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Autore: velocity girl    24/06/2011    7 recensioni
In un mondo tutto suo, dove le parole non possono turbarlo. E se adesso non vede i mille difetti che questa caratteristica può portare - e porterà sicuramente - è solo perché infatuato.
Tanto vale approfittare di questa predisposizione, si dice, mentre negli occhi dell'altro passa un pensiero - gli scurisce le iridi, le illumina di un sentimento - ed accetta ugualmente. Come se niente fosse.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Settimo capitolo:
A.



Il primo tentativo è un cozzare di labbra, duro, sente persino i denti di Jude.
Ed in realtà sarebbe il secondo tentativo, perché durante il Vero Primo ha beccato quel punto del suo viso tra il naso e la bocca, a metà, in una imitazione confusa di espressione passionale.

Quindi durante il primo tentativo ha sbagliato punto, nel secondo c'è stato uno scontro, ed il terzo? Nel terzo mira bene e bacia dolcemente. Quasi accarezzando, senza curarsi nemmeno di una possibile reazione - non può concentrarsi anche su questo, impegnato com'è a trattenere in superficie il coraggio.

In effetti - si rende conto poi - Jude non sta facendo niente: non lo ha fermato, il ché è un bene, ma non lo ha nemmeno incitato ad approfondire o continuare ciò che sta facendo. Non è coinvolto, rimane fermo - fermissimo - come se stesse cercando di capire o di trattenere una crisi isterica.

Si arrende, abbandona le sue labbra, attende una reazione qualsiasi; di certo questo è uno dei modi più chiari che poteva trovare per esternare i propri sentimenti, per quanto poco romantico.
Non che abbia ricevuto qualcosa di romantico da tutta questa storia...
Ma ancora sente solo gelo e questo universalmente non è considerato come un bene.

Si allontana ancora un po' per osservare di persona, per guardare negli occhi la delusione o l'odio o la rabbia o la furia o il disgusto o qualsiasi sentimento Jude stia provando così forte da spingerlo a rimanere immobile.

E a giudicare dal colorito che ha completamente perso - più che dall'espressione - si rende conto che ha fatto benissimo a staccarsi, anche se non può fare a meno di chiedersi perché questo inglese viene sempre preso dalla nausea in queste situazioni.

«Che significa?» Domanda finalmente, stralunato e confuso.
«Jude,» inizia Robert, tentando di non ridacchiare perché si è reso conto di aver finalmente la sua piena, quanto totale, attenzione, «significa che-» siamo innamorati «-ci piacciamo.»

«Sì,» conferma inaspettatamente lui, «tu mi piaci in modo strano.»
«Strano?»

Meglio di niente in ogni caso.

«Non dovresti piacermi.»
«Il destino-»
«Non ricominciare,» quindi ha ascoltato!, «tu non mi piaci come dovresti e non c'entrano niente le tue teorie buffe.»
«Ma...»
«Ora mi baci anche.»
«L'ho fatto. Ti dispiace?» Che domanda idiota. Peccato che la sua mente sia partita e che questa sia stata una delle poche cose che è riuscita a formulare... la sensazione che prova è strana: come se non ci fosse alcuna possibilità di recupero, dopo tutto questo, ed è una situazione così complessa che pare irreale.
Come non credere alla realtà delle cose.

Ed ora che ha svelato ciò che prova, quasi si sente nudo.

«No.»
«No?»
«No.»
«Ok.» Il cielo con un dito, sta toccando il cielo con un dito, lo sente sotto le mani praticamente. La consistenza leggera della felicità - perché è sempre così che ha immaginato le nuvole - e si metterebbe quasi a piangere dalla gioia se non sentisse concretamente che già si è reso fin troppo ridicolo.
Imbarazzante, decisamente.

«Posso farlo di nuovo.» Prova invece, cercando di dimostrare la dignità perduta mostrando la solita sicurezza che non esiste.
Tentativo immediatamente distrutto dalla risposta di Jude - «Non lo so...» - che ha la duplice funzione di mandarlo nel panico, eliminare ogni traccia di certezza e fargli rispondere con lo sconnesso: «Sì, giusto. È strano, la tua ex ragazza. Insomma, sì, ecco. Hai ragione.»

Un imbecille probabilmente avrebbe trovato qualcosa di più sensato da dire, ma fortunatamente Jude sembra star affrontando le stesse difficoltà.

«E tu mi piaci in modo strano.» Ripete infatti, come per esser certo di aver fatto entrare il concetto nella testa del moro.
«Ok.»
«Non lo so. Non è che mi trovo a mio agio...»
«Lo posso capire.» No, non è vero: non lo comprende affatto. Per quando riguarda la sua parte irrazionale dovrebbero già amarsi, già baciarsi e già scappare verso chissà quale paese più caldo, mentre quella razionale sta ringraziando ogni divinità che conosce perché Jude non lo sta prendendo a calci.

«Tu invece?»
«Io?» Panico! «Sì, insomma,» deve inventare qualcosa senza far capire che è stato lì tutti quei giorni intento a sognare ad occhi aperti possibili scenari futuri, «come ti ho detto: ci piacciamo.»
«In modo strano.»
È strano per te, «In modo strano.»
«Ed ora...»

Fidanziamoci! Matrimonio! Figli!
La sua mente sta sfuggendo completamente al controllo, in quella che pare - di nuovo! - l'imitazione di una ragazzina, e la cosa peggiore non è lo scoprire questa assenza di virilità che non aveva mai nemmeno sospettato, ma quanto più il fatto che le sue emozioni si stanno espandendo su tutto il suo corpo e in particolare nella sua espressione, visto il suo Non Proprio Furbo sorriso.
«Possiamo provarci.» Asserisce, sperando di distrarre l'altro con questo attacco di diplomazia.

«Non credo che sia una buona idea.»
«Oh, perché!» Nemmeno è una domanda, ma proprio un'esclamazione, uscita dalla sua bocca con tutta la rabbia possibile; non si stupisce troppo: ha portato pazienza ed ha sopportato, ha tollerato e si è dovuto davvero impegnare per arrivare a questo punto. Per riuscire ad aprire il suo cuore.
Non può certo permettere a lui di distruggere le sue speranze.
Improvvisamente ha voglia di tornare indietro nel tempo, oppure semplicemente da Val, dargli uno schiaffo - o un pugno, ha scoperto di essere bravo con quelli - e punirlo per il consiglio più crudele che abbia mai ricevuto in vita sua.

«Perché è troppo-»
«Non dire strano! O buffo. O qualsiasi aggettivo del genere, non dire proprio niente.»
«Me lo hai chiesto tu.»
«Lo so! Ma cavolo. Tu mi piaci, io ti piaccio, fidanziamoci.»
«Cosa?!»
«Va bene,» concede, «proviamoci,» che cosa ha detto Val? Ah, sì, «tanto sembriamo già una coppia, siamo carini, tu ti comporti diversamente quando sei con me, cosa che si nota chiaramente, e non è perché sono tuo amico. Io non sono un tuo amico, non voglio essere un tuo amico.»
«Lo so.» Ammette imbarazzato l'altro. Sta fissando qualsiasi cosa che non sia lui: le sue scarpe, il pavimento, la parete, il letto, le pieghe delle lenzuola. Tutto quello che i suoi occhi riescono a raggiungere, tranne Robert.
Ma stranamente il suo turbamento ha senso: sta praticamente ammettendo che non ci è, ci fa.

«Lo sai?» Domanda incredulo.
«È evidente, anche se non da sempre,» specifica, «io mi sentivo solo, volevo qualche amico e... sei capitato tu, praticamente fatto apposta. Inizialmente non credevo di piacerti o come lo chiami, ma poi hai preso con tutte quelle battutine...»
«Non hai mai risposto...»
«Beh, non le capivo davvero. Alcune non le ho capite manco adesso.» Risponde tranquillo, come se fosse una spiegazione logica.
 
«In pratica sei un cretino che, per qualche motivo, si atteggia ad ancora più cretino?»

Jude lo fissa per qualche secondo, sorpreso per tutta quella cattiveria, «Sì,» risponde infine, «sì, un cretino.»
«Ma io ti piaccio!»
«Non so come sia possibile, nel piano originale dovevo ignorarti!»
«Piano originale?!»
«Di amicizia: volevo un amico, ignoravo le barzellette incomprensibili-»
«Non erano barzellet-»
«-e restavamo amici.»
«Dove stai cercando di arrivare? Che mi hai sempre preso in giro?»
«Tu hai fatto la stessa ed identica cosa: mi hai baciato e non vuoi essere mio amico, in pratica mi frequenti solo per questo.»

Ha ragione, si ritrova a pensare, ha perfettamente ragione. Si è avvicinato a lui per una scommessa fatta con Val, per convincerlo ad andare avanti con Joanne, si è appassionato ai The Who solo perché voleva conquistarlo. Si è reso conto di adorarlo, di avere un'infatuazione delle più forti, ma questo non vuol dire che non l'abbia preso in giro da quando si sono conosciuti.
Così come Jude ha probabilmente preso in giro lui, fingendosi più stupido di quanto non sia realmente. E - comunque - è una sorta di sollievo sapere di non essere completamente perso per uno dei peggiori cretini di Bristol.

Anzi, paradossalmente sono cretini in due.
E si piacciono.
Il ché è la conferma di ciò che ha sempre pensato fin dal primo minuto, «Il destino ci ha mes-»
«Rob.»
«Vero, niente destino o cose strane.»  
«Rob...»
«Che c'è?»
«Mi dispiace.»
«Anche a me.» Risponde, anche se non capisce dove vuole arrivare con tutti questi giri di parole; si rende solo conto che ha sbagliato momento, che probabilmente avrebbe dovuto aspettare qualche altro giorno o settimana e allora la mente di ciascuno sarebbe stata più libera, più chiara, le intenzioni più sicure.

«Jude...» Non ha intenzione di pregarlo. Negli ultimi istanti i suoi stati d'animo hanno subito un twist decisamente inaspettato e veloce: è passato dalla speranza, alla frenesia, alla delusione, all'eccitazione, alla rabbia, alla frustrazione, per poi tornare alla speranza iniziale. Si sente quasi sfinito per tutto questo.
«Possiamo riprovarci.» Aggiunge quindi, tenendo lo stesso tono di voce calmo, rilassato, eppure concitante. Vuole molto bene a Jude, si è affezionato troppo per arrendersi davvero.

«Possiamo?» Chiede lui, avvicinandosi di nuovo, guardandolo negli occhi come se stesse cercando tutte le risposte ai mille interrogativi che ha nascosto in questa semplice domanda.

«Io ti-» amo «-adoro.»
«Oh.»
«Oh.»
«Rob?»
«Sì?»

Adorami anche tu
.

Gli da' un bacio davvero leggero sulle labbra che, per un attimo, nemmeno ci fa caso... eppure sono morbide, sono vere, sono sue.
Hanno lo stesso sapore dei sogni, pur essendo così terrene.

*


Non chiariscono niente, né quel giorno né i due seguenti: non vanno oltre quel bacetto di Jude. Certo, si sforzano per comportarsi come al solito, ovvero passando la mattina - o la sera - a casa dell'Inglese, solo per rompergli un po' le scatole in attesa di questi esami che non arrivano mai.
Fingendo che non sia cambiato proprio nulla. Ci riescono persino bene - ma oramai paiono bravissimi in questo - visto che le uniche volte in cui si abbandonano è quando si scoprono a fissarsi a vicenda.

Sono sguardi carichi di troppe cose: di tensione, sottintesi, persino desiderio; in questi momenti si rendono conto - con orrore, persino - che se non sono fidanzati è solo perché manca pochissimo. Perché si tratta proprio di quel tipo di tensione carico di riscoperta.

Venerdì arriva che non hanno ancora chiarito nulla, li trova ancora intenti ad ignorare qualsiasi sensazione positiva o negativa che sia.

Robert si è dovuto impegnare anche questa volta per avere la macchina, visto che si trattava dello stesso amico della volta precedente e - come se non bastasse - sarebbe stato presente anche Jude del quale parla interrottamente. Sua madre non ha avuto modo di fermarlo, questa volta, e nemmeno le sue accuse mute lo hanno intimorito come - invece - avrebbero dovuto.

Potrebbe andare tutto bene, perché al momento si trovano di fronte al locale.
Potrebbe andare tutto bene, ma potrebbe solamente, perché entrambi provano la voglia profonda di sparire.

Val li sta aspettando fuori la porta del locale questa volta ed è nervoso come non lo hanno mai visto - non che l'abbiano visto tantissime volte, ma insomma... - visibilmente preoccupato per quello che sarà l'esito della serata. L'intero atteggiamento non si adatta affatto al suo essere un trombettista così bravo - almeno ad orecchio inesperto suona proprio così - visto che sulla carta sarà un'esibizione come un'altra.

Il punto è che per lui tutto questo è di più. Suona da quando si è trasferito a Bristol, costretto al trasferimento dai propri genitori quando erano alla ricerca di non ha mai capito cosa, trasferimento forse un po' pesante da sopportare ma che lo ha aiutato a conoscere l'idea del mutamento.
Mentale, fisico, spirituale: il cambiamento.
E da lì ha provato a cercarlo ancora, senza mai riuscirci veramente. In forma di viaggio non funziona particolarmente, non per lui almeno, che dopo una sola estate si è reso conto che quel tipo di movimento, per quanto intenso, non è adatto alla vita di uno studente.

Non è mai stato un lettore accanito o uno spettatore infervorato, ha sempre creduto che c'è altro tempo per dedicarsi a queste cose, visto che i vent'anni si vivono una volta sola.
Una volta sola, un anno che non torna se lo richiami indietro.
Tanto vale subirli per il meglio, viverli come andrebbero vissuti: non può lasciarli a prendere polvere finché non si esauriranno.

Il bisogno di musica è nato da questo: un gesto che ha vita in sé, la produce e la crea, che porta a mutare gli animi. Ed è stata questa necessità a portarlo verso la sua tromba, verso Joanne, verso il jazz, verso le nottate più fiere, tra guerre con i propri famigliari e combattimenti con altri jazzisti. Musicisti, artisti, persone.

Stava andando tutto bene, almeno per i suoi gusti, fin quando non è arrivato David con il suo essere canadese. Andava tutto bene prima che Lei si dimenticasse delle loro sonorità già sperimentate, tentando di adattarle a quelle più swing di Lui e dei suoi ispiratori francesi.

Ed è per questo che deve lottare: per il suo ruolo dentro quella che è la sua vita. Perché la ama visto ciò che rappresenta - la sua Joanne che è anche la sua musa - e non può permettersi di rinunciarci così dopo tutti questi anni.

Ma nel farlo è nervoso, come possono notare Robert e Jude.
Ed anche loro sono nervosi, come può notare Val.

Fulmina il proprio amico con il più infervorato degli sguardi, tentando di trasmettere più informazioni possibili, emozionato come un ragazzino: «Ma-» inizia, gioioso eppure troppo euforico per suonare veramente rilassato.

«No,» lo ferma Robert, prevedendo ciò che sta per dire, «niente "Ma".»
«Sicuri?»
«Sicuri di cosa?»
«Niente Jude, lascia stare.»
«Eppure mi sembrate sospetti...» Indaga furbo: ha visto tantissime persone in tutta la sua breve carriera, ha visto la gente, ne ha scritto, sa riconoscere i sentimenti chiariti o meno quando li vede.
«Eppure non lo siamo,» lo riprende per la seconda volta Robert, stizzito, «e tu che cosa ci fai qui fuori?» Domanda per cambiare argomento.
«Sono nervoso.»
«Molto?»
«No...»
«Moltissimo, quindi.»

Sorride, ammettendo a se stesso che questa volta è stato scoperto lui, «Moltissimo. Ma mi tranquillizza che si può dire lo stesso anche di voi due.»
E prima che Robert possa esplodere con un "Non è vero!" degno della miglior primadonna, Jude li sorprende con un distratto: «Io sono stato così nervoso.»

«Sì?» Chiedono entrambi, incuriositi: sono arrivati al punto che basta un piccolo accenno del biondo ma più sul castano e drizzano entrambi le antenne.

«Sì.» Risponde, per poi rendersi conto che deve una piccola spiegazione, «Una delle prime volte che io e la mia ragazza... sì, insomma, una delle prime volte che ci ritrovavamo a farlo non abbiamo usato nessuna precauzione.»   
«Stai ancora parlando di l-»
«Ed andava anche bene, perché era notte, ma poi lei si fece prendere dalla follia e mi trascinò nel primo ambulatorio aperto che trovò. E mentre si faceva prescrivere non so quale pillola io ero nervoso, avevo proprio paurissima, sai, perché sono giovane e cose così.»
«Soprattutto non sei maturo. Tu sai che questo non c'entra niente, vero?»
«Il punto è che ero davvero ad un passo dalla morte. Ma lei non era incinta!»

Val annuisce, comprendendo il discorso a grandi linee, e mentre sta riflettendo sul fatto che questa potrebbe benissimo essere paura immotivata, Robert si accorge che: «Sei andato via da Londra per non vederla più?»

Il trombettista si ritrova a ridacchiare di fronte alla conferma di ciò che aveva a malapena chiesto, ma al tempo stesso percepisce di essere di troppo, di non avere più un ruolo in quel discorso: la sua informazione l'ha avuta, così come il consiglio contorto, può trovare il coraggio nel proprio cuore. Dopo un veloce saluto - «Grazie Jude. Immagino non sarà poi così difficile come nel tuo caso.» - fa per entrare dentro il locale.

Robert, alle sue spalle, si limita a sorridere nervosamente, nuovamente preso dai suoi problemi.

«Mi ero stancato di amarla così tanto.» Sente come risposta, che gli arriva fin troppo ovattata, ma non ha tempo di pensare a che cosa significa.

*


Tutta l'ansia, l'agitazione, il cuore in gola e lo stomaco contratto che ha sentito fino ad ora spariscono nel momento in cui la trova, seduta nella stanza che quelli del Jazz Club riservano ai musicisti, intenta a scrivere un sms o qualcosa del genere.

Persa nel suo mondo, a metà fra la musica e la modernità, bellissima come lo è sempre. Non si ferma a guardarla: deve andare da lei e trovare la soluzione che sta cercando, confessare ciò che prova, sentirsi vivo nei suoi sentimenti almeno per una volta.

«Joanne?» Chiede, per sembrare cortese. O semplicemente per non apparire come il tipo inquietante che ti segue di nascosto e rimane a fissarti giusto quei minuti.

«Ciao,» risponde lei senza neanche alzare lo sguardo dal telefono. Digita qualche tasto, poi finalmente gli dona un po' di attenzione, «sei pronto?»
«Un po' nervoso...» Ammette, più tranquillo: sa che con lei può dire qualsiasi cosa, che capirà nella sua maniera schietta.
«Anch'io.» Risponde infatti, alzando lo sguardo e sorridendo sinceramente. In questi momenti non appare nemmeno come la ragazza che è, sembra più matura, nonostante l'accento impostato che si sente in ogni frase.

Per anni è stata proprio questa sua capacità di rasserenarlo che lo ha colpito, lo ha vinto, lo ha costretto ad arrendersi alla musica che compongono: quando lei torna ad essere la Joanne che ha conosciuto.
«Tu non dovresti esserlo...» Le dice, cercando di imprimere in quelle poche parole tutta la stima e tutto l'affetto che prova nei suoi confronti.
«Neanche tu.»
«Io non sono bravo-» non lo sarò mai «-come te.»
«Sei carinissimo Val,» sghignazza, visibilmente contenta, «ma sono agitata per tutte quelle cose che sono accadute ultimamente.»

Ed improvvisamente passa tutto, l'atmosfera si rompe come se niente fosse, lui ricorda tutti i dubbi che lo hanno portato fino a lì: velocemente si accorge che il suo modo di comportarsi è palese, che lei se n'è accorta, deve essersene accorta, che lo sta ignorando di proposito e soprattutto che preferisce David.
Che è andata a riferirgli i suoi dubbi, quindi non è più la ragazza di cui si può fidare. Si infurierebbe se non fosse che la ama così tanto.

«Joanne...»
«Sì?»
«Credo che sia diventata una questione di parti.»
«Lo penso anch'io.»   
«E temo che tu non stia dalla mia.»

Solo dirlo fa malissimo, perché rende tutto reale.
Solo guardarla mentre lo dice fa malissimo, perché rende reale anche la sua reazione, il suo sguardo quasi indifferente.
Si sta ammazzando da solo, nemmeno nel modo più dolce.

«Val, tu sei bravissimo...» fa Joanne, senza guardarlo negli occhi, «...ma anche David lo è, lui è davvero meraviglioso, suona benissimo e...»
E lei è infatuata quanto lo è Robert di Jude.

«Ma se dovessi scegliere?» Tenta, rendendosi conto che buttarsi non è così semplice quando non c'è una melodia a coprire il tonfo.

«Basta, non dire così anche tu!»   
Anche tu.
«Che cosa sceglieresti, Joanne?»
«Basandomi su cosa? Musicalmente o personalmente?» E magari rispondendo a questo modo crede di spiazzarlo, pensa di essere stata brava per tutto questo tempo. Ma non lo è stata: a questo modo ha solo confermato una delle tante domande.
«Scegli solamente.»
«Tu sei un musicista eccezionale, Val.»

Ma nient'altro.
Niente.

«Bene.»   
«E... sei bravissimo. Mi sei sempre stato accanto, mi hai aiutata quando ero disperata, mi hai sopportato sempre, tu...»
«Lo so.»
«Rimani nel gruppo,» lo prega debolmente, «non voglio perderti.»   
«Come Trombettista.»
«Hai una tecn-»
«Come persona?»
«Ti voglio bene,» risponde lei usando una voce flebile, quasi ferita, completamente diversa dal tono che stava usando prima: ha preso a preoccuparsi seriamente, ha davvero paura di perderlo ed è sincera in questo - lui lo sa - ma non sta ammettendo proprio niente, «ti voglio bene.» Ripete.   
«Lo so.»      
«E...»

«Ti amo,» butta infine, per non stare ad ascoltare un altro monologo su quanto sia stato caro durante la loro amicizia, «e so che tu non provi la stessa cosa. Lo so, lo so, che ti piace lui. Lo capisco. Così come capisco che è corrisposto e che vi fidanzerete tra breve e tanti figli tra qualche anno,» continua tutto d'un fiato, senza preoccuparsi se suona troppo cattivo o meno, «lo vedo dal modo in cui tentate di compiacervi a vicenda per qualsiasi cosa. Ma lui è aggressivo come lo sei tu ed ha paura della mia presenza.»  

Joanne non risponde, non dice niente, si limita a fissarlo stupefatta. Difficile capire che cosa sta pensando, se è contenta di ciò che gli sta dicendo Val, perché mantiene solo quella maschera di stupore.
Ignora che Val si sta impegnando - quasi si morde la lingua - per mantenere la dignità e non mettersi ad urlare, ignora che questo discorso così maturo è la cosa più finta che lui le abbia mai detto.

«Sono un buon musicista, so anche questo. Però non è abbastanza: perderai uno dei due, dovrai rinunciarci, e tu preferisci lui.»   
«Io...»      
«Me ne vado per non complicarti le cose, ok? Questo è il nostro ultimo concerto insieme.»
«Mi dispiace. Mi dispiace così tanto...»
«Lo so.» Ma non posso restare.
«Non-»
«Non è un addio.»   
«E non era quello che volevo dirti.»

Ed è Joanne nei due ruoli che interpreta ogni giorno: è Joanne la ragazza un po' cafona, esaltata e genuinamente contenta, è Joanne la musicista in pace con la propria tristezza. È la Joanne che si è innamorata, alla fine, ma non di lui.
Questo serve a renderla un'estranea.

Si chiede se quella ragazza lì sia la stessa che lo ha esortato con la musica, lo ha invitato - quasi costretto - a suonare per il suo gruppo e a continuare nel suo sogno jazzistico, il motivo principale per il quale si impegna così tanto. Si domanda se ha mai provato qualcosa per questa ragazza così diversa, perché nel suo cuore non sente più nulla.

Non si tratta di un sacrificio, l'abbandono del gruppo non è stata una scelta dettata dalla sua volontà di andarsene o di rimanere, né tantomeno una questione di orgoglio. Sapeva già che sarebbe andata male, sapeva che non era corrisposto, sapeva tutte queste cose: lo ha fatto comunque perché era arrivato il momento.
Di dire addio a lei, al gruppo, ai suoi sentimenti.

E tutto questo - pensa con una nota di cupa ironia - aiuterà molto al suo essere jazzista: alla sua carriera farà bene, no? Altro dolore, altra solitudine come se non bastasse quella che già sentiva prima.

«Tutto okay?» Domanda lei, finalmente in piedi ed accanto a lui.

Non risponde, semplicemente perché la percepisce come retorica.

Preferisce salutarla neutro, per poi allontanarsi.

Va verso la sala principale e sale sul palco, lentamente, senza fretta, non vuole rischiare di imporsi di fronte alla folla ignara di tutto ciò che è successo - e sta succedendo - ma preferisce stare lì in silenzio ad osservarla, guardando i pochi clienti seduti ai tavoli si rende conto che per loro tutto questo - lui, Joanne, la loro unione, il gruppo - non ha nessuna importanza.
Nemmeno per i musicisti, per gli amici, per le persone: non importa a nessuno.

Dal suo tavolo Robert si distrae da Jude per qualche secondo, alza la testa e si accorge della sua presenza; non si muove, ma pare sorpreso, domandando con i propri occhi. E Val gli sorride come se fosse un vincitore, mentre nel suo cuore è solo contento che il suo amico sia riuscito, al contrario suo.
Non importa quanto il loro chiarimento non sia stato tale, infatti, almeno sono lì insieme: hanno resistito.

Ed improvvisamente realizza - anche se con una certa freddezza - che questo sarà il suo ultimo concerto per e con Joanne. Dopodiché sarà - resterà - solo, con tutte le sfumature annesse e concesse dal suo nuovo stato di cuore infranto, solo.
E da solo ritornerà a suonare.





Note:
Sto passando un momento orribile ed immagino che questo si rifletta davvero tantissimo nella scrittura. Voglio solo approfittarne per scusarmi se in questo periodo sono stata intrattabile ed odiosa con praticamente tutte voi, mi rendo conto che non mi si sopporta più e mi spiace - ma credo proprio di essere arrivata al mio limite.
Comunque, lasciando da parte queste scemenze che non hanno nulla a che fare con la storia o con il fandom in generale, spero che il capitolo vi piaccia lo stesso :D

Vi informo che è interamente e totalmente dedicato a Vane. Tutto quanto, in ogni parola, lei riconoscerà anche delle piccole citazioni alla sua persona :D il fatto è che quando sei stata qui abbiamo parlato molto anche di questa fic - e dei tuoi progetti futuri, naturalmente - cosa che mi ha aiutata a plasmare alcune idee che non avevo il coraggio di buttare fuori. Un grazie enorme, sperando che il capitolo ti piaccia. Ed auguri per il tuo onomastico di ieri!
Ed auguri ancora perché domani vengo a casa tua e dovrai sopportarmi per taaaaanti giorni. Buona fortuna, insomma. Ti lovvo è_é

E gente~ so che questo capitolo nella sua interezza è abbastanza angst. Nel prossimo - LO PROMETTO! - mi farò perdonare. Ghghgh.
  
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