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Autore: MeggyElric___    28/06/2011    5 recensioni
Il seguito della mia ormai conclusa GOLD IN THE BLUE, è ambiantata circa 18 anni dopo.
"Eppure, per quanto segreto e rinchiuso in antiche immagini, ecco che un lume dai riflessi saettanti torna a fare capolino nella mente, ultimo breve ma bruciante graffio a un cuore ormai dolorante.
E una luce, un sole che più non esiste, torna a splendere, come se non si fosse mai estinto. Ed ecco piombare su di lui, e sul suo respiro pesante e saggio, temprato da mille avventure, una pioggia battente colma di rimorsi e parole ormai spente, illuminati da un barlume che pareva troppo lontano per essere raggiunto, ma allo stesso tempo così vicino da poterlo sfiorare, allungando un braccio al cielo, come a tentare di catturare una stella.
Una luce senza tempo."
Spero davvero in un altro successo :) Buona lettura!
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Winry Rockbell
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci qua, un’altra volta. Devo dire che ricopiare pagine e pagine scritte a mano sta diventando meno estenuante, ora che la scuola è finita xD Ma accantoniamo l’argomento, mi scuso per il ritardo. Non riuscirò più a postare una volta alla settimana, spero solo che l’irregolarità degli aggiornamenti non crei troppi problemi. Oggi ho risposto a tutte le vostre recensioni: i vostri complimenti mi lasciano sempre senza parole, grazie!

 

Nello scorso capitolo abbiamo lasciato Edward in balia dei suoi ricordi, Winry alle prese con la torta di mele e i ragazzi che tornavano dal luogo della loro chiaccherata. In questo capitolo, verrà svelato qualcosa che, piano piano,  vi aiuterà a rimettere insieme i pezzi della storia.

Buona lettura! :)

 

 

 

CAP. 3: IL MIO MIGLIORE AMICO

Era quando calava la sera che Edward s’accorgeva veramente di quanto la sua Rosalie si stesse estraniando da tutto ciò che riguardava la famiglia. La vedeva sempre uscire, in silenzio, avvolta ogni notte da un abito scuro, che risultava essere una sorta di camicia da notte, del color della notte, che tanto faceva confondere il suo corpo nell’oscurità.

Ma i capelli biondi, argentei sotto la luce della luna, si smuovevano appena dalle sue spalle, ritmati dal calmo ansito del suo respiro regolare, illuminandole il viso – e la pelle chiara, gli occhi luminosi colore del mare – fino a farla sembrare un angelo delle tenebre.

L’ex alchimista serrò i vetri della finestra dalla quale osservava la figlia, seduta in silenzio sui gradini della veranda all’ingresso, i piedi nudi tra l’erba e lo sguardo volto al cielo stellato.

Gettò uno sguardo a Winry, che era china sul tavolo da lavoro, alla luce della lampada che gli stava vicino, e trafficava con vari attrezzi che Edward già conosceva, tante erano le volte che avevano fatto visita alla sua gamba sinistra. Le scoccò un sorriso tenero che lei ricambiò, infilandosi gli occhiali con le lenti graduate e tornando ad occuparsi dell’automail che stava assemblando, molto probabilmente per un cliente.

Edward raccattò un elastico sul comodino e se lo portò alle labbra, mentre le mani raccoglievano i lunghi capelli dorati sulla nuca. Prese poi tra le dita l’elastico e lo annodò tra i capelli, sbuffando indispettito ad alcuni ciuffi che erano sfuggiti al suo controllo.

-          Ed? Dove vai?

Chiese Winry a mezza voce, liberando gli occhi azzurri dai grossi occhiali e osservando il marito stringere la maniglia tra le dita, pronto ad abbassarla. Il biondo si voltò, facendo ondeggiare la coda appena fatta.

-          Da nessuna parte.

Disse, guardando altrove, con falsa indifferenza. La meccanica si portò le mani ai fianchi, sbuffando.

-          Ti conosco da quarant’anni, pensi che non riconosca quando qualche idea ti frulla per la testa?

-          No, ma...

-          Avanti.

-          Ah, Winry...

Sospirò passandosi una mano sul viso.

-          Voglio parlare con Rose.

Winry gettò un breve sguardo alla finestra, senza però riuscire a scorgere altro che il buio della notte. Posò il cacciavite che teneva nella mano destra e si pulì le dita con uno straccio asciutto, per eliminare tutto l’olio che aveva utilizzato nelle giunture. Si alzò dalla sedia con un sospiro e si avvicinò a lui, accarezzandogli una spalla.

-          Cerca di non combinare disastri.

-          Perché dovrei? Quando mai io...

Scherzò, giocherellando con la coda dorata e facendo un passo attraverso la porta. La donna preferì non rispondere e indietreggiò nella direzione opposta a quella del marito, portandosi una mano al cuore, in segno di sconfitta.

-          Fai attenzione.

Sussurrò, accarezzando con delicatezza la superficie lucida e gelida degli automail che si trovavano sul tavolo, distogliendo per un istante lo sguardo dall’ex alchimista. Edward sbuffò divertito e la salutò con un gesto della mano, uscendo definitivamente dalla porta e scendendo le scale con velocità. Attraversò rapidamente il salotto – dove Daniel era impegnato a bere u bicchiere di latte fresco – per dirigersi all’ingresso. Lanciò uno sguardo disgustato alla bevanda orribilmente conosciuta che stava sorseggiando il maggiore dei suoi figli, per poi fermarsi sullo stipite della porta.

Rosalie era seduta sul gradino lì fuori, e scrutava il cielo con lo sguardo perso nel vuoto. Udendo il rumore di ferraglia che l’automail del padre produceva contro il pavimento solido, s’irrigidì, pronta a balzare lontano da lui se le cose avessero cominciato a prendere una brutta piega.

Edward la raggiunse e si sedette accanto a lei, rimanendo muto. Rose abbassò l sguardo, trovando improvvisamente molto interessante la composizione del prato sotto ai suoi piedi. L’ex alchimista stette in silenzio, imitando la ragazza e spostando lo sguardo a terra.

Il canto dei grilli s’insinuò nelle loro menti, rendendo ancora più imbarazzante quel lungo silenzio che appariva senza uscita. La ragazza percepì il proprio corpo andare a fuoco quando la voce di suo padre ruppe quella barriera che aveva costruito a poco a poco, quasi inconsapevolmente.

-          Rosalie.

La voce gli uscì in un sussurro quasi gracchiante, come se il suo cuore avesse paura di affrontare un discorso con quella ragazza dagli occhi di un azzurro penetrante, esattamente identici a quelli di sua madre.

Si chiese per quale motivo, quando Rosalie aveva voltato il viso per guardarlo negli occhi, una scarica elettrica aveva attraversato la sua schiena, quasi fosse un’intimidazione ad allontanarsi.

-          Papà.

rispose lei, seria, boccheggiando. Gli lanciò uno sguardo indecifrabile, spostandosi distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

-          Scusa.

Sussurrarono, all’unisono. Si sorpresero entrambi, scivolando appena all’indietro sullo scalino. Un sorrisetto compiaciuto comparve sulle labbra sottili di Edward, seguito da una risatina divertita. Rosalie alzò un sopracciglio.

-          Che c’è?

-          Oh, niente, Rose. Niente.

-          E perché ridi, dunque?

-          Perché mi hai sorpreso. Sei così orgogliosa, credevo che non ti saresti mai scusata. La mamma ha ragione, sai? Sei proprio come me.

-          Umph. Eppure, anche tu ti sei scusato.

-          Hai ragione.

-          Perché l’hai fatto?

-          Non c’è una ragione per ogni cosa. Da quando ragioni in modo così matematico?

-          Oh, oh. Senti chi parla.

Borbottò, digrignando i denti. L’ex alchimista alzò gli occhi al cielo, riconoscendo nella voce della figlia quella nota d’arroganza e superiorità che tutti avevano sempre riscontrato in lui.

-          E non mi guardare così, come se tu avessi mai avuto una mente creativa. Tutto ha una spiegazione, tutto ha inizio da qualcosa. Uno è tutto, e tutto è uno. Me lo ripetevi sempre, quand’ero piccola, ed io non era mai riuscita a coglierne il significato.

-          E così, te ne ricordi ancora.

-          Certo che me ne ricordo. E tu, tu te ne ricordi?

Edward si lasciò sfuggire un sorriso che non lasciava spazio a dubbi. “Ovvio, con chi credi di parlare?” sembrava urlare quello sguardo, prezioso e splendente come l’oro. Rosalie si avvicinò impercettibilmente, posando lo sguardo proprio sulle iridi auree. Edward se ne accorse.

-          A cosa stai pensando?

-          Oh, niente. Solamente vecchi ricordi.

-          Hai quindici anni e pensi a vecchi ricordi.

-          Hai quarant’anni ma dentro hai ancora la mia età.

-          Direi che siamo pari. La mia è stata un’esistenza piena, Rose. È come se la mia infanzia e la mia adolescenza, mi fossero state strappate via, per farmi crescere interiormente troppo in fretta.

-          Già, già. La malattia alla gamba, le guerre ai confini...

Elencò, con l’aria di chi la sa lunga, ma cerca di mascherare quella conoscenza segreta con l’indifferenza. L’ex alchimista avvertì una pungente sfumatura d’ironia nella sua voce pulita, e per un attimo si chiese se non fosse stato solamente frutto della sua immaginazione.

-          Esatto.

Esalò, scostando lo sguardo da lei per evitare che notasse quel guizzo di menzogna nei suoi occhi profondi. Ci fu un nuovo momento di silenzio estremamente teso, saturato solo da due respiri lenti, irregolari.

-          Papà, non è stata una malattia il vero problema per la tua gamba, vero?

-          Che cosa...?

-          Pensi... pensi che non me ne sia mai accorta? Ogni volta che osservi il tuo automail, il tuo sguardo è talmente carico di disprezzo, di rammarico, di colpevolezza, che mi viene totalmente impossibile credere che hai perso la tua gamba sinistra a causa di una malattia. C’è qualcos’altro, qualcosa che ci tieni nascosto, non è forse così? E poi, la tua spalla destra, quelle cicatrici, sono certa che non sono un segno casuale. Dimmi la verità, papà. Quella giusta.

Edward ammutolì, rimanendo paralizzato dalle fredde parole della figlia. Si maledisse mentalmente, insultandosi, perché in fondo sapeva che, prima o poi, la verità sarebbe venuta a galla. La verità, la verità. Digrignò i denti, ad un altro doloroso ricordo.

-          La verità, eh? È questo che vuoi?

-          Sì, sì esatto. La verità.

L’ex alchimista si alzò, spolverandosi i pantaloni con le mani. Accarezzò dolcemente i capelli di Rosalie e le diede le spalle, sospirando.

-          “Dà agli uomini giusta disperazione cosicchè non diventino troppo vanitosi. Questa è l’essenza stessa di ciò che chiamate con il nome di divinità. Questa, è la verità.”

Citò, in un sussurro, prima di riprendere a camminare e svanire, a poco a poco, nell’oscurità dinnanzi a lui. rosalie rimase senza parole.

-          Che cosa?! Papà? Papà! Che cosa significa?

Nessuna risposta arrivò al suo orecchio, se non un lontano uggiolio di un cane, o di un lupo, perso tra i boschi bui della notte. Rosalie si alzò da terra, ondeggiando per via dell’equilibrio che le era venuto a mancare. Si aggrappò alla staccionata che circondava la veranda, cercando con gli occhi suo padre nell’oscurità. Un rumore che non s’aspettava la fece sussultare, costringendola a voltarsi verso la porta che stava alle sue spalle.

-          Daniel?

-          Ciao sorellina. Parlavi con papà?

-          Più o meno. È come scomparso. Ha detto qualcosa a proposito della “verità che dà giusta disperazione” e poi è sparito nel buio. È venuto qui a chiedermi a cosa stessi pensando  ed è uscito questo discorso. Credo che papà volesse farmi capire qualcosa, Dan, qualcosa che non può rivelare, che deve tenere nascosto. Qualcosa di importante.

-          Hei, Rose. Rose! Pensaci un attimo, tu hai sempre creduto in quest’idea.

-          Sì, su questa hai assolutamente ragione, però...

-          Però niente. A che stavi pensando?

-          Vecchi... vecchi ricordi.

-          Hiroki.

-          Non nominarlo in quel modo. E comunque no, signorino “sotuttoio” , non stavo pensando a lui, affatto.

-          No?

-          No.

-          E smettila, Rosalie. Non sei in grado di mentire come si deve.

-          Umph. Chissà da chi ho preso.

-          Smettila, con queste allusioni. E poi, perché’ diavolo stavi pensando a lui?

-          A te che importa?

-          M’importa. M’importa perché sei mia sorella, e mi preoccupo per te. E poi, hai visto? Alla fine hai ammesso che stavi pensando a quello stronzo.

-          Pff. Esagerato. Che mai ti avrà fatto?

-          Oh, niente. Niente.

Daniel abbassò lo sguardo, sedendosi accanto a Rosalie. Lei l’osservò confusa, volgendo poi lo sguardo nuovamente al cielo stellato, buio e lontano come non l’aveva mia visto.

-          No, non ci credo. Non può essere “niente”.

-          Invece, lo è.

-          Pensala come ti pare. Comunque sia, non potrò più rivederlo.

-          Non è altro che un bene.

-          Dimmi cos’è successo, Daniel. Dimmelo adesso.

-          Sei solo una stupida ficcanaso, nanetta. Taci.

-          Oh, senti chi parla, l’altissimo signor “non mi faccio i fatti miei” ora mi vuoi spiegare perché non ti fidi di me?

-          Io mi fido di te, e poi sei tu che ti stai facendo i fatti miei, non il contrario.

-          Sta’ zitto. Forza, dimmi ciò che è successo.

-          Non dovevo stare zitto?

Lo sguardo che ricevette lo intimò invece a parlare. Si passò una mano sul viso, con fare sconsolato. Rose sbuffò impaziente, tamburellando le dita sul legno ruvido del gradino. Daniel alzò lo sguardo verso di lei, arrossendo nuovamente.

-          Ok.

Si arrese, mordendosi nervosamente le labbra. Rosalie si mise comoda e ascoltò, incuriosita dall’imbarazzo espresso dal suo fratellone. Il ragazzo prese un grande respiro, e poi iniziò a raccontare.

-          Due anni fa. È cominciato tutto... due anni fa.

 

Daniel era seduto sul tavolo della cucina della casa degli zii, la dimora in cui suo padre, sua madre e Alphonse avevano trascorso ciò che avevano vissuto della loro infanzia. Rigirava tra le dita la tazza candida, colma di thè che la ormai vecchia Pinako gli aveva versato pochi minuti prima.

-          Che cosa succede?

La voce gracchiante della nonna – BIS-nonna – sdraiata sul divano, lo fece tornare bruscamente alla realtà. Posò la tazza sul piattino, producendo un rumore acuto che lo infastidì.

-          Non è da te perderti così nei pensieri. Qualcosa non va?

-          Mmh, no. non è successo nulla, nonna.

-          Sarò anche ormai molto vecchia, ma non stupida.

-          Non è niente, davvero. Non ti preoccupare.

Si alzò lentamente dalla sedia, afferrando la tazza e posandola, ancora piena, nel lavandino della cucina. Attraversò il salotto, dirigendosi verso la porta, ma quando fece per prendere la maniglia, una voce conosciuta gli fece battere forte il cuore. Si voltò e non fece in tempo a respirare che Yumi – e il suo vestito bianco, che le fasciava morbido i fianchi appena accennati, e i suoi capelli, color della notte, e il suo profumo, così dannatamente dolce – era già tra le sue braccia, con un brillante sorriso dipinto sul volto.

Yumi alzò lo sguardo, dorato come quello del cugino. A Daniel mancò il respiro, quando quel dolcissimo sorriso – che lo fece rabbrividire dal piacere – venne di nuovo presentato ad illuminare il suo volto.

 

-          Daniel, ma tu...

-          Basta.

Mormorò il ragazzo, nascondendo il viso imbarazzato tra i capelli d’oro e sbuffando sonoramente. Rosalie ammutolì, storcendo le labbra in una smorfia impaziente. Daniel la osservò per qualche istante, per poi digrignare i denti e tornare a parlare.

-          Stai un po’ zitta anche tu, per una volta, Rose.

 

-          Ciao.

-          Ciao.

Il silenziò calò nella stanza, e Pinako tossicchiò contrariata, tentando di sciogliere l’imbarazzo celato nelle guance del nipote. Daniel si riscosse dal suo stato di trance.

-          Co-come stai?

-          Bene, Dan! E tu?

Di nuovo quel sorriso. Quel dannato, meraviglioso sorriso.

-          Oh, bene, bene. Ti stavo aspettando. Dai, sbrigati, che Rose e Hiro ci aspettano per il pic-nic!

-          Certo, sono pronta! Ciao nonna!

Così dicendo, uscirono, chiudendosi la porta alle spalle. Yumi saltellò sull’erba umida, stringendosi al petto un oggetto che il ragazzo ancora non aveva notato. Daniel le si avvicinò, sospirando nell’avvertire quel profumo paradisiaco, ancora troppo infantile. Cercò di scacciare il pensiero, convincendosi del fatto che tutto ciò fosse orribilmente sbagliato.

-          Che cos’hai lì?

-          È un libro che mi ha regalato papà. Ho iniziato a leggerlo ieri sera. È molto bello.

-          Di cosa parla?

La mora non fece in tempo a proferir parola che Rosalie le saltò al collo, facendole perdere l’equilibrio e cadere all’indietro. Hiroki ridacchiò, battendo una mano sulla spalla del biondo.

-          Allora!

Cinguettò Rosalie sbattendo velocemente le palpebre e facendo ondeggiare il cesto ricolmo di vivande che Winry le aveva pazientemente preparato. Dan aiutò la cugina ad alzarsi, allungando entrambe le mani verso di lei.

-          Andiamo?

Si avviarono in gruppo, mentre Rosalie e Hiroki continuavano a punzecchiarsi a vicenda, con battute e frecciatine amichevoli. La giornata passò magnificamente, impreziosita da sguardi nascosti e fugaci, colmi di una verità fin troppo sbagliata e irragionevole per essere definita tale.

Era ormai tardo pomeriggio, Rosalie e Yumi s’erano appartate all’ombra di un albero a ridacchiare e confabulare tra di loro. Hiroki si avvicinò a Daniel sorridendo, e passò un braccio sulle sue spalle.

-          Senti un po’, piccoletto.

-          Umph.

-          Che cosa sta succedendo qui? E non dirmi “niente”, perché so per certo che non è così.

-          Perché tu e mia sorella non fondate un club?

-          Beh, ti dirò, tua sorella è fantastica.

Il biondo gli lanciò uno sguardo storto. Dove voleva andare a parare?

-          Però...

Hiroki assottigliò gli occhi vispi, abbassando la voce. Si avvicinò di più all’amico, trascinandolo, con poche semplici parole che avrebbero influenzato la sua vita di lì in avanti, in un baratro oscuro dal quale non sarebbe mai riuscito a risalire.

-          Yumi è davvero molto carina.

La gelosia.

 

Il silenzio si era impadronito della situazione, e il vento scivolava leggero tra le fessure dei rami, tremando nell’aria in un sibilo acuto. Daniel aveva abbassato lo sguardo, di nuovo, e lo aveva agganciato ai suoi piedi, ben fermi sul terreno, fingendo interesse.

Prese una profonda boccata d’aria, sospirando amaramente. Rosalie seguì il suo sguardo nell’ombra, sopprimendo una dolorosa, quanto sconosciuta fitta al cuore.

-          A Hiro piaceva... Yumi?

La voce le uscì strozzata, come se, a pronunciare quella frase innocente, la gola non avesse mai smesso di bruciarle. Eppure deglutì, ignorando quelle sensazioni, cosi come quel dolore estraneo che aveva attanagliato il suo petto qualche istante prima.

-          Sì, sì. È così.

Era la voce di Daniel, quella accanto a lei, e in quel momento la trovava più vicina che mai. Udì un nuovo sospiro infrangersi sul suo collo, e davanti ai suoi occhi scivolarono fluidi i capelli dorati del fratello, che aveva teneramente appoggiato la testa sulla sua spalla.

-          E io...

Era di nuovo la voce del ragazzo, spezzata da un sussulto silenzioso, nascosto tra le sue corde vocali. Respirava piano, il suo fiato caldo si rompeva invisibile sul collo di Rose, mentre un brivido gli percorreva il collo, le spalle, la schiena.

-          Anche se lei aveva solo tredici anni, per me era stupenda. I suoi occhi, i suoi capelli profumati e quel suo modi di essere, così dolce, con il suo viso da bambina.

Trattenne il respiro, chiudendo gli occhi e abbandonandosi al calore della sorellina. Boccheggiò, tentando di trovare le parole giuste che, pochi istanti dopo, s’infransero nell’aria ventosa di quella sera di mezza estate.

-          Forse, forse... mi ero innamorato di lei.

 

In quel momento, fu come se tutto il mondo, per lui, si fosse fermato, e quel silenzio che regnava intorno – il vento che non soffiava più, la voce delle ragazze troppo lontana per essere udita, e quell’improvviso mutismo che aveva avvolto tutto – pulsava sulla fronte come il più assordante dei rumori, veloce e violento come lo scoppio di un imprevisto temporale.

-          Già. È una ragazzina molto bella, mia cugina.

Quella parola, “cugina”, sfuggì dalle sue labbra con uno sfrecciare improvviso, come se quelle poche lettere pesassero enormemente sulla sua anima.

Hiroki si lasciò scappare un sorriso amaro, allontanando per un istante lo sguardo, per poi tornare a posarlo sugli occhi d’oro del suo migliore amico. Osservò la danza dei capelli di Yumi, e il suo sorriso debole, innocente, ancora immaturo. Rosalie, accanto a lei, con quella sua fierezza, quel suo sguardo tenebroso, misterioso, la faceva sembrare tutt’altro che un’innocente tredicenne.

La forza con la quale si schiudeva al mondo, la sua voglia di scovare la soluzione ad ogni mistero che osi intralciare il suo cammino, la faceva apparire ancora più matura di quanto già non fosse. Ed era proprio questo aspetto, che lo attirava in modo impressionante.

Daniel, accanto a lui, aveva lo sguardo basso, come se stesse combattendo contro un’idea che infestava la sua mante come una fastidiosa ragnatela.

-          Che cosa succede, Dan?

Sussurrò il moro, muovendo lentamente le labbra. Daniel alzò a malapena lo sguardo, incrociando quello di Hiroki, illuminato da un raggio di sole.

-          Niente. Lascia perdere.

Daniel sciolse la presa dall’amico, allontanandosi di qualche passo, verso il centro del campo. Hiroki lo seguì, portando una mano sulla sua spalla.

-          Dan?

-          Ti ho detto che non ho nulla!

-          Che cosa...? Ma che diavolo hai da parlarmi così?!

-          E a te che te ne frega di quello che penso io?

-          Che cosa me ne frega, mi chiedi?! Sei il mio migliore amico!

-          Migliore amico!

Il giovane Elric rise amaramente, arrancando tra l’erba alta e alzando la voce, per delineare meglio le proprie parole. Chiuse gli occhi al sole luminoso in fronte a lui, fermando il suo tragitto in un punto ormai lontano da dove si erano appostati. Hiroki lo strattonò con violenza, facendolo voltare verso di lui, al fine di poter leggere nei suoi occhi il perché di quello strano comportamento.

-          Sì, migliore amico!

-          Che razza di migliore amico vuoi che sia quello che non si rende conto che mi sono innamorato di lei?!

Hiroki ammutolì, indietreggiando di un paio di passi, con la bocca aperta, gli occhi sbarrati. Subire lo sguardo velenosi di Daniel, però, scacciò ogni traccia di sorpresa dal suo cuore, lasciandogli l’amaro in bocca.

-          Che cosa?!

-          Che cosa, che cosa! Penso di essermi spiegato più che bene!

-          Ma... ha tredici anni!

-          Lo so!

-          Ed è... tua cugina!

-          Lo so!

-          Come puoi...?!

-          È... è successo e basta, chiaro?!

-          Toglietela dalla testa, idiota!

-          E perché? Perché piace a te?

“No, certo che no!” sembrava urlare lo sguardo tremolante seppur infuocato di Hiroki, che stringeva i pugni per impedirsi di colpire sul naso il ragazzo che li stava davanti. “Stupido idiota!” avrebbe voluto urlargli in faccia, scuotendolo per le spalle. come poteva immaginare una cosa simile, lui, il suo migliore amico? Perché lui ne era sicuro, assolutamente sicuro che Daniel sarebbe uscito male da quella storia. Era perfettamente consapevole che tutto ciò – compreso quell’idiota, a sentir le parole di suo padre, Roy, di Edward, e tutti i problemi che sarebbero sorti di lì in avanti – l’avrebbe solamente portato sull’orlo di un baratro dal quale non sarebbe mai riuscito a risalire.

“Che vuoi che me ne importi se mi piace o no?” avrebbe desiderato urlare, prendendolo a schiaffi per sfogare lo sdegno.

Ma quello sguardo oscuro, combattuto, deluso, gli fece ribollire il sangue nelle vene. Sentì improvvisamente il petto esplodere di calore e una voglia – dolorosa, opprimente – soffocarlo, facendogli pizzicare le dita dal bisogno impellente di incenerire qualcosa.

Mandò al diavolo tutti i suoi buoni propositi, ricordandosi del fatto che Roy gli aveva insegnato che i veri uomini non si mostrano deboli, né davanti agli altri, né a loro stessi, mai. Afferrò Daniel per il colletto della maglia e lo portò a pochi centimetri dal suo viso, fulminandolo con gli occhi.

-          Proprio così, Elric.

Ringhiò, digrignando i denti, mentre ciò che sentiva veramente veniva soffocato dall’orgoglio, e dal bisogno di proteggere quello che, sempre, avrebbe considerato il suo migliore amico.

-          Lei mi piace e sarà mia. Che tu lo voglia, o no.

 

Così, raccontando, Daniel si era alzato di scatto, fermandosi sullo stipite della porta con lo sguardo basso, carico di disprezzo. Rosalie era scivolata all’angolo del gradino, e aveva seguito con gli occhi i rapidi movimenti del fratello, stupefatta.

-          E poi?

Aveva chiesto, con un filo di voce, tendendo un braccio verso Daniel, negli occhi uno sguardo insicuro ma determinato.

-          Quella stessa sera, tu eri rimasta fuori a dormire con Hiroki nel granaio, perché aveva iniziato a piovere davvero forte, e non avevi possibilità di tornare a casa, ricordi?

-          Sì, e papà si è arrabbiato davvero molto quando sono tornata, così sono scappata e mi sono rifugiata sull’albero. Ed è lì, che ti ho visto correre via.

Il ragazzo si allontanò di un passo dalla bionda, ritrovandosi immerso nella rassicurante atmosfera di casa.

-          Poco prima che arrivassi tu, ho voluto parlare con Hiroki. Lui era lì e... ha cominciato ad offendermi, a dire che non avrei mai conquistato il cuore di Yumi, perché ormai era già suo. Rise, mi urlò di averla abbracciata, di averla addirittura baciata, eppure mi sembrava che i suoi occhi fossero lucidi, in quel momento.  Si avventò su di me, urlandomi contro di non voltarmi indietro, che avrei dovuto stare lontano da lei, d’ora in poi.  Però, c’era qualcosa di diverso nella sua voce, qualcosa che io non riuscii a decifrare. Fissai per un ultimo istante gli occhi di quello che era stato il mio migliore amico, poi mi voltai e scappai via. È stata l’ultima volta in cui l’ho visto. A Yumi io... non ho mai avuto il coraggio di chiedere nulla, così... ho chiuso tutto dentro di me.

Rosalie si era alzata in piedi, ed aveva raggiunto il fratello, abbracciandolo da dietro e posando una guancia sulla sua schiena.

-          Hiroki per me... non esiste più.

Era un debole sussurro, la sua voce, pennellata da una sfumatura di amarezza che proveniva dal profondo del suo cuore. Rosalie socchiuse gli occhi.

-          Non è più tornato, dopo quella sera.

-          È vero.

-          Ha lasciato quello che aveva fatto,  ha lasciato tutto. È scappato, quel vigliacco.

-          No, non è stato così.

-          Che fai, Rosalie?! Lo difendi ancora?

-          Certo che no. Ma quella di andarsene, non è stata una sua scelta. Quella sera, poco dopo, lui è venuto da me, già ti ho raccontato cosa successe. Mi è stato vicino, mi ha mostrato la sua alchimia e...

-          E...?

-          Ed è proprio in quel momento, che è arrivato papà.

 

 

 

E così, è finito anche questo capitolo. È stata una bella faticaccia, ma penso di avercela fatta. Lasciatemi scritto ciò che pensate, ho sempre bisogno di nuovi consigli e nuove critiche. Grazie mille per la vostra pazienza, davvero!

 

Un bacio a tutti,

Meggy Elric___

   
 
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