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Autore: Douglas    23/06/2011    1 recensioni
Per gli appassionati di storie cavalleresche ecco un mix fra Tristano e Isotta e Merlin, dove un inedito Tristano darà del filo da torcere ad Artù
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lancillotto, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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 Salve a tutti, inanzitutto volevo ringraziare tutte le persone che hanno letto la mia fanfic... In modo particolare ringrazio chi mi recensisce e chi mi segue perchè mi da sempre utili consigli

Ecco un nuovo capitolo spero che piaccia a tutti...

 

Capitolo 6- Cuore imbizzarrito e cuore muto

 

Il caldo di quei giorni sembrava aver raggiunto i suoi livelli più alti, quando, Tristano, ancora rinchiuso nelle celle di Camelot, quel pomeriggio cercava un po’ d’aria fresca sporgendo appena il viso accaldato verso la piccola finestrella che dava direttamente sulla piazza.

Lì si fermavano carrozze, cavalli e carri fermandosi proprio davanti l’ingresso del castello del grande re Uther Pendragon e di suo figlio Artù.

Ripensando a quel nome, un senso soffocante d’odio lo afflisse, come se il suo stomaco stesse lottando contro un veleno preparato da chissà quale stregone e druido si contrasse dolorosamente su sé stesso.

Come volevasi dimostrare la vendetta del principino non si era lasciata attendere…

Tristano si era aspettato di tutto: duelli all’ultimo sangue, permanenze mensili alla gogna, l’esilio da Camelot e non aveva scartato nemmeno l’ ipotesi di una decapitazione pubblica; Però, mai in vita sua, avrebbe sospettato che esistesse una mente tanto diabolica da concepire un piano astutamente malvagio come quello.

Artù si era limitato semplicemente ad accomodarsi sul suo trono e attendere silenziosamente la vendetta.

Le celle di Camelot, infatti, erano uno dei punti più caldi dell’intera città nei periodi estivi, talmente calde che nemmeno le guardie osavano sorvegliare i prigionieri in quei forni. Tristano non aveva mai immaginato come fosse l’inferno, ma certamente sarebbe stato  molto più fresco della sua attuale “dimora”.

La scusa apparente della sua permanenza nelle prigioni era stata attribuita all’imminente arrivo di tre dame che erano state accolte con tutti gli onori nella corte dell’uomo più ricco dell’intera Inghilterra: erano stati organizzati balli, giostre, spettacoli e il rumore delle risate arrivava persino da lui, il povero prigioniero dimenticato anche da Dio stesso.

Continuava, però, a mantenere una calma invidiabile poiché sapeva che le guardie avrebbe riferito subito al principe ogni suo minimo segno di cedimento: era una sfida silenziosa  e strategica degna dei più grandi intellettuali di corte.

Così fra i reali occupati e le guardie che lo ignoravano, solo tre persone avevano dimostrato pietà verso di lui: il suo unico amico Merlino, il medico di corte Gaius e una umile serva che diceva di essere grande amica di Merlino e che gli portava acqua e cibo in abbondanza aggiungendo   spesse volte qualcosa in più che riusciva a rubare dalla dispensa dalle cucine reali.

Erano una ragazza umile, dai comportamenti garbati e servili che si rivolgeva a lui come se stesse parlando ad un cavaliere e, anche se lui aveva insistito più volte perchè lo trattasse come un suo pari, lei insisteva altrettanto nello specificare che una persona così colta e raffinata meritava un trattamento speciale come quello che lei riservava ad un uomo di corte.

Le era molto grato per tutto quello che faceva, rischiando in certi versi il proprio lavoro per uno sconosciuto, ma doveva ammettere che, per i primi giorni, non si era fidato molto di ciò che gli portava, proprio perché era stata una serva umile e fedele come lei a compiere l’errore che avrebbe segnato per sempre la sua intera esistenza; il terzo giorno però la fame e la sete ebbero il sopravvento sul suo orgoglio.

Tristano stanco di quell’attesa asfissiante, prese l’asse di legno che aveva staccato dal lettino rudimentale della cella e, piegando le ginocchia, si preparò ad attaccare colpendo ripetutamente le sbarre della cella con movimenti fluidi e rapidi e provocando dei rintocchi simile a quelli di una campana che si propagavano per tutte le segrete fino ad arrivare all’orecchio delle guardie ormai abituate allo strambo comportamento del prigioniero.

Quando Tristano fu troppo stanco per continuare e quando l’umidità aveva fatto appiccicare i suoi abiti al corpo sudato e qualche riccio ribelle alle sue guance arrossate, si fermò ansimando e si distese sul letto riflettendo sullo strano comportamento di Merlino nel loro primo incontro dopo il suo arresto.

Il ragazzo, utilizzando sempre toni garbati e scanzonati, gli aveva fatto un mucchio di domande sul suo passato, sempre molto precise e dettagliate che avevano messo in difficoltà il giovane menestrello e la presenza dell’anziano medico di corte che lo scrutava guardingo da sotto quelle palpebre pesanti non lo aveva di certo rassicurato.

La domanda che però lo colpì di più fu quella che riguardava i suoi occhi…

Tantris, ma i vostri occhi sono sempre stati così… particolari?

Gli aveva domandato il servo del principe con un tono sospettoso.

Captò uno strano tremolio della voce di quella domanda che era gli era stata rivolta e subito dopo dimenticata, ma aveva capito che tutto quell’interrogatorio girava intorno ad essa.

Particolari? Che significa che i suoi occhi erano particolari?

Erano di un normale marrone corteccia, molto profondi certamente, ma pur sempre ordinari: non erano belli quanto quelli azzurri di Isotta e nemmeno espressivi come quelli della serva che gli portava il cibo ogni giorno.

Ma allora perché quella domanda doveva essere così importante?

Lui era un menestrello e nessuno poteva ingannarlo se si trattava di menzogne ben architette, riconosceva qualsiasi tremolio o incertezza della voce e Merlino, rivolgendogli quella domanda, sembrava essere molto in ansia, quasi desideroso di una risposta strana; lui, invece, aveva semplicemente detto la verità, ossia che i suoi occhi erano marroni come quelli della madre.

Improvvisamente un rumore di chiavi sbattute l’una contro l’altra lo riportò alla realtà e, con uno scatto rapido, si alzò in piedi e riprese il suo combattimento come se nulla fosse.

Forse si trattava solamente delle serva che gli portava il cibo, ma voleva dimostrare a chiunque fosse che lui era ancora vispo e pieno di forze.

Immaginatevi la sorpresa del cavaliere quando il principe di Camelot in persona lo degnò finalmente della sua presenza.

– Visita di cortesia o semplicemente state costando se io respiri ancora?- esclamò Tristano non rinunciando nemmeno questa volta al suo tono sarcastico.

- nessuna delle due, se fosse stato per me tu saresti rimasto qui dentro ancora per qualche settimana- rispose il principe con tono spavaldo – Vi credete più coraggioso di me solo perché queste sbarre ci dividono?- disse il menestrello colpendo con l’asta di legno nel punto esatto delle sbarre  che stava all’altezza della faccia di Artù – Stai parlando con colui che, oltre a queste sbarre, possiede la cella in cui vivete e il suolo su cui camminate, quindi ti conviene startene zitto e ascoltare ciò che sono venuto a dirti…-.

A fatica, Tristano fermò il suo allenamento osservando il suo avversario con aria truce – sono tutto orecchi, sua Maestà- esclamò accennando quell’inchino tanto fastidioso al futuro re.

-Ebbene, come sapete la principessa d’Irlanda e le sue dame di corte sono venute a farci visita questa settimana. Desiderano un menestrello per allietare la loro serata e Camelot momentaneamente non ne ha disposizione se non uno molto fastidioso rinchiuso qui dentro. Il re, quindi, propone a voi, Tantris d’Acquitania, un accordo, una settimana al suo servizio in cambio della libertà: accettate l’offerta?- domandò il principe Artù con un tono troppo cerimonioso e pomposo inadatto al suo carattere irascibile.

Tristano, però, non badò a quello strano comportamento che avrebbe potuto essere uno spunto adatto a una delle sue solite battute ironiche, ma rimase impietrito senza respirare e senza un muscolo attivo che potesse reagire a quella notizia… solo il cuore accelerò come un cavallo imbizzarrito.

- la principessa Isotta d’Irlanda?- disse il ragazzo facendo crollare quella maschera di sicurezza che aveva così abilmente creato – sì, è venuta qualche giorno fa a trovare il re in rappresentanza della Cornovaglia, c’è qualche problema?- lo informò il principe stordito da quell’improvvisa reazione.

Tristano impiegò qualche secondo per metabolizzare il tutto e per rendersi conto che, in quel palazzo così lontano dalla sua patria, c’era l’amore della sua vita e che nemmeno quelle sbarre di acciaio avrebbero potuto fermarlo a quel punto.

Rispose con un sussurrò d’assenso appena accennato voltandosi ad osservare il via vai di piedi e di gonne che si intravedevano dalla sua finestrella, troppo stravolto per cercare una risposta dignitosa.

Nemmeno lì poteva essere in pace con se stesso e probabilmente, quella sera stessa, sarebbe dovuto scappare il più lontano possibile in cerca di qualche luogo in cui non si sapeva nemmeno dove fosse la Cornovaglia.

- Potete uscire a patto che vi andiate a lavare e vi vestiate in maniera consona - disse senza accennare nulla sul fatto che puzzasse quanto un maiale o che i suoi vestiti fossero sudici e incrostati di fango. Sbirciò appena squadrando quella strana espressione carica di risentimento, stupore, confusione e… pena.

Artù Pentdragon provava pena per un tale impertinente dopo che l’aveva umiliato di fronte al suo intero popolo?!

- Dovete arrivare alle otto di sera puntuale altrimenti vi verrò a cercare e vi guadagnerete l’onore di essere esiliato da Camelot dal principe in persona.- disse tornando al suo solito tono acido e carico di risentimento e, senza farsi pregare, si voltò e procedette a passo spedito verso l’uscita mentre le guardie si inchinavano a lui in segno di rispetto. 

 

Quando Tristano indossò il capello che completava il suo abbigliamento sentì il vago impulso di non presentarsi al banchetto di quella sera e scappare il più lontano possibile da Camelot.

Si tratteneva soltanto perché quella sera avrebbe potuto vedere la sua amata Isotta, anche se era il veleno in lui a desiderarla.

Sentiva un battito del cuore che il cervello non aveva comandato, un sudore provocato dalla tranquillità dei suoi pensieri e lo stomaco sotto sopra anche se il suo cervello era consapevole di quell’amore involontario.

Chiuse le palpebre imponendosi di pensare a come assassinare il figlio del re per avergli fatto indossare quell’orrore.

Si specchiò nella tinozza d’acqua con cui aveva fatto il bagno e sbuffò. Era ridicolo, semplicemente ridicolo. Si sentì improvvisamente avvolto da un tremore rabbioso che fece vibrare tutto il suo corpo.

Dalle sue narici uscivano fumo e fiamme che probabilmente anche il mostro di Wexford che aveva sconfitto qualche anno addietro, avrebbe invidiato.

I suoi abiti, oltre a essere una taglia in più del dovuto, erano sfavillanti e sgargianti cuciti con merletti, pizzi e lustrini mentre le scarpe erano talmente larghe che chiunque gli sarebbe passato accanto sarebbe potuto inciampare sui suoi piedi. Sul cappello svettavano tre enormi piume rosse che andavano fastidiosamente a cadere sulla fronte comprendo del tutto la visuale del malcapitato menestrello.

Infuriato, prese il capello e lo gettò a terra e poi si andò a sedere tra la paglia morbida della sua stalla…

Quello non era un abito da menestrello ma da GIULLARE.

Si mise a riflettere per qualche secondo osservando il suo copricapo che sembrava attenderlo beffardo all’uscita.

- Ci devo andare…- concluse rassegnandosi all’idea di essere deriso da tutta la sala. Isotta era là e lei non poteva di certo attenderlo in eterno.

Prima di andare però tentò di rimediare a quel disastro: per prima cosa strappò le penne rosse e spelacchiate dal cappello, poi cambiò le scarpe indossando le sue e infine strappò con la spada i merletti più evidenti anche se il colletto divenne sfilacciato e cominciò a prudergli il collo.

Infine, sistemandosi al meglio il capello sulla testa ricciuta e prendendo sotto braccio l’arpa, si avviò con passo spedito verso il castello sbirciando ogni tanto il cielo cupo e carico di pioggia.

Arrivò in orario alle porte del castello di Artù e le guardie, con un ghigno fastidioso e complice sulle labbra, lo fecero passare senza chiedere chi fosse.

Proseguì silenziosamente per le sale buie svoltando a destra e poi a sinistra e alla fine arrivò davanti ad un magnifico portone tutto elaborato dove una ragazza si guardava in giro con aria preoccupata.

Si tranquillizzò soltanto, quando puntando lo sguardo profondo verso di lui, gli fece segno di avvicinarsi.

- Finalmente, il re vi sta aspettando e non sa più come intrattenere gli ospiti. È in collera con voi- esclamò la ragazza mantenendo un tono lievemente isterico.

La riconobbe, era la stessa ragazza che ogni giorno gli portava da mangiare – mi dispiace non volevo farvi passare dei guai per causa mia- si scusò realmente dispiaciuto.

- ma no, ha frainteso tutto. Non sono io che sono arrabbiata con lei- disse arrossendo e tentando a sua volta di scusarsi – allora entri in quella sala e riferisca al re che annunci il mio nome e io gli preparerò un magnifico spettacolo- esclamò ridendo fra sé soddisfatto, il re era in collera con lui… tanto meglio, ci sarebbe stato molto più da divertirsi.

La ragazza, senza aggiungere altro, entrò furtivamente nella sala del trono e richiuse la porta dietro di sé.

Era pronto, aveva fatto quello spettacolo un centinaio di volte, davanti a qualsiasi re o sovrano e di qualunque nazionalità fosse aveva sempre gradito.

Fortunatamente era un attimo musico e sapeva improvvisare in caso di emergenza e la fortuna volle che la sua voce fosse molto soave ma, allo stesso tempo, forte e possente e questo gli aveva fatto guadagnare fama persino in Cornovaglia. Se poi si aggiungeva una innata dote teatrale, una sfacciata faccia tosta e un certo carisma si poteva dire che Tristano, se non fosse stato figlio di un re, sarebbe potuto essere un eccellente menestrello.

Non era pronto invece a rivedere Isotta…

In quegli anni aveva fatto così fatica a dimenticarla tanto che, per i primi tempi, se intravedeva una dama che le somigliava vagamente, scappava dirigendosi il più lontano possibile in cerca di pace.

Attese qualche secondo, e per la seconda volta, la ragazza sbucò nel corridoio buio dove Tristano attendeva.

- è ora, in questo momento il re vi sta presentando al suo pubblico. Dovrò semplicemente avvertire la guardia perché vi apra il portone e poi potrete entrare…- spiegò mantenendo una calma invidiabile - vi ringrazio- esclamò prendendo una lunga boccata d’aria e grattando fastidiosamente il collo ormai arrossato da quel colletto fastidioso.

La ragazza lo osservò per qualche secondo, incuriosita da quello strano menestrello che rispondeva per le rime al futuro principe di Camelot ma si emozionava a tal punto prima di fare uno spettacolo che probabilmente aveva già ripetuto un centinaio di volte.

Non aveva mai notato come quel  velo di tristezza copriva sempre la sua voce e il suo sguardo, come se qualcosa di terribile gravasse sempre sulla sua coscienza.

-Permette?- domandò quella cautamente indicando il suo collo – certamente…- esclamò Tristano ripassando le battute del suo spettacolo a mente, le sapeva ormai a memoria ma aveva paura che la sua voce, rivedendo Isotta dopo così tanto tempo, lo tradisse.

La ragazza fu molto veloce, con abilità tagliò due fastidiosi fili del colletto e lo ripiegò verso l’esterno facendo si che non gli prudesse più.

Tristano, sollevato, le regalò un sorriso sincero e si decise a domandarle quale fosse il suo nome.

-Mi chiamo Ginevra, ma se non le dispiace la pregherei di chiamarmi Guen- disse lei sorridendogli a sua volta.

-Bene Guen, ora sono pronto ad entrare. Avvisate la guardia- le disse convinto stringendo la sua amata arpa.

Guardò la ragazza entrare silenziosamente nella sala del trono e, in due decimi di secondo prima che la porta si aprisse, tutte le battute che aveva ripassato si cancellarono dalla sua mente e rimase il nulla.

La sala era gremita di gente, e la luce delle candele poste sopra ogni tavolo faceva splendere ogni ninnolo sfarzoso delle nobildonne o dei nobiluomi in quella sala e a Tristano parve persino che i loro sguardi rilucessero come i loro gioielli, illuminati da una luce di curiosità.

Lo sfavillio più rilucente, ovviamente, proveniva dalla corona posta la testa di un uomo dallo sguardo duro ed autoritario che lo scrutava torvo dal tavolo centrale attorno al quale erano state poste due lunghe tavole ricolme di ogni prelibatezza e leccornia.

-Uther Pendragon è più spaventoso di quanto mi ricordassi…- questo fu l’unico pensiero che riuscì a formulare prima di inchinarsi con grande rispetto verso l’uomo e i suoi due figli, aveva all’incirca tre anni quando lo aveva visto prima di allora.

Poi, senza dir nulla, si sedette sullo sgabello che era stato appositamente posto per lui al centro della sala e scrutò la folla in cerca di Isotta.

La trovò seduta nella stessa tavolata del re, proprio accanto ad Artù, ma stranamente il suo cuore non fece una piega e sentì un senso di tranquillità pervaderlo improvvisamente, come se l’ansia di qualche secondo prima non fosse mai esistita…

Lasciò subito quegli stupidi pensieri e, scaldando prima la voce, cominciò la sua lunga narrazione:

- Gentili dame e cavalieri, il mio nome è Tantris d’Acquitania, detto anche menestrello del popolo ed è ho girato in tutte le corti europee fino ad arrivare al lontano Oriente alitando le cene e i banchetti di ogni re o imperatore.

Posso affermare con sicurezza che, però, non mi sono mai sentito tanto onorato di intrattenere un sovrano tanto magnanimo, saggio e cortese ma soprattutto amorevole verso i propri figli e sudditi come Uther Pendragon.

E proprio di quest’amore così forte ed intenso, vi voglio parlare in una sera tanto calma, tranquilla e silenziosa come questa.

E quindi vi narrerò, con le stelle che sono mie testimoni, dell’amore dell’eroe delle dodici fatiche, Ercole, che affrontò il suo viaggio con l’obbiettivo di lenire il dolore che provò dopo la morte dei suoi figli provocata dalla sua stessa mano e stregato da una crudele dea.

Un amore tanto grande quanto infinitamente triste accompagnerà il pranzo dei miei gentili ascoltatori e farà provare a loro la gioia ma anche la fatica di essere padre…-.

Dopo quel discorso così toccante, prese in braccio la sua fedele arpa e cantò con la struggente tristezza che accompagnava il suo stesso destino e il suo nome la morte dei giovani pargoli di Ercole, con ardente passione e spirito d’avventura ogni fatica che il semidio dovette affrontare ed infine riuscì a diffondere nella sala un senso di sollievo quando Ercole si liberò dalla sua maledizione.

Quando terminò, un silenzio ricolmo di stima e rispetto si diffuse per la sala.

Uther, con occhi stupiti, si meravigliò dalla passione e dal talento di quel giovane che sembrava sapere più lui del mondo che un vecchio re rinchiuso da tanti anni il quella teca di cristallo che era il suo castello.

Il re si levò in piedi e, con fare solenne, cominciò ad applaudire seguito successivamente dall’intera sala e l’applauso proseguì per diversi minuti.

Tristano però non sorrideva, rimaneva immobile ad osservare la sua amata Isotta che applaudiva entusiasta.

Per la seconda volta, il suo cuore non reagì, anzi, si acquietò battendo normalmente come se stesse osservando una fanciulla qualsiasi.

Impossibile, era sicuramente Isotta quella ragazza dai capelli biondo grano e dagli occhi azzurri quanto il cielo della sua patria… era per quegli occhi, quei capelli e quelle labbra tanto invitanti che il suo animo non si dava pace.

Stranamente, anche osservando in ogni particolare il suo sorriso che incorniciava il viso perfetto ed il rossore per quello sguardo insistente che la scrutava, il suo cuore non accennava a fare bizze o capricci per lei.

-Complimenti messer Tantris d’Acquitania, ci ha offerto uno spettacolo molto emozionante… non siete d’accordo con me Morgana? E voi Artù?- domandò il re rivolto ai suoi due figliocci.

La prima stirò il volto gelido in un sorriso inquietante e, come il padre, si dilungò in complimenti scontati e ripetitivi mentre il secondo lo osservò con una espressione scocciata e confusa e si limitò a pronunciare un debole sì mentre sul volto di Tristano appariva un sorriso vittorioso.

- Dopo questa magnifica esibizione seguirà la festa danzante richiesta dalle nostre gradite ospiti…- disse il re provocando un altro scrosciante applauso – naturalmente anche messer Tantris è invitato- concluse il re rivolgendosi al menestrello ancora seduto sullo sgabello al centro della sala.

Quello si alzò, si inchinò ed esclamò con voce squillante – Spiacente, ma ho altri spettacoli da preparare. Si era concordato solo uno spettacolo per sera- disse con voce vagamente annoiata e molto disdicevole nei confronti del sovrano.

Questa volta il silenzio che si propagò nella sala fu veramente teso e agghiacciante. Uther osservò il menestrello con aria vagamente rabbiosa. Tristano non accennò ad abbassare lo sguardo che si scontrava con forza con quello austero del re mentre ancora nessuno osava parlare.

- La prego, rimanga con noi un altro po’- esclamò una voce dolce e suadente che avrebbe riconosciuto fra mille, un pensiero rapido fluttuò fra i suoi pensieri e consigliò al menestrello di scappare lontano da quella voce.

Tristano la soffocò colpito dal tono implorante di Isotta – lo farò- esclamò titubante il ragazzo.

Anche questa volta i loro sguardi si incrociarono e, per la terza volta, il suo cuore rimase immobile.

Quella non poteva essere Isotta…   

  
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