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Autore: riki_ch    22/06/2011    1 recensioni
Quando qualcuno riesce a colpire una persona fino in fondo...
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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terza parte


Quest’anno, per me, era iniziato con lo scopo di non concentrarmi sugli studi, ma di credere nel legame che avevo instaurato con lui. Volevo che passassimo insieme più tempo possibile. Avevo già pensato a come fare inizialmente: andare e tornare da scuola insieme era il punto di partenza. Lo aspettavo sotto casa la mattina, in atrio a mezzogiorno e poi di nuovo come prima nel pomeriggio. Per permettere a questo piano di svilupparsi, avevo cambiato le mie abitudini rispetto all’anno scorso. Infatti, prima non tornavo a casa nemmeno se avevo due ore di pausa a mezzogiorno e se cominciavo tardi la mattina, be’, dormivo. No, avevo stabilito tutto per poter percorrere quel tragitto insieme tanto spesso quanto mi era permesso da fattori incontrollabili. Se è vero che io lo aspettavo anche quando sarei potuto rimanere a casa, non è vero il contrario. Un altro modo per passare insieme questo tempo a scuola, era trovarci durante la pausa della mattina, e così è stato. E questo è andato avanti per quasi tutto l’anno.
Devo ammettere che per lui la nuova classe era sicuramente meglio. Infatti, se un anno prima aveva impiegato del tempo per riuscire a comunicare anche solo un pochettino con gli altri, ora già nei primi giorni aveva trovato degli amici. Forse perché tutti condividevano un vizio che sembra stargli a cuore, quello del fumo, ma non si era, ad ogni modo, isolato come era avvenuto in precedenza.
Poi, si sa come va a finire quando si fa di tutto per star vicino a qualcuno, in un modo o nell’altro si finisce per imitarlo. E quindi, una mattina, mentre andavamo a scuola e lui si era acceso un drum gli chiesi di poter fare qualche tiro. Fu l’inizio. Da quel giorno cominciai a chiedergli di lasciarmi fumare un po’ della sua sigaretta, e lui me lo concedeva, fino a quando non decisi, a inizio ottobre, di comperare anche io tabacco, filtri e cartine. Avevo iniziato a fumare per condividere qualcosa con lui, e finì per piacermi. Da io che gli scroccavo qualche tiro, la situazione si ribaltò con lui che mi chiedeva ogni volta di poter “far su”. Non mi dispiaceva questo, perché sapere che mi aspettasse, anche solo per poter andar a scrocco nel suo vizio, mi faceva sentire come se fossimo più vicini.
Il suo vizio del fumo, però, non era limitato alla legalità. Ho già parlato del joint di Padova. Fumava anche erba, e anche io iniziai a fumare erba. Inizialmente era una sorta di rarità, limitata alle serate del fine settimana. Eravamo io, lui, e un altro ex-compagno, ci ritrovavamo alle “panchine gialle”, a scuola, e passavamo lì le serate, il più delle volte. Per il suo compleanno decisi anche di fargli un regalo, e gli regalai un “fifty”, ovvero cinquanta franchi di erba, più o meno dai 3 ai 5 grammi. E c’è una storia particolare attorno a questo regalo. Infatti, per acquistarlo utilizzai quaranta franchi che la mia madrina mi aveva regalato qualche mese prima. Li conservavo da quel momento, non sapevo per che cosa spenderli. Era stato l’ultimo regalo che mi aveva fatto, essendo morta a luglio, e quando mi diede quei soldi, io sapevo bene che da lei non avrei più ricevuto qualcosa di materiale. Non potevo spenderli per me, quindi decisi che sarebbero dovuti andare a una persona a cui tenevo, a qualcuno di speciale. E così, l’illuminazione: li avrei usati per il suo regalo di compleanno. So che lei non avrebbe approvato che ci acquistassi della Marijuana, ma è anche vero che se andiamo oltre al prodotto in sé, troviamo un bel gesto, no?
E quindi, gli feci questo regalo. E quando glielo consegnai, fu davvero bello. Era felicissimo, mi ringraziò, e io ero anche più felice, perché aveva apprezzato ciò che avevo fatto per lui. Questo era un bel periodo, un periodo in cui si fumava, ma c’era anche moderazione. Più in là, la cosa a me sembrò degenerare, lui aveva iniziato a avere più contatto con una persona cui piaceva “smokkare” tanto quanto a lui. Questa sua passione, però, non era accompagnata da buoni risultati scolastici, anzi, andava anche peggio dell’anno precedente.
Dopo Natale, la situazione non migliorò, continuava a fumare allo stesso regime, anche se forse aveva iniziato a impegnarsi un po’ di più per la scuola. Io mi ero accorto che le cose non stavano per nulla andando bene, e gliene parlai, ma non mi volle ascoltare. Gli proposi dunque un accordo. Scrissi un contratto in cui regolavo il suo consumo di erba e in cui prevedevo delle sanzioni, lui accettò. Fu inutile. Non lo rispettò minimamente, e anzi tese quasi a esagerare anche di più.
Le persone che aveva conosciuto, sicuramente, non gli erano di aiuto. Nessuno sembrava veramente preoccuparsi della sua situazione, tranne me. Ma in fondo, perché avrebbero dovuto? Era lui che doveva mettersi in sesto e capirlo da solo. E io cercavo di aiutarlo, ma non ottenevo risultati... forse perché non sono in grado di combinare nulla...
Mi ricordo di un giorno, eravamo nel solito posto, sopra gli appartamenti degli studenti, davanti a uno pseudo santuario, lo chiamavamo “la madonnina” per via di questo tempiettino alla madonna. C’era del fumo, hashish, e io avevo portato il cilum, e mi accorsi osservando tutti, di come fumare potesse sembrare un rito tribale. Io mi ero messo in disparte, e guardavo un albero, ascoltando voltato i suoni che producevano, per lo più risa o commenti su chi stava fumando. Quando mi girai, li vidi tutti praticamente in centro che facevano alcuni movimenti (niente di strano, si muovevano come si muove chiunque) e colui che teneva il cilum aveva la testa piegata un po’ indietro, e con una mano tappava e stappava quella specie di pipa e fu in quel momento che mi accorsi della tribalità del fumare. Mi pareva di stare in mezzo a una combriccola preistorica. Era strano.
Dopo un po’ finì anche l’aspetto tribale e tutto riprese solo la parvenza illegale e trasgressiva...
Nel frattempo, la mia vita andò avanti e il mio rapporto con lui sembrava a tratti amichevole e a tratti indifferente. Se un giorno discutevamo in modo piacevole, il giorno dopo, qualsiasi cosa gli dicessi, sembrava non importargli minimamente. E fu durante uno di questi periodi che lui stette male una sera. Eravamo andati al bar, io, lui, quell’ex-compagno di prima e quell’altro con cui aveva preso contatti. Più tardi ci eravamo spostati verso la chiesa, ed eravamo nella macchina del nostro ex-compagno, quando a un certo punto lui aprì la portiera e vomitò. Diceva che l’aver mangiato di fretta era stata la causa (aveva anche fumato e bevuto qualcosa). Stemmo un po’ con lui, ma non passò molto da che gli altri due se ne andarono, lasciandomi da solo a sperare che non stesse davvero male, mentre continuava a rimettere sul sagrato. Gli chiesi se volesse che lo riaccompagnassi a casa, ma prima si doveva riprendere un po’, giustamente. Alla fine si risolse tutto per il meglio. Questa fu la prima volta. La seconda fu dopo un carnevale. Eravamo scesi dal treno e ci stavamo fumando un drum alla fermata del bus, quando improvvisamente rimise per terra. Io gli voltai le spalle, perché comunque non sopporto la vista del vomito, ma subito gli chiesi se stesse bene e lo accompagnai a una fontana per pulirsi un attimo e poi lo riaccompagnai a casa. Mi chiedo perché sempre con me doveva stare male... Dopo questi due episodi, per un paio di giorni il rapporto passò nella fase amichevole, forse perché si era accorto che se stava male, c’ero io e non qualcun altro per aiutarlo.
Per il resto non avvenne più nulla di particolare, fino al giorno del mio compleanno. Questo giorno iniziò con lui e altri, a mezzanotte, tornando dal solito bar. Non appena le campane annunciarono il nuovo giorno, tutti cominciarono a saltarmi addosso per farmi gli auguri e fu quando a un certo punto mi saltò addosso lui che sbattei contro un muro, provocandomi una ferita alla nocca, di cui porto ancora la cicatrice. Poi tornando a casa insieme si percepiva una certa allegria e io gli misi un braccio attorno alle spalle e gli appoggiai un attimo la testa sulla spalla sinistra e gli dissi: “O, --, finalmente sono diciottenne”. Ero davvero felice che le prime persone che avessi visto quel “giorno” fossero i miei amici, tra cui lui. Più tardi, quel giorno, nel pomeriggio, io e altri dovevamo recitare con la compagnia della scuola, ma prima avevamo pianificato di trovarci su un prato e giocare un po’ a calcio -gli altri avrebbero giocato, a me non piace-, ma alla fine tutti dissero che o arrivavano più tardi o non venivano, a parte lui, che non sapeva degli altri. Pensando che in effetti lui potesse non saperlo, mi recai a scuola e lo vidi da solo che camminava sul grande prato davanti al liceo, quindi andai da lui e spiegai la situazione. Poi andammo sotto il ciliegio, ci fumammo il solito drummino e conversammo. Era bello parlare insieme a lui, mi piacerebbe che non fosse un evento così raro. Alla fine mi disse che sarebbe tornato a casa, ma io lo pregai di venire più tardi a vedere lo spettacolo, perché non poteva vedere gli altri e non vedere me. Sarebbe stato un bel regalo di compleanno da parte sua. Non venne, e ci rimasi un po’ male... Disse che i suoi non l’avevano lasciato uscire perché doveva studiare... mah.
Nell’ultimo periodo cominciò a comportarsi in un modo che non mi piaceva, o forse si era sempre comportato così e io me ne rendevo conto solo in quel momento?
Sta di fatto che a mala pena mi salutava e mi parlava -senza salutarmi- solo per scroccarmi tabacco, cartine e filtri. Le pause non le passavamo più insieme. Quando gli dicevo qualcosa, lui sembrava totalmente indifferente, a volte scocciato. Aveva iniziato a frequentare alcuni tizi, che ovviamente avevano l’erba, e sembrava ignorasse gli altri, me in particolare. Questo è un comportamento triste, trovo. Un giorno, stremato dal suo modo di fare, decisi di comportarmi allo stesso modo, non lo salutai più, non gli offrii più il drum e decisi di non aspettarlo nemmeno per il tragitto casa-scuola/scuola-casa. Lo feci per vedere se da parte sua cambiasse qualcosa, ma niente... anzi, vidi che effettivamente ignorava di più gli altri per stare con i suoi nuovi “amici”. Amici che nemmeno una volta lo hanno invitato a uscire con loro una qualche sera o a fare qualcosa insieme che non fosse a scuola. Comunque, io non riuscii per molto a tenergli il muso. Alla fine era il mio amico, e mi dispiaceva comportarmi così con lui, così come non sopporto che altri ne parlino male in mia presenza. Solo io posso parlare male di lui, agli altri non è permesso. Io sono sempre dalla sua parte.
Infine, giunse un’altra volta la fine della scuola e lui era di nuovo gravemente a rischio. Il giorno del suo consiglio di classe andai a scuola alle nove di mattina, non volendomi assolutamente perdere il momento in cui esponessero la lista dei promossi. Rimasi lì fino alle due e mezzo, il momento in cui appesero quel dannato foglio. Non ce l’aveva fatta nemmeno quest’anno. E come l’anno scorso, mi incaricai di dirglielo... mentre tornavo a casa lo chiamai, gli chiesi dove fosse, “a casa”, rispose. Gli dissi di uscire entro 5 minuti. E non appena lo vidi, glielo dissi. L’ha presa meglio che l’anno scorso.
Ora spero che passerà una settimana a casa mia, come gli ho proposto di fare, visto che i miei genitori non ci sono. Quest’estate potrebbe diventare l’ultima occasione per passare del tempo insieme. Ovviamente, non continuerà il liceo, dopo aver bocciato per tre anni di fila, ma andrà a lavorare e come se non bastasse, si sta trasferendo a Lugano! Si sa come va a finire quando abiti “lontano” da qualcuno e non ci vai più a scuola insieme... si rischia di perdere i contatti... e spero che questo non accada...
  
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