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Autore: Desir de Lilas    29/06/2011    3 recensioni
Schermo nero.
Voce baritonale da pubblicità di automobili e coming soon:
"Una demoiselle dalle ali tanto ampie e brillanti da dover prestare attenzione a non volare troppo in alto."
Primo piano di una ragazza dagli occhi da cerbiatta persi nel vuoto per circa tre secondi.
Buio di nuovo.
"Un boy che tenta di scalare vette forse troppo elevate per la sua attrezzatura."
Volto di un possibile modello Calvin Klein con sguardo da Argonauta, tre secondi anche per lui.
"Degli aiutanti che di fiabesco hanno solo la funzione."
Un gruppo di quattro ventenni in posizione 007, Licenza di uccidere.
"Una città incantata che ha visto nascere e morire tante storie da non averne più memoria."
Panoramica della Città Eterna dall'alto, colori in rilievo sui monumenti più conosciuti.
"Attendono solo la vostra lettura..." pausa di suspance "...per vivere la loro avventura."
Fuoco d'artificio che esplode sullo schermo.
"Dal 20 giugno, in esclusiva su EFP."
No.
Non scrivo da una clinica psichiatrica.
Ma manca poco.
Spero vogliate leggere questo frutto di pomeriggi di noia...ed anche commentarlo, se vi aggrada.
(Mi trovate in terza fila con gli occhi fissi sullo schermo e il pacco enorme di M&M's gialli :D)
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vita nova

“Tu, non hai freddo - è una tiepida mattina di primavera, non di gennaio, e i tuoi guanti tagliati qualche settimana fa per stupidissimo anticonformismo convenzionale ti riscaldano le dita che no, no!, non sono affatto intorpidite e puoi facilissimamente usarle e…cazzo!”
Colette si chinò a raccogliere la piccola sedia di plastica che sembrava incapace di opporsi al vento…ed era anche scomodamente rigida…perché mai l’aveva comprata?
Era stata tutta colpa di quel fantastico schienale a forma di Tour Eiffel, con il calligramma di Apollinaire “Salut monde dontjesuis la langue éloquente que sa bouche Ô Paris tire et tirera toujours aux allemands”*, la dimostrazione incredibile della convivenza di arte visiva, musicale, lirica e…
E si ostinava a cadere al minimo alito di vento, visto che non trovava alcuna cosa da mettervi sopra.
Inoltre, la Tour Eiffel a Piazza Navona era un po’ fuori luogo, ma era o non era cresciuta in un ambiente bohemien?
Ok. Era bohemien solo nei suoi sogni ad occhi aperti, sogni che non contemplavano nemmeno l’idea di essere una semplice borghese, figlia di una banalissima francese che del superbo paese aveva solo il naso e gli occhi da cerbiatta. E anche la mania dei cappellini, ma quello era solo un capriccio da borghese dandyismo. Il resto della sua persona era ciò che si addiceva alla moglie di un noto banchiere piemontese trapiantato a Roma: ordinario.
Fissò con una puntina l’ultimo disegno al pannello nero e controllò la disposizione delle immagini: sui bordi le più particolari, mentre le migliori nelle file centrali. Che poi non fossero i suoi migliori disegni, era un’altra storia: aveva il terrore di cacciare i passanti con quelli ed attirare fastidiosi esperti che avrebbero potuto anche plagiarla. E così niente successo e nessuna possibilità di un briciolo di fama postuma con nome in grassetto sulle pagine di un Argan…
No, meglio lasciarli a…casa. Casa sua ormai era quella, no? Ancora non riusciva ad abituarsi a quel tugurio di monolocale più bagno…ma aveva scelto questo stile di vita, no?
E poi qualche rinuncia è essenziale per esprimersi, abbandonare il consumismo moderno per un fine più sublime ed alto che altrimenti- Mm… Cioccolata… Nocciole… Gianduia? …forse una posizione più lontana dal bar sarebbe stata migliore per la sua salute mentale.
Montò il treppiedi, vi pose il blocco da disegni ancora sigillato e sospirò. In effetti, non avrebbe mai immaginato il valore di un album di fogli. Non aveva mai dovuto porsi alcuna remora nello stracciare un disegno venuto male o provvisorio, nell’abbozzare disegni nuovi direttamente su un una distesa di cellulosa di 65*50 centimetri…eppure per compare un nuovo album aveva dovuto saltare la cena.
Naturale che il solo aroma di cioccolata le faceva quell’effetto…Basta, dopo il primo ritratto sarebbe piombata direttamente sul bancone del Café e avrebbe bevuto una cioccolata all’aroma pistacchio, ricoperta di nocciole e con meringhe sul fondo, da una tazza altissima ed un cucchiaio dal lungo collo.
Peccato che alle 6 del mattino girino per la piazza solo suore infagottate, fedeli vecchine che si precipitano alla prima messa mattutina di Sant'Agnese in Agone e il genere di turisti che osserva lo scenario con un volto affascinato e insieme terrorizzato di perdere anche un solo dettaglio della loro breve visita. Insomma, che non si fermerebbero mai a farsi un ritratto per evitare di perdere tempo.
Quindi, avrebbe dovuto attendere…e scaldare le dita, di cui aveva perso sensibilità.
Pescò un piccolo quaderno dalla borsa e cercò una pagina libera…impresa semi impossibile: il suo diario era  incredibilmente pieno, anche se tanto pullulato di disegni da poter passare per un blocco da schizzi, che ritraevano sicuramente meglio delle parole le sue sensazioni.
Impugnò un pastello rosso e iniziò a tracciare varie linee, quasi a caso, lasciando che il sangue tornasse ad affluire alle mani. Poi le dita iniziarono a fluire quasi languidamente, iperattive e morbide come se fossero diventate il centro totale del suo corpo, un capo che attirava presso di se tutte le energie dei suoi dipendenti e non voleva essere disturbato. I suoi dipendenti, la ragione di Colette stessa, non avevano idea di cosa stesse preparando.
Dopo qualche minuto, si accorse di un papavero che sbocciava dal foglio, mosso dallo stesso vento gelido che attraversava la piazza, i petali che quasi tremavano, il colore più denso in prossimità degli stami. Un polpastrello prese a sfumare piano il centro, che iniziò ad emanare polvere, un vago alone che avrebbe protetto i petali. Chissà, forse vegliava su di lei come i mille papaveri di De Andrè, forse segnava il campo di battaglia in cui c’erano state troppe perdite…
“¿Cuántocuesta un retrato? ” una voce da contralto la distolse dal chiaroscuro.
Si voltò con sorriso imbarazzato, lo sguardo già pronto a cogliere i particolari del volto. Mediterraneo, quasi andaluso, occhi caldi e capelli mossi, quasi una zingara.
“15?” mimò, sperando nella bontà della turista.
“10?” rispose l’altra, sorridendo di sbieco. Ci aveva provato.
Annuì e aprì lo sgabello all’istante, notando di non averlo ancora montato. La donna si sedette un po’ rigida, poi sorrise timorosa. Colette sollevò la copertina dell’album e si accostò al treppiedi, sbirciando ancora una volta il viso della donna. Aveva un neo appena sotto la palpebra sinistra e sullo stesso zigomo una piccola macchia a forma di fragola, leggermente più accesa del colore olivastro, coperta molto probabilmente dal fondotinta.
Poi accostò il carboncino al foglio e iniziò a tracciare le sopracciglia, gli occhi neri ed intensi, gli zigomi alti, il naso deciso e la bocca morbida e dolce. Delineò i particolari, le zone di luce ed ombra, i capelli setosi e il collo da cigno.
Si scostò dal disegno ed osservò la donna, la confrontò con i suoi tratti. Sorrise soddisfatta.
Appose la sua sigla verso il margine destro del foglio e lo mostrò alla donna.
“Le piace?” chiese, sperando che in spagnolo il verbo fosse simile.
La donna sgranò gli occhi per un attimo, poi sfoderò un sorriso luminoso. “Es como una fotografìa, pero, màs… dramàtica, intensa…”
Si guardarono entrambe appagate, poi la donna estrasse il portafogli dallo zainetto e la pagò riverente. Si strinsero la mano e la donna se ne andò, mostrando poi il ritratto alle amiche che facevano colazione al bar dalla parte opposta della piazza.
“Fammi pubblicità, fammi pubblicità, fammi pubblicità…certo che mantra originale, eh!”
Lo stomaco brontolò rumorosamente…però se la spagnola l’avesse davvero lodata con le amiche e queste avrebbero voluto un ritratto anche per loro, avrebbe perso almeno una cena completa per una misera tazza di cioccolata. Oddio, mica tanto misera…
Le ragazze si alzarono e iniziarono a camminare verso di lei, ridacchiando e gesticolando animatamente. Quando arrivarono le spiegarono di volere anche loro un “dibujo”.
E così, fu una della mattine più produttive da quando aveva iniziato: la folla attira folla e, alla fine, si ritrovò con un bel gruzzolo per l’ora di pranzo.
Si alzò stiracchiandosi dalla scomodissima sedia, poi raccolse il materiale nella borsa di pelle consumata e annodò con delle stringhe le sedie e il treppiedi al trespolo.
Avrebbe volentieri fatto una corsa a piedi fino al McDonald, ma non aveva ancora alleanze con altri artisti e non si fidava…senza considerare il fatto che oggi aveva avuto una discreta fortuna con la clientela.
Così si rifugiò nel caldo antro del Bar Dolce Vita e si lasciò sedurre da un tramezzino al tonno e una Coca Cola Zero. Più un pacchetto di gomme all’arancia da masticare per il resto del pomeriggio.
Portò il malloppo fuori e tornò alla sua postazione, liberando la sedia e stravaccandosi su di essa.
Aveva appena svolto la pellicola dall’angolo del tramezzino, quando una comitiva allegra e spensierata le passò davanti. Un paio di ragazze si fermarono a osservare i disegni, commentandoli in inglese. Dai termini tecnici, dovevano frequentare anche loro una scuola d’arte.
Quando si accorsero del suo sguardo le sorrisero imbarazzate, “Very nice.” “Thanks”, commentò Colette, poi addentò il tramezzino, non resistendo un attimo di più. Le due presero a confabulare, poi una biascicò “We’re coming later…how much for a portrait?”. Colette ingoiò il boccone, “Ten.” Le due annuirono e raggiunsero i loro compagni…dove per la prima volta Colette scorse due magneti neri.
Riuscì a notare solo quelli, nei cinque secondi in cui sostenne lo  sguardo, poi una chioma rossiccia le oscurò la vista e si voltò verso il panino. “Mh, interessante il tonno, mezzo rosa, con le macchie scure, ravvivato dal pomodoro, rosso e…pieno di sangue come le mie guance?”
Ok, ok…Era una persona adulta, ormai.
Sapeva sostenere uno sguardo, non era deficiente.
Aveva sostenuto cose molto, molto più adulte.
Però uno sguardo così…non ricordava di averlo già visto prima.
Sbuffò rumorosamente.
Le crisalidi erano sbocciate nella sua pancia e non riusciva a far posto ad altro.
Doveva pur mangiare un po’ di più o sarebbe svenuta…
Sospirò rumorosamente e ripose il tramezzino nella borsa, avvolgendolo alla bella e meglio in vari tovagliolini.
Pescò la bottiglia di Coca Cola e ne tracannò un quarto, poi, iperattiva, sciolse i lacci e sistemò nuovamente gli “attrezzi”. Si sedette impaziente, preda di un’agitazione morbosa e, soprattutto, senza un logico motivo o scopo. Decise di riprendere il diario, ma non era in grado di continuare il papavero in quel momento. E così si ritrovò a schizzare una batteria a forma di cuore, suonata da un uomo dalla faccia a forma di occhio. Molto scuro.
Rise istericamente di se stessa, non avrebbe potuto essere più banale. “Are we…annoying you?”, chiese la stessa ragazza di prima, stavolta circondata dall’intera comitiva. La situazione non avrebbe potuto essere più imbarazzante.
“Surely not!” rispose Colette, tra gli ultimi spasmi di riso. “Are you the one…?”              
La bionda annuì, poi si tuffò nelle retrovie del gruppo, agguantando un ragazzo moro.
Quando Colette finì di sistemare l’album di fogli, si voltò a osservare i soggetti.
La bionda era seduta sulle gambe del ragazzo, una mano posata sulla sua guancia, quasi in segno di possesso, un lieve sorriso sulle labbra, gli occhi adoranti nei suoi. Ma lui non guardava lei. Aveva gli occhi fissi nei suoi, curiosi. Erano i magneti neri di prima. Distolse lo sguardo con difficoltà e si concentrò sugli altri tratti del viso: naso dritto, sopracciglia decise, probabilmente curate da un estetista, il labbro superiore meno pieno di quello inferiore, un accenno di barba sulle guance scarne, la mascella morbida, le orecchie perfettamente in linea con il naso e gli occhi, i capelli folti e scuri che cadevano arruffati sulla fronte alta, il collo sottile, la mano…se l’avesse scostata avrebbe scoperto qualche neo particolare?
“How long will It take?” chiese la bionda, quasi seccata.
“Five or six minutes at least”, sorrise Colette.
Osservò nuovamente il volto di lei: avevano le labbra ed il naso piuttosto simili, forse erano due narcisisti che cercavano nell’altro caratteristiche proprie…
Si dedicò al disegnò, creando prima il profilo di lei, poi schizzando i tratti di lui, e infine tratteggiando i particolari di ognuno. Forse spendendo fin troppo tempo sul magnetismo degli occhi.
Quando concluse l’ultimo boccolo della ragazza, firmò il disegno.
“Do you like it?”, chiese, seria.
La ragazza lo esaminò, sollevando criticamente un sopracciglio. Poi sorrise soddisfatta, “Amazing” fu la sentenza.
“And you?” chiese al ragazzo. Lui sgranò quasi gli occhi alla sua domanda, forse giuntagli inaspettata.
“She is the expert, so I guess she’s right”, sussurrò.
La irritò non poco quella risposta. Non aveva opinione propria? O non aveva il coraggio di dirle che non le piaceva?
“If you don’t like it, I can draw you another one.”
“My brother is a fool, don’t mind about him” sorrise la bionda. Ah, ecco il perché delle somiglianze. Però cavolo, una bionda occhi verdi e l’altro moro? Vabbè…
La pagò e cedette il posto ad altri coraggiosi della comitiva.
Se avesse disegnato con il cervello, avrebbe disegnato solo magneti sul resto dei fogli; con lo stomaco, farfalle. Fortunatamente ci pesavano le dita.
Ovviamente, era ancora infastidita dall’assenza di parere che aveva dimostrato...ma quegli occhi…
Quegli occhi le fecero compagnia per il resto della giornata, anche quando i ragazzi inglese da disegnare furono esauriti e se ne andarono cicalando, quando una coppia di vecchi sposi tedeschi prese il loro posto, quando dovette servirsi di un “Hanyi cidian” per comunicare con due cinesi e chiacchierò con l’anziano artista accanto a lei al crepuscolo, in un momento di pausa.
E poi li ritrovò verso le dieci di sera, sotto uno dei gazebo del Bar Bella Vita, intenti ad osservare la grande fontana dei Quattro Fiumi sorseggiando un drink verde mela.
Quando, però, alle undici scarse, iniziò a smontare e riporre tutto, non li vide più. E ci rimase anche un po’ male, perchè sperava fosse tornato per lei, per scrutare ancora nei suoi occhi grigi.
Si mise la borsa in spalla e si avviò verso la fermata degli autobus più vicina, lo storico iPod che sussurrava Poles Apart dei Pink Floyd al suo orecchio. L’Atac era fortunatamente vuoto, così si stravaccò sui sedili di plastica a mangiucchiare tranquillamente il suo tramezzino. Non pensava fosse tanto stancante un lavoro del genere. Tanto debilitante.
Giunse al condominio che dava sul Lungotevere mezz’ora dopo, tanto spossata da non percepire nemmeno la costante puzza di cavolo.
Sistemò i disegni e l’album su un breve ripiano, contò il profitto del giorno e lo nascose in una vecchia lattina di Coca Cola nel mini-frigo, controllò le matite e poi i fogli rimasti nell’album: 3, il giorno dopo avrebbe dovuto passare a comprarne un altro.
Lo stava riponendo sul piccolo tavolo, quando un foglietto volteggiò in aria fino ad adagiarsi sul pavimento freddo in pietra. Lo raccolse stupita: “Bar Bella Vita, 13.30, 27/01.”



 
*Ciao mondo, di cui io sono la lingua eloquente, che la tua bocca, o Parigi, chiama e chiamerà sempre a se i tedeschi.





Angolo Autrice
Eccomi qui, in tempo limite...fiù,  10 giorni non sono ancora passatixD
Dunque...spero che non sia banale come mi è stato detto questa storia e se appare poco articolata è perchè si complicherà dopo...è sbagliata come struttura? :$
Spero vi piaccia...
Ah, già. L'inglese, lo spagnolo, cose insomma in altre lingue nei dialoghi, vi danno fastidio? A me piace integrarli, ma posso anche farne a meno u.u
E poi...capitoli come questo sono troppo lunghi? Brevi? Vanno bene?xD
Sì, tantissime pippe mentali, ma son fatta così u.u
Spero comprendiate la scelta dei titoli dei capitoli, questo fa riferimento al primo incontro di Dante e Beatrice ad esempio....
Ok, smetto di blaterare...
Spero nelle vostre recensioni!
Un grande abbraccio,
D.^^


 

 
 
  
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