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Autore: Irine    25/06/2011    5 recensioni
La mia vita scorreva tranquilla, era semplice, normale, a volte anche un po’ noiosa, ma mi piaceva, mi lasciavo condurre da essa.
Finché non è arrivato lui. Quel ragazzo. Il ragazzo con gli occhi del mare, colui che mi ha fatto tornare indietro, in un mondo sconosciuto, nel quale avevo vissuto in passato.
Non ricordavo niente del mio passato, della mia vita prima di compiere sei anni.
Più cercavo di far luce su quel periodo, più la mia mente si confondeva.
Non avrei mai immaginato che fosse tanto cruento, tanto orribile.
Ma d’altronde, non avrei neanche mai immaginato che dopo dieci anni, il mio passato sarebbe tornato a cercarmi.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ero nella mia camera e cercavo di memorizzare quante più informazioni possibili sui più famosi poeti italiani, di cui naturalmente non riuscivo a ricordare nulla.
Era una bella giornata, i raggi del sole risplendevano nel cielo illuminando tutta la città.
No! Era contro le leggi umanitarie restare chiusi in casa in una così bella giornata di sole, contro la propria volontà. Sarebbe stato sequestro di persona. Inoltre domani ricominciava la scuola e non mi andava di sprecare il mio ultimo giorno di libertà in quel modo. Tanto quell’anno avrei avuto fin troppo tempo per studiare. Chiusi il libro e mi buttai giù dal letto rischiando una bella capocciata nel comodino che evitai per un soffio. Mi infilai le scarpe e scesi di corsa al piano terra.
- Torna a casa verso le otto. - mi ammonì mia madre.
- Tranquilla mamma spaccherò il secondo!
Uscii, chiudendomi la porta alle spalle, e venni investita dalla luce del sole, i raggi si riversarono nelle iridi dei miei occhi verdi, screziati nell’azzurro. Il lieve venticello mi scompigliava i capelli e il sole giocava con i miei riccioli dorati.
Il mio era un paese molto piccolo, tutti si conoscevano e si facevano gli affari degli altri, e quando avevi bisogno di una mano, avevano gli occhiali appannati. A volte avrei voluto uscire da quella città, tanto piccola che si vedevano i confini ad occhio nudo, sentivo che il mio posto non era qui ma da un’altra parte, come se fossi capitata lì per sbaglio. Non mi ero mai sentita a casa in quel paesino, nonostante ci fossi cresciuta. Forse erano solo paranoie, forse avevo solo voglia di conoscere il mondo, cosa normalissima che accade quando uno ha sedici anni.
- Ciao Grace - mi salutò gentilmente la mia vicina di casa, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Le risposi con un sorriso e corsi dritta verso la casa di Laila. Laila è la mia migliore amica, la conoscevo da quando andavamo alle elementari insieme, siamo sempre state insieme, in un modo o nell’altro non avevo ricordi che non fossero legati a lei.
Suonai il citofono, mi rispose una voce allegra e vivace.
- Ciao Grace, sali pure ho una sorpresa per te!
Salii le scale e scoprii il motivo di tanto entusiasmo. Stava preparando le pizzette.  Aiuto! Cercai di dileguarmi ma inutilmente, mi afferrò per un braccio e mi spinse verso le pizzette, se così si potevano chiamare.
-Queste le devi assaggiare, le ho fatte personalmente, ci ho lavorato tutta la mattina!- trillò lei contenta.
Guardai le pizzette, sconfortata. Le pizzette di Laila, al primo posto tra i suoi terribili esperimenti culinari, no al secondo, al primo posto c’erano i biscotti. Ne assaggiai una ma solo per farla felice.
-Beh? Sono buone vero?- Non sapevo esattamente cosa risponderle, erano senz’altro la cosa più disgustosa che avessi mai mangiato in vita mia.
- Sono ottime! Magari un pochino troppo dolci . . . – risposi a denti stretti.
- Ah, forse non avrei dovuto metterci il cioccolato . . .
- Che hai detto?
- Ci ho messo il cioccolato volevo provare una nuova ricetta e così . . .
Il cioccolato? Il cioccolato nelle pizzette? Oddio stavo per vomitare. Le pizzette avevano decisamente guadagnato il primo posto distanziando tutti gli altri concorrenti, scommetto che se avesse lasciato quelle pizzette sul tavolo si sarebbero buttate nel cestino da sole per non rischiare di ammazzare qualcuno.
Dopo essermi ripresa, uscimmo di casa, ridendo e scherzando tutto il pomeriggio, ci sedemmo sul nostro muretto preferito e ci lasciammo cullare dal vento e accarezzare dai raggi del sole, ognuno perso nei propri pensieri. Non ci potevo credere domani si ricominciava, tutte le interrogazioni, le verifiche, le urla delle professoresse che ci assordavano, sembrava ieri che me le ero lasciate alle spalle e da domani me le sarei ritrovate davanti. Uff! Già pensare queste cose mi faceva venire la stanchezza. Guardai la mia migliore amica, non sembrava affatto più contenta di me all’idea di un nuovo anno scolastico. Ad un certo punto mi fissò e mi chiese:
- Che hai?
Era incredibile! Riusciva a capire tutti i miei pensieri senza che io aprissi bocca.
-Niente stavo solo pensando che non so se reggerò ad un altro anno scolastico.
-Già, mi ricordo che l’anno scorso ti ho dovuta portare in spalla da tanto che eri stanca.
-Non sto scherzando dico sul serio, come faremo a sopportare altri nove mesi di tortura?!
-Faremo come al solito, la professoressa ci dirà cosa fare e appena si gira faremo quello che ci pare!
Ridemmo spensieratamente finché non ci accorgemmo che anche l’ultimo raggio di sole stava per scomparire.
Guardai l’orologio . . .  Accidenti! Erano le otto e se non ero a casa entro un secondo mia madre stavolta mi uccideva sul serio.
-Ciao Laila devo scappare se voglio evitare la carneficina!
-Domani ti aspetto fuori casa e andiamo a scuola insieme, ok?
-Certo! C’è bisogno di chiederlo?
-Ciao!
Corsi lungo la strada per tornare a casa, oddio non ce l’avrei mai fatta a tornata in tempo.       
Stavolta mi sarei beccata proprio una bella strigliata. Arrivai davanti al portone, guardai l’orologio, le otto e un quarto. Entrai in casa, regnava un inquietante silenzio, che strano non c’era nessuno. Salii lo scalino davanti alla porta e con la mia incredibile destrezza riuscii a inciampare e a colpire la lampada di vetro. In un secondo mi trovai con le ginocchia a terra e i vetri della lampada vicino a me. Accidenti avevo rotto la lampada! E ora come lo avrei detto alla mamma?
Beh, dopotutto le avevo detto che avrei spaccato il secondo, e invece ho spaccato la lampada, potevo sempre sperare che per lei fosse la stessa cosa e che non se la prendesse troppo. Sentii la serratura della porta aperta da una chiave, la porta scricchiolò e mia madre entrò in casa.
- Ciao Grace, ero uscita un attimo per comprare il sale e . . . ma . . che è successo?!
- Ehm, . . . ciao mamma come va?
- Grace! - tuonò mia madre - Che hai combinato?!
-Beh, ecco, . . ho avuto un piccolo incidente e ho rotto la lampada. Però, non l’ho fatto apposta.
Mia madre mi guardò con i suoi occhi blu, ridotti a due fessure e disse impassibile:
- Rimetti a posto questo casino, poi andiamo a cena. - Meno male, l’avevo scampata! Era questo il bello di mia madre non è capace di arrabbiarsi troppo. Riusciva a tenere il broncio per un po’ ma poi mi perdonava e le tornava il sorriso. In quel momento mia sorella Jenny entrò e esclamò con un sobbalzo:
- Che è successo?! - ci risiamo, ora mi toccava rispiegare tutto.
- Sono scivolata e ho fatto cadere la lampada- risposi io un po’ scocciata.
Mia sorella si chinò e mi aiutò a raccogliere i cocci. Jenny aveva tre anni più di me, non mi assomigliava per niente, i suoi capelli erano di colore castano chiaro e i suoi occhi erano di un blu così scuro da sembrare quasi nero, il fisico snello e l’andatura così aggraziata, che non sembrava neanche che camminasse. Io invece penso di aver già dato prova della mia innata destrezza. Non andavo molto d’accordo con mia sorella, sentivo molto più vicino a me Laila più di quanto considerassi Jenny una sorella. Lei non aveva tempo per occuparsi di me, ogni volta che le chiedevo un aiuto, un consiglio, aveva sempre qualcosa da fare, evidentemente più importante della sua sorellina minore.
-A cenaaa!- urlò mia madre dalla cucina.
-Muovetevi!- strepitò mio padre, - L’ultima volta mi avete fatto aspettare un’ora! Il mio povero stomaco brontola, come potete essere tanto insensibili?! 
Buttai i cocci nel cestino, ed entrai in cucina, mio padre avrà avuto circa quarant’anni anche se a  volte sembrava più giovane, lavorava in banca ed era il direttore generale. Aveva gli occhi marrone chiaro da sembrare giallo e i capelli biondi, nonostante cominciasse a spuntare qualche capello bianco. Ormai avevo smesso di farglielo notare, chissà perché ma l’idea dei capelli bianchi lo infastidiva. Mia madre invece, aveva gli occhi blu, che al sole diventavano chiarissimi e i capelli neri come il petrolio. Nonostante i colori contrastanti, il suo viso sembrava una pittura rinascimentale. Lavorava come segretaria in un ufficio al centro della città.  Andammo a cena e parlammo del più e del meno. Come al solito io combinai qualche guaio, tipo rovesciare tutta l’insalata in testa a mio padre. Sembrava un mostro marino coperto di alghe! Passammo tutta la sera così; ridevamo allegri e contenti, mentre un pensiero mi attraversava la mente:
Domani ricominciava l’Inferno! 
 
 


Ho chiesto a mia madre cosa ne pensava della storia, ma le mamme non dicono mai la verità. Per favore rencesite, così mi dite cosa ne pensate!!
  
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