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Autore: Emily Alexandre    23/06/2011    4 recensioni
È strano come il destino si diverta a giocare con le nostre vite, mescolando e confondendo le carte di un’eterna partita di cui noi, alla fine, non siamo nè vinti nè vincitori. O forse siamo entrambi.
Un antico castello scozzese, un ritratto ed un diario, una donna dimenticata ed una verità da portare alla luce.
Chi era la donna del quadro? Joséphine non può fare a meno di chiederselo: ha il suo stesso nome, le somiglia in maniera impressionante e, soprattutto, sembra essere scomparsa nel nulla senza lasciare tracce. E così inizia una caccia al tesoro dai risvolti inaspettati che porterà una sola risposta e infinite domande.
Una mini long sospesa tra un passato avvolto dal mistero ed un presente assetato di risposte.
"Mi sedetti sul letto e aprii finalmente il pacchetto: conteneva un ciondolo. Lo riconobbi subito: era quello del quadro, stessa grandezza, stesso colore, stessa forma a goccia. Lo posai con cautela accanto a me e aprii il libro con mani tremanti: era il diario di Joséphine. Con il cuore in gola per l’emozione cominciai a leggere."
Genere: Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fu una notte tormentata, continuavo a sognare Joséphine e Jack e spesso i sogni erano tinti di rosso sangue; mi svegliai un paio di volte in preda a tremiti e sudori freddi e quando mi svegliai l’ennesima volta e sentii una voce credetti di essere definitivamente impazzita.
- Jo… sei sveglia? Jo?-
Impiegai qualche istante a capire che la voce non era nella mia testa, ma accanto a me -Si, Ele- le risposi stancamente, girandomi verso di lei tentando nel frattempo di reprimere una lieve nausea.
- Alzati e vieni con me!-
La fissai perplessa, chiedendomi cosa volesse a neanche le cinque della mattina, ma a Elena era difficile dire di no, così mi alzai, mi infilai i jeans e un maglione e scesi con lei; all’ingresso trovai Ale, anche lui con gli occhi ancora mezzi chiusi, che rispose alla mia occhiata interrogatoria con un’alzata di spalle… Ne sapeva quanto me e Elena non rispondeva alle nostre domande, continuava solo a camminare.
Salimmo su una montagna tramite un sentiero che Elena doveva aver fatto con i nostri genitori il giorno prima, in fila indiana, lei per prima, poi io e Alessandro  a chiudere la fila.
L’aria fredda mi faceva bene, la nausea scomparve e la nebbia dei sogni notturni era scivoltava via, consentendomi di respirare normalmente. Quando arrivammo su un ripiano nel cuore della montagna Elena si fermò, sedendosi e guardandoci soddisfatta, con gli occhi splendenti e un sorriso furbo.
Ridemmo istintivamente e ci accomodammo vicino a lei.
- Allora, ci dici perché hai trascinato me e Jo qui nel cuore della notte?-
Mia sorella guardò Ale e sorrise, ma non rispose… Si girò verso l’orizzonte e noi facemmo lo stesso. Si vedeva il paese, quello nuovo, e poco distante le rovine del paese vecchio. Attorno vi era un’enorme distesa verde, e le montagne, mentre l’orizzonte di era tinto dello splendido e misterioso colore dell’alba. Rimanemmo in silenziosa contemplazione finchè non arrivò il giorno: Elena voleva vedere da lì su la nascita di un nuovo giorno e ne era valsa la pena. Quel panorama era da togliere il fiato
- Allora? Bello vero?-
Ale annuì  e io la strinsi - Che c’è piccola, vuoi dirci qualcosa?-
- Si! Mi parlate della Scozia?-
Io e mio fratello ci guardammo e iniziammo a raccontare a Elena tutto quello che i nonni ci avevano detto sul loro paese, sul castello, sulle tradizioni; parlammo per ore, persino lui, che diceva di odiarlo quel paese, ma poi arrivò il momento di tornare, prima che i nostri genitori si accorgessero della nostra assenza e si preoccupassero. Andammo a far colazione, e mamma e papà ci raggiunsero poco dopo; non sospettarono nulla, né noi facemmo cenno a quello che era successo… era un segreto tutto per noi.
La mamma propose di andare in paese a fare acquisti tutti e cinque insieme e la mattinata passò così, tra shopping e risate; erano momenti rari, quelli trascorsi insieme, e tendevo a godermeli completamente.  Tornammo in tempo per un bel pranzo, ma subito dopo salii in camera. Da Joséphine.
 
 
 
“19 Gennaio 1896
 Sono tristi  i giorni senza di lui. Ma di cosa vivevo prima di conoscerlo? Salutarlo è stato straziante e a volte sembra tutto così difficile. Sperare in un cambiamento così radicale mentre sono qui, prigioniera di una vita che non sento mia, a volte mi dà speranza, ma altre… mi sembra solo follia. E poi, lui è lontano. Tanto, troppo lontano. So che è giusto così, ma è difficile accettarlo.”
 
“21 Gennaio 1896
Non so cosa mi porti a dargli fiducia, a mettere la mia vita nelle sue mani. Razionalmente è folle, non lo conosco, so a malapena chi è, non potrei neanche affermare con sicurezza che tornerà, eppure… So che lo farà. È scattato qualcosa dentro di me, quando ci siamo conosciuti, un reciproco rispetto.
Ho aperto il mio cuore e lui il suo, raccontandomi non solo le gioie della sua vita, ma anche i suoi dolori, perché sono ciò che l’ha reso quello che è ora. Sto provando il sentimento più bello che esista, il più forte, e non è un’infatuazione fanciullesca o il capriccio di una nobile viziata; ho sempre sentito il bisogno di evadere da qui, da questa vita, per poter essere libera. Non voglio essere una moglie da mostrare come un trofeo, ma una donna devota ad un marito che mi ami realmente, per quello che sono. E in lui ho trovato la mia completezza.”
 
"24 Gennaio 1896
Le giornate trascorrono per tutti tranne che per me, ogni attimo lontana da lui mi sembra un’eternità. E ora, mentre un’altra giornata se ne va, sono seduta alla scrivania e colmo quest’immensa solitudine riversando i miei sentimenti tra le pagine di un diario silenzioso. Lì fuori il sole si nasconde pallido dietro le montagne, che domani tornerà a illuminare in tutta la sua possanza. E Jack, quando tornerà ad illuminare la mia vita?”
 
“25 Gennaio 1896
Sono uscita a passeggiare questa mattina e, involontariamente, mi sono diretta verso l’albero dove ho salutato Jack. Ho guardato le montagne piene di neve: io tra queste montagne ci sono cresciuta. Qui ho imparato a camminare, a cavalcare, qui ho giocato per la prima volta con la neve. Guardando queste montagne bianche ho iniziato a sognare un grande amore. Qui ho incontrato Jack.
Sarà difficile lasciarle, sarà difficile affacciarmi alla finestra e non vederle.
Dovrò essere forte, per essere felice. Ma mentre le guardavo l’immagine è sparita dietro le lacrime”
 
L’angoscia di  Joséphine traspariva da ogni pagina, invadendomi. Quanto coraggio in una fanciulla così giovane: aveva la mia età, eppure era mille anni più grande di me. La mia vita era semplice, piena d’amore, e leggendo la storia di Joséphine spesso mi sentivo in colpa per le volte in cui mi ero detta triste e insoddisfatta. Di cosa mi lamentavo? Che crucci potevo mai avere io rispetto a quella povera ragazza e a tante come lei, intrappolate in una vita che altri avevano scelto per loro? Decisi di prendere aria e uscii a fare una passeggiata: seduta vicino la sua tomba guardai quelle montagne che tanto amava, quelle montagne che non avrebbe mai abbandonato. Le guardai e capii di amarle anch’io.
Mi sentii viva, immersa in quel verde, in quella natura incontaminata, ed è stata la più bella sensazione che avessi mai provato. Respirare e sentirsi viva. Niente e nessuno mi avrebbe mai potuta privare di tutto quello. Le montagne, il paesino giù a valle… Cercai di immaginarle piene di neve, come tanti pandori coperti di zucchero a velo, ed è stato uno dei pensieri più forti della mia vita.
Mi allontanai solo a sera ormai fatta e dopo cena ripresi a leggere.
 
 
“26 Gennaio 1896
Oggi è stato il compleanno di Louis e tra gli invitati c’era un figlio di un marchese nostro vicino, Phillip, che non si è allontanato un attimo da me. È una persona interessante, semplice, per nulla gonfiata al contrario di molti signorotti che ho incontrato in questi anni; abbiamo chiacchierato molto, ballato, passeggiato, su incitamento dei rispettivi padri, ma ricordo a malapena il suo viso... Qualsiasi cosa io faccia, di chiunque io sia in compagnia in ogni istante il mio pensiero è rivolto verso Jack. Chissà come sta…”
 
“28 Gennaio 1896
Ho trascorso gli ultimi due giorni con Phillip. Ieri subito dopo pranzo è venuto a casa e ha chiesto a mio padre il permesso di fare una cavalcata con me; lui ha accettato e io non ho potuto oppormi, così siamo andati a cavalcare nei paraggi, seguiti da alcuni domestici. È tornato anche oggi e a causa del maltempo siamo rimasti a casa a giocare a dama. Nonostante non abbia molta voglia di contatti con il mondo Phillip un caro ragazzo e  questi svaghi mi servono per far trascorrere più in fretta il tempo che passo lontano da Jack, ma quando la sera mi trovo sola nella mia torre la nostalgia è lancinante”
 
Per qualche giorno interruppi  la lettura del diario perché i miei genitori avevano deciso di portarci a visitare la Scozia: uscivamo la mattina presto e tornavamo la sera tardi, talmente stanchi che per poco non ci addormentavamo vestiti. Visitammo paesi, castelli e rovine di castelli, facemmo gite sui laghi, persino su quello del famoso mostro di Lock Ness.
Avevo lasciato la storia ad un punto morto con Jack in Italia e Joséphine che viveva le sue giornate pensando a lui. Durante le gite ogni tanto la mia mente era altrove, ma la Scozia è così bella, è come se ti impedisse, chissà per quale sortilegio, di pensare ad altro mentre la visiti.
Ciononostante fui molto felice quando, una sera, riuscii a rimanere sveglia e continuare la lettura.
 
“30 Gennaio 1896
Louis ha annunciato di voler diventare prete.
È stato un fulmine a ciel sereno, totalmente imprevisto e lo scompiglio che c’è in casa mi aiuta a non pensare a Jack. Mio padre ha reagito molto male, dopotutto è il suo unico erede. Ha provato per ore e ore di discussioni a distoglierlo dall’intento, ma quando ha capito che mio fratello sembra deciso ad andare fino in fondo ha deciso di accettarlo e si è messo in contatto con la Chiesa Anglicana per farlo arrivare alle più alte cariche; Louis non vorrebbe, ma è l’unico modo per non avere contro nostro padre. È un padre che vuole controllare i propri figli, vederli arrivare in alto e questo pensiero mi disturba molto. So che, quando me ne andrò, verrò dimenticata e cancellata dalla vita di questa famiglia. Mi dispiace, vorrei non dover scegliere, ma non posso fare altrimenti”
 
“11 Febbraio 1896
Per un po’ non ho scritto perché non è successo niente; a casa c’è un via vai di gente e, appena posso, prendo il mio cavallo e vado lontana, pensando alla vita che mi aspetta, ma interrogandomi anche sulla mia decisione. Jack è via da tanto e non smetto di amarlo. Anzi, mi accorgo che questo sentimento cresce ogni giorno di più. Ormai non manca molto al suo ritorno; credo che mia madre e Margaret abbiano intuito che c’è qualcosa che sta succedendo, ma non indovineranno mai cosa.”
 
Quella sera il sonno non mi permise di andare avanti con la lettura, così posai il libro e mi addormentai. La mattina dopo a colazione mio padre ci annunciò, con aria a dir poco estasiata, che saremmo andati a visitare il paese vecchio, che, in passato, era stato governato dai miei antenati; fummo decisamente e imprevedibilmente tutti entusiasti davanti a quella prospettiva.
Il paese vecchio sembrava una città fantasma: era disabitato, ma grazie alle cure che gli venivano riservate si era tenuto in perfetto stato; vagammo senza una meta particolare per un paio d’ore tra quelle strade antiche; dopo un po’ i miei ci lasciarono liberi di andare dove volevamo, appuntamento dopo un’ora all’entrata del paese.
Camminai da sola in quel paese spettrale, un paese senza vita eppure così pulsante. Era come se potessi percepire gli spiriti di coloro che l’avevano abitato, provocandomi paura ed eccitazione al tempo stesso.
Lo adorai.
D’un tratto mi trovai di fronte un edificio cadente pieno di ragnatele con il cartello “Anagrafe” e un lampo mi balenò nella mente: lì sicuramente avrei trovato i vecchi libri dove erano registrati i proprietari del castello! Da lì Joséphine non poteva essere stata cancellata.
Entusiasta vi entrai senza perder tempo. Era buio, se non per la luce che filtrava da una piccola finestra,  pieno di polvere e con assi di legno cadute per terra, ma non mi persi d’animo. Dopo un po’ trovai, in una teca, i registri di nascita e di morte.
Presi l’ultimo, 1800-1900 e combattendo con la polvere e i fogli resi deboli dal tempo lo sfogliai due volte, prima di trovare ciò che cercavo.
-Joséphine McCarter, 19 marzo 1880 da Robert e Christine McCarter-.
Il colpo fu talmente forse che dovetti uscire per respirare aria pulita o avrei rischiato di svenire lì dentro. Tremavo, senza riuscire ad impedirlo. Joséphine era nata il mio stesso giorno.
Cosa significava?
Fino a che punto ero destinata a scoprire la sua storia?
In che modo eravamo legate?
Quando mi fui calmata tornai dentro e presi il registro di morte.
-Joséphine McCarter,19 marzo 1896;cause Ignote
Quell’ignote fu talmente sconvolgente da far passare in secondo piano, lì per lì, il fatto che fosse morta il giorno del suo sedicesimo compleanno.
Ero scioccata, i genitori l’avevano uccisa, in senso metaforico, ma pur sempre uccisa, e avevano messo a tacere proprio tutto.
Guardai un po’ più giù e trovai una cosa che non cercavo, ma che era ovvio che trovassi  -Jack Dalleyes, 18 marzo 1896;Tubercolosi-.
Così era lui ad essere malato e anche di una malattia molto comune per chi, come lui, faceva una vita da girovago. E se avessi sbagliato tutto? E se lei si fosse uccisa il giorno dopo la morte dell’amato, per il dolore? Era possibile.
Ma perché i genitori non avevano rispettato la memoria della figlia, invece di cancellarne ogni traccia?
Guardai distrattamente che ore fossero e il cuore mi arrivò in gola: ero in ritardo di quasi due ore all’appuntamento. Misi tutto a posto e corsi dai miei: trovai solo mamma ed Elena perché papà e Alex erano corsi a cercarmi; ovviamente mi chiesero dove fossi stata e mi giustificai dicendo che mi ero addormentata, cercando in ogni modo di mascherare il turbamento.
Tornati a casa a casa era ormai sera così cenammo e andammo nelle proprie camere; nella torre, che un tempo era stata di Joséphine, guardai il quadro che la raffigurava, il quadro fatto da Jack il giorno… il giorno dopo la sua morte?!?
Jack era morto il 18 marzo e il quadro portava la data del 19.
Com’era possibile? I giorni passavano e le idee invece di schiarirsi, mi si confondevano sempre di più. Troppe cose non combaciavano.
Guardai Joey e pensai a quello che aveva dovuto passare; ci assomigliavamo molto, amavamo l’amore ed eravamo disposte a tutto per i nostri sogni.
Due epoche, due persone quasi uguali, era come se Joséphine volesse recuperare la sua vita attraverso me.
Ho sempre creduto nel destino ed ero convinta che la nostra nascita, nello stesso giorno, il nome che portavamo e la nostra somiglianza non fossero casuali, così come che io avessi saputo della sua esistenza alla stessa età in cui lei era morta.
Aveva lasciato il diario, il ciondolo e il quadro perché una ragazza come lei li trovasse.
Scesi nelle cucine sperando di trovare Hermione e la fortuna mi fu amica.





Note: io lo so che invece di rispondere alle domande ve ne creo di nuove, ma tant'è! Spero che il capitolo, anche se leggermente corto, vi sia piaciuto! Ora, dal momento che dovrei essere a studiare e non qui, sarò breve e  vi lascio, sperando avrete voglia di farmi sapere cosa ne pensate! Vi lascio come sempre il link del mio gruppo su facebook!
 Un abbraccio,
Emily Alexandre

 

   
 
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