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Autore: Irine    26/06/2011    5 recensioni
La mia vita scorreva tranquilla, era semplice, normale, a volte anche un po’ noiosa, ma mi piaceva, mi lasciavo condurre da essa.
Finché non è arrivato lui. Quel ragazzo. Il ragazzo con gli occhi del mare, colui che mi ha fatto tornare indietro, in un mondo sconosciuto, nel quale avevo vissuto in passato.
Non ricordavo niente del mio passato, della mia vita prima di compiere sei anni.
Più cercavo di far luce su quel periodo, più la mia mente si confondeva.
Non avrei mai immaginato che fosse tanto cruento, tanto orribile.
Ma d’altronde, non avrei neanche mai immaginato che dopo dieci anni, il mio passato sarebbe tornato a cercarmi.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole traspariva dalle persiane e si posava sul mio viso, soffermandosi sui miei occhi, costringendoli ad aprirsi. Mi misi sotto il cuscino, cercando di sfuggire alla luce del sole, ma in quel momento la sveglia cominciò a suonare e mi torturò i timpani con il suo rumore angosciante. Possibile che non avessi neanche un briciolo di febbre? Magari il morbillo, la varicella, macché, niente. Oggi ricominciava la scuola!
 Mi alzai, chiaramente contrariata e scalciai via le coperte. Spensi la sveglia rischiando con la mia solita grazia di romperla, e gironzolai per la stanza con l’aria assonnata e le palpebre ancora socchiuse. Tirai su le persiane della finestra e la luce del sole si tuffò nei miei occhi facendomi svegliare del tutto.
La città non si era ancora svegliata, era troppo presto, era ancora persa nei suoi sogni. Sugli alberi gli uccellini appena svegliati cinguettavano e pigolavano. Tutto intorno era tranquillo, non c’era un solo rumore che osava turbare la quiete di questo piccolo paradiso.  Per un attimo mi persi in questa quiete, poi ad un tratto mi venne in mente una cosa: LA SCUOLA!
Guardai la sveglia: cavolo, ero in ritardo! E di molto. Filai di corsa in bagno, mi lavai più in fretta che potevo, afferrai lo spazzolino e mi sciacquai i denti mentre correvo in camera a vestirmi.
Nella fretta lo spazzolino cadde per terra e io scivolai sul dentifricio, beccandomi una bella botta di prima mattina. Che dolore! Che dolce risveglio! Mi rialzai in piedi e rimisi lo spazzolino al suo posto prima chi ci inciampassi di nuovo. Mi vestii in fretta e furia e scesi di sotto. Le otto meno un quarto. Ok, non ero così in ritardo dopo tutto, finalmente mi sedetti, con il mio immancabile succo alla pera in mano e mi massaggiai la gamba indolenzita dalla caduta di prima. Mi riposai 5 minuti ed uscii di casa. Laila è già lì che mi aspettava, chiaro, lei era sempre puntuale.
- Finalmente, ma quanto ci hai messo? Mi hai fatto aspettare un’eternità! Credevo che avessi marinato la scuola!
- Esagerata! Sono in ritardo solo di qualche minuto! - dissi io, anche se sapevo che aveva perfettamente ragione.
- Qualche minuto? Ma lo sai che ore sono?
- Va bene, va bene sono in ritardo, e dai anch’io qualche volta ho dovuto aspettarti!
- A parte che non è mai successo, e poi una volta può capitare ma sempre . . . . secondo me lo fai apposta!
- Ma non è vero! – esclamai ridendo.
- E che mi dici di quella volta che ti ho dovuto aspettare 2 ore perché avevi sbagliato strada? - ribatté lei.
- Beh, se vai proprio a cercare il pelo nell’uovo . . . Sei solo gelosa perché tu non hai un talento ritardatario come il mio!
Scoppiammo a ridere. Il sole picchiava sopra la nostra testa, fino a diventare quasi insopportabile.
- Sarebbe una bella giornata per andare al mare e non a scuola. – sussurrò Laila, quasi sovrappensiero.
A quelle parole mi ritornò in mente il sogno che aveva fatto quella notte. Era strano, incomprensibile. Mi trovavo davanti a un lago, e qualcosa dentro di me si era mosso. Qualcosa di doloroso, come se una mia vecchia ferita, non ben rimarginata, si fosse riaperta dopo tanto tempo. Il mio cuore si era intristito di colpo, ma la mia mente non ne capiva il motivo. Mi ero sentita confusa, e per un momento avevo anche creduto che qualcuno mi stesse osservando; ma intorno a me non c’era nessuno. Ero sola.
- Dai andiamo, o faremo tardi- disse Laila, facendomi tornare con i piedi per terra. A dire il vero sembrava che arrivare in ritardo fosse la cosa che desiderava di più al mondo.
Arrivammo a scuola. Nell’atrio c’era un mare di gente che si riabbracciava, si lamentava e che aspettava che la propria classe fosse chiamata.
Riabbracciai tutte le mie amiche che non avevo più visto dalla fine della scuola. Sembrava di essere ad una rimpatriata, anche se un po’ più malinconica. Il bidello chiamò la nostra classe e noi ci avviammo verso i nostri nuovi luoghi di tortura. Prendemmo posto e il professore di storia entrò in classe, fece l’appello e ci salutò gentilmente. In fondo il professore era un tipo simpatico e comprensivo, ma allora perché mentre iniziava a parlare avevo una gran voglia di urlare e di buttarmi dalla finestra?!
Le ore si susseguirono molto, molto lentamente ma fortunatamente senza troppe sorprese, almeno finché non entrò il professore di italiano e ci annunciò che domani avrebbe fatto un test sui più famosi poeti italiani, per vedere cosa fossimo riusciti ad assimilare su quell’argomento, durante le vacanze estive.
Dai miei compagni provenne un mormorio di disapprovazione.
- Silenzio – ci ammonì il professore. – Il test non è difficile, e se quest’estate avete studiato come si deve non avete nulla da temere, no?- Fantastico! Io e Laila ci guardammo sconfortate, i poeti italiani? E chi se li ricorda? Il prof la faceva facile, se avevamo studiato . . . . . però se qualcuno non aveva studiato? O anche se avesse studiato non si ricordasse nulla? Come nel mio caso? E ora come avrei fatto?
Laila non era certo messa meglio di me, ma la prendeva con filosofia:
- Guarda il lato positivo, anche se prendiamo quattro al primo compito, in quelli altri potremo solo migliorare no?- Grazie tante! Il problema era che non era affatto facile recuperare un 4, soprattutto con il nostro prof di italiano. Era una persona che non ti regalava nulla, e che non ti aiutava molto. “O ti pieghi o ti spezzi!” Questo era il suo motto. Da noi studenti era stato cambiato ed era diventato: “O ti pieghi o ti spezzo”, e il professore di italiano era un tipo che non si faceva problemi a darti un due in pagella. Andavamo bene.
Tirai un sospiro, non c’era altro da fare, dovevo mettermi sotto per studiare tutto. Già a studiare il primo giorno di scuola, che strazio.
Anche l’ultima ora finì e uscimmo più tristi e demoralizzati di quando eravamo entrati.
Salutai Laila e tornai a casa, mia madre vide la mia aria sconfortata e disse:
- Direi dalla tua espressione che il primo giorno di scuola è andato a meraviglia!
- Già, proprio- risposi, accennando un sorriso.
- Muoviti che dobbiamo mangiare.
Poco dopo ci mettemmo a tavola, ma non avevo fame, il che era abbastanza strano, ma come faceva a mangiare sapendo che domani il prof. avrebbe fatto un test al quale avrei preso di sicuro 4? Quattro? Macché! Ci avrei preso 2 altroché!
C’erano solo tre soluzioni: o tiravo una bastonata al prof. costringendolo a non fare più il compito. No, troppo pericoloso, avrebbe potuto citarmi per danni fisici e morali. O resto a casa, ma non è un’opzione possibile visto che i miei mi mandavano a scuola a forza. E anche se mi avessero lasciato a casa il prof. mi avrebbe fatto rifare il test. No! Decisamente questa non era la soluzione migliore.
Restava l’idea geniale! Dovevo solo aspettare che mi venisse in mente.
- Non hai toccato cibo- osservò mio padre.
Come potevo fare?
-Ehi Grace!
-Eh?
- Non hai toccato cibo, non hai fame?
- Ehm, no, non ho tanta fame e poi non ho tempo per mangiare, devo andare a studiare - dissi scoraggiata. Mi alzai da tavola portando il mio piatto, ancora pieno di cibo, all’acquaio.
Salii le scale, andai in camera e mi buttai sul letto, aprii il libro e cominciai a studiare. Sottolineavo le cose  più importanti, ripetevo e memorizzavo i concetti, sì questo lo sapevo, questo pure. Però, che palle! Passò un’ora, due ore, tre ore . . .  Alla fine mi scoppiò la testa e non ce la feci più. Scesi e presi dal frigo un succo di frutta, per fare una pausa. Jenny intanto parlava e scherzava al telefono, mi infastidiva vederla così spensierata, possibile che non avesse mai niente da fare? Chiuse la telefonata e mi guardò:
- Hai già finito i compiti?- disse stupita. – Meno male! Credevo che ci saresti stata tutta la giornata - mia sorella che si preoccupava per me? Incredibile! – Preferisci lo studio piuttosto che il divertimento, io non ti capisco proprio. - aggiunse poi cercando di provocarmi. E mi pareva strano che si preoccupasse per me!
- Beh non tutti possono fare quello che vogliono quando vogliono, come fai tu!- risposi io, cogliendo al volo la provocazione.
- ah già certo, studia povera piccola, altrimenti mamma e papà si arrabbiano!- mi schernì. Ora la strozzavo!
- Stai zitta Jenny!- Lei mi guardò con aria di sfida. – Altrimenti che fai? Mi denunci a mamma e papà? Sto tremando di paura!
Sì, era definitivo! L’avrei strozzata. Purtroppo mia madre entrò in casa in quel momento e mi impedì di mettere in atto il mio proposito.
- Hai finito di studiare?- Domandò mia madre.
- No, non ancora ero scesa per fare una pausa e . . . .
- Come non hai finito? Sono le 5 e mezzo e stai qui a gingillarti? Fila subito a studiare! – urlò mia madre. Mia sorella fece un sorrisetto che avrei tanto avuto voglia di cancellare dal suo viso, ma adesso non potevo, ci avrei pensato più tardi. Salii le scale, ahimè i poeti italiani erano ancora in camera che mi aspettavano, uffa! Mi ributtai sul letto e ricominciai a studiare. Quando verso le otto rialzai gli occhi dal libro mi sentivo talmente fusa che non sapevo neanche chi ero e dove mi trovavo! Che stanchezza! Scesi giù e venni travolta dall’ondata di domande di mia madre. Domande? Quello era un interrogatorio.
- Hai finito i compiti?
- Sì mamma!
- Sei sicura?
- Sì mamma!
- Hai studiato bene?
- Sì mamma!
- Guarda che se prendi un brutto voto mi arrabbio! Hai avuto tutta l’estate per studiare e come al solito ti sei ridotta all’ultimo giorno!
- Sì mamma! – Uff! Che strazio.
- Allora? Continuerai a comportarti in questo modo?
- Sì mamma!
- Cosa? - urlò mia madre.
- Eh? Che hai detto?
- Ti ho chiesto se hai intenzione di continuare in questo modo - disse mia madre scandendo bene le parole.
- Ehm… no, no non ti preoccupare non succederà più!
Mia madre mi fissò come se mi fossi potuta tradire da un momento all’altro, o come se avessi potuto dire “ Ti ho fregato”, quando meno se lo fosse aspettato.
- Andiamo a cena, e che non riaccada più una cosa simile. - Appena riuscii a liberarmi dal terzo grado di mio madre, mi lavai le mani e andai a cena.
Cenammo tranquillamente, e subito dopo andai a letto.
Ero talmente stanca che mi addormentai subito senza neanche accorgermene, e mi lasciai trasportare nei sogni più profondi.
Di nuovo quegli alberi. Di nuovo quel prato. I contorni non erano ben definiti, sfumavano nel paesaggio. Di nuovo quel bellissimo lago, davanti a me. Le sue acque erano talmente limpide che si riusciva a scorgere il fondale pieno di pietre e pesci. Come la notte prima, un senso di solitudine affiorò nel mio cuore e si espanse, fino a diventare insopportabile. Non capivo il perché.  Non capivo da dove proveniva quel dolore acuto, c’erano dei ricordi nella mia mente, ma per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad afferrarli.
Aguzzai la vista e notai un’ombra al di là del lago. L’ombra si ingrandì ancora di più, e prima che potessi morire di paura, prese la forma di un uomo.
- Stai attenta e reggiti forte, perché stiamo per venirti a prendere! – sentii dire nella mia mente.
Mi svegliai di soprassalto, ansimando e sudando. Che voleva dire? Chi e perché mi stava venendo a prendere e per portarmi dove poi?
Era irrazionale essere tanto spaventata da un sogno, ma non era quello la fonte della mia paura. Quella voce aveva risvegliato qualcosa in me; qualcosa di estraneo e di familiare al tempo stesso. Non appena avevo udito quella voce, il mio cuore aveva sussultato di gioia, e non capivo perché. Ma su una cosa non c’erano dubbi. Anche se non sapevo di chi era quella voce, conoscevo un dettaglio molto più importante: quella voce apparteneva al mio passato. Al mio passato scuro e nero, su cui non ero mai riuscita a far luce.
 
Ancora non lo sapevo ma da quel giorno la mia vita sarebbe stata sconvolta. Definitivamente. Niente sarebbe stato più uguale a prima, tutto sarebbe cambiato. Per sempre.
  
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