6.
Nelly
continuava
a rileggere quella frase dal libro di chimica posto sulle sue
ginocchia. Non
riusciva a memorizzarla e neanche a figurarsi in testa quel concetto
che era
solo la prima riga del capitolo. Aveva sempre creduto di essere un
po’ stupida,
a scuola non era mai stata un genio, ma la sua deconcetrazione, quella
volta,
era determinata da un altro fattore. Non soltanto per il fatto che la
sua gamba
sinistra continuava a tremare rendendo la lettura più
difficile, ma anche
perché erano circa le 7 e mezza di sera, ed era sola in casa.
Quanto poteva durare un pranzo di lavoro? Dove era finita sua madre?
Mentre stava a preoccuparsi di questo e desiderava che sua madre
varcasse la
porta d’ingresso il prima possibile, le venne in mente che
sua madre, una volta
rientrata, avrebbe chiesto dove si trovava Blaine, e allora lei le
avrebbe
dovuto spiegare che cosa aveva fatto.
Cominciò
a
desiderare ardentemente che sua madre rincasasse il più
tardi possibile.
Circa tre
righe
di libro più tardi, sentì un rumore di serratura.
Sara entrò in casa sorridente, seguita dal suo ex-marito.
“Ehi, non posso credere ai miei occhi! Stai
studiando!” furono le sue prime
parole.
“Dove eri-… cioè, dove eravate
finiti?” chiese la ragazza lanciando un’occhiata
all’uomo dietro sua madre.
“Oh, Joe è venuto a prendermi dal ristorante e mi
ha portato in un posto
fighissimo! Una nuova pista di pattinaggio un po’ fuori da
qua… non pattinavo
da anni!”
“…Ma non mi dire.” fece la ragazza
ironicamente.
“Sono contento che ti sia piaciuto” disse
sorridente Joe “Ci lavora un mio
amico, non ci ha fatto pagare.” si avvicinò al
divano dove stava seduta la
ragazza e si mise a carponi per guardarla negli occhi.
“Che studi Nelly?”
“Chimica.”
“Uuh, roba importante. Che ne diresti di venire con me e tua
madre a cena?
Conosco un posto qua vicino, la trattoria di un mio amico, ci faranno
degli
sconti fantastici.” E sorrise di nuovo.
Quando si tratta di scroccare non ti batte nessuno eh?
“Preferirei di no. Devo studiare.”
“Hey!
Da quando
fai così tante storie perché devi
studiare?” si intromise Sara. “Come al solito
ti riduci agli ultimi mesi di scuola!”
“Non voglio essere bocciata di nuovo!”
“Dai non farti pregare tesoro!” fece sua madre
dandole una pacca sulla spalla.
Alla vicinanza della madre Nelly storse il naso.
“Mamma… è odore di birra
quello che sento?”
“Si, ne ho bevuto due gocci, non devi preoccuparti. Dai su
metti la giacca che
usciamo!”
Nelly si
arrese.
Buttò il libro chiuso sul divano e andò in mezzo
ai suoi genitori. Quando sentì
suo padre scompigliarle i capelli si ritrasse con uno scatto, al quale
l’uomo
reagì confuso.
“Va bene, va bene, non ti tocco i capelli. Da quando sei
diventata così
preziosa sul tuo aspetto? Ah, ormai sei una donna.”
Uscirono
di casa.
Nelly respirò l’aria fredda della campagna, unica
sua amica di quei giorni.
Si sentiva sola in quella missione, stava fra i suoi genitori e, per
l’ennesima
volta avrebbe dovuto fingere di stare con la sua famiglia. Di essere una famiglia.
Si
sentiva sola
in quella missione, ma quello era il pane con cui era cresciuta, e per
l’ennesima volta avrebbe cercato di essere forte.
-
“E
così dopo un
anno si sono sposati e
siamo andati a
vivere qui. La nostra casa era già grande, ma non abbastanza
per ospitare
quattro persone e fare in modo che ognuno avesse la propria
camera.”
Kurt tirò fuori dal forno una teglia fumante e la
posò sul ripiano della
cucina.
“Vuoi dire che non dormi con Finn?” chiese Blaine
mentre sciacquava uno
straccio nel lavello.
“No… cioè, abbiamo fatto un tentativo
ma… è andato fallito.”
“Capisco, beato te.”
Era stato sufficiente poco tempo, e Blaine aveva abbandonato quel
sentimento di
timore e silenzio e ora si comportava normalmente. Si era subito
offerto di
aiutare a mettere in ordine la cucina e a pulirla. Non sapeva
spiegarselo, ma
quella casa gli dava un senso di sicurezza, forse per il suo profumo,
per i
colori, per lo spazio.
Si respirava un calore che lui non sentiva da tanto, troppo tempo e del
quale
sentiva la mancanza.
Guardò fuori dalla finestra. La strada di quella schiera di
case di periferia
era deserta, grigia e silenziosa. Stava su una collina, quindi la
visuale che
si aveva non era della città, si limitava ad abbracciare
quella piccola schiera
per poi far vedere il cielo, che aveva cominciato a scurirsi per il
calar della
sera.
Ricordò il panorama di casa sua. Doveva ammetterlo, abitare
nelle vicinanze di
un piccolo bosco poteva sembrare una cosa quasi fiabesca. Ma la
verità era che
a volte sembrava tutt’altro. Ricordò le foglie
schiacciate al vetro della
finestra che rendevano difficile la visuale, e quello che riusciva a
scorgere
dalla finestra era soltanto terra e alberi, nient’altro. Era
come essere fuori
dal mondo, costretti in una prigione.
Per non parlare di tutte quelle volte che da piccolo aveva passato
notti
insonni per quel brutto ramo che sbatteva alla finestra, e per la sua
ombra
che, proiettata sul muro, sembrava un mostruoso braccio scheletrico
pronto ad
afferrarlo non appena avesse chiuso occhio.
“…Blaine?”
fece
Kurt distogliendolo dai suoi pensieri.
“Oh… mi sono incantato. Scusami.”
“Che guardi alla finestra?”
Blaine si voltò di nuovo verso il vetro, incantato di nuovo
da quell’immagine
così pacifica.
“…La
strada.”
Kurt si
mise al
suo fianco, guardando fuori dalla finestra. Le loro spalle si
sfiorarono
appena.
“La strada?”
“Si. A casa mia non riesco a vederla.”
Dal buio
della
strada, i due amici videro due fari luminosi farsi strada nella notte e
avvicinarsi a quella casa.
“E’
arrivato
Finn.” Disse Kurt.
-
Finn
parcheggiò
l’auto nello spazio di fronte al garage che, per fortuna,
aveva trovato
vuoto. Sapeva che
Burt e sua madre non
erano in casa. Quel periodo che aveva seguito il matrimonio era un
toccasana
per la sua relazione, dato che i due neosposi uscivano spesso a fare
lunghe
passeggiate per avere un po’ di tempo da passare da soli.
Sistemò lo
specchietto retrovisore e si slacciò la cintura di sicurezza.
“Ah!
Ferma!”
disse alla ragazza bionda seduta al suo fianco. Scese
dall’auto e rapidamente
giunse ad aprirle la porta. Quinn rispose con un leggero risolino e il
ragazzo
le tese la mano per farla scendere. Ricordava di averlo visto fare in
molti
film romantici e quella sera voleva essere impeccabile: avevano la casa
tutta
per loro e doveva giocare tutte le carte possibili del buon fidanzato
per
ricevere qualche gratificazione.
“Per di qua” continuava a tenerla per mano mentre
camminava a ritroso e la
guidava verso la porta d’ingresso. Una cosa tenera quanto
stupida ma che a
Quinn, a giudicare dal suo sorriso, non sembrava dispiacere.
Ad un tratto Finn vide l’espressione della sua ragazza
cambiare e i suoi occhi
verdi guardare dietro di lui in direzione della casa.
Finn si voltò e inorridì nel vedere che le luci
di casa sua erano accese e che
alla finestra vi erano appostati suo fratello e un altro ragazzo che al
momento
non seppe riconoscere.
“Ma
che…” fece
Finn fra sé, mentre li guardava confuso.
Kurt e
Blaine,
d’altra parte, si abassarono in modo da non essere visti.
“Ti
giuro, credevo
che…” tentò di giustificarsi Finn.
“Sembra che qualcuno sia arrivato prima di noi” lo
interruppe lei e si lasciò
sfuggire una risata.
Finn si voltò di nuovo verso la casa, ma senza vedere
più nessuno alla
finestra.
“Dobbiamo
restare
abassati ancora per molto?” chiese Blaine confuso mentre si
teneva al ripiano
della cucina.
“Non lo so, ma sembra che abbiamo rovinato la festa a
Finn.”
In quella
strada
silenziosa si sentì una musichetta, che Quinn riconobbe
subito come la sua
suoneria. Prontamente tirò fuori il cellulare dalla tasca
del vestito e
rispose.
“Si?” alzò il dito indice per indicare
al suo ragazzo di darle un attimo.
Finn ne
aprofittò
per entrare in casa e capire che cosa stava succedendo.
Quello
che vide
quando entrò in casa fù una scena abbastanza
insolita: suo fratello con addosso
un grembiule, seduto per terra e
appoggiato al forno e Blaine inginocchiato accanto a lui e che si
teneva al
ripiano della cucina.
“Fratello
che
succede qua?”
Kurt si guardò intorno, indeciso se dire la
verità o no, decise di sviare
argomento.
“…Che ci fa Quinn qui?”
“E’ la mia ragazza.”
“Ah.”
“E si da il caso che stessi venendo qua per … stare con lei. Qui. Da soli.
Tu, piuttosto,
cosa ci fai qui. Credevo che uscissi con Tina.”
Spostò lo sguardo verso il
ragazzo moro e lo indicò “E lui, piuttosto, cosa
ci fa qui?”
“Ho invitato Blaine a cena.” Disse senza pensarci.
“Potevi anche avvertir-“
Si sentì il campanello suonare. Finn aprì la
porta e lasciò entrare Quinn.
“Finn, mi dispiace, ma non posso più
restare.”
“Come?”
“Ha chiamato mia madre, mi ha detto di tornare subito. Mia
nonna è tornata
dalla California e mi vuole a casa.”
“Oh… Certo. Capisco, sì.”
“Mi dispiace.” Si avvicinò per darle un
lieve bacio sulle labbra “Ci vediamo
domani.” Si voltò verso gli altri due ragazzi
“Ciao, divertitevi.”
La porta
si
chiuse dietro alle spalle di Finn, più aflitto che mai.
“Non
avrai
pensato che…” cominciò Kurt senza avere
il coraggio di terminare quella frase.
“Senti Kurt, se per una sera hai bisogno della casa, devi
solo dirmelo. Siamo
fratelli ormai, dovremo essere sinceri su certe cose.”
Lanciò un’occhiata
eloquente a Blaine.
“Ma io veramente…” fece Blaine confuso.
“Finn, ho davvero invitato Blaine a cena.”
Tagliò corto Kurt. “Quindi,
perfavore, non fare delle magre figure con il nostro ospite.”
“Oh… “ disse Finn imbarazzato
“Scusa amico.”
“Non preoccuparti.”
I tre
ragazzi
andarono a mettersi sul divano. Senza dire una parola Finn prese il
telecomando
e cominciò a fare zapping fra i canali mentre gli altri due
fissavano lo
schermo, in attesa che gli adulti rincasassero.
Trenta
minuti più
tardi la porta si aprì con un rumore di chiavi. Carole e
Burt fecero ingresso
nella loro casa.
Alla vista di Blaine, Burt agrottò le sopracciglia confuso
mentre Carole gli
fece un grande sorriso e gli venne incontro.
“Ciao caro come stai?”
“B-bene, grazie.” Fece Blaine, un po’
messo in soggezione dalla presenza del
signor Hummel che continuava a scrutarlo.
“Burt, ho dimenticato di dirtelo, stasera Blaine cena con
noi. L’ho invitato
io.”
“Ottimo” disse cambiando espressione e
rivolgendogli un sorriso “Sono felice di
rivederti.”
Blaine gli sorrise di rimando.
“Beh,
potremo
anche metterci a tavola. Siete affamati? Ci avete aspettato
molto?”
I tre ragazzi fecero no con la testa.
Finn teneva un’espressione sconsolata. I suoi erano rincasati
presto, non
avrebbe avuto comunque molto tempo da passare da solo con Quinn.
In poco
tempo, la
famiglia aveva aparecchiato la tavola e aveva aggiunto un posto per
l’ospite.
C’era movimento e profumo e Blaine si sentì
pervadere da un energia positiva.
Quello
che aveva
mangiato era buonissimo. Doveva riconoscere che il suo amico era
davvero bravo
ai fornelli, fece anche il bis.
Mentre
quasi
tutti avevano già finito, Blaine vide Kurt alzarsi e mettere
il suo piatto nel
lavello, seguito da Carole, e là, bisbigliarle qualcosa
all’orecchio. La
signora aveva fatto cenno di sì con la testa e gli aveva
sorriso.
Kurt era
andato
verso di lui e Finn, aveva indicato le scale, facendo loro cenno di
salire in
camera sua. Mentre percorrevano le scale aveva detto che doveva lasciar
parlare
i grandi da soli.
“Parlare
di che
cosa?” aveva chiesto Finn una volta entrato nella camera del
fratello.
A quella domanda Kurt guardò per terra e poi verso
l’amico. Dopo un bel respiro
trovò il coraggio di rendere partecipe suo fratello del suo
piano.
“Blaine
starà da
noi per un po’.”
“Che cosa???”
-
“Che
cosa???”
“Burt, è un amico di Kurt. Ha bisogno di
aiuto.”
“Si, ma perché deve vivere qui?”
“Kurt non direbbe mai una cosa di cui non è
sicuro, mi ha detto che quel
ragazzo ha dei seri problemi familiari.”
“Che vuoi dire? E perché queste cose le dice a te
e non a me?”
“Non è questo il punto. Il punto è che
gli ha scoperto un livido enorme sulla
faccia ed è abbastanza sicuro che quel ragazzo sia vittima
di violenze.”
“Si
ma…” Burt si
interruppe e fece una pausa per pensare. Inclinò la testa e
fece un giro della
stanza, seguito dallo sguardo di sua moglie.
“Non
ne sono
sicuro, Carole.”
Carole
gli si
avvicinò e gli mise la testa sulla sua spalla, stringendosi
al suo braccio.
“Sai…”
disse
mentre cullava suo marito. “Penso di sapere cosa
c’è che non va.”
“Ah si?”
“Si. Tu sai che questo ragazzo piace a Kurt e che
è un suo amico, però non sei
ancora riuscito a inquadrarlo per bene, quindi hai paura. E’
comprensibile.”
“Forse… Forse potrebbe essere anche
quello.”
“Io penso sia solo quello.” Si sciolse
dall’abbraccio e guardo suo marito negli
occhi, prendendogli le mani. “Burt, io so quanto sia
importante per te che Kurt
non soffra, però devi lasciargli fare le sue scielte. Kurt
è grande e per
fortuna ha la testa sulle spalle e tu lo sai. Io so che
andrà tutto bene.” Gli
fece un gran sorriso, al quale Burt non potè dire di no.
Carole era fantastica,
sapeva sempre che cosa dire e che cosa fare.
“Penso che tu abbia ragione. Va bene, credo che si possa
fare.”
-
“Kurt
non c’è il
minimo verso che tuo padre acconsenta a questa cosa, lo sai meglio di
me.”
“Tua madre non ha avuto nulla in contrario, saprà
convincere papà.”
“Non ne sono così sicuro.”
“Tua madre mi ha assicurato che ci sarebbe riuscita. Mi fido
di quello che mi
ha detto.”
Finn scossè la testa e guardò l’altro
irritato.
“…Com’è che tu e mia madre
fate così tanta comunella?”
“Come sarebbe a dire?”
“Voglio dire che vi vedo chiaccherare sempre, che ti insegna
a cucinare, che
andate a fare compere,…”
“A-aspetta…” lo interruppe Kurt
“Ti da fastidio il fatto che sia amico di tua
madre?”
“Voglio solo dire che…”
“Che sei geloso? Beh, ora sai cosa ho provato io quando ti
vedevo fare
comunella con mio padre. Lo so che non è bello.”
“Non sono affatto geloso!”
“Finn ascolta, è tua madre ed è anche
la mia matrigna ora, è ovvio che andiamo
d’accordo e che voglia aiutarmi…”
Blaine faceva da spettatore. Seduto sul letto, guardava i due fratelli
discutere al centro della stanza. Era curioso vedere come si comportava
Kurt a
casa sua con la sua famiglia. Lo incuriosiva ancora di più
vederlo alle prese
con una diatriba fra fratelli, come quelle che aveva lui di continuo
con sua
sorella... Ah, già, sua sorella, chissà che
combinava.
-
Nel
medesimo
istante in cui aprì gli occhi, Sara cacciò fuori
un lunghissimo lamento.
“Ben alzata.” Le disse Nelly seduta al pc e senza
essersi voltata per
guardarla.
Sara trovò la forza di mettersi seduta, continuava a tenersi
la testa con la
mano, come se quel gesto alleviasse il dolore provocato dalla sbornia
di quella
sera.
“C-che
… mal di
testa… che giorno è?”
“Venerdì.”
“…” fece un altro mugolio “E
che ora è?”
“Le dieci. Di sera.”
“OH dio! Il turno di notte!”
“Non preoccuparti, ho chiamato io. Mi sono finta te e ho
detto di non sentirmi
bene.”
“Oh … E dov’è tuo
padre?”
“Non ne ho idea. Ieri notte ha soltanto detto ‘vado
da degli amici’ e mi ha dato le chiavi
dell’auto. E siamo
tornate qui.” Nelly non aveva voluto sottolineare troppo il
fatto che, in
teoria, non erano proprio tornate,
in
verità lei aveva trascinato
sua madre
fino a farla sedere accanto a lei, le aveva allacciato la cintura e
guidato
fino a casa. Infine, senza più energie, l’aveva
portata di peso fino al divano.
Nella sua famiglia erano tutti molto delicati nei confronti
dell’alchol, un
paio di birre e potevi considerarti K.O.
“Mmh.”
Sara si
strofinò gli occhi e si ributtò nel divano.
“Sei una brava bambina.”
“Lo so.” Disse senza distogliere lo sguardo dallo
schermo.
-
“Mi
dispiace”
fece Finn rivolto al fratello “Non dovevo arrabbiarmi
perché sei amico di mia
madre, lo so che ti vuole molto bene.”
“Non c’è problema.” Rispose
Kurt tranquillo.
Blaine
stava in
silenzio, pensò che probabilmente una lite con sua sorella
non sarebbe finita
così in fretta e in maniera così pacifica.
“Non hai detto una
parola.” Gli disse Kurt.
“Sei nervoso?”
Blaine ci pensò un attimo. “A dire il
vero… sì.”
“E’ comprensibile. Se anche io mi trovassi nella
sua situazione…cioè” fece
Finn. Kurt lo guardò stranito. “Cioè,
… non so cosa potrebbe dire Burt in
questa situazione.”
I tre
ragazzi si
guardarono a vicenda preoccupati. Una voce proveniente dal piano di
sotto li
chiamò tutti e tre, dicendogli di scendere.
-
“Ragazzi,
ascoltate.”
Burt stava in piedi al centro della stanza. I tre ragazzi, chiamati al
rapporto, stavano seduti davanti a lui. In realtà sapevano
tutti il motivo per
cui erano stati chiamati, e Kurt sapeva già che risposta
avrebbe dato il padre.
“Blaine..”
Il ragazzo che era stato chiamato prestò ancora
più attenzione alle sue parole,
lo guardava attento, con le mani posate sulle ginocchia.
“…Puoi
restare a
casa nostra.”
Kurt
sorrise e
esultò dentro di sé. Era certo che Carole avrebbe
convinto suo padre. Lanciò
un’occhiata vittoriosa a Finn.
Blaine
spalancò
gli occhi… stava succedendo davvero?
“Ma…”
continuò
poi Burt.
Ma che cosa? Pensò Kurt
fra sé. Cosa
c’è ancora?
“Che
cosa papà?”
“Vorrei che Blaine mi aiutasse in officina.”
“…Che cosa?!?” fece Kurt perplesso.
“Ma non puoi farlo lavorare! E’ una
carognata!”
“Non preoccuparti Kurt”
Intervenne
Blaine alzandosi in piedi e rivolgendosi poi al signor Hummel
“La ringrazio
infinitamente. Cercherò di essere il miglior aiuto-meccanico
possibile”
“Sono sicuro che lo sarai.” Sorrise rassicurante il
signor Hummel.
A quel punto Blaine sentì la sua tasca vibrare.
“Scusate.”
“In veranda il telefono si sente meglio.” Fece
Carole sorridente.
“Grazie.”
-
“Pronto?”
Disse Blaine una volta giunto in veranda.
“Sono io Blaine.” Blaine riconobbe la voce di sua
sorella dall’altra parte del
telefono. “Come è andata?”
“Oh... bene. Mi fanno rimanere.”
“Ne ero sicura.”
“E
tu?”
“E tu cosa?”
“A te come è andata?” Blaine si
stupì di quella cura che lui e sua sorella
stavano dimostrando l’uno per l’altra.
Nelly rispose alla domanda con un sospiro.
“Che è successo?” chiese Blaine
preoccupato.
“... Siamo usciti tutti e tre. La mamma ha bevuto un
po’ troppo e ora non sta
molto bene… non è andata a lavorare.”
“In che senso non sta molto bene?” fece serio
Blaine.
“Non preoccuparti.” Disse calma “Solo un
po’ di mal di testa e capogiro. Ora
dorme di nuovo.”
“E… lui?”
“E lui non è ancora tornato.”
“…Capisco.”
“Meglio che vada a dormire anche io, ciao Blaine.”
“Ciao…” chiuse il telefono e si
poggiò con i gomiti sulla ringhiera. Guardò la
strada deserta e buia, e sospirò. Sentì di nuovo
quell’aria fredda, che molte
volte l’aveva accompagnato nelle sere che fuggiva di casa
dopo aver litigato
con sua madre. Adesso, pensare che sua madre era lontana e che stava
male, lo
faceva sentire in colpa. Sospirò di nuovo. Sapeva che tutto
quello che gli
stava succedendo non era colpa sua, ma non poteva fare a meno di
tormentarsi.
Quell’uomo continuava a tornare, a volte con intervalli
più lunghi fra una
visita e l’altra, ma cavolo, tornava sempre, come un incubo.
E per tutte quelle
volte che aveva sperato, che si era ritrovato a pregare a mani giunte
sul suo
letto, rivolgendosi a chissà chi lo guardasse da lontano di
non farlo tornare,
che quella visita fosse l’ultima, che quell’uomo
non tornasse più per
distruggere quello che lui, sua sorella e sua madre tentavano di far
stare in
piedi, nulla, non aveva mai funzionato.
‘Cazzo…’ si
coprì il viso con le mani, tentanto
inutilmente di scacciare quei pensieri dalla sua mente.
“Ehi…”
Kurt varcò
la soglia della porta, con un timido sorriso sulle labbra.
“Fa freddo, perché
non rientri?”
L’altro fece uno scatto.
“Mi hai spaventato…” disse con un
sorriso.
“Scusa, non volevo.” E sorrise di rimando.
“Chi era al telefono?”
L’altro cambio espressione in un attimo, e quel piccolo
sorriso gli sparì dal
volto.
“…Era mia sorella.” Disse guardando in
basso.
Kurt si accorse dell’improvviso cambio d’umore e
decise di non chiedere altro.
“Rientriamo? Fa veramente freddo qua fuori.”
“Si, hai ragione.”
-
Ovviamente
Burt
aveva tassativamente vietato ai due di dormire nello stesso letto
(malgrado il
letto di Kurt fosse anche troppo spazioso per una persona sola) e anche
di
dormire con i letti molto – troppo – vicini.
Sarebbe stato l’ideale se Blaine
avesse dormito in camera insieme a Finn, ma questi non ne voleva
sapere, e
inoltre, nella stanza di Finn non c’era spazio sufficiente
per un letto in più.
I due letti erano quindi stati messi abbastanza lontani, in una vana
speranza
di ridurre al massimo il contatto fisico fra i due. Poteva ritenersi un
comportamento un po’ ossessivo, ma stavolta Burt
preferì dare ascolto al suo
primo istinto di genitore. D’altro canto, avrebbe avuto
occasione di conoscere
meglio Blaine grazie alla trovata di farlo lavorare insieme a lui.
Ma il
problema
dei letti passò in secondo piano quando i due ragazzi
rientrarono in casa e
tutta la famiglia potè notare che Blaine continuava a
guardare in basso e a
tremare.
“Va tutto bene caro?” chiese Carole che se ne
accorse per prima.
“Si signora. E’ solo che… sono solo un
po’ stanco.”
“E’ piuttosto tardi, perché non andate a
dormire?”
“Si, ha ragione. Kurt, non ti dispiace se comincio a
salire?”
Kurt fece no con la testa, continuando a osservarlo.
“Allora buonanotte a tutti.” Disse forzando un
mezzo sorriso. La famiglia lo
guardò mentre saliva le scale con sguardo vacuo negli occhi.
Kurt
smise di
guardarlo per ultimo, fino a che non lo vide chiudere la porta della
sua camera
dietro di sé, e si voltò di nuovo verso la sua
famiglia.
“Va
da lui.” Gli
disse Burt.
“Co-come?” fece Kurt confuso da
quell’ordine.
“Va da lui, ha bisogno di te, non lasciarlo solo proprio
adesso. Non dovrei
dirtelo io.”
Kurt fece sì con la testa. Non credeva davvero che suo padre
avesse potuto
dirgli una cosa del genere. Si voltò e salì le
scale.
-
Blaine si
era
messo il pigiama, il primo che aveva trovato nella sacca preparata da
sua
sorella e il più brutto che avesse mai avuto, rosso e di pile. Si stringeva in
quell’ammasso di stoffa pesante, seduto sul
materasso e leggermente rannicchiato su se stesso.
“Ciao…”
Kurt entrò nella sua stanza, indossava un pigiama blu di
seta
che si era messo in bagno prima di entrare.
“…Ciao.” Rispose Blaine dal letto.
Kurt si mise seduto affianco
a lui. “Come mai non dormi?”
Blaine si strinse ancora di più, e guardò
l’amico. “Non so…
pensavo…”
“A che pensavi?”
“Alla parola inglese ‘blame’…
sai? Significa ‘colpa’ e somiglia tanto a
‘Blaine’. Lo so che è un po’
stupido ma è così che mi sento la maggior parte
delle volte.” Lo guardò con i suoi grandi occhi.
Erano più scuri del solito,
come vuoti.
Kurt lo guardò perplesso. “…Che
intendi?”
Blaine fece un sospiro. Capì che era inutile nascondersi, si
sarebbe ritrovato
a stare in quella casa per un bel po’, giorni,
settimane… forse mesi.
“Cosa c’è? Tua sorella ti ha dato delle
brutte notizie?” insistette Kurt.
E
soprattutto non
aveva senso nascondere il suo passato al suo amico che lo stava
ospitando. Era
certo che Kurt non l’avrebbe giudicato, Kurt era la persona
più buona che
avesse mai conosciuto.
“Sai…
Mia madre
si è sposata molto giovane.”
Kurt lo
guardava
attento, come per spronarlo a continuare, ma era già ovvio
che Blaine non si
sarebbe fermato solo con quella frase.
“Al
liceo stava
con un tizio… “ continuò
“… ed è rimasta incinta. Decise di
tenerlo… e per
fortuna quel tizio le rimase sempre accanto. Si preoccupò di
trovare un lavoro,
di provvedere a tutto quello che sarebbe servito,… si
ammazzò di fatica in
poche parole.”
“Quel
tizio…” lo
interruppe Kurt “…Era
tuo padre?”
Blaine annuì. “Si... Ben presto mio padre le
chiese di trasferirsi da lui. Mio
padre era orfano di entrambi i genitori, viveva con suo fratello che si
arruolò
nell’esercito, lasciando a lui e a mia madre la
casa.”
“…Come sai queste cose?” chiese Kurt.
“Me le ha raccontate mia madre un paio di volte, e tutte le
volte che parla di
quel periodo ha sempre il sorriso sulle labbra, erano felici in quel
periodo,
erano…innamorati, e stavano aspettando la loro bambina. Poco
importava se a
quel tempo mia madre aveva circa l’età che ho io
adesso.” Sorrise per un
attimo.
“La
chiamarono
Nelly, non mi ricordo il perché avessero scelto questo nome.
Ma erano davvero
felici per quei primi mesi, anche se entrambi dovettero mollare gli
studi. Un
brutto giorno però… le cose si misero male. Mio
padre perse il lavoro, e non
c’era verso di trovarne un altro, nessuno voleva assumere un
figlio di nessuno
con una bambina a carico. Così mia madre cominciò
a chiedere prestiti ai suoi
genitori, e per mio padre era molto stressante e lui e mia madre
cominciarono a
litigare di frequente… Non so perché ti sto
raccontando queste cose…” scosse la
testa e guardò in basso, colto da un’ improvvisa
ondata di vergogna.
“Probabilmente ti sto annoiando.”
“No”
rispose
pronto Kurt “No…no non mi annoi affatto. Non mi
hai mai parlato di te… e tu sai
praticamente tutto di me!”
Istintivamente si avvicinò ancora di più a lui,
Blaine alzò lo sguardo: di
nuovo quegli occhi vacui.
“Mi interessa… Mi interessa eccome”
disse Kurt sorridente “Ma se non vuoi… okay
non c’è problema.”
“Ok…”
fece Blaine
rassicurato da quel sorriso.
“Mio padre poi, non chiedermi come, riuscì a
vendere casa sua, e riuscì a
racimolare un po’ di soldi.”
“E dove andarono a vivere i tuoi?”
“Mio nonno… teneva una casa un po’ fuori
città, in campagna, quella dove
viviamo tutt’ora. Ma non era come è adesso, al
tempo la campagna riusciva a
ricoprire un tratto molto ma molto più ampio, prima non
c’era la strada, né la
linea degli autobus, non in quel tratto almeno. A mia madre piaceva
molto, a
mio padre… non lo so. Mia madre mi ha raccontato che gli
pesava il fatto di
dover vivere là, in una casa che non era la sua,
così era sempre stressato…”
Rimase in
silenzio per un attimo, guardando il vuoto.
“…e
molto spesso
usciva da quella casa… per andare… non lo so, non
lo so dove andasse.”
Fece un
sospiro.
“…e molto spesso tornava a casa tardi…
sempre ubriaco.”
Gli occhi
di
Blaine erano sempre fissi, brillavano. Si strinse ancora nel suo
pigiama e
prese fiato.
“E
le cose
andavano avanti così… Senza un senso. Ormai era
passato un anno e… mia madre
rimase di nuovo incinta. Di me. Mia madre non ne voleva sapere di
abortire,
così… malgrado le pressioni che le faceva mio
padre, decise di tenerlo. Si
ammazzò di fatica per trovare un altro lavoro, ma stavolta
ebbe fortuna, e
trovò lavoro ai grandi magazzini. Mio padre le promise di
darsi da fare anche
lui… ma ogni volta che usciva di casa, tornava tardi, con un
odore strano
addosso… Era chiaro che non era andato a cercare proprio
nessun lavoro.”
“E… poi?”
“Poi nacqui io. Non ho ricordi di momenti passati insieme a
mio padre, non di
bei momenti almeno.”
Un’immagine fece capolino nella mente di Kurt. Si ricordava
ancora
perfettamente del giorno in cui suo padre gli aveva insegnato ad andare
in
bici, lui era caduto e suo padre gli aveva teso la mano per rialzarsi,
si
ricordava della delusione che aveva provato per se stesso per essere
caduto, ma
suo padre l’aveva rimesso sul sellino e gli aveva detto ‘Non preoccuparti, nessuno impara al
primo colpo. Dai riprova
campione!’. Quel ricordo gli fece fare un piccolo
sorriso, ma allo stesso
tempo, sentire che Blaine non aveva vissuto momenti di quel genere con
suo
padre gli fece sentire una forte fitta al petto.
“Non
ricordo
neanche un momento in cui mi avesse supportato, anche per le piccole
cose, in
cui mi avesse detto ‘sei stato bravo’ o
‘sono fiero di te’. Stava sempre per
conto suo…”
Continuava
a
tormentare un povero residuo di filo che pendeva dalla manica del
pigiama. Lo
attorcigliava intorno alle dita, stretto, fino a farsi diventare le
dita rosse.
“Era
chiaro che
ce l’aveva a morte con me… per essere arrivato al
momento sbagliato. Non mi ha
… non mi ha mai voluto.” Disse con voce rotta.
“Blaine…”
fece
Kurt con il batticuore “…Tu non hai nessuna
colpa!”
“Lo so… è solo che a
volte…non so, ci pensi e basta.”
Attorcigliò il filo
intorno alle dita ancora una volta, e poi ancora un’altra
volta.
“I miei
continuavano a litigare. Quando ho
visto mia madre ammalarsi a causa di tutta la fatica che faceva al
lavoro e di
quanto stava male perché non riusciva a far passare un
giorno senza urlare
contro quell’uomo, io e mia sorella andammo da lei e la
pregammo di smetterla,
di porre fine a tutto. Quella fu la nostra prima vittoria e anche la
più
grande, infatti dopo un anno i miei genitori si separarono.
Andò via subito,
non si fece più sentire, neanche una telefonata. Io mia
madre e mia sorella per
qualche mese fummo sereni. In casa c’era la pace
finalmente.”
“Ma
quando
è ritornato tuo padre?”
“Due o tre anni fa mia madre e mio padre si incontrarono per
caso. Mio padre
disse di aver trovato una casa, un lavoro stabile e che stava bene, mia
madre
gli credette e qualche volta lo invitò a casa nostra, per
fare due chiacchere.
Sembrava essere totalmente cambiato, tantochè anche io e
Nelly per un primo momento
ci credemmo.”
“E
poi cosa è cambiato?”
“Ha
cominciato ad aprofittarsi della gentilezza di mia madre e della nostra
pazienza. Chiedeva prestiti, che mai venivano restituiti. Parcheggiava
l’auto a
casa nostra, usava la nostra linea telefonica e molte volte chiedeva di
passare
la notte da noi, per nascondersi da chissà che cosa. Non
credo che il suo
“lavoro”, se così lo vogliamo chiamare,
fosse qualcosa di molto
raccomandabile.”
“E
con te e Nelly come era?”
“Ci chiedeva continuamente di passare del tempo con lui. A
essere sincero la
cosa mi rendeva… felice, è normale no?
E’ pur sempre mio… ecco, mio padre. Ma
si comportava come se noi ci fossimo dimenticati che per anni e anni
non ha mai
voluto prenderci in braccio neanche per un minuto. E’
incomprensibile.”
“Si…
si, hai ragione.” Fece Kurt a testa bassa.
“Non te
l’ho mai detto ma, invidio molto il
rapporto che c’è fra te e tuo padre.”
Kurt lo guardo stupito. “Come mai dici questo?”
“Ecco… sono sempre stato molto unito a mia madre.
Parlavamo sempre, le dicevo
tutto, dei miei amici, di quello che mi piaceva, del canto, il football
e
quando avevo quattordici anni le dissi… di essere
gay.”
“E… lei?”
“E lei lo accettò e mi trattò sempre
alla stessa maniera. Certo… per ogni amico
che porto a casa mi fa il terzo grado, ma va beh!” e
accennò un piccolo
sorriso, che gli sparì dal volto un secondo dopo.
“Però poi, mio padre lo
scoprì… e da lì non ho mai avuto un
attimo di pace.”
“…Che vuoi dire?”
“Frecciatine continue, anche pesanti. I nostri dialoghi da
pochi, divennero
nulli. Sembrava sempre pronto a impartirmi qualche lezione sul come
diventare
uomo, fare cose da uomini… litigavamo sempre e presto dalle
parole giungemmo
alle mani.”
“Vi picchiavate?”
“Si… ci picchiamo sempre.”
Kurt si
sentì
mancare per un attimo. Capì che aveva avuto ragione nel
pensare che Blaine
venisse picchiato a casa sua, ma aveva sempre potuto contare sulla
speranza che
si fosse sbagliato. Ma ora, sentirlo dire da lui, gli recava ancora
più dolore.
Sentì i suoi occhi pizzicargli, ma si sforzò
comunque di non piangere.
“Oh dio…” disse Blaine appena vide
l’espressione dell’altro. “Ti prego non
lo
fare…Era la cosa che volevo evitare più di
tutte.”
Kurt alzò lo sguardo e si riprese. “No, no, non
preoccuparti. E’ solo che non
me l’aspettavo.”
“Invece sì. L’hai pensato dal primo
momento che mi hai scoperto quel livido.”
“…Si, hai ragione.” Disse sistemandosi i
capelli.
“Sei il primo dei miei amici che lo sa.”
“Davvero?”
Blaine annuì a testa bassa e si acarezzò la
guancia col dito.
“E’ quasi passato, non si vede neanche
più.” Disse con un leggero sorriso, al
quale Kurt si tranquillizzò in un attimo.
“Sto bene Kurt.”
“E’ già mezzanotte…
dormiamo?”
Blaine fece sì con la testa e si mise sotto le coperte.
-
Kurt
aprì piano
gli occhi. Attorno a lui, tutto era buio e sfocato. Ci mise un
po’ a capire di
essere sveglio, e di non trovarsi più nella fabbrica di
cioccolato di Willy
Wonka, accompagnato da Patty LuPone, in quello stranissimo sogno che
stava
facendo. Talmente strano da averlo svegliato.
Guardò la sveglia per vedere l’ora, le tre.
Si rigirò nel letto per riprendere sonno e chiuse gli occhi,
si accorse però di
sentire un po’ di freddo. Cercando di fare più
silenzio possibile, scese dal
letto sulle punte dei piedi e, a passo felpato, si diresse verso il suo
armadio. Lo aprì e prese la prima coperta che
trovò.
Ritornò sui suoi passi, ma a metà strada fra
l’armadio e il suo letto inciampò
e cadde per terra con un gran tonfo.
“Ahi!” si lasciò sfuggire. Si
tappò la bocca subito e sperò di non aver
svegliato
Blaine.
Sentì un rumore di coperte e vide un’ombra
allungare un braccio verso la bajour.
Il buio sparì e Blaine scoprì Kurt per terra, ai
piedi del suo letto con una
coperta in mano.
Kurt lo guardò mortificato. “Scusa, non volevo
svegliarti.”
Blaine lo guardò per un secondo e scoppiò in una
sonora risata che durò qualche
manciata di secondi.
Kurt si rialzò, non sapendo se essere sollevato o
offendersi, e si rimise nel
suo letto.
“Che ci facevi per terra?” chiese Blaine sorridente.
“Sono inciampato.” Disse imbarazzato.
“Avevo freddo e ho preso una coperta.”
“…E sei caduto.” Rispose con un sorriso,
posando la testa sul cuscino.
“Ti ho svegliato?”
Blaine fece no con la testa.
“Come? Eri già sveglio?”
Blaine
guardò in
basso un attimo, per poi tornare a guardare l’amico negli
occhi.
“Si, ero sveglio.”
Con l’aiuto della luce della bajour Kurt si accorse che
Blaine gli accennava un
sorriso, ma aveva anche gli occhi arrossati.
“Non hai dormito?”
“…No” ammise Blaine scuotendo la testa.
“Come mai?” insistette Kurt.
“Non sono riuscito a prendere sonno… Ho gli occhi
tutti gonfi.”
Kurt si
alzò dal
letto e si sedette di fianco a lui e lo guardò serio.
“Blaine, posso essere del tutto onesto con te?”
Blaine fece sì con la testa.
“Penso che tu non stia affatto bene. Cerchi di apparire
sereno, però riesco a
vedere quanto peso porti dentro di te. Ma fare finta di nulla e
piangere la
notte non ti aiuterà a risolvere i tuoi problemi.”
Blaine lo guardò dal basso per un secondo, colpito ancora
una volta da quella
voce.
Quelle parole erano riuscite a toccare delle corde dolenti dentro di
lui, si
strinse nelle coperte e si fece sfuggire una lacrima, che gli
rigò il volto e
andò a bagnare il cuscino già umido.
“…
Muoio di
paura.” disse senza voltarsi.
“Paura di che cosa?”
“…Di dirlo a mia madre.”
“Perchè? Lei non lo sa quello che ti fa tuo
padre?”
“No…”
Kurt lo guardò incredulo.
“Perché non glielo dici? Tutto si
risolverebbe!”
Blaine si
rimise
seduto e guardò l’altro negli occhi.
“Kurt, non posso! Lo capisci? Non ci riesco.”
“…Di cosa hai paura?”
“Ho troppa paura che mia madre non mi creda.”
“E perché non dovrebbe crederti?”
“Perché lei sembra davvero convinta che lui voglia
passare del tempo con noi,
che sia cambiato, che voglia provare a rimediare… e che noi
siamo solo infastiditi
perché non andiamo d’accordo con lui.”
“Ma Blaine, lei non sa tutto.”
“No… Ma temo… temo che se glielo
dicessi, non mi crederebbe comunque. Temo che
si schieri dalla sua parte, che…”
stette
zitto per un secondo.
Un’altra
lacrima
gli rigò la guancia.
“…
che… mi
abbandoni…” disse
fra i singhiozzi.
“Come posso fare senza di lei? Come posso farcela da
solo?”
Kurt
smise di
pensare razionalmente. Aprì le coperte del suo letto e si
coricò vicino a lui,
senza che l’altro obiettasse.
Allungò le braccia e, lo strinse, più forte che
poteva.
Blaine non si oppose e ricambiò l’abbraccio.
Continuava a singhiozzare
apoggiato al suo petto.
A Kurt ci volle qualche secondo per comprendere quello che aveva appena
fatto.
Tuttavia non volle mollare la presa per nessun motivo. Stava bene.
Stava
abbracciando Blaine.
Non gli importava che le loro gambe si toccassero o che in quel letto
ci fosse
così tanto caldo. Non gli importava più, voleva
soltanto che Blaine smettesse
di piangere.
“Non sei solo.” disse. “Troveremo una
soluzione. Te lo prometto.”
Blaine
non smise
di piangere. Quella notte la passarono insieme, vicini e abbracciati
l’uno
all’altro. Blaine dopo tanto tempo si sentì
protetto. Aveva trovato un rifugio
sicuro fra quelle quattro mura, dove nessuno dei suoi problemi
l’avrebbe potuto
raggiungere.
Aveva
trovato la
possibilità di confidarsi con qualcuno, perché
sapeva che Kurt non l’avrebbe
giudicato. Confortato da quella prospettiva e esausto per quella
giornata, alla
fine si abbandonò al sonno e si addormentò fra le
braccia del suo amico.
Quella fu la terza notte che passarono insieme. E non fu
l’ultima.
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Mi scuso tantissimo per l'enorme ritardo con cui ho postato il 6° ma ho avuto qualche problema.
Non sono stata in città in questi giorni quindi non so quanto ci metterò per pubblicare il 7 :(
Ok, non ho molto altro da dire :) Ovviamente si accettano suggerimenti, idee e sopratutto critiche.
Un bacio a tutti! <3