduto di essere un po’ stupida, a scuola non era mai stata un genio, ma la sua deconcetrazione, quella volta, era determinata da un altro fattore. Non soltanto per il fatto che la sua gamba sinistra continuava a tremare rendendo la lettura più difficile, ma anche perché erano circa le 7 e mezza di sera, ed era sola in casa.
Quanto poteva durare un pranzo di lavoro? Dove era finita sua madre?
Mentre stava a preoccuparsi di questo e desiderava che sua madre varcasse la porta d’ingresso il prima possibile, le venne in mente che sua madre, una volta rientrata, avrebbe chiesto dove si trovava Blaine, e allora lei le avrebbe dovuto spiegare che cosa aveva fatto.

Cominciò a desiderare ardentemente che sua madre rincasasse il più tardi possibile.

Circa tre righe di libro più tardi, sentì un rumore di serratura.
Sara entrò in casa sorridente, seguita dal suo ex-marito.
“Ehi, non posso credere ai miei occhi! Stai studiando!” furono le sue prime parole.
“Dove eri-… cioè, dove eravate finiti?” chiese la ragazza lanciando un’occhiata all’uomo dietro sua madre.
“Oh, Joe è venuto a prendermi dal ristorante e mi ha portato in un posto fighissimo! Una nuova pista di pattinaggio un po’ fuori da qua… non pattinavo da anni!”
“…Ma non mi dire.” fece la ragazza ironicamente.
“Sono contento che ti sia piaciuto” disse sorridente Joe “Ci lavora un mio amico, non ci ha fatto pagare.” si avvicinò al divano dove stava seduta la ragazza e si mise a carponi per guardarla negli occhi.
“Che studi Nelly?”
“Chimica.”
“Uuh, roba importante. Che ne diresti di venire con me e tua madre a cena? Conosco un posto qua vicino, la trattoria di un mio amico, ci faranno degli sconti fantastici.” E sorrise di nuovo.

Quando si tratta di scroccare non ti batte nessuno eh?


“Preferirei di no. Devo studiare.”

“Hey! Da quando fai così tante storie perché devi studiare?” si intromise Sara. “Come al solito ti riduci agli ultimi mesi di scuola!”
“Non voglio essere bocciata di nuovo!”
“Dai non farti pregare tesoro!” fece sua madre dandole una pacca sulla spalla.
Alla vicinanza della madre Nelly storse il naso. “Mamma… è odore di birra quello che sento?”
“Si, ne ho bevuto due gocci, non devi preoccuparti. Dai su metti la giacca che usciamo!”

Nelly si arrese. Buttò il libro chiuso sul divano e andò in mezzo ai suoi genitori. Quando sentì suo padre scompigliarle i capelli si ritrasse con uno scatto, al quale l’uomo reagì confuso.
“Va bene, va bene, non ti tocco i capelli. Da quando sei diventata così preziosa sul tuo aspetto? Ah, ormai sei una donna.”

Uscirono di casa. Nelly respirò l’aria fredda della campagna, unica sua amica di quei giorni.
Si sentiva sola in quella missione, stava fra i suoi genitori e, per l’ennesima volta avrebbe dovuto fingere di stare con la sua famiglia. Di essere una famiglia.

Si sentiva sola in quella missione, ma quello era il pane con cui era cresciuta, e per l’ennesima volta avrebbe cercato di essere forte.

 

-

“E così dopo un anno si sono sposati  e siamo andati a vivere qui. La nostra casa era già grande, ma non abbastanza per ospitare quattro persone e fare in modo che ognuno avesse la propria camera.”
Kurt tirò fuori dal forno una teglia fumante e la posò sul ripiano della cucina.
“Vuoi dire che non dormi con Finn?” chiese Blaine mentre sciacquava uno straccio nel lavello.
“No… cioè, abbiamo fatto un tentativo ma… è andato fallito.”
“Capisco, beato te.”
Era stato sufficiente poco tempo, e Blaine aveva abbandonato quel sentimento di timore e silenzio e ora si comportava normalmente. Si era subito offerto di aiutare a mettere in ordine la cucina e a pulirla. Non sapeva spiegarselo, ma quella casa gli dava un senso di sicurezza, forse per il suo profumo, per i colori, per lo spazio.
Si respirava un calore che lui non sentiva da tanto, troppo tempo e del quale sentiva la mancanza.
Guardò fuori dalla finestra. La strada di quella schiera di case di periferia era deserta, grigia e silenziosa. Stava su una collina, quindi la visuale che si aveva non era della città, si limitava ad abbracciare quella piccola schiera per poi far vedere il cielo, che aveva cominciato a scurirsi per il calar della sera.
Ricordò il panorama di casa sua. Doveva ammetterlo, abitare nelle vicinanze di un piccolo bosco poteva sembrare una cosa quasi fiabesca. Ma la verità era che a volte sembrava tutt’altro. Ricordò le foglie schiacciate al vetro della finestra che rendevano difficile la visuale, e quello che riusciva a scorgere dalla finestra era soltanto terra e alberi, nient’altro. Era come essere fuori dal mondo, costretti in una prigione.
Per non parlare di tutte quelle volte che da piccolo aveva passato notti insonni per quel brutto ramo che sbatteva alla finestra, e per la sua ombra che, proiettata sul muro, sembrava un mostruoso braccio scheletrico pronto ad afferrarlo non appena avesse chiuso occhio.

“…Blaine?” fece Kurt distogliendolo dai suoi pensieri.
“Oh… mi sono incantato. Scusami.”
“Che guardi alla finestra?”
Blaine si voltò di nuovo verso il vetro, incantato di nuovo da quell’immagine così pacifica.

“…La strada.”

Kurt si mise al suo fianco, guardando fuori dalla finestra. Le loro spalle si sfiorarono appena.
“La strada?”
“Si. A casa mia non riesco a vederla.”

Dal buio della strada, i due amici videro due fari luminosi farsi strada nella notte e avvicinarsi a quella casa.

“E’ arrivato Finn.” Disse Kurt.

-

Finn parcheggiò l’auto nello spazio di fronte al garage che, per fortuna, aveva trovato vuoto.  Sapeva che Burt e sua madre non erano in casa. Quel periodo che aveva seguito il matrimonio era un toccasana per la sua relazione, dato che i due neosposi uscivano spesso a fare lunghe passeggiate per avere un po’ di tempo da passare da soli. Sistemò lo specchietto retrovisore e si slacciò la cintura di sicurezza.

“Ah! Ferma!” disse alla ragazza bionda seduta al suo fianco. Scese dall’auto e rapidamente giunse ad aprirle la porta. Quinn rispose con un leggero risolino e il ragazzo le tese la mano per farla scendere. Ricordava di averlo visto fare in molti film romantici e quella sera voleva essere impeccabile: avevano la casa tutta per loro e doveva giocare tutte le carte possibili del buon fidanzato per ricevere qualche gratificazione.
“Per di qua” continuava a tenerla per mano mentre camminava a ritroso e la guidava verso la porta d’ingresso. Una cosa tenera quanto stupida ma che a Quinn, a giudicare dal suo sorriso, non sembrava dispiacere.
Ad un tratto Finn vide l’espressione della sua ragazza cambiare e i suoi occhi verdi guardare dietro di lui in direzione della casa.
Finn si voltò e inorridì nel vedere che le luci di casa sua erano accese e che alla finestra vi erano appostati suo fratello e un altro ragazzo che al momento non seppe riconoscere.

“Ma che…” fece Finn fra sé, mentre li guardava confuso.

Kurt e Blaine, d’altra parte, si abassarono in modo da non essere visti.

“Ti giuro, credevo che…” tentò di giustificarsi Finn.
“Sembra che qualcuno sia arrivato prima di noi” lo interruppe lei e si lasciò sfuggire una risata.
Finn si voltò di nuovo verso la casa, ma senza vedere più nessuno alla finestra.

“Dobbiamo restare abassati ancora per molto?” chiese Blaine confuso mentre si teneva al ripiano della cucina.
“Non lo so, ma sembra che abbiamo rovinato la festa a Finn.”

In quella strada silenziosa si sentì una musichetta, che Quinn riconobbe subito come la sua suoneria. Prontamente tirò fuori il cellulare dalla tasca del vestito e rispose.
“Si?” alzò il dito indice per indicare al suo ragazzo di darle un attimo.

Finn ne aprofittò per entrare in casa e capire che cosa stava succedendo.

Quello che vide quando entrò in casa fù una scena abbastanza insolita: suo fratello con addosso un grembiule, seduto per terra  e appoggiato al forno e Blaine inginocchiato accanto a lui e che si teneva al ripiano della cucina.

“Fratello che succede qua?”
Kurt si guardò intorno, indeciso se dire la verità o no, decise di sviare argomento.
“…Che ci fa Quinn qui?”
“E’ la mia ragazza.”
“Ah.”
“E si da il caso che stessi venendo qua per …  stare con lei. Qui. Da soli. Tu, piuttosto, cosa ci fai qui. Credevo che uscissi con Tina.” Spostò lo sguardo verso il ragazzo moro e lo indicò “E lui, piuttosto, cosa ci fa qui?”
“Ho invitato Blaine a cena.” Disse senza pensarci.
“Potevi anche avvertir-“
Si sentì il campanello suonare. Finn aprì la porta e lasciò entrare Quinn.
“Finn, mi dispiace, ma non posso più restare.”
“Come?”
“Ha chiamato mia madre, mi ha detto di tornare subito. Mia nonna è tornata dalla California e mi vuole a casa.”
“Oh… Certo. Capisco, sì.”
“Mi dispiace.” Si avvicinò per darle un lieve bacio sulle labbra “Ci vediamo domani.” Si voltò verso gli altri due ragazzi “Ciao, divertitevi.”

La porta si chiuse dietro alle spalle di Finn, più aflitto che mai.

“Non avrai pensato che…” cominciò Kurt senza avere il coraggio di terminare quella frase.
“Senti Kurt, se per una sera hai bisogno della casa, devi solo dirmelo. Siamo fratelli ormai, dovremo essere sinceri su certe cose.” Lanciò un’occhiata eloquente a Blaine.
“Ma io veramente…” fece Blaine confuso.
“Finn, ho davvero invitato Blaine a cena.” Tagliò corto Kurt. “Quindi, perfavore, non fare delle magre figure con il nostro ospite.”
“Oh… “ disse Finn imbarazzato “Scusa amico.”
“Non preoccuparti.”

I tre ragazzi andarono a mettersi sul divano. Senza dire una parola Finn prese il telecomando e cominciò a fare zapping fra i canali mentre gli altri due fissavano lo schermo, in attesa che gli adulti rincasassero.

Trenta minuti più tardi la porta si aprì con un rumore di chiavi. Carole e Burt fecero ingresso nella loro casa.
Alla vista di Blaine, Burt agrottò le sopracciglia confuso mentre Carole gli fece un grande sorriso e gli venne incontro.
“Ciao caro come stai?”
“B-bene, grazie.” Fece Blaine, un po’ messo in soggezione dalla presenza del signor Hummel che continuava a scrutarlo.
“Burt, ho dimenticato di dirtelo, stasera Blaine cena con noi. L’ho invitato io.”
“Ottimo” disse cambiando espressione e rivolgendogli un sorriso “Sono felice di rivederti.”
Blaine gli sorrise di rimando.

“Beh, potremo anche metterci a tavola. Siete affamati? Ci avete aspettato molto?”
I tre ragazzi fecero no con la testa.
Finn teneva un’espressione sconsolata. I suoi erano rincasati presto, non avrebbe avuto comunque molto tempo da passare da solo con Quinn.

In poco tempo, la famiglia aveva aparecchiato la tavola e aveva aggiunto un posto per l’ospite. C’era movimento e profumo e Blaine si sentì pervadere da un energia positiva.

Quello che aveva mangiato era buonissimo. Doveva riconoscere che il suo amico era davvero bravo ai fornelli, fece anche il bis.

Mentre quasi tutti avevano già finito, Blaine vide Kurt alzarsi e mettere il suo piatto nel lavello, seguito da Carole, e là, bisbigliarle qualcosa all’orecchio. La signora aveva fatto cenno di sì con la testa e gli aveva sorriso.

Kurt era andato verso di lui e Finn, aveva indicato le scale, facendo loro cenno di salire in camera sua. Mentre percorrevano le scale aveva detto che doveva lasciar parlare i grandi da soli.

“Parlare di che cosa?” aveva chiesto Finn una volta entrato nella camera del fratello.
A quella domanda Kurt guardò per terra e poi verso l’amico. Dopo un bel respiro trovò il coraggio di rendere partecipe suo fratello del suo piano.

“Blaine starà da noi per un po’.”
“Che cosa???”

-

“Che cosa???”
“Burt, è un amico di Kurt. Ha bisogno di aiuto.”
“Si, ma perché deve vivere qui?”
“Kurt non direbbe mai una cosa di cui non è sicuro, mi ha detto che quel ragazzo ha dei seri problemi familiari.”
“Che vuoi dire? E perché queste cose le dice a te e non a me?”
“Non è questo il punto. Il punto è che gli ha scoperto un livido enorme sulla faccia ed è abbastanza sicuro che quel ragazzo sia vittima di violenze.”

“Si ma…” Burt si interruppe e fece una pausa per pensare. Inclinò la testa e fece un giro della stanza, seguito dallo sguardo di sua moglie.

“Non ne sono sicuro, Carole.”

Carole gli si avvicinò e gli mise la testa sulla sua spalla, stringendosi al suo braccio.

“Sai…” disse mentre cullava suo marito. “Penso di sapere cosa c’è che non va.”
“Ah si?”
“Si. Tu sai che questo ragazzo piace a Kurt e che è un suo amico, però non sei ancora riuscito a inquadrarlo per bene, quindi hai paura. E’ comprensibile.”
“Forse… Forse potrebbe essere anche quello.”
“Io penso sia solo quello.” Si sciolse dall’abbraccio e guardo suo marito negli occhi, prendendogli le mani. “Burt, io so quanto sia importante per te che Kurt non soffra, però devi lasciargli fare le sue scielte. Kurt è grande e per fortuna ha la testa sulle spalle e tu lo sai. Io so che andrà tutto bene.” Gli fece un gran sorriso, al quale Burt non potè dire di no. Carole era fantastica, sapeva sempre che cosa dire e che cosa fare.
“Penso che tu abbia ragione. Va bene, credo che si possa fare.”

-

“Kurt non c’è il minimo verso che tuo padre acconsenta a questa cosa, lo sai meglio di me.”
“Tua madre non ha avuto nulla in contrario, saprà convincere papà.”
“Non ne sono così sicuro.”
“Tua madre mi ha assicurato che ci sarebbe riuscita. Mi fido di quello che mi ha detto.”
Finn scossè la testa e guardò l’altro irritato.
“…Com’è che tu e mia madre fate così tanta comunella?”
“Come sarebbe a dire?”
“Voglio dire che vi vedo chiaccherare sempre, che ti insegna a cucinare, che andate a fare compere,…”
“A-aspetta…” lo interruppe Kurt “Ti da fastidio il fatto che sia amico di tua madre?”
“Voglio solo dire che…”
“Che sei geloso? Beh, ora sai cosa ho provato io quando ti vedevo fare comunella con mio padre. Lo so che non è bello.”
“Non sono affatto geloso!”
“Finn ascolta, è tua madre ed è anche la mia matrigna ora, è ovvio che andiamo d’accordo e che voglia aiutarmi…”


Blaine faceva da spettatore. Seduto sul letto, guardava i due fratelli discutere al centro della stanza. Era curioso vedere come si comportava Kurt a casa sua con la sua famiglia. Lo incuriosiva ancora di più vederlo alle prese con una diatriba fra fratelli, come quelle che aveva lui di continuo con sua sorella... Ah, già, sua sorella, chissà che combinava.

-

Nel medesimo istante in cui aprì gli occhi, Sara cacciò fuori un lunghissimo lamento.
“Ben alzata.” Le disse Nelly seduta al pc e senza essersi voltata per guardarla.
Sara trovò la forza di mettersi seduta, continuava a tenersi la testa con la mano, come se quel gesto alleviasse il dolore provocato dalla sbornia di quella sera.

“C-che … mal di testa… che giorno è?”
“Venerdì.”
“…” fece un altro mugolio “E che ora è?”
“Le dieci. Di sera.”
“OH dio! Il turno di notte!”
“Non preoccuparti, ho chiamato io. Mi sono finta te e ho detto di non sentirmi bene.”
“Oh … E dov’è tuo padre?”
“Non ne ho idea. Ieri notte ha soltanto detto ‘vado da degli amici’ e mi ha dato le chiavi dell’auto. E siamo tornate qui.” Nelly non aveva voluto sottolineare troppo il fatto che, in teoria, non erano proprio tornate, in verità lei aveva trascinato sua madre fino a farla sedere accanto a lei, le aveva allacciato la cintura e guidato fino a casa. Infine, senza più energie, l’aveva portata di peso fino al divano. Nella sua famiglia erano tutti molto delicati nei confronti dell’alchol, un paio di birre e potevi considerarti K.O.

“Mmh.” Sara si strofinò gli occhi e si ributtò nel divano. “Sei una brava bambina.”
“Lo so.” Disse senza distogliere lo sguardo dallo schermo.

-

“Mi dispiace” fece Finn rivolto al fratello “Non dovevo arrabbiarmi perché sei amico di mia madre, lo so che ti vuole molto bene.”
“Non c’è problema.” Rispose Kurt tranquillo.

Blaine stava in silenzio, pensò che probabilmente una lite con sua sorella non sarebbe finita così in fretta e in maniera così pacifica.

 “Non hai detto una parola.” Gli disse Kurt. “Sei nervoso?”
Blaine ci pensò un attimo. “A dire il vero… sì.”
“E’ comprensibile. Se anche io mi trovassi nella sua situazione…cioè” fece Finn. Kurt lo guardò stranito. “Cioè, … non so cosa potrebbe dire Burt in questa situazione.”

I tre ragazzi si guardarono a vicenda preoccupati. Una voce proveniente dal piano di sotto li chiamò tutti e tre, dicendogli di scendere.

-

“Ragazzi, ascoltate.”
Burt stava in piedi al centro della stanza. I tre ragazzi, chiamati al rapporto, stavano seduti davanti a lui. In realtà sapevano tutti il motivo per cui erano stati chiamati, e Kurt sapeva già che risposta avrebbe dato il padre.

“Blaine..”
Il ragazzo che era stato chiamato prestò ancora più attenzione alle sue parole, lo guardava attento, con le mani posate sulle ginocchia.

“…Puoi restare a casa nostra.”

Kurt sorrise e esultò dentro di sé. Era certo che Carole avrebbe convinto suo padre. Lanciò un’occhiata vittoriosa a Finn.

Blaine spalancò gli occhi… stava succedendo davvero?

“Ma…” continuò poi Burt.
Ma che cosa? Pensò Kurt fra sé. Cosa c’è ancora?

“Che cosa papà?”
“Vorrei che Blaine mi aiutasse in officina.”
“…Che cosa?!?” fece Kurt perplesso. “Ma non puoi farlo lavorare! E’ una carognata!”
“Non preoccuparti  Kurt” Intervenne Blaine alzandosi in piedi e rivolgendosi poi al signor Hummel “La ringrazio infinitamente. Cercherò di essere il miglior aiuto-meccanico possibile”
“Sono sicuro che lo sarai.” Sorrise rassicurante il signor Hummel.
A quel punto Blaine sentì la sua tasca vibrare.
“Scusate.”
“In veranda il telefono si sente meglio.” Fece Carole sorridente.
“Grazie.”

-

 “Pronto?”
Disse Blaine una volta giunto in veranda.
“Sono io Blaine.” Blaine riconobbe la voce di sua sorella dall’altra parte del telefono. “Come è andata?”
“Oh... bene. Mi fanno rimanere.”
“Ne ero sicura.”

“E tu?”
“E tu cosa?”
“A te come è andata?” Blaine si stupì di quella cura che lui e sua sorella stavano dimostrando l’uno per l’altra.
Nelly rispose alla domanda con un sospiro.
“Che è successo?” chiese Blaine preoccupato.
“... Siamo usciti tutti e tre. La mamma ha bevuto un po’ troppo e ora non sta molto bene… non è andata a lavorare.”
“In che senso non sta molto bene?” fece serio Blaine.
“Non preoccuparti.” Disse calma “Solo un po’ di mal di testa e capogiro. Ora dorme di nuovo.”
“E… lui?”
“E lui non è ancora tornato.”
“…Capisco.”
“Meglio che vada a dormire anche io, ciao Blaine.”
“Ciao…” chiuse il telefono e si poggiò con i gomiti sulla ringhiera. Guardò la strada deserta e buia, e sospirò. Sentì di nuovo quell’aria fredda, che molte volte l’aveva accompagnato nelle sere che fuggiva di casa dopo aver litigato con sua madre. Adesso, pensare che sua madre era lontana e che stava male, lo faceva sentire in colpa. Sospirò di nuovo. Sapeva che tutto quello che gli stava succedendo non era colpa sua, ma non poteva fare a meno di tormentarsi. Quell’uomo continuava a tornare, a volte con intervalli più lunghi fra una visita e l’altra, ma cavolo, tornava sempre, come un incubo. E per tutte quelle volte che aveva sperato, che si era ritrovato a pregare a mani giunte sul suo letto, rivolgendosi a chissà chi lo guardasse da lontano di non farlo tornare, che quella visita fosse l’ultima, che quell’uomo non tornasse più per distruggere quello che lui, sua sorella e sua madre tentavano di far stare in piedi, nulla, non aveva mai funzionato.
‘Cazzo…’  si coprì il viso con le mani, tentanto inutilmente di scacciare quei pensieri dalla sua mente.

“Ehi…” Kurt varcò la soglia della porta, con un timido sorriso sulle labbra. “Fa freddo, perché non rientri?”
L’altro fece uno scatto.
“Mi hai spaventato…” disse con un sorriso.
“Scusa, non volevo.” E sorrise di rimando. “Chi era al telefono?”
L’altro cambio espressione in un attimo, e quel piccolo sorriso gli sparì dal volto.
“…Era mia sorella.” Disse guardando in basso.
Kurt si accorse dell’improvviso cambio d’umore e decise di non chiedere altro.
“Rientriamo? Fa veramente freddo qua fuori.”
“Si, hai ragione.”
-

Ovviamente Burt aveva tassativamente vietato ai due di dormire nello stesso letto (malgrado il letto di Kurt fosse anche troppo spazioso per una persona sola) e anche di dormire con i letti molto – troppo – vicini. Sarebbe stato l’ideale se Blaine avesse dormito in camera insieme a Finn, ma questi non ne voleva sapere, e inoltre, nella stanza di Finn non c’era spazio sufficiente per un letto in più. I due letti erano quindi stati messi abbastanza lontani, in una vana speranza di ridurre al massimo il contatto fisico fra i due. Poteva ritenersi un comportamento un po’ ossessivo, ma stavolta Burt preferì dare ascolto al suo primo istinto di genitore. D’altro canto, avrebbe avuto occasione di conoscere meglio Blaine grazie alla trovata di farlo lavorare insieme a lui.

Ma il problema dei letti passò in secondo piano quando i due ragazzi rientrarono in casa e tutta la famiglia potè notare che Blaine continuava a guardare in basso e a tremare.
“Va tutto bene caro?” chiese Carole che se ne accorse per prima.
“Si signora. E’ solo che… sono solo un po’ stanco.”
“E’ piuttosto tardi, perché non andate a dormire?”
“Si, ha ragione. Kurt, non ti dispiace se comincio a salire?”
Kurt fece no con la testa, continuando a osservarlo.
“Allora buonanotte a tutti.” Disse forzando un mezzo sorriso. La famiglia lo guardò mentre saliva le scale con sguardo vacuo negli occhi.

Kurt smise di guardarlo per ultimo, fino a che non lo vide chiudere la porta della sua camera dietro di sé, e si voltò di nuovo verso la sua famiglia.

“Va da lui.” Gli disse Burt.
“Co-come?” fece Kurt confuso da quell’ordine.
“Va da lui, ha bisogno di te, non lasciarlo solo proprio adesso. Non dovrei dirtelo io.”
Kurt fece sì con la testa. Non credeva davvero che suo padre avesse potuto dirgli una cosa del genere. Si voltò e salì le scale.

-

Blaine si era messo il pigiama, il primo che aveva trovato nella sacca preparata da sua sorella e il più brutto che avesse mai avuto, rosso e di pile. Si stringeva in quell’ammasso di stoffa pesante, seduto sul materasso e leggermente rannicchiato su se stesso.
“Ciao…” Kurt entrò nella sua stanza, indossava un pigiama blu di seta che si era messo in bagno prima di entrare.
“…Ciao.” Rispose Blaine dal letto.
Kurt si mise seduto affianco a lui. “Come mai non dormi?”
Blaine si strinse ancora di più, e guardò l’amico. “Non so… pensavo…”
“A che pensavi?”
“Alla parola inglese ‘blame’… sai? Significa ‘colpa’ e somiglia tanto a ‘Blaine’. Lo so che è un po’ stupido ma è così che mi sento la maggior parte delle volte.” Lo guardò con i suoi grandi occhi. Erano più scuri del solito, come vuoti.
Kurt lo guardò perplesso. “…Che intendi?”
Blaine fece un sospiro. Capì che era inutile nascondersi, si sarebbe ritrovato a stare in quella casa per un bel po’, giorni, settimane… forse mesi.
“Cosa c’è? Tua sorella ti ha dato delle brutte notizie?” insistette Kurt.

E soprattutto non aveva senso nascondere il suo passato al suo amico che lo stava ospitando. Era certo che Kurt non l’avrebbe giudicato, Kurt era la persona più buona che avesse mai conosciuto.

“Sai… Mia madre si è sposata molto giovane.”

Kurt lo guardava attento, come per spronarlo a continuare, ma era già ovvio che Blaine non si sarebbe fermato solo con quella frase.

“Al liceo stava con un tizio… “ continuò “… ed è rimasta incinta. Decise di tenerlo… e per fortuna quel tizio le rimase sempre accanto. Si preoccupò di trovare un lavoro, di provvedere a tutto quello che sarebbe servito,… si ammazzò di fatica in poche parole.”

“Quel tizio…” lo interruppe Kurt  “…Era tuo padre?”
Blaine annuì. “Si... Ben presto mio padre le chiese di trasferirsi da lui. Mio padre era orfano di entrambi i genitori, viveva con suo fratello che si arruolò nell’esercito, lasciando a lui e a mia madre la casa.”
“…Come sai queste cose?” chiese Kurt.
“Me le ha raccontate mia madre un paio di volte, e tutte le volte che parla di quel periodo ha sempre il sorriso sulle labbra, erano felici in quel periodo, erano…innamorati, e stavano aspettando la loro bambina. Poco importava se a quel tempo mia madre aveva circa l’età che ho io adesso.” Sorrise per un attimo.

“La chiamarono Nelly, non mi ricordo il perché avessero scelto questo nome. Ma erano davvero felici per quei primi mesi, anche se entrambi dovettero mollare gli studi. Un brutto giorno però… le cose si misero male. Mio padre perse il lavoro, e non c’era verso di trovarne un altro, nessuno voleva assumere un figlio di nessuno con una bambina a carico. Così mia madre cominciò a chiedere prestiti ai suoi genitori, e per mio padre era molto stressante e lui e mia madre cominciarono a litigare di frequente… Non so perché ti sto raccontando queste cose…” scosse la testa e guardò in basso, colto da un’ improvvisa ondata di vergogna. “Probabilmente ti sto annoiando.”

“No” rispose pronto Kurt “No…no non mi annoi affatto. Non mi hai mai parlato di te… e tu sai praticamente tutto di me!”
Istintivamente si avvicinò ancora di più a lui, Blaine alzò lo sguardo: di nuovo quegli occhi vacui.
“Mi interessa… Mi interessa eccome” disse Kurt sorridente “Ma se non vuoi… okay non c’è problema.”

“Ok…” fece Blaine rassicurato da quel sorriso.
“Mio padre poi, non chiedermi come, riuscì a vendere casa sua, e riuscì a racimolare un po’ di soldi.”
“E dove andarono a vivere i tuoi?”
“Mio nonno… teneva una casa un po’ fuori città, in campagna, quella dove viviamo tutt’ora. Ma non era come è adesso, al tempo la campagna riusciva a ricoprire un tratto molto ma molto più ampio, prima non c’era la strada, né la linea degli autobus, non in quel tratto almeno. A mia madre piaceva molto, a mio padre… non lo so. Mia madre mi ha raccontato che gli pesava il fatto di dover vivere là, in una casa che non era la sua, così era sempre stressato…”

Rimase in silenzio per un attimo, guardando il vuoto.

“…e molto spesso usciva da quella casa… per andare… non lo so, non lo so dove andasse.”

Fece un sospiro. “…e molto spesso tornava a casa tardi… sempre ubriaco.”

Gli occhi di Blaine erano sempre fissi, brillavano. Si strinse ancora nel suo pigiama e prese fiato.

“E le cose andavano avanti così… Senza un senso. Ormai era passato un anno e… mia madre rimase di nuovo incinta. Di me. Mia madre non ne voleva sapere di abortire, così… malgrado le pressioni che le faceva mio padre, decise di tenerlo. Si ammazzò di fatica per trovare un altro lavoro, ma stavolta ebbe fortuna, e trovò lavoro ai grandi magazzini. Mio padre le promise di darsi da fare anche lui… ma ogni volta che usciva di casa, tornava tardi, con un odore strano addosso… Era chiaro che non era andato a cercare proprio nessun lavoro.”
“E… poi?”
“Poi nacqui io. Non ho ricordi di momenti passati insieme a mio padre, non di bei momenti almeno.”
Un’immagine fece capolino nella mente di Kurt. Si ricordava ancora perfettamente del giorno in cui suo padre gli aveva insegnato ad andare in bici, lui era caduto e suo padre gli aveva teso la mano per rialzarsi, si ricordava della delusione che aveva provato per se stesso per essere caduto, ma suo padre l’aveva rimesso sul sellino e gli aveva detto ‘Non preoccuparti, nessuno impara al primo colpo. Dai riprova campione!’. Quel ricordo gli fece fare un piccolo sorriso, ma allo stesso tempo, sentire che Blaine non aveva vissuto momenti di quel genere con suo padre gli fece sentire una forte fitta al petto.

“Non ricordo neanche un momento in cui mi avesse supportato, anche per le piccole cose, in cui mi avesse detto ‘sei stato bravo’ o ‘sono fiero di te’. Stava sempre per conto suo…”

Continuava a tormentare un povero residuo di filo che pendeva dalla manica del pigiama. Lo attorcigliava intorno alle dita, stretto, fino a farsi diventare le dita rosse.

“Era chiaro che ce l’aveva a morte con me… per essere arrivato al momento sbagliato. Non mi ha … non mi ha mai voluto.” Disse con voce rotta.

“Blaine…” fece Kurt con il batticuore “…Tu non hai nessuna colpa!”
“Lo so… è solo che a volte…non so, ci pensi e basta.” Attorcigliò il filo intorno alle dita ancora una volta, e poi ancora un’altra volta.
“I miei continuavano a litigare. Quando ho visto mia madre ammalarsi a causa di tutta la fatica che faceva al lavoro e di quanto stava male perché non riusciva a far passare un giorno senza urlare contro quell’uomo, io e mia sorella andammo da lei e la pregammo di smetterla, di porre fine a tutto. Quella fu la nostra prima vittoria e anche la più grande, infatti dopo un anno i miei genitori si separarono. Andò via subito, non si fece più sentire, neanche una telefonata. Io mia madre e mia sorella per qualche mese fummo sereni. In casa c’era la pace finalmente.”

“Ma quando è ritornato tuo padre?”
“Due o tre anni fa mia madre e mio padre si incontrarono per caso. Mio padre disse di aver trovato una casa, un lavoro stabile e che stava bene, mia madre gli credette e qualche volta lo invitò a casa nostra, per fare due chiacchere. Sembrava essere totalmente cambiato, tantochè anche io e Nelly per un primo momento ci credemmo.”

“E poi cosa è cambiato?”

“Ha cominciato ad aprofittarsi della gentilezza di mia madre e della nostra pazienza. Chiedeva prestiti, che mai venivano restituiti. Parcheggiava l’auto a casa nostra, usava la nostra linea telefonica e molte volte chiedeva di passare la notte da noi, per nascondersi da chissà che cosa. Non credo che il suo “lavoro”, se così lo vogliamo chiamare, fosse qualcosa di molto raccomandabile.”

“E con te e Nelly come era?”
“Ci chiedeva continuamente di passare del tempo con lui. A essere sincero la cosa mi rendeva… felice, è normale no? E’ pur sempre mio… ecco, mio padre. Ma si comportava come se noi ci fossimo dimenticati che per anni e anni non ha mai voluto prenderci in braccio neanche per un minuto. E’ incomprensibile.”

“Si… si, hai ragione.” Fece Kurt a testa bassa.

 “Non te l’ho mai detto ma, invidio molto il rapporto che c’è fra te e tuo padre.”
Kurt lo guardo stupito. “Come mai dici questo?”
“Ecco… sono sempre stato molto unito a mia madre. Parlavamo sempre, le dicevo tutto, dei miei amici, di quello che mi piaceva, del canto, il football e quando avevo quattordici anni le dissi… di essere gay.”
“E… lei?”
“E lei lo accettò e mi trattò sempre alla stessa maniera. Certo… per ogni amico che porto a casa mi fa il terzo grado, ma va beh!” e accennò un piccolo sorriso, che gli sparì dal volto un secondo dopo. “Però poi, mio padre lo scoprì… e da lì non ho mai avuto un attimo di pace.”
“…Che vuoi dire?”
“Frecciatine continue, anche pesanti. I nostri dialoghi da pochi, divennero nulli. Sembrava sempre pronto a impartirmi qualche lezione sul come diventare uomo, fare cose da uomini… litigavamo sempre e presto dalle parole giungemmo alle mani.”
“Vi picchiavate?”
“Si… ci picchiamo sempre.”

Kurt si sentì mancare per un attimo. Capì che aveva avuto ragione nel pensare che Blaine venisse picchiato a casa sua, ma aveva sempre potuto contare sulla speranza che si fosse sbagliato. Ma ora, sentirlo dire da lui, gli recava ancora più dolore. Sentì i suoi occhi pizzicargli, ma si sforzò comunque di non piangere.
“Oh dio…” disse Blaine appena vide l’espressione dell’altro. “Ti prego non lo fare…Era la cosa che volevo evitare più di tutte.”
Kurt alzò lo sguardo e si riprese. “No, no, non preoccuparti. E’ solo che non me l’aspettavo.”
“Invece sì. L’hai pensato dal primo momento che mi hai scoperto quel livido.”
“…Si, hai ragione.” Disse sistemandosi i capelli.
“Sei il primo dei miei amici che lo sa.”
“Davvero?”
Blaine annuì a testa bassa e si acarezzò la guancia col dito.
“E’ quasi passato, non si vede neanche più.” Disse con un leggero sorriso, al quale Kurt si tranquillizzò in un attimo.
“Sto bene Kurt.”
“E’ già mezzanotte… dormiamo?”
Blaine fece sì con la testa e si mise sotto le coperte.

-

Kurt aprì piano gli occhi. Attorno a lui, tutto era buio e sfocato. Ci mise un po’ a capire di essere sveglio, e di non trovarsi più nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka, accompagnato da Patty LuPone, in quello stranissimo sogno che stava facendo. Talmente strano da averlo svegliato.
Guardò la sveglia per vedere l’ora, le tre.
Si rigirò nel letto per riprendere sonno e chiuse gli occhi, si accorse però di sentire un po’ di freddo. Cercando di fare più silenzio possibile, scese dal letto sulle punte dei piedi e, a passo felpato, si diresse verso il suo armadio. Lo aprì e prese la prima coperta che trovò.
Ritornò sui suoi passi, ma a metà strada fra l’armadio e il suo letto inciampò e cadde per terra con un gran tonfo.
“Ahi!” si lasciò sfuggire. Si tappò la bocca subito e sperò di non aver svegliato Blaine.
Sentì un rumore di coperte e vide un’ombra allungare un braccio verso la bajour.
Il buio sparì e Blaine scoprì Kurt per terra, ai piedi del suo letto con una coperta in mano.
Kurt lo guardò mortificato. “Scusa, non volevo svegliarti.”
Blaine lo guardò per un secondo e scoppiò in una sonora risata che durò qualche manciata di secondi.
Kurt si rialzò, non sapendo se essere sollevato o offendersi, e si rimise nel suo letto.
“Che ci facevi per terra?” chiese Blaine sorridente.
“Sono inciampato.” Disse imbarazzato. “Avevo freddo e ho preso una coperta.”
“…E sei caduto.” Rispose con un sorriso, posando la testa sul cuscino.
“Ti ho svegliato?”
Blaine fece no con la testa.
“Come? Eri già sveglio?”

Blaine guardò in basso un attimo, per poi tornare a guardare l’amico negli occhi.
“Si, ero sveglio.”
Con l’aiuto della luce della bajour Kurt si accorse che Blaine gli accennava un sorriso, ma aveva anche gli occhi arrossati.
“Non hai dormito?”
“…No” ammise Blaine scuotendo la testa.
“Come mai?” insistette Kurt.
“Non sono riuscito a prendere sonno… Ho gli occhi tutti gonfi.”

Kurt si alzò dal letto e si sedette di fianco a lui e lo guardò serio.
“Blaine, posso essere del tutto onesto con te?”
Blaine fece sì con la testa.
“Penso che tu non stia affatto bene. Cerchi di apparire sereno, però riesco a vedere quanto peso porti dentro di te. Ma fare finta di nulla e piangere la notte non ti aiuterà a risolvere i tuoi problemi.”
Blaine lo guardò dal basso per un secondo, colpito ancora una volta da quella voce.
Quelle parole erano riuscite a toccare delle corde dolenti dentro di lui, si strinse nelle coperte e si fece sfuggire una lacrima, che gli rigò il volto e andò a bagnare il cuscino già umido.

“… Muoio di paura.” disse senza voltarsi.
“Paura di che cosa?”
“…Di dirlo a mia madre.”
“Perchè? Lei non lo sa quello che ti fa tuo padre?”
“No…”
Kurt lo guardò incredulo.
“Perché non glielo dici? Tutto si risolverebbe!”

Blaine si rimise seduto e guardò l’altro negli occhi.
“Kurt, non posso! Lo capisci? Non ci riesco.”
“…Di cosa hai paura?”
“Ho troppa paura che mia madre non mi creda.”
“E perché non dovrebbe crederti?”
“Perché lei sembra davvero convinta che lui voglia passare del tempo con noi, che sia cambiato, che voglia provare a rimediare… e che noi siamo solo infastiditi perché non andiamo d’accordo con lui.”
“Ma Blaine, lei non sa tutto.”
“No… Ma temo… temo che se glielo dicessi, non mi crederebbe comunque. Temo che si schieri dalla sua parte, che…”  stette zitto per un secondo.

Un’altra lacrima gli rigò la guancia. 

“… che… mi abbandoni…”  disse fra i singhiozzi. “Come posso fare senza di lei? Come posso farcela da solo?”

Kurt smise di pensare razionalmente. Aprì le coperte del suo letto e si coricò vicino a lui, senza che l’altro obiettasse.
Allungò le braccia e, lo strinse, più forte che poteva.
Blaine non si oppose e ricambiò l’abbraccio. Continuava a singhiozzare apoggiato al suo petto.
A Kurt ci volle qualche secondo per comprendere quello che aveva appena fatto. Tuttavia non volle mollare la presa per nessun motivo. Stava bene. Stava abbracciando Blaine.
Non gli importava che le loro gambe si toccassero o che in quel letto ci fosse così tanto caldo. Non gli importava più, voleva soltanto che Blaine smettesse di piangere.
“Non sei solo.” disse. “Troveremo una soluzione. Te lo prometto.”

Blaine non smise di piangere. Quella notte la passarono insieme, vicini e abbracciati l’uno all’altro. Blaine dopo tanto tempo si sentì protetto. Aveva trovato un rifugio sicuro fra quelle quattro mura, dove nessuno dei suoi problemi l’avrebbe potuto raggiungere.

Aveva trovato la possibilità di confidarsi con qualcuno, perché sapeva che Kurt non l’avrebbe giudicato. Confortato da quella prospettiva e esausto per quella giornata, alla fine si abbandonò al sonno e si addormentò fra le braccia del suo amico.
Quella fu la terza notte che passarono insieme. E non fu l’ultima.

 

 

 

 

 

 

 







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Mi scuso tantissimo per l'enorme ritardo con cui ho postato il 6° ma ho avuto qualche problema.
Non sono stata in città in questi giorni quindi non so quanto ci metterò per pubblicare il 7 :(
Ok, non ho molto altro da dire :) Ovviamente si accettano suggerimenti, idee e sopratutto critiche.
Un bacio a tutti! <3


  
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