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Autore: Lucy_lionheart    30/06/2011    0 recensioni
Partecipa al "Childhood Slice of Life" contest indetto da "Oc's Place: La casa dei tuoi personaggi originali."
Marina Vargas, il Centro-Italia.
Per quanto difficile e dura, anche una Nazione o una sua parte ha un'infanzia; la sua è fatta di spade, di penne, di sorrisi, di sangue e di gigli.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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due 2. Di Sorrisi e altre Invenzioni.






<< Marina, lascia stare, ti prego. >>
<< No! Voglio provare! >>

Alle tue spalle, sentisti la voce maschile sbuffare e te lo immaginasti, mentre esausto si passava una mano sul volto.
L'aveva ripetuto migliaia e migliaia di volte che non voleva che tu testassi le invenzioni; questo perché eri "un'adorabile e fragile piccola donna".
Sull'essere carina e piccola, a sforzarti, potevi anche dargli accordo: dimostravi su per giù nove anni e avevi i capelli raccolti in due lunghe trecce.
Ma a smorzare quella tua femminilità era il vestito infilato in modo arruffato e casuale dentro i mutandoni e le tue gambe sbucciate da innumerevoli cadute.
Nonostante fossero passati due anni dal vostro incontro, ancora non era passata la ferma convinzione del fiorentino di trasformarti in una bambina femminile e ben vestita, un qualcosa che a detta sua, grazie all'eleganza e alla leggerezza dei suoi movimenti, saresti potuta tranquillamente essere.
Ma con te no, ogni sforzo era perso.
Eri una peste, un piccolo diavolo. Anzi, un maschiaccio.
Un maschiaccio tremendamente carino.

<< Marina, non farmi arrabbiare! >>

Leonardo ti richiamò di nuovo, ancor più esasperato di prima. Arrabbiarsi? Lui? Non l'avevi mai visto fare ciò, al massimo s'innervosiva con i suoi assistenti quando toccavano qualcosa che non dovevano.
Ma arrabbiarsi, no, non era dal tuo caro Leonardo.
E non era da te demordere.

<< Maestro, la prego! Sono sicura che quest'invenzione funzionerà! >>
<< Non voglio rischiare con te! >>

Protestò immediatamente il biondo trentenne, osservando con aria scettica la struttura piramidale che ti portavi sulle spalle.
Aveva girato un attimo gli occhi ed ecco che tu e il paracadute eravate spariti dal laboratorio! Gli era toccato rincorrerti per tutta Firenze ( e lui, forse per fargli pagare l'avere un cervello tanto ben funzionante, era tutt'altro che un corridore ) fino a colle di Fiesole, dove ti aveva trovata in quelle comiche condizioni - povero il vestito che ti aveva comprato! - e con il paracadute ben fissato sulle spalle.
E da mezz'ora era lì, intento a dissuaderti.
Persa la pazienza l'uomo si alzò e, con passo deciso, si diresse verso di te.

<< Guarda che mi costringi a fare... >>

Borbottò, sollevandoti da terra mentre tu scalpitavi e gli ripetevi di rimetterti giù; ma nulla, non serviva a niente con lui!  Così, in un attimo, il meccanismo si sciolse e il paracadute s'accasciò a terra;
tu, con braccia, gambe e labbra incrociate, te ne stavi a penzolare dalle braccia del tuo Maestro.

<< Ma uffa. >>

Quella fu l'unica cosa che sei riuscita a dire, con un tono arrabbiato e innervosito;
inutile dire che, alle orecchie di Leonardo, risultò tutto tanto carino e buffo da farlo scoppiare a ridere genuinamente e senza la minima intenzione di trattenersi.
No, niente, nessuno dei due ce la faceva ad arrabbiarsi con l'altro.
L'uomo ti sorrise, posandoti nuovamente a terra e inginocchiandosi, in modo d'essere nuovamente alla tua poca altezza e tutti i tuoi tentativi di fare la finta offesa crollarono, nel momento esatto in cui i tuoi occhi color nocciola incrociarono i suoi, azzurri come il cielo a cui tanto ambiva.

<< Andiamo a casa, Marina. >>
<< Va bene... >>

Soffiasti quelle parole, lasciando che l'uomo stringesse la tua piccola mano nella sua, prendendo velocemente la strada che scendeva lungo la collina fiesolana.
Nell'inoltrarsi del pomeriggio i tuoi occhi potevano vedere Firenze tingersi di ombre rosseggianti, giudicandola ancora più bella di quello che normalmente già era.
L'Arno sembrava infuocarsi al risplendere del sole, i passanti sbadigliavano, parlottando e tirando le somme della giornata ormai giunta al suo esito.
Ma alla Bottega del caro Maestro si continuava, nonostante finisse il tempo dei lavori e iniziasse quello del bere e del divertirsi, anche in modi non esattamente consoni.

<< Maestro, dipingiamo quando arriviamo a casa? >>

Già. dipingere.
Da quel giorno era diventata la tua più grande passione.
Ricordavi bene quando, nei primi giorni dell'anno che era appena arrivato, avevi rincontrato alla corte del Principe il sorriso dell'uomo che ti si era presentato poco tempo prima, mentre era intento a raffigurare il cadavere penzolante del Bardini.
Lui ti aveva sorriso e ti era corso incontro, come se ti avesse conosciuto da sempre; e tu, in quel preciso istante, ti eri resa conto di quanto eri felice di rivederlo.
Avevi passato il pomeriggio a parlare con lui e il giorno dopo ti eri presentata alle porte di quella che ti avevano detto essere la sua residenza con le gambe tremanti e le guance rosse.
Lui, nonostante fosse immerso nel lavoro, ti aveva accolto con un enorme sorriso, scompigliandoti i capelli, ma storcendo il naso alla vista dell'armatura.

<< Hai paura che ti aggrediscano per strada? >>

Aveva commentato, spingendoti con gentilezza dentro l'abitazione disordinata, in cui avevi notato con estrema sorpresa quello che, senza ombra di dubbio, era proprio un cadavere.
L'avevi guardato leggermente storto, non emettendo un suono, cercando istintivamente la superficie smerlata dell'elsa della tua spada.
A quel vedere lui aveva riso, decidendo di coprire il corpo con un telo li vicino.

<< Tranquilla, tranquilla. Sono studi anatomici... quest'uomo non so nemmeno chi sia! >>
<< N-Non lo sospettavo. >>

Avevi commentato, negando quella che invece era l'evidenza. Dall'uccisione del fratello del Magnifico dubitavi di ogni persona capace di impugnare anche solo un coltello da cucina.
Ma per qualche strano motivo, in quell'occasione sentivi che potevi abbandonare la spada... che quell'uomo non ti avrebbe sfiorato capello, se non per carezzarlo.

<< Avanti, fattela togliere. >>

Aveva detto, facendoti sussultare e allontanare da quelle mani che, velocemente, si prolungavano verso di te.
No, l'armatura non si toglieva!  Era la tua difesa, la tua difesa da tutto... che esso fosse fisico o sentimentale.
L'uomo, capito che non c'era nulla da fare, ritirò le mani, posandole sui suoi fianchi, in un leggero sbuffo.

<< E va bene, va bene, hai vinto. Ma ti avverto, è solo un peso... >> Disse, voltandosi, diretto chissà verso quale angolo della stanza, regalandoti l'ennesimo particolare sorriso.
<< Qui niente e nessuno ti arrecherà mai dolore.
Qui si lavora per il tuo splendore. >>

E fu con quelle parole che l'uomo di conquistò; furono quelle parole a spingerti a presentarti lì anche il giorno dopo...
con i capelli sciolti e un vestito color crema merlettato.
Da lì in poi, ogni giorno andavi nella casa di quell'artista, chiamato Leonardo, che ti aveva regalato un vestito nuovo (forse troppo femminile, per te), tanti fogli e un quaderno.

<< Ti insegnerò poi a usare colori e pennelli. >>

Aveva detto in quell'occasione.
Inaspettatamente, avevi iniziato a preferire il pennello alla spada e, assieme al tuo tratto, anche la tua lingua si era sciolta.
Finalmente sorridevi di nuovo.


Quella che eri arrivata a chiamare "casa" apparì dietro l'angolo, nell'esatto momento in cui tu rivolgesti quella domanda a Leonardo, il quale ti sorrise con gentilezza.

<< Mi spiace, ma questa sera devo lavorare con Salaì. >>

Bastò quel nome a farti stringere più forte la mano a quella dell'artista.
Tutto, andava bene tutto. Ma quel tipo no, eh!

<< Maestro, non è giusto! >>

Dicesti, mentre attraversavate il cortile.

<< E Salaì qui, e Salaì là, quello fa solo disastri! E poi chi pulisce? Io! Perché manco quello gli riesc- >>
<< Sono qui dietro, peste. >>

La voce ti fece sussultare per la sorpresa; velocemente voltasti il collo, scontrandoti con la figura di un uomo ricciolo, seguito da un altro che a stento tratteneva le risate. Il primo se ne stava a braccia consorte, osservandoti con gli occhi vispi e ambrati.
Ti aveva sentito; un'altra volta.
Ma che eri tanto gelosa di Leonardo era ormai un fatto noto, no?
Senza farsi troppi problemi il ricciolo ti afferrò lì dove si sentiva il bordo dei mutandoni, sollevandoti con ben poca grazia e tu mandasti un piede in avanti, indirizzato a colpirlo senza nessuna gentilezza.
Leonardo si passò la mano sulla faccia.
Quanta pazienza ci voleva con voi due.

<< Mollami! Non è colpa mia se non sai fare nulla! >>
<< Lingua serpentina che non sei altro, non sarei qui se non fosse così! >>
<< O se tu non avessi quei tuoi bei riccioli! >>

Esclamasti, afferrando una delle lunghe ciocche castane, splendenti di riflessi color fiamma.

<< Maestro, è troppo buono con questa bambina... >>
<< No, è troppo buono con te! >>
<< Gian Giacomo, mollala. >>

La voce del moro, tale Marco d'Oggiono, interruppe la zuffa tra te e il Caprotti, che però non accennò a mollarti.

<< Visto? Anche Marco mi dà ragione! >>

Affermasti, rivolgendogli un sorriso sbeffeggiante. Lui fece per aprire nuovamente bocca, ma la voce di chi in quel gruppo dava i comandi si fece sentire e tu, immediatamente, sentisti nuovamente il terreno sotto ai piedi.

<< Saladino che non sei altro, lasciala andare. >> Disse Leonardo, unico a cui il Salaì obbediva. << E andiamo, che dobbiamo lavorare... Marco, ti affido Marina. >>

Disse, mentre tu ti dirigevi verso l'uomo, lasciando che esso ti prendesse sulle spalle. A differenza del primo, con il secondo assistente di Da Vinci avevi un buon feeling.
Forse perché non era così attaccato al Maestro.
Rivolgesti al Salaì la linguaccia, appena esso ti diede le spalle, facendo ridere Marco.

<< Quanto sei gelosa, piccoletta. >>
<< Puoi giurarci. >>

Non pronunciasti parola in più, mentre affondavi una mano nei suoi capelli corvini.
Lui sorrise, soffiando quando una delle tue trecce gli arrivò sul naso.
Sapeva che in quei casi c'era una sola cosa che ti tirava su il morale.

<< ... mettiti il vestito nei mutandoni, che adesso giochiamo a Palla. >>






















Erano passati più di venti anni da quando tu e Marco vi eravate messi a giocare al tramonto a palla e tu, "senza volerlo" l'avevi calciata prendendo in pieno gli adorabili riccioli di Gian Giacomo Caprotti, facendo ridere il Maestro, che ti disse di ricordare il movimento che avevi compiuto, perché magari avrebbe potuto costituire un qualche nuovo gioco, o un pizzico di pepe in quello esistente.
Ne erano passati, invece, undici da quando Leonardo aveva iniziato a appuntare in bella calligrafia i suoi studi sul volo, facendo rompere una gamba al povero Tommaso, cavia " volontaria e ben disposta" a lanciarsi dal Colle di Fiesole con il paracadute.
Quattordici da quando il Maestro, tornato a Firenze, ti aveva incontrato -purtroppo- in compagnia di uno scontroso con una barba più folta della sua, che portava il nome di Michelangelo Buonarroti, con cui, a dispetto di ogni tua previsione, ci fu una spietata rivalità fatta di secche critiche artistiche e parole velenose, traboccanti d'intelligenza.
E pochi mesi, da quando lo avevi seguito in Francia.
Già, Francia.
Quel paese ti aveva sorpreso tanto quanto la sua incarnazione, Francis.
Non tirava aria buona con quel biondo, no, non ne tirava affatto.
Insomma, era troppo.. troppo.
E tu eri solo una bambina fin troppo gelosa del tuo ormai vecchio Maestro.

<< Marina, siamo arrivati. >>

La voce della persona che si trovava con te nella carrozza ti distrasse dal seguire la linea che le gocce di pioggia disegnavano al di fuori di essa.
Eri tornata per pochissimo tempo a Firenze, assieme a Francesco Melzi, il più fidato degli assistenti di Leonardo, tanto che aveva battuto su quella scala pure Gian Giacomo.
Anche tu lo preferivi; era più silenzioso, più sorridente, più intelligente e meno sbruffone.
Molto più simile al tuo Maestro.

<< Starà bene? Con questo diluvio... >>

Francesco sorrise, scompigliandoti i capelli con un sorriso.

<< Tranquilla. E' un po' pazzo, ma non incosciente. >>

Scendeste assieme dalla carrozza, non appena essa si fermò proprio davanti al portone del castello di Clos-Lucè, evitando di bagnarvi i vestiti sotto quell'acquazzone.
Nello scendere frettoloso, però, notasti una fila di carrozze; e quelle di chi erano?
Chi mai poteva essere venuto a far loro visita?
Salisti quasi correndo le scale, seguita dal povero Francesco, che ti ripeteva di non correre veloce, poiché rischiavi di scivolare sui gradini bagnati.
Ma mano a mano che salivi, sentivi delle voci, tante e rumorose, che t'incuriosivano, tanto che superasti l'ultimo scalino quasi saltando.
Ti affacciasti nel salotto, trovandolo invaso: il Re, la sua corte, una moltitudine di nobiluomini francesi, tutti attorno al tuo Maestro.

<< Bonjour, Marì. >>
<< Francis! >>

Sussultasti, alzando gli occhi su quelli azzurri del ragazzo, che ti sorrideva, con in mano una bicchiere ricolmo di vino ( sì, già a quell'età, ma lui continuava a dire che era come bere acqua, almeno fin quando non si ubriacava ) .
Magari a lui avrebbe potuto chiedere!

<< Francis, sai dirmi cosa succede qui? >>
<< Ma come, non lo sai? Proprio tu, Marì, mi deludi. >> Ridacchiò, buttando giù l'ennesimo sorso. << Il Maestro Léonard de Vinci ha appena concluso il suo quadro. >>

Quelle parole ti illuminarono gli occhi. Aveva concluso... il Maestro aveva concluso!
Schizzasti a velocità quasi inumana nella sala, mollando lì il biondino e passando senza fare complimenti fra le calzamaglie di tutti quegli uomini, che sbottavano al tuo passaggio.
Finalmente, al quarto spintonato, intravedesti la barba canuta del caro Leonardo, seduto su uno di quegli stupidi e scomodi divanetti.
Lo raggiungesti e lui, che ti aveva già adocchiata da un po', ti sorrise.

<< Ecco la mia bambina! Allora, che si dice a Firenze? E' bella come la ricordo? >>
<< Maestro, avete davvero finito la Monna Lisa? >>

Chiedesti, troppo curiosa per avere la pazienza di rispondere alle domande.
Lui ti sorrise, annuendo con la testa, mentre alle tue spalle era arrivato anche Francesco.

<< E... avete fatto tutto da solo!? >>

A quella tua frase l'intera sala scoppiò a ridere, mentre Leonardo e il Melzi non emisero sillaba, quasi facendo finta che nulla ti fosse uscito dalla bocca.
Tu, nel sentire quelle risate fragorose, arrossisti per la vergogna, mordendoti il labbro.

<< Che sciocca bambina, chi vuoi che lo abbia fatto? >>
<< Oh, sarebbe il colmo, non trovate? >>

Da lì, l'imbarazzo fu talmente tanto che non facesti più uscire parola dalla tua bocca.
O almeno, fino a quando...







<< Marina! >>

Esclamò Leonardo con voce roca, vedendoti far capolino dalla porta dei sotterranei, dov'era solito lavorare.
Avevi un'aria imbronciata, le mani sporche e il vestito imbrattato di fango.
Con gli occhi bassi e la bocca piegata in un ringhio, corresti dal tuo caro Maestro, lasciando sbalordito pure Francesco, che mai ti aveva visto in tali condizioni.
Il vecchio genio ti fece sedere sulle sue gambe, mollando per un attimo il carboncino con cui stava schizzando sulla tela avanti a lui.
Ti sorrise, in un misto di dolcezza e preoccupazione.

<< Bambina mia, che hai fatto? >>
<< Ho litigato con Francis. >>

Leonardo sospirò, lanciando un'occhiata al suo assistente.

<< E questo perché? >>
<< Diceva che... che dato che lei aveva finito il quadro qui in Francia, allora era di sua proprietà.  Ma non è vero, lei lo ha iniziato quando era da me! >>
<< Capisco. E come si collegherebbe, questo, al fango che hai pure sul naso? >>

Arrossisti, deglutendo.

<< Insisteva... e ho perso un po' la calma. Così gli ho tirato una palla di fango. >>
<< E lui? >>
<< Ha urlato e se n'è andato lamentandosi delle macchie. >>
<< Non ha contrattaccato? >>
<< No. >>
<< E le macchie sul tuo vestito, allora? >>
<<. ... dovevo pulirmi le mani. >>

Francesco, alle tue spalle, scoppiò a ridere, mormorando qualcosa come "Chi troppo femminile e chi troppo poco.", mentre Leonardo ti guardò con una leggera aria di rimprovero.

<< Ancora ti ostini a maltrattare i vestiti che ti regalo, eh? >>

Facesti spallucce, leggermente rossa in viso. Poi lo guardasti; finalmente potevi chiedergli la cosa che avevi in mente da quando eri entrata.

<< Maestro, posso vedere il quadro? >>

Lui sorrise, con un accenno di sorpresa.

<< Marina... >> iniziò << Mi pareva di aver intuito che non volevi assolutamente vederlo. >>

Deglutisti, imbarazzata. Effettivamente era così! Avevi pronunciato esattamente quelle parole quando ti eri innervosita sentendo rimandare ancora la passeggiata quotidiana con Leonardo, poiché esso doveva incontrarsi con quella là.
Sì, ancora gelosia.
Eri riuscita a farti passare quella per gli uomini, soprattutto se suoi assistenti, come nel caso di Francesco, che ti era anche simpatico, ma le donne... le donne erano un'altra storia.
L'unica donna della vita di Leonardo da Vinci eri tu, tu e basta!

<< Beh... h-ho cambiato idea. >>

Mormorasti, incrociando le braccia, ma bastò un segno del vinciano che Francesco era già corso a prendere il dipinto, celato da un sottile panno bianco.
Una volta di fronte a te, a voi, afferrasti la stoffa, titubante.

<< Su, scopri. Scommetto che rimarrai sorpresa. >>
<< ... sorpresa? >>

Le parole del Maestro e lo sguardo enigmatico di Francesco, che teneva stretta la tela, ti fece incuriosire ancora di più. Preso coraggio, tirasti via il panno, che lento cadde a terra e...
E sorridesti, incredula a quello che stavi vedendo.

<< Vedi qualcosa di familiare, piccola? >>

Disse Leonardo, ridacchiando.
Il volto, il corpo, era senza dubbio quello della donna che per innumerevoli pomeriggi avevi visto nel suo studio.
Ma il sorriso... oh no, quella non sorrideva mai, era sempre seria.

Il sorriso era, senza la minima ombra di dubbio, lo stesso e identico che, in quel momento, risiedeva radioso sul tuo volto fanciullesco.
Senza aspettare un solo momento, ti voltasti verso quel vecchio sorridente, buttando le braccia al suo collo, stringendolo con forza.
Lui rise, carezzando con una mano la tua schiena.

<< Sei felice? >>
<< Oh, sì! Lo sono, Maestro, lo sono immensamente! >>

Gioisti, sorridendo con tutta la dolcezza che avevi. Ti accomodasti, poi, sulle sue ginocchia, apoggiandoti al petto, affondando la testa nella lunga barba, che ogni volta ti faceva il solletico.
Eri felice con lui, felice come non eri mai stata con nessun'altra persona.

<< Cosa stava disegnando, Maestro? >>
<< Oh, un abbozzo di quello che ti facevo vedere poco tempo fa. Devo fare un paio di linee per... >>

Le parole si bloccarono e, assieme ad esse, gelandoti, anche la mano di Leonardo da Vinci, che aveva appena riafferrato il carboncino.
Questo cadde e la mano rimase lì.
Immobile.

<< Maestro! >>

Le voci tue di Francesco risuonarono all'unisono, mentre questo si era già precipitato sulla mano immobile, stendendo le dita, piegandole ancora, nuovamente stendendole.
Era quello ciò a cui ti riferivi con la frase che aveva fatto ridere quegli odiosi, nel salotto. Le mani del Maestro, purtroppo, non funzionavano più bene come una volta...
Si paralizzavano.

<< Ah... è successo ancora. >>

Disse lui, con un mezzo sorriso in cui tu intravedevi immediatamente quella punta di dolore ormai quotidiano.

<< Francesco, ti spiace... >>
<< Certo che no, Maestro. >>

L'uomo si chinò a prendere il carboncino, e poi nuovamente sulla tela schizzata.

<< Una linea perpendicolare, sul... >>
<< A destra? >>
<< Sì, bravo. >>

Francesco obbedì, tracciando un tratto che si andò veloce a confondere con quelli Leonardeschi.
Sospirasti ancora, stringendo una mano alla stoffa che stava sulle gambe di quello che ormai non era più il biondo estroverso incontrato nella neve invernale.
Ma lui sorrise, dicendoti silenziosamente di non preoccuparti.

<< Mi piace, stare tutti qui assieme. >> disse Leonardo, carezzandoti i capelli. << Mi fa molto felice. >>

Entrambi sorrideste, mentre l'anziano si perdeva nei suoi pensieri, lisciando i tuoi capelli come per rilassarsi.

<< Mi viene in mente quella frase che ho scritto ieri nel Trattato sulla Pittura. >>
<< Suvvia, Maestro, non mi pare proprio il caso. >> Lo rimproverò quasi il Melzi, tracciando l'ennesima linea.
<< Beh, non è allegra, ma è di sicuro molto bella... >> Commentasti invece tu.

Leonardo da Vinci sorrise, lasciando vagare gli occhi.

<< "Sì come una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire. " >>


Allora, non riflettevate su quanto quelle parole si sarebbero rivelate profetiche.





































_______________________*

Note dell'Autrice ~

Scusate, non avevo idea di come intitolare la storia ._.
   
 
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