Crossover
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Autore: JoAngel    30/06/2011    0 recensioni
Il destino a volte è proprio crudele, dopo Jo ora toccherà ad Allison ad avere a che fare con il "fuoco".
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Telefilm
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

 

Era buio. Si trovava in mezzo alla notte. Non sapeva dove fosse apparsa.

Fece due passi in avanti e sentì un lieve venticello sfiorarle il viso delicatamente.

Allora è questo il mondo umano? si chiese, incamminandosi verso l’ignoto. Si guardò intorno curiosa. Luci. Insegne. Strade. Cemento. Palazzine.

Dov’era capitata?

Si avvicinò ad un vicolo cieco, sporco e umido.

Andò fino in fondo alla stradina e poi notò due ombre sul muretto di mattoni farsi sempre più vicine e grandi. Si voltò di scatto e …

“Mmmmh … una ragazzina indifesa. Classico.” ammise un uomo con un sorrisino in viso.

“Più facile di così …” disse la ragazza vicino a lui prima che i suoi canini si allungassero e guardò negli occhi Allison.

Quest’ultima si tenne sull’allerta e cominciò ad indietreggiare lentamente fino ad arrivare con la schiena al muro.

“Oooh piccola non ti faremo nulla …” le promise l’uomo. Poi fece un salto deciso ad attaccare la ragazzina. Lei non sapeva cosa fare: chi erano questi due? E lei cosa aveva fatto loro? E perché si cacciava sempre in situazioni del genere?

Chiuse gli occhi d’istinto. Tornò ad essere tutto nero.

All’improvviso sentì ringhiare. Una botta. Fu scaraventata al muro laterale.

Schiuse di poco gli occhi e intravide un cane, o almeno le sembrava un cane, ululare contro i due. Si tenne il braccio e fece un gemito di dolore.

Le due persone corsero via velocemente, più velocemente di qualsiasi altra creatura.

Il lupo, ecco cos’era, un lupo, voltò lo sguardo su Allison, che a fatica si alzò da terra, tenendosi ancora l’arto colpito.

“Che ci fa un …” cercò di chiedere prima che il lupo si trasformasse come per mangia in un uomo. Lei spalancò gli occhi incredula e poi arrossì di colpo vedendo che l’uomo era nudo. Quest’ultimo si nascose dietro a degli scatoloni vecchi imbarazzato.

“COSA DIAVOLO SEI?!” scoppiò lei all’improvviso, mentre una macchina passava sullo stradone lì vicino.

“Ssssssh!! Che ti urli?!” disse lui guardandola e tenendosi il pezzo di cartone davanti al corpo.

“Ma sei nudo!” esclamò ancora lei indicandolo. Lui si guardò intorno e sospirò profondamente. “Lo so che sono nudo, ma tu non urlare cazzo!” disse lui frugando tra i rifiuti.

“Copriti! Potrei denunciarti per …” iniziò a dire prima che l’uomo si mettesse un paio di jeans ancora nuovi, e per fortuna abbastanza puliti, e si avvicinasse a lei.

“Ma quanto parli?” le domandò sospirando. “Ecco così va meglio …” ammise lei incrociando le braccia sul petto.

“Un grazie andrebbe bene …” le disse guardandola in viso.

“Perché dovrei ringraziarti?” domandò lei con fare menefreghista.

Lui inarcò un sopracciglio. “Perché ho appena salvato il tuo bel culetto di 16enne?!” chiese lui con tono ovvio.

Lei lo fulminò con lo sguardo. “Nessuno te lo ha chiesto. Quindi perché dovrei ringraziarti per una cosa di cui potevi anche non interessarti?” chiese lei quasi retoricamente.

“Sei proprio una …” cominciò prima di notare che la ragazzina si teneva il braccio destro. “Ti sei fatta male?” le domandò sfiorandola sull’arto.

Lei scosse il capo e se lo strinse gemendo di dolore.

“Dai forza, vieni.” disse lui cominciando a camminare verso l’uscita del vicolo.

“Dove vuoi andare?” chiese lei, seguendolo a piccoli passi.

“Sei ferita, ti devi curare no?” disse lui voltandosi per pochi secondi guardandola negli occhi per poi riprendere a camminare. Svoltò sulla sinistra e mise le mani nelle tasche. Lei gli andò vicino e lo osservò per un po’.

“Non mi hai detto il tuo nome.” ammise lui dando delle occhiate alle serrande dei negozi, ormai chiusi data la tarda ora.

“Neanche tu se per questo.” disse lei in risposta stando sulle sue e infilando le mani nelle tasche della felpa.

L’uomo la guardò con un sopracciglio inarcato. “Sai che sei proprio senza educazione?” ammise lui sbuffando.

Lei rise. “Ho una educazione, sei tu che non ci sai con fare con le ragazze.” disse lei finendo con un sorrisino sarcastico.

“Certo … Quindi non potrò mai sapere il nome di colei che mi sta dando sui nervi?” domandò lui arrivando davanti ad una palazzina e fermandosi sulla porta.

“No …” rispose lei semplicemente, poi si avvicinò ad una finestra. “Dove siamo?” chiese sbirciando dentro alla stanza.

“A casa mia …” rispose l’uomo prendendola per il braccio e portandola dentro.

“Ahia! Poi ti lamenti che … Che posto è? Fa schifo!” esclamò lei prima che lui le chiudesse la bocca con una mano. “Che ti urli sempre?!” disse con voce bassa. “Stanno dormendo tutti, mi sbattono fuori se fai così.” continuò poi andando davanti alla porta dell’ascensore e chiamandolo.

Lei gli andò dietro e poi, quando l’ascensore arrivò, entrò insieme a lui.

Stette nell’angolino osservando le pareti di metallo.

“Non hai mai visto un ascensore?” le chiese l’uomo appoggiandosi ad una parete.

Allison scosse la testa. “Da dove vengo io non ci sono.” ammise sospirando profondamente ricordando casa sua.

“Capisco …” riuscì a dire prima che la porta si aprisse e l’uomo uscì incamminandosi verso l’uscio di una stanza. Arrivatogli davanti, lo aprì e fece entrare la ragazzina.

“Voilà, ecco il mio appartamento.” le mostrò mentre lei cominciava a guardare dappertutto. L’uomo sospirò ma abbozzando un sorriso.

“Sei proprio strana.” le confessò, dirigendosi in camera da letto e cambiandosi. Tornò da lei con un paio di jeans puliti e una maglietta bianca a maniche corte.

“Allora, fammi vedere il braccio.”  disse con gentilezza, guardandola in viso.

“Non mi fa m …” cominciò a dire prima che lui le desse un pizzicotto sull’arto. “Ahia!” esclamò portando di nuovo una mano su di esso.

Lui sorrise per poi andare in bagno, prendere una garza e l’acqua ossigenata con tanto di pezzo di cotone e tornare di là.

“Siediti sul divano …” le consigliò, indicandoglielo. Lei annuì e si sedette su di esso guardando preoccupata l’uomo.

“Che vuoi farmi?” si informò, osservando i gesti di lui, il quale si sedette sul tavolino di legno e iniziò a versare un po’ di acqua ossigenata sul cotone.

“Ti disinfetto la ferita, può portare infezione se non lo faccio.” rispose lui con tranquillità. “Alza la manica.” le chiese poi.

Lei fece ciò che le chiese e sentì il liquido freddo sulla sua pelle. “A-ahi …” disse facendo una smorfia di dolore.

“Non fare la bambina dato che dovresti essere abbastanza grande da non esserlo.” ammise lui, continuando a tamponarle la ferita.

“Gne gne gne …” disse lei facendo faccette e lui rise. “Comunque il mio nome è Alcide.” le disse sorridendo per poi fasciarle la ferita con la garza.

“Alcide? Che nome particolare …” ammise lei guardando le mani dell’uomo.

“Già … non sei la prima che me lo dice.” confessò lui, con un mezzo sorriso sulle labbra. Poi si alzò dal tavolino e sospirò. “Ora devo accompagnarti a casa.” le disse.

“No …” esclamò lei drizzandosi in piedi. “Non voglio tornare laggiù.” aggiunse chinando lo sguardo.

“Ma i tuoi genitori saranno preoccupati.” ammise Alcide incrociando le braccia sul petto.

“Ztè … Figurati, poi mia madre. Sarà stata una liberazione per lei.” disse, scostandosi con un gesto veloce, i capelli dalla spalla e con fare altezzoso.

“Quindi … sei scappata da casa?” le chiese, pensando che quel viso le era familiare per qualche strano motivo.

“Tecnicamente sì … Ma, sono stata aiutata da un mio zio diciamo.” rispose lei dirigendosi vicino alla finestra e guardando fuori. Aveva iniziato a piovere, gocce fini e delicate. Non aveva mai provato la sensazione dell’acqua che le scorreva sulla pelle. Una delle tante cose che non aveva fatto nella vita.

Prima che Alcide potesse aggiungere qualcosa alla conversazione, lei aprì la finestra e salì sul davanzale per poi scendere sulla terrazza.

“Wow …” disse guardando la luna tra le nuvole di pioggia. La guardava con occhi meravigliati, per lei era tutto nuovo. Aveva sentito parlare della natura e di tante altre cose solamente dai demoni che viaggiano dall’Inferno alla terra e viceversa. Perché non l’hanno mai portata qui, in questo paradiso? Non lo aveva capito e forse non l’avrebbe mai capito.

L’uomo la guardò stranito, poi si affacciò dalla finestra. “Ehi, torna dentro prima che … Cosa stai facendo?” le chiese, ridendo vedendo la ragazza aprire la bocca per assaggiare la pioggia. “Per te cosa sto facendo?” disse in risposta restando a bocca aperta mentre tutti i suoi capelli e vestiti si bagnarono.

Ecco. Quella se sanzione di freddo addosso, quella sensazione di umido, di ghiacciato, quella leggera sanzione del vento tra i capelli che le screpolava le labbra e la pelle. Ecco. Si, quella sensazione non l’aveva mai provata prima di allora.

Mentre era tra i suoi pensieri, Alcide uscì anche lui e le se avvicinò.

“Tutto bene?” le chiese, vedendola chiudere la bocca e abbozzare un sorriso.

Lei annuì e lo guardò negli occhi. “Non … non ero mai stata sotto la pioggia.” ammise, tornando con lo sguardo sul cielo nuvolo.

“Mai? Com’è possibile?” le domandò, sempre più stranito.

“Diciamo che non me lo hanno mai permesso.” rispose lei, sospirando profondamente. E quante cose non le permetteva di fare. E questo no, quello neanche, non permettiti mai! Tutto il tempo così. Ma ora poteva fare tutto ciò che voleva … finalmente.

“Non voglio tornare a casa …” ammise, sospirando triste e abbracciando Alcide. Lui si intenerì e le accarezzò i capelli.

“Potrai dormire qui stanotte, ma solo per questa notte. Ora andiamo a prepararti un bel bagno caldo e vedrò di trovarti dei vestiti asciutti.” le disse con tono quasi paterno. Lei annuì. “Grazie …” sussurrò con un filo di voce.

Tornarono dentro e lui, come promesso, si diresse in bagno e tirò l’acqua calda. Aggiunse il bagnoschiuma  e poi tornò da Allison.

“La vasca si sta preparando, puoi andare.” le disse mentre lei sbirciava tra le foto riposte sul davanzale del piccolo caminetto. “Chi è?” chiese indicando una bella ragazza nella fotografia, abbracciata ad Alcide.

“Ehm … una mia vecchia amica, sono ormai venti anni o più che non la vedo.” ammise lui, con tono malinconico e sospirando.

Allison notò il tono usato e si avvicinò a lui. “Era importante per te?” domandò, sperando che non fosse un tasto dolente.

“Molto …” ammise lui un po’ imbarazzato. “Era … era la migliore, aveva due occhi color cielo stupendi e dei capelli corvini, neri come il cielo notturno. E una pelle bianca come la neve.” la descrisse con tono dolce e con sguardo perso.

Allison ascoltò attentamente le parole di lui sulla ragazza, che le pareva famigliare.

“Era una ragazza eccezionale. Abbiamo frequentato il college insieme e tutta un estate insieme, poi lei si è trasferita e purtroppo non l’ho più vista.” continuò, con tono malinconico e il pensiero lontano da quella realtà.

“Tu … provavi qualcosa per lei?” chiese la ragazzina, sempre più curiosa e tenendo il portafoto  stretto al petto.

Lui arrossì poco a quella domanda e si grattò la nuca imbarazzato. “Beh si, ma ora son passati anni e sarebbe stupido sperare ancora di vederla.” ammise poi.

“Mai dire mai, Alcide.” disse lei, con finto tono da saggia e facendogli l’occhiolino, prima di andare in bagno. Lui sorrise e la osservò allontanarsi.

 

Ormai erano l’una e un quarto. Lei era rintanata nelle coperte del vecchio letto della sorella di Alcide e dava delle occhiate al cielo, scuro e poco stellato.

Pensava a tutto ciò che stava succedendo e stava facendo. Era sbagliato? Giusto? Non lo sapeva. Però sapeva che per ora era ciò che voleva.

Incrociò le braccia sotto la testa e guardò il soffitto, di un azzurrino chiaro, molto piacevole alla vista. Lo fissò per un po’. Il suo pensiero andò alla madre, ma subito scosse la testa e sospirò.

Non posso darle questa soddisfazione … si disse tra sé e sé prima di chiudere gli occhi. Si addormentò poco dopo, pensando a quella prima giornata da umana.

 

  
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